ANNI 1792 -- 1794

L'ITALIA, VITTORIO AMEDEO III E LA FRANCIA

LA GUERRA TRA VITTORIO AMEDEO III E LA FRANCIA - L'ESERCITO SARDO - FAZIONI NEL NIZZARDO -VITTORIE PIEMONTESI A RAUSS ED AUTHION - OPERAZIONI NELLA SAVOIA E NELLA CONTEA DI NIZZA - TRATTATO DI VALENCIENNES - LA CAMPAGNA DEL 1794 - I FRANCESI VIOLANO LA NEUTRALITÀ DI GENOVA - INSUCCESSI DEGLI AUSTRO-SARDI - AZIONI DI GUERRA NELL'ESTATE DEL 1794 - PACE FRA IL GRANDUCA DI TOSCANA E LA FRANCIA - PACE TRA LA FRANCIA E LA PRUSSIA E LA FRANCIA E LA SPAGNA - CONDIZIONI DEL PIEMONTE E AVVENIMENTI DELLA SARDEGNA - IL REGNO DI NAPOLI E I PATRIOTI; LA SICILIA E LA CONGIURA DEL DE BLASI - I NOVATORI NELLE VARIE PARTI D' ITALIA - LA CONGIURA DI LUIGI ZAMBONI - LA CAMPAGNA DEL 1795 - SUCCESSI IN LIGURIA DEGLI AUSTRO-SARDI CONTRO I FRANCESI - LA BATTAGLIA DI LOANO

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LA GUERRA NELLA SAVOIA E NEL NIZZARDO
TRATTATO DI VALENCIENNES - LA CAMPAGNA DEL 1794


Le operazioni di guerra tra la Francia e il Re di Sardegna, non cessarono dopo che gli eserciti francesi erano riusciti ad occupare la contea di Nizza e la Savoia. Vittorio Amedeo III non sapeva rassegnarsi alla perdita di queste province, e il suo pensiero era sempre rivolto a queste, da cui il sovrano ardentemente desiderava scacciare le truppe nemiche comandate dal BIRON e dal KELLERMAN, entrambi subentrati, verso la fine del 1792, all'Anselme e al Montesquiou.
Le forze di cui il re disponeva non erano molte: trentamila soldati regolari ed ottomila irregolari, una compagnia d'emigrati francesi e settemila Austriaci comandati dal COLLI-MARCHINI e dall'ELLERA. Generalissimo dell'esercito era l'austriaco DEVIUS, vecchio, gottoso e lento, che con la sua indecisione non doveva essere l'ultima causa degli insuccessi di quella guerra.
L'esercito era diviso in quattro corpi: il primo, capitanato dal duca di Monferrato, terzogenito del re, che presidiava la Val d'Aosta; il secondo al comando del marchese di CORDON si era piazzato sul Cenisio; il terzo, comandato dal DUCA D'AOSTA, che aveva per aiutanti il principe di CARIGNANO, e del generale STRASSOLDO, guardava la valle dalle sorgenti del Po alla Stura; il quarto, di cui era capo il conte di SANT'ANDREA, teneva le alture del Nizzardo insieme con le schiere austriache; le altre valli erano custodite dalle milizie irregolari.

Durante l'inverno la guerra si mantenne viva solamente nella contea di Nizza, senza però dar luogo a grosse azioni. Le più importanti furono la liberazione della valle della Tinca dovuta ai Piemontesi guidati dal marchese Colli di Felizzano e la perdita di Sospello, espugnata dai generali francesi Brunet e Dagobert.
Ma nel giugno del 1793, nel Nizzardo, la guerra ebbe una ripresa violenta. Il BRUNET, successo al Biron, con dodicimila uomini assalì, il giorno 8, il quarto corpo austro-sardo trincerato fra il colle di Rauss e quello di Souches, però, dopo dieci ore di accanito combattimento, fu nettamente respinto. II 12 i Francesi assalirono il nemico a Milleforche ed Authion, ma anche questa volta furono sconfitti e dovettero ritirarsi con gravi perdite.

Per l'irresolutezza del Devius l'esercito regio non seppe sfruttare con un vigoroso inseguimento queste vittorie e quando, più tardi, volle prendere l'offensiva nella Savoia la fortuna gli fu contraria. Il duca di Monferrato e il Cordon, speravano di non incontrare grandi difficoltà da quella parte perché nella regione non erano rimasti che settemila francesi, essendosi il Kellerman con il grosso dell'esercito recato contro Lione che si era ribellata al governo repubblicano.
Invece il Kellerman, saputo che il Cordon si era spinto nella Moriana e il duca di Monferrato era avanzato fin sull'Arve e sull'Isère, ingrossò le sue truppe con le guardie nazionali dei vicini dipartimenti, ritornò con rapida mossa sui luoghi minacciati, occupò il 30 settembre il Monte Cormet, costrinse il nemico a sgombrare il 2 ottobre Aigues-Blanches e due giorni dopo lo sconfisse a S. Germano. Il duca di Monferrato dovette ritirarsi fino al S. Bernardo, e il Cordon, minacciato da ogni parte, fu costretto anch'esso a ripiegare e andò a trincerarsi sul Moncenisio.

Con miglior successo per i piemontesi non andarono le operazioni eseguite nello stesso tempo sulla fronte nizzarda per colpa della lentezza del Devius e delle discordie tra il generalissimo e il Sant'Andrea. L'assedio della Gilletta iniziato dal Devius terminò con la fuga degli assedianti (17 e 18 ottobre) e poco dopo i Piemontesi furono costretti dal generale Massena a sloggiare da Castelginestra e dal picco di Brich e a ritirarsi a Lantosca.
Qualche mese dopo, le truppe dei collegati, ventimila uomini circa tra Piemontesi, Napoletani, Spagnoli e Inglesi, nonostante la bravura mostrata in vari combattimenti, sopraffatti da sessantamila Francesi, abbandonarono Tolone, che occupavano, fin dall'agosto e prendevano precipitosamente la via della ritirata (notte del 17 dicembre).

Volgevano male - come si vede - le cose della Lega, la quale in quel critico 1793 minacciava di sciogliersi. Buoni rapporti, nonostante l'alleanza, non correvano tra il re di Sardegna e l'Austria, la quale voleva trarre profitto dal bisogno di aiuti che VITTORIO AMEDEO III aveva, e così farsi cedere i distretti del Milanese passati al Piemonte con i trattati del 1735 e del 1748. Alla fine il re di Sardegna, pressato dal bisogno, si piegò a sottoscrivere il trattato di Valenciennes (9 maggio del 1794) con l'imperatore FRANCESCO II; ma non ricevette gli aiuti che sperava

La Francia, a quel tempo, aveva cercato di staccare Vittorio Amedeo dalla lega, promettendogli la Lombardia e l'acquisto di Genova in cambio della Savoia, della contea, di Nizza e della Sardegna. Avendo il re respinto le proposte, la repubblica, nella primavera del 1794, intensificò le operazioni di guerra sulle Alpi, decisa a vincere la resistenza del Piemonte.
Poiché Saorgio costituiva un ostacolo insormontabile, l'esercito francese, forte di trentamila uomini e comandato dal DUMERBION sotto i cui ordini stavano il generale d'artiglieria NAPOLEONE BUONAPARTE e il MASSENA, si aprì il passo attraverso il territorio genovese e si spinse oltre la Roya, verso il Tanaro. Due divisimi, capitanate dal Massena, occuparono il marchesato di Dolceacqua, s'impadronirono di Oneglia e di Loano e il 17 aprile, sconfitti gli Austrosardi del D'ARGENTEAU presso il ponte di Nava, entrarono a Ormea.
Il Colli-Marchini, che comandava il quarto corpo dell'esercito austrosardo, dovette ritirarsi sui monti retrostanti e qui, nell'ultima settimana d'aprile, dovette sostenere sanguinosi combattimenti. Due insuccessi riportati alla Tanarda e al Collo Ardente e la caduta di Saorgio, lo costrinsero a ritirarsi prima a Briga sul Colle di Tenda, dove respinse gli assalti di Massena, poi a Borgo S. Dalmazzo.

Né in altri punti del fronte le cose andavano meglio per gli Austrosardi: il M. Valesano cadeva in mano dei Francesi il 22 aprile; il piccolo 5. Bernardo fu espugnato nonostante la forte resistenza dei colonnelli Policarpo d'Osasco e Avagadro di Ronco; il colle dell'Argentera e il passo delle Barricate furono forzati e il forte di Mirabocco preso nel maggio; sul Cenisio il generale Dumas, dopo molti sforzi, conquistava i ridotti dei Rivetti, della Ramassa e del Villaret. Al principio dell'estate le divisioni francesi che operavano nella valle del Tanaro occupavano Vernante, Roccavione e Pietra e facilmente respingevano presso Garesio settemila contadini male armati che si erano arruolati volontariamente.

Intanto crescevano i dissidi tra i generali austriaci e quelli sardi, il Devius continuava a tenere un contegno irresoluto ed anche equivoco, Francesco II non si curava, di mandare rinforzi e gli altri stati. italiani facevano altrettanto. Si attendeva una nuova e più vigorosa offensiva del nemico, quando, non si sa perché, i Francesi abbandonarono il Vernante e la Dormiosa e si ritirarono a Limone e Limonetto, mettendo il grosso dell'esercito presso il monte Arpiola (agosto del 1794).

Arrivavano finalmente sullo scorcio dell'estate i rinforzi austriaci: quindicimila uomini comandati dal Wallis e dodici battaglioni e sei squadroni condotti dal Colloredo. Allora il generalissimo austriaco, prendendo come pretesto la violazione del territorio ligure da parte dei Francesi chiese alla repubblica di Genova la consegna di Savona. Ricevutone un rifiuto, si preparò ad impadronirsene, ma ne fu impedito dai Francesi del Dumerbion, che nella terza settimana di settembre respinsero gli Austriaci del Turkheim da Mallere e Pallere, il Colloredo dalle Carcare, espugnarono il castello di Cosseria e costrinsero il nemico a ritirarsi su Dego. Il 22 settembre del 1794, tra Cairo ed Acqui fu combattuta un'aspra battaglia, troncata dalla notte, durante la quale il Wallis si ritrasse ad Acqui lasciando alla mercé dei Francesi Dego e i suoi magazzini.

LA FRANCIA CONCLUDE LA PACE CON LA TOSCANA, LA PRUSSIA E LA SPAGNA -CONDIZIONI DEL PIEMONTE E DELLA SARDEGNA. - IL REGNO DI NAPOLI E I PATRIOTI
- LA SICILIA E LA CONGIURA DI F. P. DI BLASI
I NOVATORI IN ITALIA - LA CONGIURA DI LUIGI ZANIBONI

Nel 1794 molti stati d'Europa erano già stanchi della guerra contro la Francia, specie gli stati minori i cui rischi erano molti, e pochi e problematici i guadagni. La prima a pacificarsi con la repubblica francese fu la Toscana, alla quale soltanto la violenza inglese aveva fatto rompere i rapporti con lo stato transalpino. Un ciambellano del granduca Ferdinando III, il conte CADETTI, condusse a termine le trattative iniziate dal NERI CORSINI e dal CACAULT e il 9 febbraio del 1795 concluse col "Comitato di salute pubblica" un trattato di pace con la quale la Toscana dichiarava la sua neutralità.

Sul finire del 1794 e nei primi mesi del 1795 negoziati si svolsero a Basilea tra il ministro prussiano conte di GOLTZ e l'ambasciatore francese BARTHELEMY. II 5 aprile del 1795 fu concluso il trattato di pace tra la Francia e la Prussia e il 17 maggio FEDERICO GUGLIELMO aggiunse una convenzione per garantire la neutralità dei principi della Germania settentrionale che volevano uscire dalla lega.
In pari tempo l'Olanda aboliva lo statolderato e proclamava la perpetua unione con la Francia, e il 22 luglio del 1795 fu conclusa la pace tra la Spagna e la repubblica francese, la quale accettava la mediazione del monarca spagnolo in favore della regina del Portogallo, del re di Napoli, del re di Sardegna, del duca di Parma e degli altri stati d'Italia per la reciproca pacificazione.

Della pace tra Francia e Spagna e della mediazione del re rimase scontenta la corte di Napoli. Raffreddatasi con Madrid, essa si strinse ancor di più all'Austria, alla quale nell'agosto, dichiarò che voleva rimanere unita a Vienna e a Londra e che le avrebbe preavvisate se le circostanze l'avessero costretta a mutare politica.
Anche tra la Francia e il re di Sardegna erano corsi nel 1794 e nei primi mesi del 1795 negoziati per una pace basata sulla cessione di Nizza e Savoia alla repubblica e sull'acquisto del Milanese da parte del re, ma poi non se ne fece nulla. Tuttavia, grande era il desiderio di porre fine ad una guerra che aveva ridotto lo stato in difficilissime condizioni.
Esausto era l'erario, considerevoli i debiti, scosso il credito all'estero, oberati i sudditi, e la casa reale per far denaro aveva dovuto impegnare le sue gioie. E questo non era tutto. Le idee rivoluzionarie, sparse nel Piemonte, avevano fatto sì che sorgessero club e società segrete, che tra i fautori delle novità e la Francia si avviassero attivi carteggi e che si tramasse una congiura con lo scopo di proclamare la repubblica nel Piemonte e mettere a morte il re e i principi. La congiura era stata scoperta a tempo, molti cospiratori si erano dati alla fuga, altri erano stati catturati e processati e di questi alcuni condannati alla pena capitale, i rimanenti al carcere; ma il pericolo di nuovi torbidi non era cessato.

Si aggiunga a ciò lo stato anormale della Sardegna, che nel 1793 era in subbuglio perché il governo regio non aveva accolte alcune proposte degli "stamenti". Una rivolta era avvenuta a Cagliari nell'aprile del 1794 e cinquecento piemontesi, compreso il viceré Bolbiano, erano stati sfrattati dall'isola. Per questi fatti era stata concessa l'amnistia, e un nuovo viceré, il Vivalda, era stato mandato nell'isola nel settembre del 1794; ma questi non aveva saputo comporre i dissidi sorti tra i sudditi e nulla aveva fatto per impedire i brutali moti del luglio 1795 in cui avevano trovato orribile morte due ottimi sardi: il cavalier PIZOLU e il marchese della PLANARGIA.
Malgrado le tristi condizioni in cui si trovava il regno di Sardegna e il malcontento causato dalla condotta austriaca, Vittorio Amedeo III stimò opportuno di non pacificarsi con la Francia anche perché i quarantamila austriaci che stanziavano nel Piemonte rendevano pericolosissimo un mutamento nella politica sarda.

Non migliori di quelle del Piemonte erano le condizioni delle Due Sicilie. Finanziariamente era grave il dissesto nel Regno di Napoli per le spese pazze dell'Acton negli armamenti, cui seguì - rimedio peggiore del male - l'aggravio delle imposte, la manomissione del tesoro dei banchi napoletani e l'emissione di fedi di credito per un valore di molti milioni di ducati superiore ai depositi.
Politicamente, il regno era agitato dalle idee rivoluzionarie e dalle congiure, che avevano provocato la reazione poliziesca del governo e avevano prodotto arresti, processi, carcerazioni, esili e supplizi.
Due "club" erano stati fondati in Napoli, uno detto Lomo ("Libertà o Morte") presieduto da ROCCO LENTINI, e l'altro chiamato Romo ("Repubblica o Morte") sotto la presidenza di ANDREA VITALIANI, il quale aveva tramato una congiura che aveva lo scopo di uccidere il re e la regina e proclamare la repubblica e doveva essere mandata ad effetto il 30 giugno del 1794.

Ma la congiura fu scoperta e se i principali capi, tra cui il Vitaliani, riuscirono a salvarsi con la fuga, cinquantasei persone furono arrestate e processate, delle quali due soli furono assolti; gli altri ebbero varie condanne, l'esilio o la deportazione nelle isole; tre, (VINCENZO GABIANI, VINCENZO VITALIANI fratello di Andrea ed EMANUELE DE DEO, che affrontò serenamente il supplizio) furono impiccati il 17 ottobre del 1794. Da allora cominciarono le persecuzioni contro i patrioti, gli arresti si susseguirono, le prigioni si riempirono di persone sospette, di novatori, di cospiratori, di uomini insigni quale il dotto filosofo e giurista MARIO PAGANO, e si accrebbe nei sudditi il disagio economico e politico, che, propagando l'odio verso la corte, doveva preparare il terreno alla rivoluzione.

La Sicilia per nove anni, dal 1786 al 1794, aveva avuto una buona amministrazione sotto il governo di FRANCESCO D'AQUINO principe di CARAMANICO, che aveva seguito con maggior temperanza l'opera riformatrice del Caracciolo suo predecessore; morto però il Caramanico il 9 gennaio del 1795 e succedutogli FILIPPO LOPEZ, un vivo malcontento cominciò a serpeggiare nell'isola.
Anche qui, come altrove, erano penetrate le idee rivoluzionarie; processi per giacobinismo si erano avuti in parecchie città, era sorta - se si deve credere alle informazioni di un francese contemporaneo - una società segreta e non pochi erano fra i nobili, i borghesi e gli stessi ufficiali dell'esercito, i novatori.
Uno di questi era il patrizio FRANCESCO PAOLO DI BLASI, dotto mecenate, autore di una dissertazione "Sopra l'egualità e la disuguaglianza degli uomini", di un "Saggio sopra la legislazione" e di due volumi in cui aveva raccolte e spiegato numerose "Prammatiche del Regno di Sicilia".

Il Di Blasi si fece capo e promotore di una congiura, che doveva abbattere il 3 aprile del 1795 il governo regio e instaurare la repubblica; ma due dei molti membri della cospirazione lo tradirono e fu arrestato. Chiuso in un'orribile prigione, sottoposto alla tortura, non volle rivelare i suoi complici e i suoi disegni. Il 18 maggio fu condannato alla decapitazione. Degli altri imputati, tre, il TINAGLIA, il LA VILLA e il PALUMBO, furono condannati alla forca, sei confinati nelle isole, i fuggiaschi all'esilio. Il Di Blasi, nei due giorni che precedettero la sua morte, fornì prova di gran fermezza d'animo e scrisse perfino due sonetti. Il 20 maggio fu decapitato. Altri complici furono arrestati nel giugno e fra questi il popolano SAVERIO GAUCI che fu condannato a dodici anni di carcere duro da scontare nell'isola di Favignana.

Né i processi e le condanne dei novatori avvenivano soltanto nei due regni di Napoli e Sicilia. Dovunque, in Italia, la rivoluzione francese guadagnava proseliti per mezzo di emissari o dei rappresentanti diplomatici o di giornali che entravano clandestinamente dalla Svizzera.
Vari studenti furono processati a Pavia per segrete pratiche col Tilly; a Brescia i conti ARICCI e MAZZUCCHELLI e due popolani furono condannati a vari mesi di carcere dal mite governo veneto; a Macerata fu scoperto un club; a Reggio Calabria il governatore Pinelli dava la caccia ad una schiera di novatori; a Roma erano acciuffati numerosi cospiratori e vi erano tra questi perfino delle guardie pontificie.

Anche a Genova - e qui forse più che in ogni altra città dell'Italia Settentrionale - c'erano i novatori, molti dei quali si riunivano nella farmacia di FELICE MORANDO. Nel marzo del 1794 furono arrestati i patrizi G. B. di NEGRO, GASPARE SAULI, STEFANO DELLA TORRE E GIAN CARLO SERRA, il maggiore dei cannonieri AGOSTINO MENICI, il causidico RIVAROLA, il dottor REPETTO, il chirurgo BONOMI e parecchi altri; ma questi arrestati non valsero a spazzare via le idee rivoluzionarie alimentate dal vicino esercito francese.

A Milano esisteva, presso il giureconsulto SOPRANSI, un club abbastanza numeroso; altre comitive di novatori si radunavano in casa d'altri vantando membri di illustri famiglie. La propaganda era fatta fra gli amici dei fautori della rivoluzione o per mezzo di manifesti stampati alla macchia e affissi alle mura nelle pubbliche vie.

Più audaci furono gli studenti di Padova che piantarono l'albero della libertà. Volevano imitarli alcuni studenti di Bologna, ma li dissuase un loro condiscepolo, LUIGI ZAMBONI, che sognava di scuotere il giogo pontificio e ridare a Bologna l'antica libertà comunale. Nel 1790 lui era fuggito dopo avere invano chiamati alle armi con un manifesto anonimo i suoi concittadini. Ritornato a Bologna dopo quattro anni, tentò inutilmente di far proseliti per la causa della libertà e di preparare una sommossa. Denunciato, fuggì da Bologna con un suo complice, il DE ROLANDIS; ma varcato il confine toscano furono presi e consegnati alle autorità pontificie, che, fatte indagini, arrestarono diciannove cittadini. Luigi Zamboni, dopo due tentativi di fuga, si strozzò in carcere, il De Rolandis fu condannato alla forca, gli altri, nonostante la bella difesa del dotto giurista Antonio Aldini, relegati alle galere.

LA CAMPAGNA DEL 1795: LA BATTAGLIA DI LOANO

Nel 1795 si riaccese la guerra ai confini del Piemonte. Il DEVIUS, che aveva trascorso l'inverno a Pisa, nella primavera era tornato sul teatro delle operazioni ed aveva ripreso il comando supremo dell'esercito austrosardo, ponendo il quartier generale a Cairo. Aveva sotto di sé circa sessantamila uomini: gli Austriaci erano acquartierati la maggior parte ad Acqui e ad Alessandria; i piemontesi erano divisi in tre corpi; il primo, sotto il comando del COLLI BARCHINI, era schierato tra Ceva e Cuneo, il secondo, al comando del DUCA D'AOSTA, difendeva le valli del Gesso, della Stura, di Vraita e di Maira, il terzo comandato dal DUCA DI MONFERRATO stava in guardia della Val d'Aosta.

A fronteggiare queste forze c'erano circa quarantacinquemila francesi che formavano due eserciti, quello "delle Alpi occidentali" e quello detto "d'Italia", comandati entrambi dal KELLERMAN, che il 12 maggio iniziò le ostilità impadronendosi di sorpresa del Colle del Monte, nel settore affidato al duca di Monferrato, il quale invano il 13 maggio e il 22 e 30 giugno tentò di riprendere la posizione al nemico. Ma dopo questo colpo di mano, il Kellerman si mise sulla difensiva, istituendo due campi trincerati sul colle della Spingarda e sul monte della Pianetta ed rafforzando il Colle di Tenda, il monte Settepani, Melogno, S. Giacomo e la rada di Vado.

Prima del ritorno del Devius, si era tenuto a Milano fra i rappresentanti militari della Sardegna, dell'Austria e dell'Inghilterra un consiglio di guerra, in cui, scartata la proposta di puntare verso la Contea di Nizza e la Savoia, era stato deciso di operare nella Riviera di Ponente, ricacciare i Francesi oltre la Roya e occupare Savona per collegarsi con la flotta inglese che doveva impadronirsi della rada di Vado.
Il Devius si mosse il 10 giugno del 1795 e, ponendo piede nel territorio ligure, scrisse alla repubblica di Genova di esser costretto a penetrare nei domini genovesi per scacciare i francesi che per primi avevano violato la neutralità di quello Stato, promettendo l'osservanza della disciplina, il pagamento delle derrate e il risarcimento dei possibili danni.

Genova rispose confermando la sua neutralità, protestando contro la violazione francese e contro quella che si accingeva a commettere l'esercito austro sardo e dichiarando che avrebbe fatto pervenire la sua protesta alla Corte di Vienna. Ma il Devius non tenne conto della risposta della repubblica e continuò ad avanzare; quindi, avendo saputo che da uno Spinola, "comandante d'armi" a Savona, era stato concesso ad un battaglione francese di entrare in quella città, mosse contro questa con l'esercito diviso in tre colonne.

La fortuna arrise gli imperiali: il Devius occupò la Madonna del Monte Giusto, il generale Cantù prese S. Giacomo presso Finale, il D'Argenteau conquistò il monte Settepani e Melogno, difesi invano dal Massena, il Wallis s'impadronì di Leggino e respinse i Francesi fin sotto la fortezza di Savona, cui intimò la resa. Ma Orazio Doria, che comandava la piazza, minacciò gli Austriaci di aprire il fuoco contro di loro e vietò nello stesso tempo a un battaglione francese di entrare nel forte secondo gli accordi con lo Spinola. E così Savona fu salva.

A queste vittorie austriache, vanno aggiunte quelle riportate dai Piemontesi guidati dal Colli-Marchini, che, assalito il nemico sulle rive della Bormida, e presso il Colle di Tenda e il Colle dei Termini, lo costrinse a sgombrare il campo trincerato della Spinarda, fecero sì che i Francesi si ritirassero da Vado, Voltri, Finale e Loano e, nell'attesa di rinforzi, prendessero posizione sulle montagne tra Ormea e Borghetto.

Il Devius non seppe approfittare dei suoi primi successi e se ne rimase ozioso per tutta l'estate e buona parte dell'autunno. Questa sua inattività, interrotta soltanto da un infelice assalto tentato il 18 settembre contro Zuccarello, permise al nemico di rafforzarsi nelle sue posizioni e di ricevere aiuti dai Pirenei e di preparare la rivincita, che difatti ottennero in quella che fu chiamata la BATTAGLIA DI LOANO.
Questa cominciò il 23 novembre del 1795. L'ala destra dello schieramento degli Austrosardi, tenuta dai Piemontesi del barone Colli, fu violentemente attaccata nei trinceramenti d'Intrappa, di S. Bernardo e della Cianca da settemila francesi condotti dal Serrurier, che dopo aspro combattimento furono respinti.

Quest'offensiva però non era che un attacco dimostrativo. Fu invece alla sinistra e al centro che i Francesi s'impegnarono a fondo. La sinistra degli imperiali si appoggiava a Loano: questa fu prima cannoneggiata furiosamente da una corvetta e da dieci lance cannoniere della squadra dell'ammiraglio Martin, poi fu assalita da diecimila Francesi capitanati dall'Augereau, il quale, vinta l'ostinata resistenza del generale austriaco Ruhavina, costrinse il Wallis (che sostituiva il Devius allora ammalato) a ritirarsi verso il monte Carmelo.

Contro il centro imperiale comandato dal D'ARGENTEAU si scagliò il MASSENA, il quale, conquistati, dopo aspro combattimento, il Monte Lingo, Malsabocco e Roccabarbena e fatte occupare da tre battaglioni Settepani e Melogno mentre lo Joubert si spingeva su S. Pantaleone, costringeva il D'Argenteau a ritirarsi disordinatamente a Murialto.
Nel pomeriggio un furioso temporale interruppe la battaglia, ma questa era già perduta per gli Imperiali del Wallis, il quale durante la notte condusse in salvo le sue truppe verso Gorra e Finale, eccettuata la brigata del Pittonv che, raggiunta dal nemico, fu decimata. Il Wallis proseguì la ritirata fino a Savona, qui dopo aver saccheggiati i magazzini, il 26 si ritrasse sul monte Giuto e il 29 ad Acqui.
Mentre il centro e la sinistra erano scompaginate, il Colli si batteva valorosamente contro il Serrurier. Questi, ricevuti numerosi rinforzi, tentava di aprirsi il varco tra Bardinetto e Monte Spinarda per cercare di tagliare da quell'Austriaco l'esercito piemontese, ma i suoi tentativi s'infransero di fronte alla superba resistenza del Colli, il quale anche se fu costretto a sgombrare dopo un agguerrito scontro nel ridotto della Spinarda, mantenne il monte omonimo, mostrando al Principe di Carignano, presente alla battaglia, come sapevano battersi le sue truppe.

In quei combattimenti si distinsero i cacciatori dei colonnelli SALUGGIA e COLLI di FELIZZANO, nipote quest'ultimo di Vittorio Alfieri, i granatieri del DICHAT e i "cacciatori guardie", duecentocinquanta dei quali tennero superbamente testa per tre ore ad ottocento francesi. Il Barone Colli avrebbe certamente potuto mantenere le sue posizioni contro i ripetuti e furiosi assalti del nemico e non si sarebbe mosso se gli fosse giunta la notizia della disfatta dell'ala sinistra e del centro. Temendo allora che i nemici invadessero il Piemonte, abbandonò le posizioni così coraggiosamente difese e lentamente ed ordinatamente indietreggiò, seguito dai Francesi che per essersi minacciosamente avvicinati alle sue retroguardie nei valichi di Pietradegna e di Priola, furono da lui assaliti e respinti; e così giungere al campo trincerato di Ceva che riuscì a proteggere occupando con parte delle sue troppe i colli di Montezemolo e di Mombasilio.

Nelle varie azioni della battaglia di Loano, combattuta dal 23 al 28 novembre del 1795 gli Austriaci ebbero tremilacinquecento morti e quattromila prigionieri, i Piemontesi dell'ala destra cinquecento morti e seicento prigionieri. I Francesi impegnati contro gli imperiali persero cinquecento ventitré uomini, quelli del Serrurier seicento e guadagnarono sessantacinque cannoni, cinquemila fucili e copiose vettovaglie.

I Francesi non seppero sfruttare la vittoria di Loano; trattenuti prima dal Colli e poi dalla stagione invernale, non oltrepassarono le posizioni raggiunte e diedero tempo a Vittorio Amedeo III di provvedere alla difesa, quantunque non lo assecondasse il Wallis, che, lasciata una sola divisione tra Acqui, Alessandria e Tortona, aveva, alla fine del novembre, mandato oltre il Po tutto il resto delle sue truppe.

Dopo Loano, anche se gli Austrosardi erano in deplorevoli condizioni, non è che i Francesi erano in migliori condizioni; quello che mancava era l'entusiasmo e dei validi ufficiali; ma ecco apparire un giovane ventisettenne generale: Napoleone Bonaparte.

ed è il periodo dell'anno 1796 > > >  

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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