ANNO 1799

LE REAZIONI IN TOSCANA


Il popolo fiorentino, brucia in Piazza della Signoria gli emblemi repubblicani la sera del 4 luglio 1799

IL GOVERNO FRANCESE IN TOSCANA - MOTI RIVOLUZIONARI A FIRENZE, A PISTOIA E NEL LUCCHESE- SOLLEVAZIONE DI AREZZO E DI CORTONA - IL GOVERNO PROVVISORIO ARETINO - RISPOSTA DEGLI ARETINI AL PROCLAMA DEL MACDONALD - LA REAZIONE SI PROPAGA - GLI ARETINI A SIENA - I FRANCESI SGOMBRANO FIRENZE - GLI ARETINI A FIRENZE, A LIVORNO, A PRATO, A PESCIA E A PISA - I FRANCESI LASCIANO LUCCA - GLI AUSTRIACI IN TOSCANA - FINE DEL GOVERNO PROVVISORIO D'AREZZO - ARRESTI E PROCESSI
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IL GOVERNO FRANCESE IN TOSCANA
MOTI RIVOLUZIONARI A FIRENZE, A PISTOIA E NEL LUCCHESE
SOLLEVAZIONE DI AREZZO E CORTONA
IL GOVERNO PROVVISORIO ARETINO - GLI ARETINI E IL MACDONALD
GLI ARETINI A SIENA


"…Questo popolo - scriveva alla madre da Firenze la signora Reinhard, moglie dell'ambasciatore francese - crede di aver ottenuto la libertà senza avere sparso una goccia di sangue, senza aver passato una notte insonne, ed ora desidera di conservare ciò che s'illude di avere, acquistato. Povero popolo! Quando ti pioveranno addosso le contribuzioni .... ti accorgerai che il cammino che conduce alla libertà non è sparso di rose…".

Come altrove (lo abbiamo visto prima nella Cisalpina, poi a Roma, poi a Napoli, poi in Piemonte) così anche in Toscana ben presto con i "liberatori" arrivarono le contribuzioni, le estorsioni, le rapine, le spogliazioni dei falsi patrioti, le offese al tradizionale sentimento religioso, le inevitabili confusioni dei nuovi ordinamenti con la cosiddetta "Dea ragione", chiamata anche "liberta"; e ben presto nelle città e nelle campagne sorse il malcontento verso i Francesi, e i loro sostenitori, che il clero ed i nobili non trascurarono d'alimentare e che, trasformatosi presto in odio, doveva poi esplodere con violenza alle notizie delle prime sconfitte francesi.

La mattina del 12 aprile del 1799 a Firenze e a Pistoia scoppiarono contemporaneamente i primi moti della reazione; i proclami e le insegne repubblicane furono lacerati e insudiciati, portate in giro per le vie le armi granducali, si strapparono ai passanti le coccarde tricolori; si tentò di abbattere l'albero della libertà, si fecero atti di vandalismo o si saccheggiarono le case dei democratici.

A Firenze, dove i Francesi non governavano ma avevano collocato un forte presidio per "salvaguardare la repubblica democratica", il moto fu presto soffocato da numerose pattuglie di soldati e specialmente dall'opera persuasiva del presidente del governo RIVANI e dall'arcivescovo MARTINI; ma a Pistoia il popolo, radunato al suono delle campane, ebbe il sopravvento, occupò il castello puntando i cannoni sulla città, fu abbattuto l'albero della libertà; e si dovette all'intervento del vescovo FANCHI-PICCHINESI se si riuscì ad evitare scene cruente.

Anche nel territorio Lucchese, nel Senese e nel Pisano la reazione scoppiò con violenza. Le popolazioni si facevano a distanza segnali notturni con i fuochi accesi sulle colline, s'inneggiava all'arciduca Carlo e all'Imperatore, si spargeva ad arte la voce che gli Austriaci erano penetrati in Toscana per dare il via alla controrivoluzione, si assalivano le case dei giacobini, s'inalberavano le bandiere del Granduca, si sparava sui soldati francesi, si uccidevano o si ponevano in fuga i repubblicani, si abbattevano gli alberi della libertà e s'innalzavano le Croci, si formavano "bande" che facilmente spesso avevano ragione dei piccoli presidi francesi.

Più grave che altrove fu ad Arezzo la reazione. La sera del 5 maggio si sparse la falsa voce che gli Austriaci erano entrati a Firenze e nelle colline del circondario apparvero i soliti fuochi; la mattina del 6, giorno del compleanno di FERDINANDO III, le vie che portavano a Firenze si popolarono di contadini; ad un tratto passò una carrozza, proveniente da Frassineto, con dentro un uomo e una donna che al di fuori sventolavano una bandiera gialla e nera; grida di "Viva Maria!" si levarono dalla folla e subito da gruppi di villani dalle loro mani spuntarono armi e, guidati da un certo ROSSI della POGGIOLA, scacciarono il presidio francese comandato dal LAVERQUE, abbatterono l'albero della libertà, innalzarono nello stesso luogo, la Croce, arrestarono i patrioti che non erano riusciti a fuggire, liberarono i prigionieri e imbandierarono le vie con i colori granducali, austriaci e pontifici.

Il giorno dopo ebbe luogo nel duomo il "Te Deum" poi furono portate in processione insieme con le Sacre Immagini, i ritratti del Granduca e della Granduchessa: da ultimo il popolo nominò un governo provvisorio dentro il quale furono chiamati a far parte il barone CARLO ALBERGOTTI, il cav. TOMMASO GUAZZESI, il dott. FFRANCESCO FABBRONI, il dott. NICCOLO' BRILLANTI e LUIGI LORENZO ROMANELLI, ai quali furono affidati gli affari civili, e il cav. ANGELO GUILLICHINI, il marchese G. B. ALBERGOTTI, il conte GIOVANNI BROZZI, il capitano GIUSEPPE HERRY e l'aiutante maggiore MONTELUCCI per gli affari militari. Il monaco BENEDETTO MANCINOTTI fu scelto come segretario; l'incarico di restaurare le mura, I bastioni, le porte e le fortificazioni del castello fu dato al cav. ANGELO GIUDICI.

Il generale GAUTHIER e il ministro REINHARD, che avevano il governo militare e civile della Toscana, ingiunsero agli Aretini di ritornare all'obbedienza, ma ebbero come risposta il giorno 11 un manifesto in cui erano esposti i motivi per i quali Arezzo si era ribellata e che la obbligavano ".. a mantenersi costante nella propria difesa, all'attaccamento alla santa religione cattolica ed all'amore della patria…".
Nè a far proclami si limitavano gli Aretini, ma - mentre il Gauthier prendeva ostaggi a Firenze, Siena, San Miniato, Prato, Pistoia, Pescia, Lucca, Pisa e Livorno - essi si mettevano in contatto con i Cortonesi insorti anch'essi il 6 maggio, incitavano gli abitanti del Casentino e della Val di Chiana ad insorgere e armavano fino a diciottomila uomini, e ne prendeva il comando il cavaliere gerosolimitano G. B. ALBERGOTTI.

Avvicinandosi - come si è detto nei precedenti riassunti la legione del Dombrowsky (mandata in avanscoperta per aprire la ritirata del Macdonald dal sud e per intervenire in Piemonte), e che i Cortonesi andarono ad assalire presso Terontola, e poi gli Aretini mandarono aiuti di uomini alla stessa Cortona minacciata, e quando arrivato il MACDONALD lanciò il 23 maggio da Siena il famoso terribile bando già ricordato, di "radere al suolo la città" e metterci una piramide con su scritto "qui giaceva Arezzo", gli aretini risposero con un fiero proclama, di cui ci piace riportare la parte più significativa:
" ….Si minaccia alla città di Arezzo di farne una piramide. È assai più facile agli Aretini di formarla con le molte teste dei detenuti, terminandola con quella del prigioniero capitan MESANGA comandante di Rimini. Finora la mansuetudine, la dolcezza, la vera fratellanza hanno guidato le operazioni della città e del contado. Guardatevi di non stancarne la pazienza perché allora diverremo severi e terribili per giustizia, come voi lo siete per prepotenza. Qui non siete più temuti, noi ci umiliamo solo dinanzi a Dio e alla nostra Gran Protettrice Maria. Tutto da lei speriamo e tutto otterremo…"
.

Come nulla aveva ottenuto il Macdonald con le minacce, così nulla ottenne con le promesse di perdono il Reinhard. Gli Aretini anzi si prepararono a muoversi per scacciare da tutta la Toscana i Francesi. Prima cominciarono da Cortona. Il presidio francese, comandato dal GUILLET, avuta intimazione di sgombrare, prima tentò di opporre qualche resistenza, poi andò a rifugiarsi a Perugia e la sera stessa del 9 giugno gli Aretini entrarono a Cortona, vi arrestarono i giacobini, v'istituirono un governo provvisorio e vi misero un presidio di trecento uomini.
Imbaldanziti dall'estendersi dell'insurrezione, che aveva già cacciato o stava cacciando i Francesi dal Volterrano, da Pontassieve, da Torrita, da Bettolle, da Sinalunga, da Sarteano, da Montepulciano, da Pienza, da Quiricio, da Radicofani, da Rapolano e da Chiusi, gli Aretini, allargando il raggio della loro azione, occuparono Montevarchi e Montaleini e presero a viva forza e saccheggiarono Foiano, quindi, accolto l'appello dei realisti di Siena, si mossero alla volta di questa città e vi entrarono il 28 giugno.

Il BALLET, che la presidiava con cinquecento francesi, si chiuse precipitosamente nella fortezza, e gli insorti, senesi e forestieri insieme, assetati di vendetta, si diedero ai più riprovevoli eccessi. Le abitazioni dei patrioti o dei sospetti di giacobinismo furono devastate, i palazzi Sergardi e Malavolti e tutti quelli che erano stati abitai da ufficiali francesi furono spogliati, le case, le botteghe e la sinagoga degli ebrei furono messe a sacco, non poche donne di varia condizione furono arrestate e violentate, si passarono per le armi o si arsero vivi sulla piazza del Campo parecchi israeliti, e le prigioni si riempirono di repubblicani o di persone sospette di aver favorito i Francesi.
La guarnigione resistette una settimana, ma il 5 luglio il Ballet capitolò e con i suoi riuscì a malapena prendere la strada per Livorno. Grande fu la gioia dei Senesi e per festeggiare l'avvenimento la nobiltà imbandì sulla piazza del Campo un banchetto a cinquecento poveri, che furono serviti con riguardo da dame, ecclesiastici e cavalieri.

A PESCIA E A PISA - I FRANCESI LASCIANO LUCCA
GLI AUSTRIACI IN TOSCANA
LA RESTAURAZIONE GRANDUCALE - ARRESTI E PROCESSI

Il giorno Stesso che capitolava la guarnigione di Siena, il Reinhard, seguendo l'esempio del Gauthier, che coi suoi soldati se n'era andato in Livorno, temendo il peggio sgombrava Firenze. Il governo fu allora assunti dal Senato, il quale, sotto la presidenza di CESARE GORI, richiamò sotto le armi gli antichi militari e, poiché la città correva il pericolo di cadere nelle mani della plebaglia, spedì una deputazione a sollecitare l'arrivo degli Austriaci e, nello stesso tempo, invocò l'aiuto degli Aretini.

Numerose bande di Arezzo, destinate a liberare Firenze, si trovavano accampate a S. Donato in Collina e le comandava LORENZO MARI, ex-ufficiale dei dragoni granducali, marito della bella ALESSANDRA, detta la "PULCELLA di VALDARNO", che era l'amante del cavaliere WINDHAM già ministro inglese alla corte del Granduca. Le bande aretine entrarono a Firenze la sera del 7 luglio attraverso la porta di S. Nicolò; le precedeva il Mari, e dietro seguivano la moglie, fiancheggiata dal Windham e da un frate zoccolante e uno stuolo di ufficiali dalle uniformi di varia foggia.
Contemporaneamente entravano dalla porta alla Croce alcune schiere d'insorti di Pontassieve.

A Firenze non si ebbero a lamentare gli eccessi di Siena, e gli ebrei, sia per l'intervento dell'arcivescovo MARTINI, sia per le somme da loro pagate, sia ancora per gli ordini severissimi emanati dal barone D'ASPRE giunto con le truppe austriache, non subirono violenze; ma numerosi furono gli arrestati, fra i quali debbono essere ricordati: SCIPIONE de' RICCI, ex-vescovo di Pistoia e Prato, G. B. NICCOLINI e i senatore GIULIO MOZZI G. B. CELLESI e PANDOLFO SPANNOCCHI.

Qualche settimana dopo l'entrata degli Aretini a Firenze, anche dalla intera Toscana sgombrarono i Francesi. Questi lasciarono Pisa e Pescia il 16 luglio e riunitisi a Livorno, si avviarono con il generale DARGOMBER verso la Spezia insieme con il battaglione dei repubblicani toscani. Il giorno dopo facevano il loro ingresso a Livorno gli insorti di Volterra, capitanati da MARCELLO INGHIRAMI e le bande aretine capeggiate da LORENZO e ALESSANDRA MARI e dal WINDHAM; i nuovi venuti avrebbero voluto, insieme con la plebaglia, commettere i soliti disordini, ma furono trattenuti dal colonnello D'ASPRE; e dal La VILLETTE, cui il generale francese, prima di partire, aveva ceduto il governo della città.
Il 22 luglio una schiera di insorti del sobborgo fiorentino del Pignone con un drappello di artiglieria austriaca entrò a Prato e da qui, poi mosse alla volta di Pescia e di Pisa.
Lucca fu sgombrata dai Francesi il 17 luglio e subito gli abitanti nominarono una "balìa" di dieci cittadini.

Il 24 luglio vi giunse da Firenze il generale KLENAU, il quale ebbe cura di raccogliere tutte le armi che vi si trovavano (fra cui un centinaio di cannoni di bronzo) con l'ordine di portarle via. Anche Piombino fu occupata prima dalle bande volterrane, poi dagli Austriaci, e così, verso la fine di luglio, dei domini granducali soltanto terre della Lunigiana rimasero in mano ai Francesi.

Per ordine del Granduca il potere militare dello stato fu affidato ai generali austriaci che furono prima il KLENAU, poi il FROHLICH e da ultimo l'HOHENZOLLERN; la potestà civile fu tenuta dal Senato; a capo delle Finanze fu messo il cav. ALESSANDRO PONTENANI, a dirigere il dicastero di stato fu chiamato l'avv. LEONARDO FRULLANI.

Il nuovo governo centrale, residente in Firenze, ebbe a penare non poco per ridurre all'obbedienza gli Aretini, i quali, orgogliosi di aver avuta tanta parte nella reazione, nutrivano propositi di supremazia e anche di indipendenza; ma alla fine (1° settembre) il governo provvisorio fu sciolto, furono mandati ad Arezzo un vicario e un forte presidio, fu ordinato il disarmo degli abitanti e furono richiamate le "bande" che erano penetrate negli stati romani e già avevano occupate parecchie città.

Rafforzata l'autorità granducale, ebbero inizio le persecuzioni del governo non solo contro i patrioti ma anche contro i fiancheggiatori delle riforme leopoldine e a questo scopo fu costituita una commissione di polizia, detta "camera nera", di cui fecero parte AMERIGO ANTONUCCI, MAXCO CORVINI, ORLANDO MALAVOLTI, GIUSEPPE GIUNTI e LUIGI CREMANI.
Chi non riuscì a fuggire fu arrestato e ben presto le fortezze di Portoferraio, Volterra, Livorno, Prato e Pistoia furono piene di prigionieri politici, le università di Siena e di Pisa furono chiuse e i loro professori sospesi o arrestati; a non pochi fu inflitta la pena infamante della gogna e si calcola che i processi siano stati trentaduemila e ventimila le condanne.

Parecchi furono gli ecclesiastici (voltagabbana) perseguitati. SCIPIONE de' RICCI, accusato di giansenismo, prima fu chiuso nella fortezza al Basso, poi nel convento di S. Marco, infine, essendo caduto ammalato, ottenne la libertà provvisoria e riuscì a riparare nella sua villa di Rignana; sospesi dal loro ufficio e gettati in carcere furono il vescovo TOLI ed il preposto FOSSI, direttore dell'archivio diplomatico e bibliotecario della Magliabechiana.

Una delle cause che aveva favorita la reazione (ma vale anche qui il prologo fatto nel riassunto della "Repubblica Partenopea") era rappresentata dalle tristi condizioni economiche in cui, per le malversazioni francesi, versava la Toscana. La controrivoluzione e la venuta degli Austriaci non è che le migliorarono. Le casse pubbliche erano esauste, i commerci, le industrie e l'agricoltura rovinati; gli Austriaci pesarono non meno dei Francesi per il mantenimento delle loro truppe e per le esose somministrazioni richieste; il Senato, infine, per fare denari, ordinò un prestito forzato di trecento cinquantamila lire agli ebrei e raddoppiò la tassa prediale.
Tutto questo fu causa di nuovo malcontento, di disordini, specie nelle campagne dove bande di delinquenti di tutti i colori scorrazzavano e commettevano violenze d'ogni sorta, e questo convinse i più, che tanto i Francesi quanto gli Austriaci erano funesti alla vita politica ed economica del paese.

La vera libertà non stava nelle nuove idee diffuse e importate dai Francesi o nel rispetto alla tradizione garantito dagli Austriaci, ma stava nell'indipendenza assoluta.

E fu forse in questo terribile 1799 che balenò viva nelle menti degli Italiani l'idea dell'indipendenza, la quale doveva, ridestare le forze sopite e preparare il Risorgimento Nazionale.
Ma la strada è ancora lunga, faticosa, dolorosa, e anche con tanti contrasti interni.
Che leggeremo nei prossimi 200 anni.
Per il momento ritorniamo a Roma.

Anche qui, nonostante le buone intenzioni, i sogni d'indipendenza, i progetti utopistici, si sono trasformati tutti in sollevazioni, ribellioni, rivolte e dove piombarono per stroncarle al posto dei Francesi, gli Austriaci, i Russi, i Piemontesi, i Romagnoli, gli Aretini, che con i repubblicani e i pontifici trasformarono Roma in una bolgia infernale.

Andiamo dunque alla "Fine della Repubblica Romana"

che si compie in questo 1799 e 1800 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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