ANNO 1800

NAPOLEONE - DAL S. BERNARDO (montando un mulo)

ALLA BATTAGLIA DI MARENGO

I FRANCESI IN ITALIA ALLA FINE DEL 1799 - IL 18 BRUNAI A PARIGI - PIANO DI GUERRA DEL BONAPARTE - L'ESERCITO DI RISERVA - IL MASSENA A GENOVA - POSIZIONE DELL'ESERCITO FRANCESE IN LIGURIA, L'OFFENSIVA DEL MELAS - VICENDE DELLA GUERRA IN LIGURIA - ASSEDIO DI GENOVA; UGO FOSCOLO; BATTAGLIE AL MONTE DEI DUE FRATELLI E AL MONTE CRETO - CONDIZIONI DEGLI ASSEDIATI - CAPITOLAZIONE DEL MASSENA - GLI AUSTRIACI A GENOVA - IL PASSAGGIO DEL GRAN SAN BERNARDO - IL FORTE DI BARD - LA LEGIONE ITALICA - PRESA DI IVREA - COMBATTIMENTO DELLA CHIUSELLA -COMBATTIMENTO DI TURBIGO - IL BONAPARTE A MILANO. LA PRESA DI PAVIA - I FRANCESI ALLA BATTAGLIA DI MONTEBELLO - I FRANCESI ALLA BORMIDA - LA BATTAGLIA DI MARENGO - I FRANCESI, SCONFITTI, RIPIEGANO; ARRIVO DEL DESAIX; RIPRESA DELLA BATTAGLIA; MORTE DEL GENERALE DESAIY - SCONFITTA DEGLI AUSTRIACI - LA CONVENZIONE DI ALESSANDRIA

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I FRANCESI IN ITALIA - IL 18 BRUNAI A PARIGI
PIANO DI GUERRA DI NAPOLEONE - L'ESERCITO DI RISERVA


Prima che terminasse il 1799 l'Italia era perduta per la Francia: l'esercito francese era presente con le sue truppe soltanto nella Liguria. Nonostante alcune vittorie francesi in Svizzera e il provvidenziale ritiro degli eserciti russi dall'Italia, i Francesi correvano il serio pericolo di essere cacciata del tutto dalla penisola da una massiccia invasione straniera; inoltre la situazione era resa ancora più grave dai disordini che c'erano all'interno del Paese, con le numerose ribellioni e con improvvisi cambiamenti politici; ma un altro serio pericolo veniva dalla stessa Francia, con le discordie che c'erano e si moltiplicavano a Parigi tra le Camere e il Direttorio, dovute forse alla stanchezza e allo scompiglio in cui si trovava la nazione travagliata da un decennio di rivoluzione e di guerre.

A Parigi, alcuni desideravano la pace, ma altri volevano la guerra, perché -dicevano a buon ragione- una pace vantaggiosa per la Francia non la si poteva certamente ora sperare da nemici vittoriosi su quasi tutti i fronti, e perciò sentiva il bisogno di un uomo dal pugno di ferro che risollevasse oltre i confini minacciati le depresse sorti delle armi e concludesse il tempestoso ciclo della rivoluzione, instaurando un governo forte e, se era necessario, anche una dittatura militare.

L'uomo c'era, si chiamava NAPOLEONE BONAPARTE e sopra di lui si appuntavano gli sguardi della Nazione. Lui -dicevano alcuni- ne conosceva i bisogni, era consapevole dei pericoli che correva la Francia ed era deciso a soccorrerla con il suo genio e a darle la vittoria sulle potenze coalizzate: ma per ottener questo - scontrandosi con i pacifisti- occorreva una vigorosa azione politica, era necessario un colpo di stato, ristabilire prima di tutto l'ordine interno, anche se per poter giungere a questo era necessario abbattere l'edificio ormai pieno di crepe innalzato dalla Rivoluzione.

Rientrato dall'Egitto in Francia il 9 settembre del 1799 dopo essere sfuggito alla caccia delle navi inglesi, il Bonaparte prese accordi con il SIEYES, con il TALLEYRAND, con il FOUCHE' e con il fratello Luciano, presidente del Consiglio dei Cinquecento, e con l'aiuto di quest'ultimo fu possibile ottenere il trasferimento del Consiglio degli Anziani a Saint-Cloud, per sottrarlo all'influenza della capitale, e quindi poi poter dare al Bonaparte il comando delle truppe di Parigi.
Era il 18 brumaio dell'anno VIII (9 novembre del 1799).

Del Direttorio, tre - BARROS, SIEYES e ROGER-DUCOS - si erano dimessi, e gli Anziani stavano invitando i Cinquecento per l'elezione immediata di un nuovo Direttorio, quando il Bonaparte, seguito dal suo Stato Maggiore, entrò nella sala del Consiglio per impedire qualsiasi deliberazione; quindi penetrò nella sala dei Cinquecento, anche se fu accolto dai "suoi ambigui amici" dalle grida di "Abbasso il tiranno". Tirò diritto.
Poco tempo dopo un distaccamento di granatieri cacciava i deputati dall'aula e quella sera stessa una cinquantina di loro, ricevuti da Luciano, consegnava il potere a tre consoli provvisori nelle persone del BONAPARTE, del SIEYES e del ROGER-DUCOS.

Il colpo di stato del 18 brumaio diede alla Francia una nuova costituzione, che in apparenza ebbe carattere democratico, ma in sostanza accentrava i poteri in mano del Bonaparte e preparava per lui la dittatura. Il potere legislativo fu diviso fra quattro corpi: il Consiglio di Stato, il Tribunato, il Corpo legislativo e il Senato; l'esecutivo fu dato a tre consoli, che duravano in carica dieci anni, di cui due avevano soltanto voto consultivo, l'altro, che assumeva il titolo di "Primo Console", aveva in mano quasi tutti i poteri e nominava il consiglio di Stato, i ministri, gli ambasciatori, i capi dei dipartimenti e dei municipi, gli ufficiali e i magistrati.
Il Bonaparte fu il primo Console, gli altri due furono il CAMBACERES e il LEUBRUN.

Dopo aver dato assetto allo stato, il Bonaparte pensò, come era naturale, dopo un tentativo fallito di pace fatto presso le corti di Londra e di Vienna, a rialzare le sorti delle armi francesi. La Francia, oltre quello d'Egitto, aveva due eserciti: uno di centoventimila uomini, comandato dal MOREAU, che teneva la Svizzera, l'Alsazia, il Vallese e i passi del Sempione e del Gran San Bernardo; l'altro, al comando del MASSENA, aveva trentamila uomini nella riviera ligure ed otto mila agli ordini del generale TURREAU a custodia di alcuni valichi alpini, specie di quello del Moncenisio. Queste forze erano insufficienti per l'attuazione del piano di guerra che aveva ideato, e perciò il Bonaparte stabilì di formare un nuovo esercito servendosi delle truppe richiamate dalle province realiste e le reclute di una nuova leva.

Napoleone sa che è osservato e prepara le truppe in un modo astuto. In un luogo raccoglie i giovanissimi di leva e i reparti più avvilenti, in modo che le spie austriache possano riferire e far sorridere la corte e la stampa viennese, mentre in un altra località sceglie e prepara personalmente i migliori uomini senza far trapelare  le proprie intenzioni, nè come saranno utilizzati, tanto meno dove. Sta concependo un piano ardito. Tutto è avvolto nel segreto della sua mente. Nemmeno i più fidati generali ne sono a conoscenza. E quello che sta pensando a nessuno verrebbe nemmeno in mente.

Il piano del Primo Console (che non rivela nemmeno ai futuri protagonisti) era il seguente: il Moreau doveva dalla Svizzera e dall'Alsazia entrare nella Svevia e impegnare l'esercito austriaco del Kray lasciando però nei punti di partenza un corpo di trentamila uomini sotto il comando del generale Lewurbe; contemporaneamente il Massena doveva tenere impegnato nella Liguria l'esercito austriaco del Melas; mentre il Bonaparte alla testa del nuovo esercito e dei trentamila uomini del Lecourbe, sarebbe sceso in Italia per il S. Gottardo e lo Spluga, avrebbe tagliato il Melas tutte le vie di ritirata sull'Adige e lo avrebbe costretto ad accettare battaglia in condizioni sfavorevoli.

L'ordine di costituire il nuovo esercito, detto di "riserva", fu dato l'8 marzo e si dispose che fosse concentrato a Digione. Il 10 maggio contava già quarantunmila uomini, distribuiti in sei divisioni. Dell'esercito di riserva faceva parte una legione italiana comandata dal generale GIUSEPPE LECHI, che verso la fine di marzo da Digione si trasferì a Bourg-en-Bresse, dove la sua forza risultò di tremilacinquecentonovantasei uomini, ma a poi questi dovevano unirsi millenovantaquattro regolari venuti dalla Lombardia dopo la battaglia di Cassano ed altre truppe da altri territori.

Il piano del Bonaparte era basato sull'ipotesi che i Francesi restassero padroni di iniziare loro l'offensiva; invece nella prima settimana di aprile del 1800 fu - come in seguito diremo - il Melas ad attaccare il Massena (a Genova), ed allora il Primo Console stabilì che l'esercito di riserva accorresse subito in Italia in soccorso dell'altro esercito passando le Alpi per il valico del Gran San Bernardo.

IL MASSENA A GENOVA - VICENDE DELLA GUERRA IN LIGURIA

Il generale Massena era giunto a Genova il 10 febbraio di quest'anno 1800, ed aveva trovato l'"Esercito d'Italia" in pietose condizioni. Mancavano le uniformi, insufficienti erano le vettovaglie, depresso era il morale delle truppe e gli ospedali militari e civili erano pieni di soldati ammalati; alcuni reparti, stanchi, scoraggiati, rimasti da parecchi mesi senza paga, si erano perfino ammutinati e intanto nelle campagne liguri cominciava a scoppiare l'insurrezione.
Appena giunto, il Massena con la sua solita energia si diede a riorganizzare le truppe, a provvedere ai loro bisogni, a ristabilire la disciplina; quindi, giacché l'ordine del Bonaparte era di mantenersi sulla difensiva, fece occupare all'esercito quelle posizioni che credeva migliori per guardare i passi e i nodi stradali.

Massena divise tutte le sue forze in due parti; di una, che costituì l'ala destra, diede il comando al generale SOLELT, l'altra, che formò l'ala sinistra, fu messa agli ordini del generale SUCHET. Più numerosa era la destra, che comprendeva circa sedicimila uomini, ed era divisa in tre corpi: al primo comandato dal generale MIOLLIS, fu affidata la difesa di tutti gli sbocchi tra il mare e la sommità degli Appennini; il secondo, sotto il GAZAN, fu posto a guardia della valle della Scrivia e degli sbocchi che portano a Sassello, Acqui, Alessandria, Tortona, Novi e Serravalle ed ebbe l'incarico di presidiare con mezzo migliaio di uomini il forte di Gavi; il terzo capitanato dal MARBOT doveva da Savona difendere le vie Sassello-Albissola, Cairo-Altare-Savona, Cadibona-Vado.
La sinistra, costituita da circa seimila uomini, fu posta a difesa degli sbocchi di Cuneo e di Mondovì sU Finale, Loano e Albenga. Un corpo infine di duemilatrecentocinquanta uomini capitanato dal generale DE GIOVANNI fu lasciato a presidiare Genova.

Contro i trentamila Francesi gli Austriaci disponevano in Italia di ottantacinquemila fanti e quindicimila cavalli, posti sotto il supremo comando del MELAS. La destra di quest'esercito si stendeva da Cuneo alle falde del Colle di Tenda; il generale ELSNITZ da Ceva fronteggiava il corpo del Suchet; il MELAS e l'HOHENSZOLLERN da Cairo e da Novi minacciavano il forte di Gavi e di Bocchetta; l'OTT, sulla sinistra, si stendeva con le sue truppe alle radici dell'Appennino fino a Recco.
Dopo una serie di azioni Di avamposti che durarono tutto il mese di marzo del 1800, il Melas il 6 aprile spinse risolutamente il suo esercito all'offensiva su tutta la lunghezze del fronte, coadiuvato dalla flotta inglese che cominciò a bombardare i forti della costa. Quattro colonne principali si mossero all'attacco delle posizioni francesi. Il generale Ott, alla testa di diecimila uomini e di numerosi insorti, assalì Monte Fascie, scacciò l'Armand che lo difendeva e, dopo accanito combattimento, costrinse il Petibot a sloggiare dalle posizioni dì Scoffera, Toviglia e S. Alberto e a ritirarsi a Prato alle sorgenti del Bisagno; il generale Palfy, per Altare e Torre, puntò su Cadibona, coadiuvato dal S. Giuliano che marciò su Sassello e Montenotte, mentre l'Elsnítz e il Morzin investivano Monte S. Giacomo e il generale Ulm il Monte Settepani l'uno e l'altro difesi dalle truppe del Suchet; nello stesso tempo l'Hohenzollern spingeva le sue forze contro la Bocchetta.

Il GARDANNE che difendeva Stella, S. Bernardone, Madonna di Savona, Vado e i ridotti di Montenotte e Cadibona con quattromila uomini, oppose una fiera resistenza all'attacco, ma, sopraffatto, dovette abbandonare prima Altare e Torre, poi Montenotte, Monte Legino, e Montenuovo occupati dal S. Giuliano, e riparare a Savona e poi ad Albissola. Il Gazan, attaccato a Busella dall'Hohenzollern, fu ricacciato presso i mulini di Voltaggio; il Suchet a sua volta dovette abbandonare il Settepani, S. Stefano e Madonna della Neve e ripiegare su Borghetto.

II giorno dopo l'esercito francese sferrò la controffensiva, che in parecchi punti riuscì a riguadagnare al Massena il terreno perduto. Il generale Miollis assali per ben cinque volte Monte Fascie, che infine cadde in mano dei Francesi insieme con il Monte Cornua; quest'azione fruttò agli assalitori duemila cinquecento prigionieri, tra i quali il colonnello austriaco barone D'Aspre. Contemporaneamente il generale Poinsot riconquistava a Borgo dei Fornari, Casella e Savignone; il Soult faceva sloggiare gli Austriaci da Monte Calvo e dalle Capanne di Marcarolo, e il Gazan rioccupava Nervi, Sori e Recco. La notte dal 7 all'8 una colonna austriaca di milleduecento uomini, guidata dal marchese Costa di Beauregard, piemontese, e comandata dai maggiori Merko e Neiperg, partita da Susa, si impadroniva del Moncenisio e si spingeva fino a Laulebourg e Termigon; sul fronte ligure l'8 aprile le Capanne di Marcarolo ricadevano in potere degli Austriaci, i quali si spingevano sino all'Acquasanta e penetravano nella valle della Polcevera e il 9 s'impadronivano della Bocchetta.

Il medesimo giorno 9 il Massena tentava una seconda azione offensiva, ordinando al Suchet di riprendere S. Giacomo, al Soult di puntare su Sassello e si mise in marcia lui stesso per Montenotte. Ma l'azione non riuscì, avendo il Melas assalito Varazze e tentato di tagliare alla sinistra francese le comunicazioni con Genova. Il Soult dovette ritirarsi a Voltri, il Suchet rinunziare, dopo un primo attacco vigoroso, al compito affidatogli, il Massena si batté valorosamente, ma alla fine i francesi perdettero Varazze e Gogoleto e più tardi, il 19 aprile, abbandonata Voltri, ripiegarono su Sampierdarena.
Occupate tutte le vette dei monti, il Melas mandò l'Ott con quarantamila uomini ad assediare Genova, e lui con il resto delle truppe mosse contro il Suchet che occupava Colissano, Melogno, S. Pantaleone e Borgo Finale. Minacciato dal Melas, che il 27 aprile attaccava Melogno e Settepani, dall'Elsnitz che muoveva su Calissano e dal Lattermane che puntava su Borgo Finale, il Suchet, ripiegò su una linea più ristretta ed occupò Loano, Borghetto, S. Spirito, S. Bernardo e Roccabarbena; ma il 1° maggio il Melas s'impadronì di Loano e il 12 l'Elsnitz prese Roccabarbena, e il Lattermann Borghetto; allora il Suchet si appoggiò con la destra a Oneglia e Porto Maurizio, con la sinistra a Pieve e con il centro a Toria e S. Bartolomeo, linea da cui poco dopo dovette sloggiare per ritirarsi sul Varo.

L'11 maggio Nizza cadeva in potere degli Austriaci; il 16 il S. Giuliano Costringeva il generale Buget, che comandava il forte di Savona, a capitolare; e il Suchet passava sulla sponda destra del Varo. Qui però terminava la ritirata dei Francesi. Avuta notizia che nuove truppe scendevano dalla Francia in Italia, il Melas mandò i generali Kaim, Haddick e Palfy in Piemonte con cinquemila uomini, lasciò l'Elsnitz con quattordicimila soldati a fronteggiare il Suchet, mentre lui con seimila uomini, dopo aver tentato il 22 maggio un attacco alla linea nemica del Varo, passò per il Colle di Tenda in Piemonte E giunse il 23 a Cuneo.
La guerra oramai si spostava e la Liguria diveniva teatro secondario di operazioni.
Difatti l'Elsnitz, richiamato dal Melas, abbandonava la linea del Varo e si schierava lungo il Roia tra il colle di Tenda e il mare, mentre i Francesi rientravano a Nizza; quindi, attaccato dal Suchet, lasciava duecento uomini nel forte di Ventimiglia e ripiegava sulla Pieve, poi il 5 giugno si ritirava nella valle del Tanaro.
Man mano che l'Elsnitz ripiegava, il Suchet avanzava e rioccupava le antiche posizioni di Melogno, Finale, Settepani e S. Giacomo. Sperava di giungere a tempo a liberare Genova dall'assedio, ma il 7 giugno seppe che la città, dopo un'accanita resistenza si era arresa. Allora marciò su Savona, riuscì ad occuparla poi il 10, assediò il forte dove la guarnigione austriaca si era ritirata.

ASSEDIO DI GENOVA - UGO FOSCOLO
BATTAGLIE AL MONTE DEI DUE FRATELLI E AL MONTE CRETO
CONDIZIONI DEGLI ASSEDIATI

L'assedio di Genova cominciò il 19 aprile del 1800. Quarantamila uomini comandati dal generale OTT, esercito veramente ragguardevole per forze, pur tuttavia appena sufficiente per vincere la resistenza di una città protetta da una doppia cinta di mura, da profondi trinceramenti, da numerose batterie, da molte fortezze, come quella di Richelieu, di Santa Tecla, della Madonna del Monte, del Diamante e dei Due Fratelli, e difesa da un generale fiero e coraggioso, energico nei comandi, audace nelle azioni, oltre ad avere un numero non indifferente di soldati.

Insieme con le truppe francesi c'erano duecento soldati Cisalpini, comandati dal GAGLIARDI e dal BALLON e, fra questi, degno di ricordo, UGO FOSCOLO, il quale era giunto a Genova indubbiamente molto tempo prima sicuramente già nell'ottobre del 1799 perché il 9 di quel mese Foscolo indirizzava allo CHAMPONNET il famoso "Discorso su l'Italia" in cui affermava che i Francesi per vincere avevano bisogno degli Italiani e sosteneva l'indipendenza della Nazione; e il 25 novembre a Genova ristampava la sesta edizione dell' "Ode a Bonaparte liberatore", dove rivolgendosi al conquistatore, scriveva:
"…Vero è che, più della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poiché la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore, ed è vero purtroppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota, noi e per i tuoi benefici, e per il tuo Genio che sovrasta tutti gli altri dell'età nostra siamo in dovere di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci non solo perché partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d'Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome …".

"…Con queste parole - "scrivono il Fiorini e il Lemmi" - il Foscolo rimproverava al Bonaparte il fatale trattato di Campoformio, mentre lui italiano invocava salvatore della Penisola così dalla furia della reazione austro-russa come dalla prepotente tutela francese (due cose che non potevano purtroppo ottenersi insieme); e alla sua voce facevano eco quelle, non meno vibranti, amore per la libertà, di GIUSEPPE GIULIO CERONI e di ANTONIO GASPARINETTI. Nè in mezzo alle preoccupazioni patriottiche e alle fatiche della guerra la loro Musa dimenticava di inchinarsi alla forte bellezza delle donne genovesi, che poi delineava in poetici ritratti ANGELO PETRACCHI (che poi scrisse una relazione del blocco) nella "Galleria ligure"; e ad Anna Brignole il Petracchi stesso dedicava un "Saggio di poesia leggera", mentre il CECCONI dava alle stampe (marzo 1800) il "Pappagalletto", applaudito apologo in 30 ottave; le donne di Genova vi sono rappresentate sotto diverse forme di uccelli; ed il Foscolo indirizzava versi di classica bellezza a Luigia Ferrari Pallavicini, la quale aveva avuto così rovinato il viso nella caduta da cavallo, che non riacquistò più la bellezza che fra le dive liguri lei era, Regina e Diva .... ".

"…Anche GIOVANNI FANTONI fu a Genova durante l'assedio e vi pubblicò dieci odi; e con lui c'era il bellunese FANTUZZI, reduce dalle guerre di Polonia, l' OTTAVI, il SALIMBENI, il BIANCHI d'ADDA, il De MEESTER, il POLFRANCESCHI, il CAVEDONI, il CALORI, che comandò le batterie di ponente, ALESSANDRO TRIVULZIO, che fu capo della guardia nazionale, CARLO BALABIO che divenne aiutante di campo del Massena, ANNIBALE BECCARIA, fratello di Cesare, che, essendo caduti in mano dei nemici i molini di Voltri, ne fabbricò in città altri alcuni a cavalli …"

Sei giorni dopo che era cominciato il blocco il Melas e il Kaith proposero al Massena di capitolare onorevolmente; ma il generale francese, fedele alla consegna avuta dal Bonaparte di tenere impegnate le truppe austriache in Liguria, rifiutò sebbene non ignorasse che il Suchet ripiegava sul Varo e che rimaneva isolato a Genova con gli Austriaci che lo tenevano chiuso dalla parte di terra e la flotta inglese che lo bloccava dal mare.

Il 30 aprile gli Austriaci con la cooperazione degli Inglesi fecero un attacco dimostrativo alle difese di ponente, che erano fortissime, e contemporaneamente assalirono quelle di levante, riuscendo ad impadronirsi delle trincee di Quezzi del monte dei Ratti e del monte dei Due Fratelli.
Questa fortunata azione austriaca provocò una controffensiva francese sollecita ed energica: l'Arnaud assalì a metà del giorno l'estrema sinistra nemica e si spinse fino alla Sturla; il Poinsot e il Miollis attaccarono i trinceramenti di Quezzi e dopo una lotta furiosa li riconquistarono, quindi, sostenuti dalla guarnigione del forte Richelieu, occuparono il monte dei Ratti; i generali Soult e Fantuzzi infine diedero l'assalto ai Due Fratelli e lo ripresero al nemico. Partecipò a quest'ultima azione anche Ugo Foscolo.
In questi combattimenti gli Austriaci perdettero tremilacentoquarantasette uomini; gli assediati presero una bandiera, due cannoni e duemila prigionieri.
Imbaldanziti da questo successo, due giorni dopo i Francesi assalirono a ponente Boschetto, Rivarolo e Coronata, ma non riuscirono a cacciare fuori gli Austriaci dalle loro posizioni; presero parte a quest'azione gli Italiani: uno di essi, il generale FANTUZZI, vi lasciò la vita, tre altri, i poeti Ugo Foscolo, Antonio Gasparínetti e Giuseppe Ceroni, furono feriti.

Il 10 maggio il Soult e il Miollis, assalito il nemico nella valle del Bisagno, gli inflissero una notevole sconfitta e riportarono in città qualche migliaio di prigionieri. Esito infelice ebbe invece un'azione tentata il 13 maggio con lo scopo di conquistare l'importantissima posizione di monte Creto. Due colonne, comandate dai generali Soult e Poinsot e sostenute dal presidio del forte dello Sperone guidato dal Gazan, mossero impetuosamente, la mattina di quel giorno all'attacco e, sebbene molestate da una pioggia torrenziale, riuscirono a far sloggiare dopo un'aspra lotta il nemico; ma questo, rinforzato dalle truppe dell'Hohenzollern, tornò all'assalto e ai Francesi, stanchi dell'aspro combattimento ed estenuati dalla fame, riprese quelle posizioni. Questa battaglia costò agli assediati dolorose perdite: quattrocento morti, milletrecento feriti e centocinquanta prigionieri fra cui lo stesso Soult.

Fu questa l'ultima azione offensiva dei Francesi, i quali da quel giorno abbandonarono ogni proposito di costringere gli Austriaci a levar l'assedio e riposero tutte le speranze a Bonaparte e nella loro forza di resistenza. Ma questa era veramente messa a durissima prova. Genova non era stata approvvigionata per un lungo assedio e dopo un mese i viveri cominciarono a mancare. Non esisteva più grano nei magazzini, il pane non si vendeva più, non si trovava più carne bovina, la stessa carne equina era scarsa e si vendeva a prezzo altissimo, mentre un gatto costava cinquanta lire.
La popolazione e i soldati prima si dovettero nutrire con il pane di avena e di fave, poi, mancato anche questo, fu fatta una miscela di crusca, di semi di lino, di amido e di cacao che a stento si poteva mangiare e digerire; infine fu distribuita una magra minestra di erbe che non toglieva proprio per nulla la fame. Per diminuire il numero delle persone da nutrire il Massena chiese all'Ott che provvedesse al mantenimento dei prigionieri austriaci impegnandosi che non avrebbe toccato il cibo destinato ad essi, ma il generale austriaco rispose che spettava ai Francesi nutrire i prigionieri, i quali perciò soffrirono al pari degli altri la fame, e poichè iniziarono a ribellarsi furono chiusi in vecchie navi e sottoposti a una rigorosa sorveglianza.

Di giorno in giorno le sofferenze della fame si facevano sempre più gravi; i più deboli non resistevano, le malattie infierivano, gli ospedali rigurgitavano d'infermi, torme di affamati percorrevano le strade chiedendo cibo, le vie erano sparse di corpi caduti per estenuazione, le donne mostravano i loro figli morenti, alcuni penetravano perfino nelle chiese e portavano via, per cibarsene, i fiori offerti dai fedeli.

Massena cercò di rimediare imponendo ai Ricchi di distribuire ogni giorno venti soldi ad ogni padre di famiglia povero e dieci agli altri, ma il provvedimento valse soltanto a suscitare un gran malumore fra gli abitanti, di cui molti erano rimasti fedeli al regime oligarchico di una volta e odiavano quello che i Francesi avevano voluto imporre.
Ci fu qualche tumulto; voci di prossime insurrezioni misero nella preoccupazione il Massena, il quale, per prevenire qualsiasi moto, ordinò che pezzi di artiglierie fossero messi nei punti strategici della città e reparti di truppe bivaccassero nelle vie nelle piazze con le armi pronte e le micce accese, ma alle sentinelle, indebolite dallo scarso nutrimento, dovette permettere di stare seduti.

Il morale dei soldati era molto depresso e si risollevava solo quando qualche messo, che era riuscito a forzare il blocco, ritornava con le notizie del Bonaparte; ma questi tardava a giungere e le speranze ravvivate tornavano a morire.
Il Massena faceva di tutto per alimentare la speranza nelle truppe o ridestare lo spirito guerresco e il loro patriottismo; arringava sovente i soldati, diceva loro che il Bonaparte sarebbe presto arrivato, che dalla resistenza di Genova avrebbe il Primo Console ricavati dei grandi vantaggi; ma erano parole che non persuadevano né ridestavano l'entusiasmo nemmeno ai veterani abituati ai sacrifici delle armi.
Allora il Massena pensò di fare una ricognizione generale, che avvenne il 28 maggio; ma non ne ricavò alcun profitto. In quell'inutile azione il generale Arnaud fu gravemente ferito che fu costretto a farsi amputare una gamba.
A poco a poco una notizia, sparsasi non si sa come, di successi francesi, rianimava le truppe e faceva mutare atteggiamento alla popolazione, che, credendo prossima l'entrata degli austriaci, avevano già rimesso in vigore le vecchie mode viennesi, appiccicandosi il codino e incipriandosi i capelli; qualche altra volta il desiderio di veder giungere gli attesi eserciti di Francia faceva credere che questi fossero vicinissimi e infondeva nei soldati e nei patrioti un po' di speranza cui però teneva dietro la delusione.

Cosi, con questi "miraggi", un giorno parve che il cannone tuonasse dalla Bocchetta e tutti credevano che stesse per giungere il Bonaparte; popolo e truppa accorsero sulle mura a vedere e vi andò lo stesso Massena, ma si trattava di un grosso temporale che rumoreggiava nelle gole dell'Appennino.
Il 30 maggio il Massena era convinto che gli Austriaci si fossero ritirati ed uscì dalla città. Scrive un cronista che a quella vista i patrioti "…alzarono il grido di "Viva Massena, viva Bonaparte". Indi si misero ad abbracciarsi e baciarsi reciprocamente facendo partecipare a quei calorosi baci molte cittadine..."
Non poche, e aggiungeva "nello stesso giorno di ieri si erano appena legati i capelli dietro e li avevano anche incipriati, ora in questa mutata di scena si strappano il bindello nero del codino e lo gettano nella pubblica strada, e si vedono alcune grattarsi i capelli e pulirsi la testa dalla polvere e gridare e cantare trasportati, e se incontrano il Gran Massena gli saltano dinanzi a lui a far balli come gli Indiani davanti alla nascita del sole ". Ma gli Austriaci giravano ancora attorno a Genova, né pensavano di togliere l'assedio. E la cosa era sempre di più penosa. La resistenza era giunta al limite massimo, e il Massena, che sapeva di non poterla più prolungare e di aver fatto tutto il suo dovere, decise di venire a trattative con il nemico".

Il giorno 2 del mese di giugno il generale ANDRIEU fu mandato a Rivarolo per incontrarsi con l'Ott. Gli Austriaci avrebbero voluto che i Francesi fossero prigionieri di guerra; ma il Massena non voleva neppure sentire parlare di capitolazione; egli voleva che le sue truppe potessero ritirarsi con armi, bagagli e bandiere spiegate, e con facoltà di combattere appena fuori la linea degli assedianti e minacciava, se le sue condizioni non erano accettate, di gettarsi con ottomila uomini affamati addosso al nemico e di aprirsi disperatamente il passo con le armi.

Le trattative continuarono il giorno 3 giugno a Cornigliano e l'Ott concesse - perchè aveva ricevuto l'ordine dal Melas- di levare l'assedio, loro e portarsi ad Alessandria, e i soldati francesi portati per mare ad Antico; ma il Massena insistette che voleva raggiungere il SUCHET per via terra. Il giorno 4 finalmente fu firmato il trattato che non parlava neppure di capitolazione e che il Massena si riservava di sottoporre all'approvazione del governo genovese. Secondo quel patto i soldati convalescenti, i malnutriti gravi, dovevano esser trasportati su navi inglesi ad Antibo, mentre altri quattromila, dovevano rimanere a Genova con il Miollis e curati e nutriti dagli Austriaci, ottomila e centodieci soldati Francesi dovevano recarsi a Nizza per la via di terra con le artiglierie, le armi, le munizioni e i bagagli. I Genovesi civili o quelli di altri paesi residenti a Genova dovevano essere concessa la facoltà di abbandonare entro sei mesi con le loro sostanze la città, tuttavia nessuno di quelli che rimanevano doveva esser molestato a causa della sua opinione politica.

Il MASSSENA avrebbe voluto che non si mutasse la forma di governo di Genova, ma l'Ott si rifiutò decisamente. A questo proposito si afferma che il Massera abbia detto: "Ebbene fate come volete, ma vi do' per certo che fra quindici giorni mi vedrete ritornare a Genova.."; al che il S. GIULIANO rispose: "…E vi troverete uomini ai quali avete insegnato come Genova si deve difendere…".
La sera stessa del 4 giugno, appena si sparse in città la notizia della resa, avvennero dei tumulti, che continuarono il giorno dopo: la plebe, gettatasi sui magazzini dei viveri che ancora rimanevano, li mise a sacco e tanta fu l'ingordigia nello sfamarsi che - se si deve credere agli storici del tempo - ben millesettecento persone morirono d'indigestione.

La mattina del 5 giugno i Francesi abili alle armi uscirono da Genova sotto il comando del generale GAZAN e si diressero verso Loano. Contemporaneamente, dalla porta di S. Tomaso entravano le truppe austriache seguite da bande di insorti che furono causa di non pochi disordini. Il giorno dopo il MILLAS partì per Montebello con il grosso dell'esercito e lasciò a Genova il generale S. Giuliano. Quel giorno stesso fu nominato governatore della città e del suo territorio l'Hohenzollern e fu istituita una Giunta imperiale austriaca, della quale furono chiamati a far parte i nobili PIER PAOLO CELESIA, CARLO CAMBIASO, AGOSTINO e FRANCESCO SPINOLA, GIOVANNI BERNARDO PALLAVICINI, GIROLAMO DURAZZO, e il borghese LUIGI LAMBRUSCHINI.

Il MASSENA, anziché per terra, volle partire per mare. A Loano, il 9 giugno, trovò le truppe del GAZAN e a Finale incontrò il SUCHET. Erano ventimila Francesi, che erano in grado di costituire un serio pericolo per l'esercito del Melas; ma il Masseria, con molta prudenza, non volle lanciarsi all'inseguimento e si contentò di ordinare al Suchet di portarsi ad Acqui e minacciare di là il nemico.
Del resto buone notizie informavano che NAPOLEONE BONAPARTE era entrato in Italia, era nei pressi di Milano, il 2 giugno vi era entrato, e che si preparava a marciare verso l'alta Scrivia e quindi era imminente una grande decisiva battaglia.
A questo punto dobbiamo fare qualche passo indietro, per vedere proprio negli stessi giorni che Massena era assediato a Genova, cosa aveva combinato nel frattempo Napoleone.

IL PASSAGGIO DEL GRAN SAN BERNARDO - IL FORTE DI BARD
(vedi altri particolari su questa famosa traversata, nel singolo "ANNO 1800")
LA LEGIONE ITALIANA - COMBATTIMENTI DELLA CHIUSELLA E DI TURBIGO
IL BONAPARTE A MILANO



La notizia che il MELAS aveva diviso dall'esercito del MESSENA l'ala del SUCHET, giunta a Parigi il 23 aprile quando già da cinque giorni era cominciato l'assedio di Genova, costrinse il Bonaparte a modificare il suo piano e a stabilire che l'esercito di riserva passasse subito in Italia per la via più breve, che era quella del Gran S. Bernardo.
Tre giorni dopo l'esercito cominciava a muoversi verso Ginevra; ma il 4 maggio giungeva la notizia che l'esercitò del Reno comandato dal MOREAU aveva vinto il KRAY a Stockach e allora il Bonaparte decideva di mandare ad esecuzione il primo piano, con qualche lieve modifica. Ma sempre un piano ardito era. Tutti si aspettavano che il grosso dell'esercito sarebbe passato dal Moncenisio, o dal Sempione, nessuno immaginava che sarebbe sbucato dalla Valle d'Aosta.

L'esercito di riserva avrebbe attraversato le Alpi per il valico del Gran S. Bernardo; ad Aosta sarebbe stato raggiunto dalla divisione CHABRAN, che doveva prendere la via del Piccolo S. Bernardo; la divisione TURREAU, scesa per il Monginevro, avrebbe occupato Susa e per Lanzo e Ponte si sarebbe congiunta al grosso ad Ivrea; una colonna dell'esercito del Reno, agli ordini del BETHENCOURT, sarebbe scesa in Italia attraverso il passo del Sempione, mentre il grosso delle truppe distaccate dal MOREAU, sotto il comando del generale MONCEY, avrebbe attraversato il S. Gottardo.

Nell'altro versante si trova Martigny. Qui la strada che sale al Colle e scende poi ad Aosta ed è la classica via romana dai tempi dell'impero.
Quando iniziarono le conquiste al di là delle Alpi, proprio per la posizione strategica del Colle, i romani nel 25 a.C., alla base di entrambi i due versanti del Gran San Bernardo, crearono non una colonia o un semplice castro, ma due effettive città, Aosta un po' più grande (un rettangolo murato attorno, di m 724 x 572) che in onore di Cesare Augusto prese il nome di Augusta Pretoria perchè sede dei pretoriani di Augusto (da qui il nome Austa, poi italianizzato Aosta). La città  nata proprio come base strategica ha poi permesso a tutti gli imperatori romani di salire al valico per poi scendere al bivio di Martigny.  Da una parte la Gallia con la strada fino a Parigi, mentre dall'altra  si raggiungeva attraverso il Rodano  la Mosella, il Reno, Augusta, l'alto Danubio, l'Inn, l'odierna  Austria. .
 Il piano di Napoleone è invece questa volta all'inverso: dalla "Gallia" all'Italia. Al bivio di Martigny si fermerà, e non entrera nella valle del Rodano, ma vuole ripetere l'audace avventura di Annibale, che nessuno esercito in quasi duemila anni aveva mai più tentato


BONAPARTE lasciò Parigi il 6 maggio, diretto a Digione, il 9 giunse a Ginevra e da qui si recò a Martigny. Tutti i preparativi per il gran passaggio erano già in atto e quasi compiuti; le truppe erano concentrate alle falde delle Alpi, un ospedale da campo era stato preparato a S. Pietro; denari era stati inviati ai monaci dell'ospizio del G.S. Bernardo perché istituissero lassù un posto di ristoro, compagnie di operai erano state ingaggiate per smontare e montare i pezzi dell'artiglieria; un gran numero di muli erano stati acquistati per il trasporto dei viveri e delle munizioni e molti valligiani, dietro lauto compenso, si erano messi a disposizione come uomini di fatica.

Il passaggio cominciò la notte dal 13 al 14 maggio. Il primo a partire fu il generale LANNES con l'avanguardia composta della divisione Watrin, della brigata Mainoni, della brigata di cavalleria Rivaud e di sei cannoni. All'alba i soldati erano all'Ospizio; il giorno 14 erano alle falde opposte, sopra Aosta, e si fermavano per aspettare le altre divisioni, le artiglierie e altri materiali.
Il trasporto dei viveri e delle munizioni non riuscì molto difficile perché tutto fu distribuito in cassette che erano portate a dorso di mulo, al pari dei cassoni e delle carrette di artiglierie smontate; ma il trasporto dei cannoni riuscì oltremodo difficile, perché le slitte che erano state preparate per la neve, che era invece carente, risultarono poi inadatte e si dovettero usare tronchi d'albero a strascico ma furono necessari più muli e altre centinaia e centinaia di braccia e fatiche immense perché i pezzi giungessero alla parte opposta dove il generale Berthier li riceveva e li faceva sollecitamente montare.

Il concentramento dell'artiglieria che aveva effettuato il passaggio poteva scendere tranquillamente ad Eutroubles conquistata il 15 maggio dalla brigata del generale Malheur, e la stessa il giorno dopo, piombò su Aosta costringendo i pochi difensori francesi ritirarsi a Chàtillon.
Il 18 tutta l'avanguardia del LANNES era ad Aosta e si metteva in marcia alla volta di Chàtillon, che fu conquistata alla baionetta prendendo due cannoni e facendo trecento prigionieri; quindi si metteva in cammino lungo la valle verso il Forte di Bard che posta in mezzo sopra un poderoso sperone di roccia, proprio nel punto più stretto della valle, la difende con la sua immensa mole da ogni lato.

Nella notte dal 19 al 20 maggio il Bonaparte per ultimo lasciò Martigny e giunse in carrozza a S. Pietro. Da quel punto, accompagnato da una giovane guida del posto, un certo, Pierre Nicolas Dorsaz, a dorso di mulo, salì al colle
Quando arrivò all'Ospizio a 2473 metri i monaci furono sbigottiti, credendo a un miracolo; e non sbagliavano, sono proprio i giorni dei "miracoli". La giovane guida che lo accompagna, un pastore stalliere di muli, non sa nemmeno chi sia questo francese che sta accompagnando in groppa al suo mulo, ma che gli parla in italiano e allora cammin facendo nelle lunghe ore della lenta traversata gli racconta - e lo straniero lo ascolta attento - tutte le sue disgrazie e i suoi desideri; che ama una donna, ma che non può sposare perché lui è uno stalliere, un miserabile, senza nemmeno un soldo, e i genitori della sua donna lo umiliano e l'oltraggiano e che quell'amore è solo un sogno che non si avverrà mai..
Un'amara vicenda umana che si trasforma però in una fiaba. Offerto il suo servizio di guida, due mesi dopo qualcuno si ricorderà di lui; l'umile pastore non solo riceverà una casa, un pezzo di terra in dono, e gli auguri di matrimonio, ma sarà ricordato perfino nelle memorie di Sant'Elena, da questo sconosciuto affabile personaggio che si chiamava Napoleone, e che lui ha accompagnato al valico sul dorso del suo mulo.
Il Bonaparte scese poi Ètroubles dove giunse il 20 alle nove di sera. Durante la discesa, attraverso i dirupi, il Dorsaz lo salvò perfino da una caduta dal mulo.

Il 23 maggio tutto l'esercito di "riserva" (ma in effetti il meglio) era in Italia.
Il 19 maggio il LANNES in avanscoperta era intanto giunto davanti al forte di Bard, che era difeso dal capitano Bernkopf, con una guarnigione piuttosto scarsa, 400 soldati e 18 cannoni, tuttavia per la sua caratteristica dominante in ogni lato, il forte costituiva un ostacolo quasi insormontabile e rendeva impossibile il passaggio specialmente all'artiglieria. Il generale BETHIET, avvisato, si recò sul posto e dovette costatare che il forte costituiva un ostacolo molto serio, constatazione che di lì a qualche giorno fu fatta anche dal generale MARESCOT.

Quello stesso giorno fu occupato il villaggio di Bard, assediato il forte e fu intimata la resa, ma senza alcun risultato. Durante la notte si cercò di far passare alcuni cannoni, ma il fuoco nutrito della fortezza che domina minacciosa e totalmente l'unica via carreggiabile sottostante fece fallire il tentativo. Questo fu rinnovato nella notte dal 23 al 24, durante l'infuriare di un temporale, ma come il primo anche il secondo andò a vuoto. La divisione Loison tentò di prendere a viva forza la fortezza, ma fu respinta. Sembrò un'impresa impossibile passare oltre. E con nessuna alternativa. Pur avendo oltre 30.000 uomini a disposizione contro qualche centinaio del presidio.

Impossibile per chiunque, ma non per Napoleone. Infatti, la fortezza fu arditamente superata da un lato scavando in due giorni un sentiero-cunicolo nascosto nella roccia, cioè aggirando alla base la fortezza, nel vicino monte Albaredo (cunicolo che esiste ancora!). Non essendo molto distante, per smorzare il rumore rimbombante nella strettissima valle, con le tenebre fittissime, nella prima notte fu fatta passare nella galleria di roccia, nel massimo silenzio, prima la fanteria e la cavalleria a piccoli gruppi, mentre nella seconda notte, furono fatti scivolare i cannoni e i carri spargendo sul terreno e avvolgendo le ruote con della paglia. Quando i 30.000 francesi arrivarono a Ivrea, il presidio scoprì con sgomento di essere stato beffato. Non una sola sentinella si era accorto di nulla. E si trattava della formidabile e da secoli inespugnabile fortezza di Bard. Il migliore stratega del mondo non avrebbe mai avuto quest'idea formidabile e così singolare. Ma lui era Napoleone!
Dodici ore prima il comandante della fortezza, Bernkopf, aveva inviato alla sua consorte a Pavia una missiva rassicurandola che lui era tranquillo e sicuro; "che da Bard non sarebbe passato nessun francese". La lettera arrivò a destinazione nella città di Pavia il 2 giugno, proprio quando vi entravano i francesi.

Il Bonaparte, quando ancora il forte di Bard resisteva (21 maggio), aveva stabilito un piano alternativo: che le truppe passassero per Verrès, Challant, Brusson, colle di Fenestre, Gressoney, Fontana Mora e S. Martin. Questa via (con l'aggiramento-stratagemma del forte) in seguito fu abbandonata, ma la seguì la legione italica che passò il Gran S. Bernardo il 18, da Chàtillon giunse a Brusson il 24 e il giorno dopo era a Gressoney. Di qua (con un percorso anche qui ardito per un esercito) la legione per il colle della Valdobbia e gli omonimi laghetti (proprio dietro le Prealpi Biellesi) si portò il 27 in Val Sesia, il 28 giunse a Varallo, dove sbaragliò un corpo di seicento Austriaci comandato dal principe di Rohan uccidendone ottanta, facendone prigionieri trecentoquaranta e impadronendosi di un cannone, ma perdendo i luogotenenti Giuseppini e Cassalini; il 30 giunse a Romagnano Sesia, il 31 a Borgo Ticino, il l° giugno a Sesto Calende, il 2 a Cassano Magnano, poi si spinse a Varese e a Como; il 7 forzò il passo dell'Adda a Lecco dopo uno scontro vivace con gli Austriaci ai quali strappò quattro cannoni; passò a Bergamo e il 10 era a Brescia.

Intanto il 26 maggio il generale LANNES proseguendo con la sua avanguardia a sud di Ivrea, assaliva il generale HADDIK che con diecimila fanti e molti cavalli difendeva il passo della Chiusella. Il combattimento fu implacabile. Il generale austriaco PALFY, che tentava di ostacolare il guado alla mezza brigata del MACOU, fu ucciso; parecchie volte l'Haddik lanciò la sua cavalleria contro i fanti francesi e fu sempre respinto; alla fine, avendo subito fortissime perdite, si ritirò precipitosamente verso Romano, inseguito dal nemico, che il 28 giungeva a Chiasso. Questa apparizione fece credere al MELAS che l'esercito francese voleva marciare su Torino e congiungersi con la divisione Turreau che aveva occupato Susa e si era spinta ad Avigliana. Ignorava fino a quel momento che Napoleone era già in Lombardia.

Infatti, il Bonaparte non voleva né portarsi sulla capitale del Piemonte, né voleva andare a togliere l'assedio a Genova, perché così operando, avrebbe lasciato sgombra al Melas la via di una sua eventuale ritirata; semmai era lui che nell'agire così, avrebbe tagliato agli austriaci la ritirata.
Perciò, dietro suo ordine, il 26 MURAT, con mezza brigata della divisione MONNIER e alcuni reggimenti di cavalleria, prese la via di Milano e si impadronì di Santhià.

Il 27 il Murat era a Vercelli, il 29 passava la Sesia, e dopo avere vinta la resistenza di un corpo austriaco comandato dal Vukassewich, giungeva a Novara, seguito a non molta distanza dalle divisioni Boudet e Loison. Il 31 forzava il Ticino, cacciando la cavalleria del Vukassewieh oltre il Naviglio Grande e inseguendola sul ponte di Turbigo che così cadeva in mano dei Francesi.
Il Vukassewich, rinforzato dalla brigata Laudon, rioccupava il villaggio di Turbigo e tentava di occupare il ponte, difeso ostinatamente dal Girard, il quale l'avrebbe perduto senza il tempestivo accorrere del generale Monnier, che ricacciò il nemico dal villaggio. Il giorno dopo il Murat, col Monnier e il Boudet, giungeva a Corbetta e di là marciava alla volta di Milano.

Qui non c'era più il governatore COCASTELLI, che alla notizia dell'avvicinarsi dei Francesi era fuggito, dopo aver nominato una reggenza composta dai conti GIOIA e BOLOGNINI, dal nobile PORTO, dall'avvocato RUGA e dai dottori PEZZONI, VEDANA e SACCHI; anche i membri della Commissione e della Congregazione si erano allontanati e lo stesso avevano fatto l'Arcivescovo, alcuni ecclesiastici e parecchi nobili compromessi per i loro sentimenti austrofili.

Mentre la popolazione aspettava ansiosa gli eventi, che non mancarono: il 31 maggio vide giungere i resti del corpo del Rohan sconfitto a Varallo, il l° giugno vide giungere le truppe sconfitte a Turbigo e il 2 partire il Vukassewich, che lasciava negli ospedali milleottocento ammalati e nel castello il generale NICOLETTI con duemila uomini, di cui cinquecento piemontesi.

IL 2 GIUGNO nel pomeriggio entrarono a Milano per la porta Vercellina il MURAT e per la Ticinese il BERTHIER, e verso il tramonto fece il suo ingresso nella capitale Lombarda NAPOLEONE BONAPARTE, che due giorni dopo lanciava ai Milanesi un proclama esortandoli ad accorrere sotto le sue bandiere, a formare la "Guardia Nazionale" e a rispettare le leggi.

Una delle sue prime cure fu quella di chiamare i parroci e di assicurarli che avrebbe permesso il culto pubblico, che avrebbe punito, anche con la morte, coloro che avessero insultato i sacerdoti e quella religione che era la sua, affermando che "…senza la religione si marcia continuamente nelle tenebre; e la religione cattolica è la sola che dia all'uomo cognizioni certe e infallibili sulla sua origine e sul suo destino. Nessuna società può esistere senza morale, e non vi può essere morale senza una religione: non vi è dunque che la religione che possa dare allo stato un appoggio fermo e durevole…"
Ovviamente Napoleone in questo frasi era molto opportunista, né del resto, lui che sapeva tutto sugli Imperatore Romani, aveva dimenticato Costantino.

Il 7 giugno il Bonaparte affidò al generale italiano DOMENICO PINO la riorganizzazione della "Guardia Nazionale" e la formazione con elementi italiani di due mezze brigate di fanteria, di un battaglione di fanti leggieri, di un reggimento di usseri e di una batteria con artiglieri a cavallo.
Il 9 sciolse la reggenza lasciata dal Cocastelli e costituì una Municipalità di persone moderate (PENSA, SQUADRELLI, RUGA, MINOIA, MOLINIRI, LITTA, ARAUCO, BIANCHI D'ADDA, DE LORENZI, BOLOGNINI, MOZZONI, FONTANA) che fece presiedere dal MARLIANI.
In quei giorni, il corpo nemico più vicino, quello del Vukassewich si ritirava dietro il Lambro, tentando, il 3 giugno, di opporsi a Melegnano all'avanzata dei Francesi; poi passava l'Adda e il 4 resisteva a Lodi, il 7 a Cremona, e infine, lasciato un presidio a Pizzighettone, andava a porsi alla sinistra dell'Oglio.

Quasi contemporaneamente alle truppe scese dal Monginevro e dal Piccolo e dal Gran S. Bernardo, erano calate in Italia le altre due colonne distaccate dall'esercito del Reno: il BELENOURT, sceso dal Sempione il 26 maggio, era giunto il 28 a Domodossola, il 31 ad Ornavasso e il 2 giugno a Pallanza; il MONCEY, passato il S. Gottardo il 28 con i diecimila uomini delle divisioni Lapoype e Lorge, il 31 era giunto a Bellinzona, il 1° giugno a Lugano, il 2 a Varese e il 5 a Milano; quindi nella prima settimana di giugno tutte le forze del Bonaparte erano in Italia e la maggior parte concentrate nel Milanese

Nel Piemonte erano rimasti, oltre i presidi lasciati qua e là, il TORREAU e il LANNES. Quest'ultimo, restato a Chivasso fino al 31 maggio, passò la Sesia il 1° giugno nei pressi di Vercelli e puntò, per Mortara, su Pavia, dove entrò il 2 giugno, impadronendosi di oltre duecento cannóni, di molti fucili e di una grande quantità di viveri e munizioni.
Con l'occupazione di Pavia il Bonaparte acquistava una piazza importantissima, la quale poteva servire all'esercito di riserva come efficace protezione da un'eventuale offensiva nemica verso Casale e Valenza e, nel medesimo tempo, costituiva per lui una base importante da dove le sue truppe avrebbero potuto prender di fianco l'esercito austriaco, se questi avesse tentato, com'era da presumersi, di aprirsi, per Stradella e Piacenza, una via verso Mantova.

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I FRANCESI ALLA DESTRA DEL PO - MURAT A PIACENZA
BATTAGLIA DI MONTEBELLO - BATTAGLIA DI MARENGO
MORTE DEL GENERALE DESAIX - LA CONVENZIONE DI ALESSANDRIA

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Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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