ANNI 1820 - 1821

IL REGIME COSTITUZIONALE NELLE DUE SICILIE

INAUGURAZIONE DEL PARLAMENTO A NAPOLI - FERDINANDO I GIURA LA COSTITUZIONE - I LAVORI DEL PARLAMENTO - SCIOGLIMENTO DELLA GIUNTA - LE RELAZIONI DEI MINISTRI - I NOMÌ DELLE PROVINCIE - PROVVEDIMENTI FINANZIARI - IL DUCA DI CAMPOCHIARO COMUNICA ALLE POTENZE ESTERE IL MUTAMENTO DI REGIME - OSTILITÀ DEL METTERNICH - NOTA AUSTRIACA AGLI STATI ITALIANI E A QUELLI DELLA CONFEDERAZIONE GERMANICA - TENTATIVI AUSTRIACI DI OCCUPARE LA TOSCANA E LO STATO PONTIFICIO - NOTA DEL DUCA DI CAMPOCHÍARO - IL CONGRESSO DI TROPPAU - I TRE MESSAGGI DI FERDINANDO I AL PARLAMENTO - DIMISSIONI DEL MINISTERO - INDIRIZZO DEL PARLAMENTO AL RE

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INAUGURAZIONE DEL PARLAMENTO
FERDINANDO I GIURA LA COSTITUZIONE


A settembre, il giorno 22, i Siciliani con il principe VILLAFRANCA, sottoscrivevano la capitolazione; la nobiltà si schierava dalla parte del generale PEPE con il popolo che inferocito per il voltafaccia proseguiva la rivolta. Questo mentre a Napoli altri rivoluzionari che avevano costituito il nuovo parlamento uscito anche questo dalla rivoluzione (ed era stata proprio questa ad innescare quella Palermitana) si riunivano nel Nuovo Parlamento; ma paradossalmente respingeva gli accordi sottoscritti dal Pepe all'agonizzante rivoluzione di Palermo. Che più o meno si era svolta allo stesso modo di quella napoletana: partita dai carbonari, dai ribelli d'ogni tipo, a questi si erano poi aggregati alcuni reparti dell'esercito regio borbonico, i borghesi, alcuni clericali, principi, baroni, nobili.

Al nuovo Parlamento di Napoli, i deputati di tutto il regno avrebbero dovuto essere novantotto, e cioè settantaquattro del continente e ventiquattro della Sicilia, ma il numero degli eletti fu di ottantacinque perché l'isola mandò soltanto undici deputati e precisamente quelli non compromessi con i ribelli, come le città di Messina, di Catania, di Siracusa e altre.

Ma è da notare che dei 74 del continente, appena 17 erano i rivoluzionari-carbonari: quelli che in luglio avevano iniziato i moti e poi guidato gli insorti. I rivoluzionari costituzionalisti più che occuparsi di governo, impiegavano il tempo e le energie a discutere quale "carta" adottare. La Carboneria appoggiava la già temporaneamente ottenuta Costituzione Spagnola dove c'era una rigida restrizione dei poteri regi ed era sancito il diritto elettorale a suffragio universale; mentre i moderati propendevano per la "charte" di Luigi XVIII, che imponeva l'esistenza di un sistema bicamerale: una camera di nomina regia ed a carattere ereditario, l'altra elettiva ma con rigoroso sistema censitario.
Nella sua sostanza questo parlamento di fatto non s'ispirava né ad una e né all'altra.
Anzi era molto murattiana, Medici, il ministro che era anche lui un ex giacobino, era riuscito ad amalgamarli con abilità con i migliori elementi della Corte Borbonica. Del resto oltre che competenti questi murattiani erano dei moderati.

L'assemblea di questo nuovo parlamento, era quindi costituita da molti elementi moderati: venti ecclesiastici di cui un cardinale, dodici avvocati, dodici magistrati, otto militari, sei medici, quattro impiegati dello Stato, due pensionati, due negozianti e diciannove proprietari. Di questi, otto erano professori, un ALESSANDRO BEGANI generale, uno, BAUSAN, uomo di mare; il più vecchio era il cardinale ottantaquattrenne GIUSEPPE FIRRAO, il più giovane il ventiseienne cav. GIUSEPPE SALVATORE TRIGONA, di Siracusa. Come già detto sopra solo 17 erano gli inscritti alla Carboneria e che avevano partecipato ai moti.

Fra i deputati si trovavano uomini di grande valore. Ci limitiamo a ricordarne alcuni: MELCHIORRE DELFICO, patriota insigne, discepolo del Genovesi, carbonaro autorevole, autore di parecchie opere, fra cui citiamo le "Memorie storiche della Repubblica di S. Marino", i "Pensieri sulla storia e sulla incertezza e inutilità di essa", e le "Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza"; il canonico ALESSIO PELLICCIA, professore di Diplomatica all'Università di Napoli, autore di un'opera sull' "Origine e vicende delle proprietà nella discesa dei Longobardi", di un "Corso di antichità ecclesiastiche" e di una raccolta di "Cronache" e "Diari del regno di Napoli"; il professor FERDINANDO DE LUCA, matematico e geografo, che insegnava geometria analitica alla scuola politecnici militare e aveva scritto molte memorie scientifiche e le opere "Analisi a due coordinate", "Geometria piana", "Geometria e Trigonometria analitica", LUIGI GALANTI, professore di geografia all'Universìtà di Napoli, autore ammirato di opere dì storia, geografia e statistica; i valentissimi giureconsulti PIERANTONIO RUGGIERI, GIUSEPPE POERIO, FRANCESCO LAURIA; MATTEO GALDI autore di notevoli pubblicazioni, quali: "Necessità di stabilire una repubblica in Italia", "Osservazioni sulla costituzione elvetica", "Rapporti politico-economici fra le nazioni libere", "Quadro politico dell'Olanda" e "Pensieri sulla pubblica istruzione"; e infine i colonnelli carbonari LORENZO DE CONCILJ, GABRIELE PEPE E OTTAVIO PICCOLELLIS; MATTEO IMBRIANI, LUIGI DRAGONETTI, PASQUALE BORRELLI.

Il 28 settembre si costituì l'ufficio di presidenza. Furono eletti MATTEO GALDI presidente, PASQUALE BORRELLI, vice presidente, gli avvocati TITO BERNI e NAZARIO COLANERI, il professor FERDINANDO DE LUCA e VINCENZO NATALE segretari. Quindi l'assemblea nominò una commissione di venti deputati, affinché notificasse al re la costituzione del parlamento e per l'invito a presenziare la solenne inaugurazione.
Questa (mentre gli ultimi ribelli siciliani capitolavano e si arrendevano con l'entrata poi dell'esercito a Palermo il giorno 5 - con i rinforzi inviati da Napoli, destituendo Pepe, per stroncare la rivoluzione) avvenne il 1° di ottobre nella chiesa dello Spirito Santo a Toledo, dove FERDINANDO I, accompagnato da splendido corteggio, fu ricevuto dalla famiglia reale, dalla Corte e dai deputati.
Se c'è un parallelo rivoluzionario fra i fatti in Sicilia e quelli di Napoli, esiste però una divergenza abissale nelle intenzioni, anche se nelle azioni e nei discorsi -che qui sotto riportiamo- nulla lo fa pensare. Anzi ci appaiono molto beffardi e patetici per i fatti che seguiranno.

Dopo che il re ebbe giurato sul Vangelo la costituzione, il cavalier GALDI si mise a leggere un lungo discorso, in cui lodava gli ordini costituzionali in generale, e in particolare la costituzione spagnola, elogiava il sovrano, assicurandolo della fedeltà e devozione dei sudditi, elogiava il Vicario Generale e il nipotino FERDINANDO, a proposito del quale, con ampollosità degna di un seicentista, disse:
"Egli accoppierà al brillante coraggio e all'alma intrepida di Francesco I e di Enrico IV di Francia, il sapere militare del gran Condè, e in guerra lo vedremo circondato dai bellicosi Marsi, dai Dauni, dai Sanniti, da tutti i popoli della Magna Grecia e della Trinacria, alle frontiere del regno, come l'angelo del Signore con l'adamantina spada in mano stava alla difesa del paradiso terrestre".
e terminava "…invochiamo Dio affinché conservi a lungo in vita il re, padre e benefattore del popolo".

FERDINANDO I che con il capo, durante la lettura, aveva fatto frequenti cenni d'assenso, rispose:

"Spero di vedere sempre più felice e tranquilla questa nazione che per tanti anni ho governato e governo".

Quindi porse al principe Vicario un foglio, perché lo leggesse, in cui era scritto il discorso della Corona; ed ecco il contenuto iniziale:

"Comincio dal rendere grazie a Dio che ha coronato la mia vecchiezza, circondandomi dei lumi dei miei amatissimi sudditi. In voi considero la Nazione come una famiglia, della quale potrò conoscere i bisogni e soddisfare i voti. Non altro è stato mai il mio desiderio nel lungo regno che il Signore mi ha concesso, se non quello di ricercare il bene e di seguirlo. Voi mi presterete d'ora innanzi la vostra mano nell'adempimento di questo sacro dovere, ed io, raccogliendo dalla vostra propria voce i voti della Nazione, sarò liberato dall'incertezza di doverli interpretare".

Il sovrano continuava rammentando che il parlamento doveva modificare la costituzione spagnola, ma raccomandava di "evitare i bruschi cambiamenti nell'ordine interno, dato che molte delle presenti istituzioni, la divisione del territorio, il sistema amministrativo e l'ordinamento giudiziario, sono compatibili con qualsiasi ordine politico". Consigliava quindi al parlamento di "scegliere il giusto mezzo tra la necessità e l'utilità, esorto affinché sia mantenuto e consolidato l'ordine pubblico, assicurato il rispetto all'autorità e data forza alle leggi e al governo"…."la religione cattolica deve essere conservata, ma nessuno deve esser perseguitato per le opinioni religiose"…. "la Sicilia deve esser mantenuta unita al continente"…."le relazioni con l'estero sono assai delicate, e le difficoltà che lo stato di tali relazioni presentano possono essere superate con la moderazione unita, ad un contegno nobile e fermo".

"Signori deputati, - concludeva il re - mai momento della storia della monarchia è stato più importante di questo. L'Europa tutta ha gli occhi sopra di noi. L'Onnipotente, che regola il destino dei popoli, ci ha messo in grado di acquistare con la moderazione e con la saggezza la stima di tutte le nazioni; sta nelle nostre mani il consolidare le nostre istituzioni e renderle stabili e tali che producano la nostra prosperità. Quanto a me, non farò che assecondare il voto dei miei popoli e resterò unito ad essi con la medesima confidenza che mi hanno manifestato. Io desidero di portare con me nella tomba la vostra riconoscenza e meritare il solo elogio di avere sempre voluto a vostra felicità".

Dopo letto il discorso della Corona, Guglielmo Pepe rassegnò nelle mani del Vicario il supremo comando dell'esercito che gli era stato affidato per il periodo della reggenza. Il re rispose: "Accetto la vostra rinuncia, e nel tempo stesso vi accerto della mia soddisfazione e riconoscenza per aver saputo così bene conservare l'ordine e la giustizia nelle passate emergenze".

La cerimonia inaugurale era finita e Ferdinando ritornò alla reggia fra le acclamazioni entusiastiche della folla che voleva staccare i cavalli dalla carrozza reale e fu con molta fatica trattenuta dagli agenti di polizia. "II cielo - scrive il Colletta - che nel mattino era sereno, all'uscita del corteo si annebbiò, si fece più scuro e, quando il Re giurava, si addensarono le nubi e cadde una stemperata pioggia. Fu così; ma il superstizioso volgo assicurava che Iddio, antivedendo l'avvenire, cruccioso dei preparati spergiuri oscurasse improvvisamente i luminosi spettacoli della natura".



I LAVORI DEL PARLAMENTO DI NAPOLI
METTENRICH e LA COSTITUZIONE DELLE DUE SICILIE
IL CONGRESSO DI TROPPAU

Una volta inaugurato, il parlamento poteva cominciare i suoi lavori. Si riunì il 20 ottobre nella chiesa di San Sebastiano e si divise in nove uffici: al primo fu affidato lo studio delle materie attinenti alla legislazione, nel secondo lo studio delle materie relative alla guerra, alla marina ed agli affari esteri, nel terzo ciò che riguardava le milizie provinciali, la gendarmeria e la sicurezza pubblica, nel quarto le materie finanziarie, nel quinto le questioni che riguardavano l'apicoltura, l'industria, il commercio e le arti, nel sesto l'istruzione pubblica, nel settimo l'esame della costituzione, nell'ottavo la tutela delle amministrazioni comunali e provinciali, e al nono il governo interno del parlamento. Poiché era stato costituito il parlamento, la Giunta di governo non aveva più ragione di esistere e si sciolse, ma prima volle con una relazione far conoscere all'assemblea, quanto fino allora aveva fatto e colse l'occasione per ribattere le accuse che i reazionari di tutta Europa rivolgevano al moto liberale di Napoli.
Essa dichiarava:


"La recente riforma politica non essere l'opera di una setta, bensì l'effetto della volontà unanime del popolo; per questa ragione una fazione può benissimo violentemente turbare la forma di uno stato, ma non soggiogare la volontà o l'opinione di una nazione. Infatti, un partito per lungo tempo vincitore aver rovesciato troni, mutato forme e leggi d'ogni stato; i governi impotenti a resistergli essere stati soccorsi dai popoli che avevano rivendicato i loro diritti, ed avevano creduto poter ristabilire, come scudo dei troni, quella massima che "le nazioni sono date da Dio in patrimonio ai principi". Più saggi e moderati di loro, i popoli aver vendicato l'onta fatta all'umanità ed alla ragione, correggendo l'empia dottrina con un codice politico che rendeva sicure le nazioni dei loro diritti ed i sovrani della loro inviolabilità. I Napoletani avere scosso due volte il giogo degli stranieri ed essere corsi incontro all'amato loro re Ferdinando. Ma i Napoletani del 1815 non erano più quelli del 1798. Sono stati anch'essi, ammaestrati nella scuola delle calamità politiche ed istruiti con l'esperienza che, ogni rivoluzione apre il campo a nuove passioni e a nuovi bisogni. Desiderare pertanto una forma civile che ponesse un termine alle loro vicende; non la continuazione di un dispotismo ministeriale e la continuazione di gravi carichi fiscali, che poi seguitavano a non tornare alla nazione. Queste erano del resto le due uniche ragioni nell'avere suscitato la pubblica opinione contro il governo. Alla generale disposizione degli animi essersi poi unita quella dell'esercito, retto da uno straniero con disciplina e scettro boreale. In tale stato di cose, essersi pensato a creare una forza interna nelle province, composta di proprietari, i quali sentivano più che gli altri il peso del sistema oppressore dei tributi, e queste milizie essere state appunto, quelle che avevano concepito ed eseguito il disegno di liberare la patria dal dispotismo ministeriale".

Anche i ministri presentarono le loro relazioni, in cui esponevano le condizioni dei diversi rami della pubblica amministrazione. Secondo la relazione del ministro CARASCOSA, l'esercito ammontava a quarantamila soldati di linea, che potevano esser portati presto a cinquantaduemila, ai quali dovevano aggiungersi cinquemila gendarmi, quarantamila guardie urbane e più di duecentomila guardie civiche.
Florida era la marina mercantile, secondo il ministro DE THOMASIS; che disponeva di quattromilacinquecentocinquantotto navi mercantili e di millequattrocentottantacinque legni pescherecci; ma misera quella da guerra, la quale aveva sì duecentoquarantadue navi, ma di queste erano idonee al servizio soltanto un vascello, due fregate, una corvetta e novantasei navi minori.
Causa di generale lagnanza era, al dir del ministro RICCIARDI, l'amministrazione della giustizia; s'imponeva una riforma ed era necessario restaurare l'istituzione dei giurati. La situazione finanziaria era riassunta così da chi era preposto al ministero delle Finanze: "Diminuzione di fiducia e di credito del governo, minorazione di rendite, difficoltà di esazione, aumento eccessivo delle spese".
Delicata, anzi molto pericolosa era la situazione con l'estero. Soltanto la Spagna e la Svizzera avevano riconosciuto il nuovo governo e l'Austria teneva un contegno così minaccioso da far temere una guerra.
Dopo le relazioni dei ministri, fu data lettura dell'indirizzo del governo in risposta al discorso della Corona, compilato per incarico dell'Assemblea dal marchese NICOLAI di Canneto; approvato il programma cominciarono i lavori veri e propri del parlamento. Molta buona volontà nei deputati, ma anche molta ingenuità, molta inesperienza, troppa retorica, nessun metodo, scarsissimo ordine, poco senso pratico e poca o nessuna educazione politica.
Una delle prime deliberazioni dell'Assemblea fu, di mutare i nomi moderni delle province con quelli antichi dell'età romana: Campania, Marsica, Frentania, Sannio, Daunia, Peucezia, Lucania, Salento, Irpinia, Calabria. Poi il parlamento s'indugiò in inutili discussioni, come quella sul nome di "costituente" o di "costituita" da darsi all'assemblea, quindi una disputa sull'eleggibilità di PASQUALE BORRELLI, contro la quale parlarono il MAZZIOTTI e il POERIO e a favore il LAURIA.

Il 14 ottobre, come si è detto, si discusse intorno alla convenzione sottoscritta da FLORESTANO PEPE con gli insorti di Palermo; il 21 furono approvati i primi provvedimenti finanziari destinati a fare fronte al deficit del bilancio: quattro milioni di ducati di nuovi prestiti e la riscossione di circa due milioni d'arretrati d'imposta siciliana. Poi si discusse sul modo di reintegrare nell'impiego molte persone esonerate nel 1815; si riformò la legge d'avanzamento nell'esercito e si cominciò la discussione sulle modifiche alla costituzione spagnola.
Ma oramai altri avvenimenti incalzavano. Ma per comprenderli meglio siamo costretti a tornare indietro di qualche mese; cioè a luglio quando Ferdinando acconsentì, dopo aver concesso la costituzione, a formare un governo provvisorio.

Una delle prime cure del Ministero e della Giunta provvisoria era stata quella di comunicare, per mezzo del duca di CAMPOCHIARO che teneva il portafoglio degli Esteri, alle potenze europee il mutamento di regime "pacificamente" avvenuto nel Regno delle Due Sicilie; ma solo quattro stati, e cioè la Spagna, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Svezia avevano riconosciuto il nuovo governo; la Russia e la Francia, sebbene lo Zar e Luigi XVIII sembrasse volessero appoggiare i Napoletani, non si erano pronunciate, e la liberale Inghilterra prestava fede alle fandonie del suo incaricato d'affari A' Court, che insieme con i rappresentanti francesi, austriaci, russi e prussiani, mandava al suo governo notizie sinistre, cioè completamente false sulla vera situazione del regno (la rivoluzione l'abbiamo vista, si era conclusa nel modo più pacifico, il 9 luglio, senza violenze, né spargimento di sangue).

Ma chi più degli altri uomini di governo si era mostrato ostile al mutamento era stato l'austriaco METTERNICH, il quale in quel cambiamento vedeva un pericolo grandissimo per le potenze firmatarie del patto della Santa Alleanza, e fin dal 17 luglio (il 13 Ferdinando concedeva e giurava la nuova costituzione) scriveva: "La rivoluzione di Napoli è un avvenimento di cui non è possibile prevedere gli effetti: si deve senza indugio portarvi rimedio .... due squadroni di cavalleria abbattono un trono, e pongono il mondo intero a pericolo di danni incalcolabili. Ma a Napoli le cose non procederanno come a Madrid: torrenti di sangue vi scorreranno".

Conoscendo l'avversione ad ogni idea liberale del Metternich, il duca di CAMPOCHIARO aveva mandato al principe RUFFO-SCILLA, ministro napoletano a Vienna, una lettera del Vicario perché la consegnasse all'imperatore, al quale bisognava fare intendere che il cambiamento di regime non avrebbe mutato in nulla le stipulazioni anteriori.
Il RUFFO (e con lui il principe di CASTELCICALA, ambasciatore a Parigi) si rifiutò di prestare giuramento alla costituzione e non volle consegnare la lettera. Per questo motivo, da Napoli, fu allora inviato il duca di SERRACAPRIOLA con lettere autografe del Re e del Vicario per l'imperatore, ma giunto a Vienna, il Metternich prese le lettere e non volle presentare il legato al sovrano. Né questo fu tutto: sapendo che era stato mandato il duca di GALLO, il Metternich ordinò alle sue guardie che, appena arrivato a Klangenfurth, di impedirgli di proseguire, e, poiché il duca si lamentava di questo impedimento, gli rispose:
"essere impossibile che l'imperatore lo ricevesse; altrimenti avrebbe rinunciato a quelle massime che gli servivano come guida; dopo una rivoluzione che scalzava l'edificio sociale nelle sue fondamenta, che nel medesimo tempo minacciava la sicurezza dei troni e delle istituzioni riconosciute e come pure la quiete dei popoli, l'imperatore, qualunque fosse la sua affezione per il re e per la sua famiglia, non poteva smentire le sue massime né agire in contraddizione di sé medesimo".

Per far sì che il moto napoletano non fosse imitato negli altri stati italiani e per preparare il terreno ad un intervento armato dell'Austria nel Regno delle Due Sicilie, il principe di Metternich spediva, il 23 luglio, una nota a tutti i governi della penisola, in cui affermava.
"contro la verità dei fatti, che il trattato di Vienna del 1815 designava l'Austria custode della pubblica tranquillità in Italia e che perciò essa non avrebbe sopportato le offese verso i diritti dei Principi italiani, garantiti dai trattati e avrebbe allontanato dai confini dei suoi stati e da quelli dei suoi vicini ogni motivo di turbamento".

In quella nota non era nominato il Regno delle Due Sicilie, ma era però nominato in un'altra nota, indirizzata due giorni dopo ai governi germanici per dir loro che in caso d'intervento armato nella penisola faceva pieno...
" assegnamento nella inalterabile tranquillità dei popoli tedeschi".
In questa seconda nota così si esprimeva:
"Gli ultimi fatti del Regno di Napoli hanno provato con forza ed evidenza maggiore d'altri anteriori simili avvenimenti, come pure in uno stato governato con regolarità e con saggezza, presso un popolo temperato e contento dei suoi rettori, il veleno delle sette rivoluzionarie possa cagionare violente perturbazioni e condurre ad improvvise catastrofi; di conseguenza si hanno prove certissime che soltanto le trame dei Carbonari, senza urto esteriore e senza pretesto, anche apparente, hanno eccitato quei tumulti, per i quali il re di Napoli è stato costretto a rinunziare al governo, a sciogliere tutte le autorità esistenti e a bandire una costituzione straniera al suo paese, non approvata neppure là dove ci fu la sua nascita; in altri termini ad innalzare a legge l'anarchia. L'imperatore è convinto che quest'inaspettato avvenimento avrà vivamente colpito gli animi di tutte le corti di Germania capacitandosi quanto pericoloso sia guardare con occhio indifferente il fermento delle società segrete e le cospirazioni da queste ordite nelle tenebre, e che i principi della Germania usando vigilanza e severità contro i primi sintomi di questi colpevoli conati hanno adoperato con molta saggezza. Gli interessi dell'imperatore esser venuti, per questi fatti, in pericolo speciale a cagione delle sue attinenze politiche e personali e della sua parentela con le famiglie principesche d'Italia, e per la situazione geografica dei suoi domini".
Continuava il Metternich ripetendo le parole della nota rivolta ai principi italiani, si augurava che non ci fosse bisogno di ricorrere alle armi e affermava di esser sicuro che, in caso di guerra, fra gli stati della Confederazione germanica regnerebbe la massima tranquillità
.

Contemporaneamente il Metternich informava i governi italiani dell'intenzione che aveva l'Austria di "schiacciare l'idra costituzionale". Al legato del Sabaudo re di Sardegna scriveva che: "…l'imperatore era risoluto ad operare energicamente; che opererebbe anche in vantaggio dei principi italiani; che costoro lasciassero da parte ogni gelosia; che ricorressero a lui con fiducia; che i re dovevano morire con la spada in mano, piuttosto che ricevere le leggi dai sudditi".

E cercava di persuadere il governo pontificio e quello toscano che permettessero alle truppe austriache di presidiare i loro stati per impedire o reprimere una quasi sicura rivoluzione liberale. Ma FERDINANDO III e il suo ministro FOSSOMBRONI dichiararono che in Toscana non esistevano sette e che i sudditi stimavano ed amavano il loro sovrano, il quale, del resto, in caso d'insurrezione, aveva forze sufficienti per assicurare l'ordine; e al conte di FIQUELMONT che gli mostrò una lista dei più autorevoli toscani accusandoli di complotti rivoluzionari, il Granduca, indignato, disse:
"Voi, signor ministro, fate sapere al vostro sovrano, come io farò sapere a mio fratello, che dei miei sudditi io solo dispongo e rispondo". Con maggior prudenza il cardinal CONSALVI rispose che nelle ostilità che sembravano imminenti tra l'Austria e le Due Sicilie il Pontefice aveva il dovere di rimanere neutrale e che perciò "non poteva" consentire un'occupazione dei suoi domini; sarebbe stata considerata come un atto ostile dal Borbone di Napoli.

Il 1° di ottobre del 1820 il duca di CAMPOCHIARO rispondeva con una nota a quella che il METTERNICH il 23 luglio inviata ai principi italiani. In questa nota il ministro degli esteri napoletano fra le altre cose scriveva:
"non esser vero che erano in pericolo le istituzioni riconosciute e la quiete dei popoli; dal momento che si tratta di un monarca libero nel suo palazzo, in mezzo ai suoi consiglieri, antichi ministri, che prende la risoluzione di contentare i desideri del popolo, concedendo un governo più conforme ai suoi bisogni e ai progressi del secolo; la legittimità dei diritti della famiglia regnante è riconosciuta, altamente garantita e confermata dal voto generale della nazione, la quale fin dall'inizio del suo mutamento politico ha manifestato rispetto e devozione profonda al re e alla famiglia reale. Non potersi far carico al governo di alcuna violazione dei diritti quando aveva rifiutato di mescolarsi negli affari di Benevento e Pontecorvo quando chiesero di far parte del reame in cui sono incuneati, e aveva rispettato le convenzioni sulla dotazione dei Beauharnais".

Riguardo a quelle affermazioni del Metternich di essere i Carbonari i soli autori dei fatti di Napoli, avere questi fatta violenza al re con la maggior parte della nazione, avere eccitato l'esercito alla rivolta e voluto una costituzione difettosa, il duca di Campochiaro rispondeva nella sua nota:

"…Quando una setta e una fazione ottiene con la forza una concessione, è naturale che presto o tardi si formi un'opposizione. Ma nel reame non si vede alcun residuo di discordia, semmai una perfetta armonia di sentimenti, di principi e di volontà, una devozione senza confine al re ed alla sua famiglia, un grande amore per il governo costituzionale, e il fermo proposito di difenderlo fino all'estremo. I Palermitani non fanno eccezione. La diversità delle loro opinioni sono solo su alcuni punti d'interesse meno generale. Gli ordini del governo sono eseguiti: la giustizia è amministrata con esattezza, inalterata la libertà delle persone e delle opinioni. Se all'inizio per lo zelo esagerato di alcuni è stata commessa qualche intemperanza, la voce paternamente autorevole del governo è bastata per impedirne altre. Le elezioni dei deputati, misura infallibile del pubblico sentimento, provano esse sole come ad un unico scopo siano indirizzate le menti dell'universale, cioè alla comune prosperità; gli eletti al parlamento non sono dei settari, ma uomini i meglio qualificati del paese. Quanto ai difetti rimproverati alla costituzione spagnola si osserva anzitutto che nessun potentato straniero ha il diritto di trovar buono o cattivo una scelta che un principe indipendente ha reputato vantaggiosa fare per il suo stato; quando poi si vuole giudicare della stabilità d'un governo dalle sue istituzioni, allora non è più un problema il sapere se questo si ottiene meglio con gli ordini arbitrari o con i costituzionali. La costituzione di Spagna ha i suoi difetti; ma i principi che la ispirano sono la ragione e la virtù. D'altra parte sarà cura della nazione migliorarla dove stimerà conveniente: e su questo punto l'Austria viva tranquilla".

Toccando poi dell'articolo segreto del trattato tra l'Austria e il Borbone che obbligava il re a non apportare cambiamenti nel regno, il duca di Campochiaro aggiungeva:

"Le espressioni vaghe di quest'articolo non hanno bisogno di spiegazione. Si sa che in diplomazia il senso letterale dei trattati è il solo che faccia legge. Conformandosi il re alla convenzione del citato articolo, quando fu restaurato il reame di Napoli, manteneva la sua promessa. Bisogna notare che qui si trattava di una semplice convenzione, ma non di una clausola contenente un'obbligazione valida per un tempo indeterminato. Con quale fondamento si fa lagnanza perché il re abbia ceduto al voto dei suoi popoli? Supponendo pure che l'articolo fosse obbligatorio per sempre, bisognerebbe anzitutto provare, per affermare che è una violazione, che la forma introdotta nel governo napoletano sia in contraddizione con le istituzioni monarchiche. Si risponde invece che la costituzione riafferma i troni, perché mette la persona del re in sicurezza contro tutti gli assalti e garantisce la legittimità dei suoi diritti. Tuttavia non è qui il caso di discutere intorno a semplici teorie: ma si tratta piuttosto di provare che l'Austria, anche appoggiandosi sul punto che la convenzione è stata fatta per altri tempi e per altre congiunture, non potrebbe essere autorizzata ad operare contro la nostra riforma politica. A che dunque si deve ascrivere l'attitudine dell'Austria rispetto a noi? Quale può essere lo scopo di un sì straordinario aumento di soldati armati in Italia? Finché il re ha potuto credere che lo scopo era per conservare la tranquillità nelle province d'Italia, ha rispettato il diritto che ciascuno ha di fare in casa sua ciò che può sembrargli più conveniente. Ma quando la corte di Vienna persiste nel rifiuto di entrare in spiegazioni con quella delle Due Sicilie e rifiuta di ricevere i rappresentanti del re; quando il gabinetto austriaco fa circolare note ai potentati alleati, alla Confederazione germanica, ai governi italiani contro il nuovo ordine di cose stabilito a Napoli; quando le gazzette di Milano e di Vienna si permettono di pubblicare scritture acri contro di noi, il che non dovrebbe mai un governo per rispetto a sé medesimo approvare, il re mancherebbe al sentimento della sua dignità, a quanto deve al suo popolo, se si mostrasse indifferente e a una condotta così inconcepibile da parte di un governo a questo legato per alleanza e per amicizia".

Domandata spiegazione degli armamenti austriaci in Italia, il duca di Campochiaro conchiudeva:

"La posterità stenterebbe a credere all'ingiustizia di un assalto, a una violazione così sanguinosa del diritto delle genti, la quale tanto più odiosa sarebbe dal momento che il potentato che la esercita contro di noi non ha fatto minimamente alterare nemmeno al più piccolo stato della Germania la sua forma costituzionale, e non ha - almeno apertamente - preso alcun partito, contro la Spagna, della quale noi abbiamo seguito l'esempio. Bisognerebbe ad altro recare le cagioni di una simile guerra che l'Austria volesse muovere contro una nazione pacifica, che non ha atteso ad altro se non alla propria prosperità, e che si dà ogni premura per mantenere buoni rapporti con tutte le Potenze, i innanzitutto di stringer maggiormente i legami con la corte di Vienna.
Che se poi queste speranze rimanessero deluse, il re e la nazione sono fermamente risoluti a difenderle fino all'estremo: l'indipendenza del regno e la costituzione, che sono espressioni dei nostri diritti e il più saldo appoggio della legittima monarchia, saranno seppellite sotto le rovine della patria, piuttosto che sottomettersi a un giogo straniero. L'esempio dell'eroica resistenza degli Spagnoli contro Napoleone accrescerebbe il nostro coraggio e se le notizie che la corte di Vienna riceve sulle cose di Napoli sono veritiere conoscerà, non essere esagerate queste parole".


L'Austria non rispose alla nota del duca di Campochiaro e continuò a far preparativi per una spedizione. Fu allora che la Francia, allo scopo di far fallire la spedizione austriaca che avrebbe accresciuta la potenza dell'imperatore nella penisola, propose un congresso delle cinque grandi potenze d'Europa per discutere delle cose di Napoli. Il Congresso avvenne a Troppau. Qui si riunirono il 23 ottobre 1840 l'imperatore FRANCESCO I con il suo ministro principe di METTERNICH, lo zar ALESSANDRO con il suo ministro conte di Capodistria, FEDERICO GUGLIELMO III di Prussia con i suoi ministri HERDENBERG e BERSORTORFF, il Visconte La VERRONAYS e il Conte CARAMEN rappresentanti della Francia, e LORD STEWART rappresentante dell'Inghilterra.

Il METTERNICH propose che di intervenire nel Regno delle Due Sicilie per abbattere la costituzione e la Prussia aderì alla proposta; la Francia e lo Zar invece avrebbero voluto che i Napoletani apportassero dei cambiamenti alla costituzione; l'Inghilterra dal canto suo si mostrava contraria ad ogni intervento negli affari interni di uno stato.
Ma il Metternich non si diede per vinto; traendo occasione dalle discussione ostili alla Russia della Dieta di Varsavia, dalla rivolta del Portogallo e dall'ammutinamento, avvenuto a Pietroburgo, della Guardia, trasse dalla sua parte lo Zar e formò così un blocco con l'Austria, la Prussia e la Russia, i cui rappresentanti, il 13 novembre, sottoscrissero il seguente Protocollo:

"Uno Stato appartenente all'Alleanza europea, il cui interno organismo fu sconvolto da moti rivoluzionari, cessa per questo fatto di esser membro di questa Alleanza, e ne è escluso fino al giorno in cui darà garanzia che l'ordine sia solidamente ristabilito. Le Potenze alleate si obbligano ad opporre il loro veto alle riforme illegali. Per ricondurre in seno all'Alleanza gli Stati in cui queste riforme illegali avvenissero, le Potenze proporranno prima, misure conciliative e poi, occorrendo, anche repressive. Questa linea di condotta dovrà ora applicarsi al Regno delle Due Sicilie".

Questo protocollo fu comunicato ai rappresentanti della Francia e dell'Inghilterra perché vi aderissero, ma e due Potenze, dopo averlo mandato ai propri governi, questi rifiutarono di sottoscriverlo e protestarono contro queste decisioni. Anche il governo spagnolo, che non era stato invitato al congresso, protestò sia contro l'esclusione sia per le deliberazioni prese a Troppau. Il METTERNICH, fingendo di volere sperimentare le misure conciliative di cui di faceva parola nel Protocollo, indusse i tre sovrani d'Austria, di Russia e di Prussia a invitare il re di Napoli, a un nuovo congresso da tenersi il prossimo gennaio 1821 a Lubiana.
Tre lettere autografe partirono alla volta di Napoli il 22 novembre; quella inviata a FRANCESCO I così terminava:
"La vostra presenza, o Sire, affretterà, ne siamo certi, una riconciliazione resa ormai indispensabile. In nome appunto dei più vitali interessi del vostro regno, ed usando quella benevola sollecitudine che crediamo aver già dato più di una prova alla M. V., noi la invitiamo che venga da noi a ricevere nuove testimonianze dell'amicizia nostra e di quella lealtà che è fondamento massimo della nostra politica".

Inoltre i rappresentanti dell'Austria, della Russia e della Prussia a Napoli furono incaricati di comunicare al duca di Campochiaro le deliberazioni del Congresso di Troppau e nel medesimo tempo ammonirlo che ogni Napoletano sarebbe stato responsabile della sicurezza del re e della sua famiglia. L'8 dicembre, infine, per mezzo di una nota circolare rendevano noto alle potenze europee quanto era stato stabilito a Troppau. In questa nota, fra le altre cose, era detto:

"Le potenze hanno esercitato un diritto incontestabile, concertando fra loro i provvedimenti di sicurezza contro gli Stati nei quali una violenta mutazione di governo, fosse pure considerata soltanto come un esempio pericoloso, doveva avere per risultato un'attitudine ostile a tutti i governi e alle costituzioni legittime. L'esercitare questo diritto diventava una necessità molto urgente, dato che coloro che erano posti in tale condizione rischiavano di comunicare ai loro vicini il male e di propagare all'intorno la ribellione e la confusione. In questa condotta c'è un'infrazione evidente del patto che garantisce a tutti i governi d'Europa l'inviolabilità del loro territorio, il godimento di pacifiche relazioni che escludano ogni reciproca diminuzione dei loro diritti .... Il sistema seguito dall'Austria, dalla Prussia e dalla Russia non ha nulla di nuovo; ma è fondato su quelle massime quando si sono conclusi i trattati che hanno costituito l'alleanza degli Stati europei. L'unione intima fra le corti che sono al centro di questa alleanza non può che acquistare in tale forma più forza e durata. L'alleanza sarà consolidata con gli stessi modi usati per formare le potenze alle quali essa deve la sua origine, e che l'hanno fatta seguire a poco a poco da tutte le altre che si sono convinte dell'utilità sua sempre più indubitabile. Del resto non v'è bisogno di provare altrimenti che né desiderio di conquista né pretesa di offendere l'indipendenza d'altri governi nella loro interna amministrazione né disegno di impedire riforme sagge, liberamente fatte e convenienti al vero interesse dei popoli, non hanno alcuna parte nelle risoluzioni delle potenze; le quali non desiderano nulla più che conservare la pace, liberare l'Europa dal flagello della rivoluzione, e allontanare o abbreviare, finché possibile, i mali risultanti dalla violazione di tutti i principi dell'ordine e della morale. In tale stato, essendo le cose in ricompensa dei loro sforzi e delle loro cure, i monarchi alleati credono di potere sperare unanime approvazione del mondo".

Ferdinando I, si prepara a partire per il Congresso di Lubiana
gli avvenimenti che seguono fanno appunto parte
del prossimo (abbondante) riassunto
che contiene anche l'intera situazione europea...

Lubiana - Gli Austriaci in Italia - anno 1821 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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