ANNO 1912

LA GUERRA TURCA (di LIBIA) VERSO LA FINE

I "NEGOZIATI" - I "TRATTATI"

PRESA DI LEBDA - BATTAGLIA DI ZANZUR - SBARCO A MISURATA - BATTAGLIA DI SIDI-SAID - OCCUPAZIONE DI MISURATA - SIDI-ALÌ - L'AVANZATA NEL GARIAN - IL RAID DEI DARDANELLI - KASR EL-LEBEN - BOMBA - I NEGOZIATI ITALO-TURCHI DI OUCHY - IL FIRMATO DEL SULTANO E IL DECRETO DEL RE D'ITALIA - IL TRATTATO DI PACE DI OUCHY (LOSANNA)
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PRESA DI LEBDA - BATTAGLIA DI ZANZUR

SBARCO A MISURATA - BATTAGLIA DI SIDI-SAID

Mentre venivano occupate dalla flotta le isole nell'Egeo, non conoscevano soste nello stesso mese di maggio le altre azioni di guerra in Libia. La mattina del 2 maggio 1912, due colonne italiane, partite da Homs, occuparono dopo un duro combattimento Lebda mentre il maggiore ANTONINO DI GIORGIO dai forti del Mergheb eseguiva una brillante sortita verso il sud impegnando e trattenendo numerosi nuclei nemici pronti a correre in aiuto dei Turco-arabi di Lebda; invano perché nella notte successiva, il nemico, che era tornato all'assalto delle posizioni perdute, fu respinto. Altri attacchi nemici furono sferrati nella zona di Lebda il 3 e il 25 maggio, ma anche questi furono respinti.

Il 3 maggio il battaglione italo-eritreo e il 3° battaglione del 60° Fanteria sconfissero oltre 3000 Arabo-turchi a Bu Chamez, facendone strage e conquistando armi, munizioni e viveri. Il 10 maggio lo stesso battaglione eritreo piombò sopra una carovana di 4000 cammelli che da Ben Gardane si dirigeva verso l'interno e riuscì in gran parte a catturarla; il 13 una colonna mista di ascari, fanti e bersaglieri si spinse fino al confine tunisino e sostituì il cartello indicatore che recava il nome di Turchia con un altro su cui stava scritto Italia.
Scontri di varia importanza avvennero il 13 e il 27 a Tobruck e il 21 ad Ain-Zara.
Importanti azioni si svolsero in giugno. Degno di ricordo il combattimento di Zanzur dell'8 giugno, svoltosi sotto la direzione del generale FRUGONI. Alla divisione Camerana (brigata Giardina: 6° e 40° fanteria e una compagnia di guardie di Finanza; brigata Raynaldi: 82° e 84° fanteria, due batterie da montagna, tre batterie scudate, e una compagnia zappatori) fu commessa la distruzione delle trincee nemiche di Zanzur e la conquista della collina di Abd-el-Gilil. Alle 7.30 del mattino, sostenuta dal fuoco della Carlo Alberto, dopo accanito combattimento la brigata Giardina con elementi della Raynaldi s'impadronì di Abd-el Gilil e un'ora dopo espugnò alla baionetta tutto il sistema di difesa ad ovest del marabuto. Il resto della brigata Raynaldi prima fronteggiò bravamente nuclei nemici provenienti da sud, poi, essendo questi cresciuti di numero ed avendo rioccupati alcuni trinceramenti, li assalì all'arma bianca sloggiandoli dalla posizione e ponendoli in disordinata fuga. Una colonna di riserva comandata dal generale COARDI di CARPENETO e composta di una brigata di cavalleria, del 37° fanteria, del battaglione eritreo, di un nucleo, di menaristi appiedati e dalla batteria da montagna Baseggio, respinse un violento attacco arabo-turco che aveva lo scopo di aggirare la sinistra della divisione Camerana.

Coardi fu validamente aiutato da una seconda riserva agli ordini del generale DE CHAURAND la quale era costituita dalla brigata Montuori (2 battaglioni del 50°, uno del 23°, uno misto del 18° e 93°) da un battaglione del 63° e dalla batteria da montagna Zoppi.

"Alla battaglia di Zanzur - "scrisse nel suo rapporto il generale FRUGONI" - presero parte 19 battaglioni di fanteria, 1 compagnia delle guardie di finanza, 1 compagnia di zappatori del genio, 8 squadroni, 4 batterie da montagna, 3 da campagna, scudate, 2 batterie da 75 A delle ridotte di Gargaresch, 1 batteria di cannoni da 149 ed una sezione di mortai da 210. In totale: 13.494 fucili, 12 mitragliatrici, 50 cannoni. Tutte queste forze, meno 2 battaglioni del 37°, presero parte effettiva alla battaglia.
Parteciparono del nemico le "mehalle" di Zanzur, quelle di Suani-Ben-Adem, di Fonduk Ben-Gascir e di Bir-Tobras; più le "mehalle" di Azizia e una parte dei combattenti di Nuail, in complesso oltre 14.000 uomini. Le perdite dei nostri ascesero a morti: 1 ufficiale, 28 uomini di truppa, 10 ascari; feriti: 13 ufficiali, 203 uomini di truppa e 75 ascari. Complessivamente dunque 330 uomini. Da parte del nemico fino ad oggi (20 giugno 1912) furono ritrovati 1130 cadaveri. Ma i morti debbono raggiungere per certo 2000, dato che in principio della battaglia molti caduti furono asportati dai luoghi della mischia, e che molti morirono lungo la strada nell'affannosa ritirata. Le informazioni poi che si hanno sui feriti sono concordi nello stabilire il loro numero in una cifra molto rilevante. Sembra che una gran parte di essa sia stata trasportata ad Azizia".

"Un altro grosso combattimento fu quello svoltosi a Lebda. La notte dall'11 al 12 giugno, circa 5000 arabi sostenuti da nuclei ottomani e preceduti da contingenti dei bellicosi Orfella assalirono con grande violenza la linea delle ridottine dei monticelli di Lebda e riuscirono nel primo impeto a conquistare la ridotta Gazzani, dove si era ritirato il nostro esiguo presidio. Ma in tutto il resto della linea l'assalto nemico si infranse davanti alla magnifica resistenza dei nostri, che passati all'offensiva, riconquistarono la ridotta, mentre una colonna di riserva, uscita da Homs, assaliva di fianco e da tergo gli Arabo-turchi sgominandoli. I nemici subirono in quel combattimento 1300 morti e un numero non precisato, ma certo grande, di feriti; noi 2 ufficiali e 29 uomini di truppa uccisi; 2 ufficiali e 57 uomini di truppa feriti.

"La notte del 15 giugno un corpo di spedizione al comando del generale CAMERANA, scortato da navi della divisione Borea-Ricci si presentava dinanzi a Misurata e all'alba del 16 metteva a terra una colonna di marinai e fanti comandata dal generale FARA, il quale occupava il colle di Zuruk, il marabuto di Bu-Sceifa e la vicina oasi, rafforzandovisi e respingendo parecchi attacchi con l'aiuto dei cannoni della "Re Umberto.
Il 19 giugno, la brigata del generale BONINI (68 fanteria, 2 battaglioni del 79°, due batterie da campagna, due squadroni di cavalleria, la banda del Barca, nuclei di ascari e drappelli di savari), facendo una ricognizione nell'oasi di Suani Osman, fu attaccata da numerose forze nemiche; dopo alcune ore di vivo combattimento, i beduini furono messi in fuga e i nostri poterono ritornare indisturbati a Bengasi.

"Le ultime operazioni del giugno furono quelle che condussero all'occupazione di Sidi-Said, presso il confine tunisimo, dove i nostri tenevano Bu-Kamech, Macabez e Forwa.
Il 26 giugno il generale LEQUIO, che comandava il campo trincerato di Macabez, con un battaglione del l° granatieri, l'11° bersaglieri, una batteria scudata e una compagnia del genio, avanzò per un tratto di 3 chilometri e costruì una ridotta campale, dove lasciò un battaglione di bersaglieri, la batteria e una sezione di obici da 149.
Il 27 giugno fu operato un secondo e più importante balzo: il colonnello CAVACIOCCHI, uscito dal campo di Bu-Kamech con due battaglioni del 60° fanteria, uno del 2° granatieri, due dell'11° bersaglieri, il 6° e il 7° battaglione eritreo, una compagnia ciclisti, un reparto di meharisti, una batteria da 149. una scudata e due da montagna, espugnò l'altura del Guado e una linea di collinette prospicenti Sidi-Said e vi si rafforzò.
Il 28 giugno, infine, tutte le truppe mobili disponibili divise in due gruppi, comandati rispettivamente dal generale LEQUO e dal colonnello CAVACIOCCHI, mossero all'attacco delle posizioni nemiche di Sidi-Said, che dopo un accanito combattimento furono espugnate dalla colonna Lequio mentre la colonna Cavaciocchi eseguiva una vigorosa azione dimostrativa contro l'altura, di Ras el-Ma.
Le nostre perdite delle tre giornate furono di 1 ufficiale e di 40 uomini di truppa morti, e di 2 ufficiali e di 196 uomini di truppa feriti; le perdite del nemico furono di più di 700 morti abbandonati sul campo oltre un numero grandissimo di feriti. Perfetto fu l'accordo di tutte le armi durante l'azione".

"Frutto tangibile di questa mirabile concordia di sforzi - scrisse nel suo rapporto il generale Garioni, che ideò e diresse la battaglia - è ora il possesso di una importante posizione sulla via di Zelten e di Zuara; l'incontrastato dominio nostro per circa 40 chilometri di costa del confine tunisino a Sidi-Said ed alla linea delle "sebke" ed infine l'affidamento che da queste inospitali spiagge si possa portare sempre più valido ed efficace contributo alla fortuna finale della campagna".


OCCUPAZIONE DI MISURATA - SIDI-ALI'
L'AVANZATA NEL GHERAN
IL RAI DEI DARDANELLI

Anche nel successivo luglio si svolsero importanti operazioni di guerra.
Il giorno 8 fu occupata, Misurata e quel giorno stesso il generale CAMERANA diramava per telegrafo la seguente relazione-comunicato:

"Oggi alle ore 7-7.30, un mese preciso dal giorno della battaglia di Zanzur, al grido di Viva l'Italia, erompente dal cuore delle nostre gloriose truppe acclamanti, veniva issata la bandiera nazionale sul castello di Misurata.
Stamane alle ore 4, tutte le truppe disponibili muovevano all'attacco. Mentre le navi sorvegliavano la costa dal capo Zuruk a Zoriak, con azioni dimostrative a Bu-Sceifa, e ad Agesira, la nostra ala destra, dalle alture costiere aspre e insidiose, doveva avvolgere la sinistra del nemico, mentre al centro il grosso avanzava su terreno scoperto e la cavalleria proteggeva il fianco sinistro, vigilando le provenienze dal deserto. Il combattimento si accese subito vivacissimo. Tutta l'artiglieria disponibile entrò ben presto in azione, fulminando con i suoi tiri efficacissimi i trinceramenti avversari. Il nemico, fortemente trincerato lungo il margine orientale di Misurata, fece accanita resistenza. Ma né i suoi fuochi nutritissimi né la sua tenacia valsero ad arrestare l'irrompente attacco e lo slancio delle nostre truppe. Il combattimento prese subito le proporzioni di una vera e grande battaglia. L'ala destra si trovò più aspramente impegnata sul terreno scoperto, ma rincalzata da un battaglione di bersaglieri, si spinse con irresistibile slancio fin oltre il fianco nemico avvolgendolo fino alle spalle con le baionette alle reni. In nemico da quella parte alle ore 10 fu posto in piena fuga.
Verso la sua destra il nemico, avvalendosi del terreno insidiosissimo dell'oasi, si ritrasse con successiva: ostinata resistenza. Fu soltanto dopo la presa del villaggio di Sidi Zuruk, avvenuta a viva forza con ripetuti attacchi alla baionetta, che, benché difficilissima, la nostra avanzata poté essere proseguita sino a Misurata dove, al nostro giungere il nemico continuava la sua fuga precipitosa verso l'interno. Il nemico ha seminato dei suoi morti il terreno della battaglia. A molte centinaia assommavano le sue perdite ma non ancora accertate. Da parte nostra si ebbero 9 morti e 121 feriti dei quali 4 ascari".

"Presero parte alla battaglia il 35°, il 63° e il 50° fanteria, un battaglione del 40°, i battaglioni alpini Mondovì e Verona, una compagnia del 5° ascari, 1 squadrone dei cavalleggeri Lucca e alcune batterie da montagna e da campagna. Comandavano le varie colonne il generale FARA e i colonnelli PETITTI di RORETO e VILLA FALLETTO.

"La mattina del 14 luglio fu conquistata l'altura di Sidi-Alì, a, sei chilometri ad oriente da Sidi-Said. L'azione, predisposta dal generale GARIONI, fu eseguita dal generale LEQUIO con la seguenti truppe: 11° reggimento bersaglieri, 1° battaglione Granatieri, 28° battaglione bersaglieri, 6° battaglione eritreo, batteria 906 Bono, batteria da montagna Gennarelli, compagnia del genio Galdi. Costituirono la riserva, che rimase agli ordini del maggior generale CAVACIOCCHI e con qualche reparto partecipò all'azione, le truppe seguenti: due battaglioni del 60° Fanteria, 7° battaglione eritreo e la batteria da montagna Mantovani. La resistenza del nemico fu accanita; alle 6,15 la nostra bandiera sventolava sul marabuto di Sidi-Alì. Le nostre perdite furono: 1 ufficiale e 15 uomini di truppa morti, 6 ufficiali e 67 uomini di truppa feriti; il nemico ebbe oltre mezzo migliaio di morti e un numero imprecisato ma grande di feriti.
Per disperdere i numerosi nuclei arabo-turchi che minacciosi stavano scaglionati a cavallo della strada fra Misurata e Sliten, fino oltre Zeira e nei dintorni del Gheran e di Rumelah, il 20 luglio il generale FARA eseguì una ricognizione offensiva, cui parteciparono il 50° e il 63° Fanteria, una compagnia d'ascari e due batterie da montagna. La colonna, partita da Misurata alle 4 era di ritorno a mezzogiorno, dopo avere sostenuto un vigoroso combattimento con il nemico, che con gravissime perdite era stato costretto a ritirarsi nell'oasi di Gheran. Noi avemmo 1 ufficiale e 15 uomini di truppa morti, 5 ufficiali e 98 uomini di truppa feriti".

IL RAID DEI DARDANELLI

La più importante azione del luglio 1912 e certo la più audace di tutta la guerra italo-turca fu il raid dei Dardanelli, eseguito da cinque piccole torpediniere comandate dal capitano di vascello ENRICO MILLO, succeduto nel comando delle siluranti al DUCA degli ABRUZZI promosso contrammiraglio, raid che aveva come scopo di forzare i Dardanelli, ritenuti fino allora inviolabili, di raggiungere la flotta turca ormeggiata a Nagara e di silurarla.
Le navi che parteciparono all'audacissima scorreria furono le torpediniere Spica, comandata dal tenente di VASCELLO UMBERTO BUCCI che aveva con sé i sottotenenti PANUNZIO e CARASSO e il tenente macchinista DE LEONARDO, la Climene (ten. di vascello CARLO FENZI, sottoten. MONTELLA e LUZZI, ten. macch. CHILLEMI), la Perseo (ten. di vascello GIUSEPPE SIRIANNI, sott. COMMERSATTI e PITTALUGA e sott. macch. BOSCARO); l'Astore (ten. di vascello STANISLAO di SOMMA, sottotenenti TOSCANO e PARDO, sottoten. macch. FEDELE) e la Centauro (ten. di vascello ITALO MORENO, sottotenenti DELLA ROCCA e ROSSINI, ten. macch. PICCIARDI.). Erano cinque torpediniere d'alto mare, di un tonnellaggio di poco superiore alle 200 tonnellate, che avevano una velocità di 24 nodi, un raggio d'azione di circa 2000 miglia ed erano armate di tre cannoni da 47 mill. e di 3 tubi lanciasiluro.
Riportiamo la relazione inviata dallo stesso comandante MILLO al viceammiraglio VIALE:

"II giorno 14 luglio, alle 4 antimeridiane, in seguito agli ordini ricevuti, lasciai Stampalia con la "Pisani, i cacciatorpedinieri Borea e Nembo e le torpediniere di alto mare Spica, Centauro, Astore, Climene e Perseo, dirigendo per la baia di Parthani nell'isola di Leros. Qui disposi lo sbarco dalle siluranti del materiale non strettamente necessario. Comunicai che a suo tempo sarei trasbordato sulla Spica per condurre personalmente la ricognizione, mentre la Pisani, sulla quale era imbarcato il comandante MARZOLO per sostituirmi temporaneamente, con i cacciatorpediniere Nembo e Borea avrebbe aiutato l'impresa accompagnando all'imboccatura le torpediniere. I due cacciatorpediniere avrebbero dovuto eventualmente eseguire delle esterne dimostrazioni durante l'azione interna. Il tempo cattivo mi obbligò a rimanere a Parthani fino al tramonto del giorno 17, accennando a migliorare, lasciai quell'ancoraggio dirigendomi a Strati e compiendo la navigazione di notte a luci oscurate in modo da tenere l'operazione per quanto possibile nascosta. Ho scelto Strati perché non collegata in alcun modo con altre isole, perché poco abitata e fuori di ogni linea battuta dai piroscafi e perché mi è sembrata l'unica isola che potesse essere utilizzata per rimanervi per qualche ora nascosto
alla fonda ad attendervi la sera per muovere poi ai Dardanelli.
Lemnos, Imbros, Tenedos Metellino avrebbero certamente corrisposto meglio allo scopo perché più vicine al luogo dell'azione, ma non davano nessuna sicurezza che i nostri movimenti non fossero otticamente segnalati al nemico che occorreva invece sorprendere, per cui la scelta non poteva cadere che su Strati.
A Strati le siluranti nel giorno 18 dal pomeriggio al tramonto fecero riposare gli equipaggi, pulire i forni e tutto predisposero per la ricognizione. Poco prima della partenza da Strati trasbordai personalmente dalla Pisani sulla Spica assumendo così il comando diretto della squadriglia di alto mare destinata ad operare e lasciando quello della Pisani e dei due cacciatorpediniere al comandante MARZOLO.
La Pisani, secondo gli accordi presi, mosse da Strati alle ore 18 del giorno 18, alla velocità di 12 miglia, seguita dalla squadriglia al mio comando e dalla sezione dei cacciatorpediniere. Il tempo era buono e calmo il mare. Una leggera foschia all'orizzonte induceva a ritenere che dalle lontane isole di Lemnos, Imbros e Tenedos non ci avrebbero scorti, sicché, con rotte appropriate navigammo per essere alle 23.30 nel punto stabilito. Avviandoci ai Dardanelli si scoprirono i proiettori della difesa esterna in azione a Capo Elles e a Kum-Kalè i quali ci permisero di identificare l'apertura dello stretto dove contavo di entrare, come avvenne, dopo la mezzanotte.

"Lasciata alle 23.30 la Pisani nel punto anzidetto ho, con la squadriglia di alto mare, diretto per imboccare i Dardanelli a 12 miglia di velocità, e per passare possibilmente inosservato ho ordinato la linea di fila (Spica, Perseo, Astore, Climene, Centauro). Constatata poco dopo una corrente contraria di due miglia, aumentai la velocità a 1.5. Il proiettore di Kum-Kalè teneva il fascio fisso che attraversammo senza essere scoperti. Quelli di Elles invece esploravano e ne avevano già oltrepassato il traverso quando quello più interno si fissò sull'Astore che era il n. 3 seguendolo per qualche minuto. Facevamo allora rotta per il levante.
"Fu allora alle 0.40 circa, che il Capo Elles, con un colpo di cannone e un razzo diede l'allarme, che fu ripetuto lungo lo stretto con segnali luminosi. All'allarme seguirono vari colpi di cannone. I proiettili caddero nelle acque della squadriglia. Poiché la difesa apparve fiacca, decisi di continuare la ricognizione e avanzare nello stretto per poi decidere il da farsi a seconda della distanza e aumentata la velocità a 20 miglia diressi a prolungare molto da vicino la costa d'Europa per evitare la zona di mare minata. Erano nel contempo entrati in azione numerosi proiettori che successivamente furono identificati come segue: Foci dello Smandara; Teken; Kilid-Bahr; Cianal; batteria Mejdieh fra Cianak e Nagara; altri due a nord est di Kilid Bahr, oltre a quelli delle navi che scorgemmo in azione solo quando fummo nei pressi di Cianak.

"Il fuoco nemico era allora cessato, ma i segnali luminosi indugiavano lungo le alture e annunziavano una prossima ripresa in basso quando saremmo giunti nel campo di tiro di altre batterie. Prolungando la costa d'Europa ad alta velocità scoprii ad un tratto il proiettore di Smandara; che fino allora si vedeva solo il fascio di luce. Ne passammo in brevissima distanza, sicché, non ci poté illuminare al traverso, per la troppa depressione, ma solo dopo, quando riuscì a presentarsi in direzione della vallata dove scorre il piccolo torrente.
Ho visto personalmente le braccia dell'uomo che in maniche di camicia manovrava il proiettore e perfino udito il comando che doveva essere quello di attenti della batteria situata a ridosso nella vallata perché poco dopo la Spica fu investita a breve distanza da una scarica di cannoni di piccolo calibro, scarica che ne perforò il fumaiolo in più punti.
Il proiettore di Smandara mi permise di costatare che la squadriglia navigava in ordinata linea di fila a distanza serrata e che nonostante il fuoco nemico che successivamente investiva le siluranti, i comandanti conducevano bravamente la loro unità in precisa formazione.

"Proseguendo fummo oggetto di tiri da parte di moschetteria e di altre batterie delle quali non posso precisare l'ubicazione perché i numerosi proiettori nel cui campo entravamo concentravano tutti i loro fasci sulla Spica che per prima risbucava lungo la costa e avanzava, rapidamente, alla velocità di 23 miglia.
Riconobbi in tale tratto i proiettori delle navi nemiche a Nagara (mi sono parsi sette) in funzione e gli altri costieri di cui ho fatto cenno, nonché quello dell'incrociatore Potenky-Schevket. Dalla fonda subito a nord di Cianak le batterie continuavano il fuoco e lo aprivano a mano a mano che avanzavamo e lo specchio d'acqua di prua appariva completamente illuminato come in pieno giorno. La Spica è arrivata così a grande velocità alla punta di Kilid-Bahr, accostando rapidamente dai due lati per non permettere al nemico un tiro efficace e io osservavo un tiro di una batteria nemica che trovasi a Kilid-Bahr nascosta a chi viene da sud e col campo di tiro verso levante, molto bassa, quando la torpediniera su cui ero (Spica) rallentò rapidamente e si fermò in pochi metri mentre le eliche si arrestavano di colpo. Il comandante della Spica (primo tenente BUCCI) subito manovrò molto arditamente per liberarsi riuscendovi dopo appena due o tre minuti, e rimise quindi subito a tutta forza le due macchine. Ciò accadeva in corrispondenza alla linea di tiro che limita a nord lo sbarramento di torpedini e corre all'incirca da Kilid Bahr a Cianak quando cioè si scoprivano i riflettori delle navi a Nagara e pertanto presso il punto più ad est di Kilid Bahr a poche decine di metri da esso.

"Considerato il modo brusco del fermo della Spica e l'arresto delle due eliche, sono indotto a credere che abbia investito dei cavi di acciaio o altro materiale da ostruzione, ma dal quale con sperata fortuna riuscì a liberarsi. L'arresto della torpediniera sulla quale mi trovavo mi permise di osservare bene lo specchio d'acqua a nord della congiungente Kilidi Bahr-Cianak, il quale, era tutto illuminato molto bene dai numerosi proiettori nemici. La batteria di Kilid Bahr a tiro rapido aveva intanto aperto il fuoco sistematico, simultaneo per zone a salve con alzi crescenti, intesi a colpire qualunque galleggiante fosse passato presso la punta come era necessario fare per evitare gli sbarramenti.

In simili condizioni, raggiunto lo scopo della ricognizione ordinatimi, con nessuna probabilità di arrivare a silurare il nemico, con la certezza che le torpediniere al mio comando sarebbero state successivamente investite e distrutte dai proiettili nemici sparati a brevissima distanza e non una avrebbe potuto proseguire verso le navi, poiché la squadriglia era ancora intatta e le navi nemiche a due miglia più a nord, ho allora giudicato inutile il sacrificio di uomini e di torpediniere per proseguire senza alcuna speranza e probabilità di successo e ritenni mio dovere di arrestare la ricognizione e di retrocedere. Liberatasi, come ho detto, fortunatamente la Spica, ho ordinato perciò la ritirata a sud senza soggezione di numerazione accostando a diritta con tutta la barra. La squadriglia entrò tutta così nella zona minata, prendendo la via del ritorno sotto il fuoco di tutte le batterie costiere e della flotta e illuminata dai numerosi proiettori. Ed è alla valentia e all'arditezza dei comandanti che io debbo se non avvennero investimenti tra le varie unità in così difficile frangente. La Spica, rimessa a tutta forza, ho da questa diretto la squadriglia per uscire dalla zona minata e prolungare la costa di Europa. In un tratto diventammo nuovamente bersaglio ai tiri delle varie batterie, ma specialmente di quella della foce dello Smandara. Non avevamo però che proiettori al traverso e a poppavia sicché ogni silurante con opportune accostate riuscì ad evitare che il nemico potesse colpirla, pur continuando ognuno a mantenere alta velocità e le rotte per uscire dallo stretto.

"Nel tratto a sud e a sud est di Smandara il fuoco nemico cessò per un certo tratto e con la Spica in testa diressi per passare fra Kum-Kalè e Capo Elles dove la difesa sembrava essere in nostra attesa. I proiettori di Kum Kalè e di Capo Elles erano rivolti all'interno e frequenti segnali luminosi indicavano il nostro approssimare.
La squadriglia lanciata alla massima velocità, dapprima in linea di fila, poi senza formazione per le accostate di ogni silurante, intese a sfuggire i fasci dei proiettori e ad evitare la regolarizzazione del tiro nemico, ha felicemente e senza danni sensibili attraversato anche la zona di tiro delle batterie del passo esterno (Kum Kalè e Capo Elles) mantenendosi unita. II fuoco nemico era a salve di cannoni di piccolo e medio calibro e mi è parso anch'esso, per la regolarità osservata nei punti di caduta, con punteria preparata. Poi si unirono anche i cannoni di grosso calibro, i cui proiettili caddero a breve distanza dalla Spica. Il fuoco di Capo Elles era molto più vivo di quello di Kum Kalè e il nemico faceva gran consumo di munizioni dirigendo però male il suo tiro, mentre i proiettori riuscivano a tenerci a lungo sotto la loro azione e apparivano ben manovrati.

Oltrepassata la congiungente Capo Elles-Kum Kalè, avvistai la sezione dei cacciatorpedinieri e con essa mi ricongiunsi alla Pisani sulla quale presi imbarco proseguendo per Stampalia. Le avarie riportate dalle cinque torpediniere per il fuoco nemico sono di nessuna entità e si riassumono come segue: Spica, alcuni colpi al fumaiolo, uno da 70 millimetri, gli altri di minor calibro. I proiettili non sono esplosi. Astore, due colpi di piccolo calibro nello scafo, uno da 57 millimetri circa, gli altri nelle soprastrutture e nel materiale di coperta. Perseo, una diecina di colpi da 25 millimetri in coperta e nello scafo, le altre siluranti nulla. Nessun ferito e nessun morto. La ricognizione ha avuto importantissimi risultati per stabilire quali sono le condizioni della difesa dei Dardanelli.

"Conclusione: Fin da quando fu decisa l'azione e comunicai a Leros ai comandanti come intendevo svolgerla, constatai subito l'elevata preparazione morale e professionale di ognuno di essi e recatomi poscia sulle siluranti, anche l'alto sentimento del dovere che animava tutti, ufficiali e bassa forza, sicché ne ebbi grande conforto per l'ardua missione da compiere. Tutto il detto personale posto sotto i miei ordini, sotto il vivo fuoco nemico si è condotto come meglio io non avrei potuto desiderare. E un particolare cenno meritano i sottotenenti di vascello che da poche ore sulle siluranti sono stati al fuoco con giovanile baldanza, e i direttori di macchina con il personale da loro dipendente, i quali hanno condotto gli apparati motori, alcuni dei quali da tanto tempo in servizio, in modo perfetto, sviluppando elevate velocità senza andare incontro ad alcuna avaria.
Nei pressi dello Smandara il proiettore nemico mi permise di scorgere l'intera squadriglia che mi seguiva a 22 miglia di velocità in formazione serrata come se sotto il fuoco nemico muovesse in parata. Allora ho sentito l'alto valore di ciascuna unità e la parola "bravo" mi è uscita spontanea dalle labbra. L'essersi potuta la Spica liberare quando era impigliata a Kilid Bahr e l'avere potuto riprendere il suo posto nonostante l'accartocciamento delle eliche è titolo d'onore per il suo comandante e per il suo personale di macchina. E' da ascriversi a grande fortuna che non sia rimasta là, a colare a picco, come avevo già pensato di ordinare, ma spingersi oltre Kilid Bahr a vedere le condizioni di difesa del nemico, e a costatarla da vicino. Una volta raggiunto lo scopo della ricognizione, voler proseguire era andare incontro ad inutile sacrificio senza alcuna speranza di silurare il nemico.
Non ci è venuto meno l'animo e solo l'esatta constatazione delle condizioni del nemico mi è stata di guida nella decisione presa".

OCCUPAZIONE DI ZUARA E DI SIDI ABD EL-SAMAD

IL RITORNO DEL GENERALE CANEVA

CONQUISTA DI CASR EL - LEBEN E DI ZANZUR
LO SBARCO A BOMBA - L'AVANZATA NELLA ZONA DI DERNA

Nel mese d'agosto le operazioni di guerra in Libia proseguirono intensamente. A Derna, dove il nemico si era nel luglio mostrato attivissimo assalendo la ridotta Lombardia e bombardando quotidianamente, se pur inutilmente, la città, al generale TROMBI fu sostituito il generale TASSONI, che subito chiese ed ottenne nuove truppe e nuove artiglierie.
Il 5 agosto, due colonne, comandate dai generali LEQUIO e CAVACIOCCHI partite da Sidi Said e da Forwa, e una colonna agli ordini del generale TASSONI proveniente da Siracusa e sbarcata quel giorno stesso con il sostegno delle navi Sicilia, Sardegna, Re Umberto e Carlo Alberto comandate dal viceammiraglio RICCI BOREA, occuparono Zuara.
Il 15 agosto fu la volta di Sidi Abd el-Samad, ad otto chilometri da Zuara, verso l'interno. L'azione fu diretta dal generale GARIONI, e come abili esecutori del suo piano i generali LEQUIO, CAVACIOCCHI e TASSONI.

Il Lequio, con una colonna formata dell'11° bersaglieri, del 28° battaglione bersaglieri, di alcuni reparti del l° e 2° granatieri, di una compagnia del genio, delle Guide, del 6° e 7° ascari e di reparti del 60° fanteria, s'impadronì al mattino, senza fatica, dell'altura di Sidi el-Samad, mettendo in fuga i Turco-arabi che la difendevano. Questi dalle oasi di Regdaline e di Gemel, dove si erano rifugiati, ritornarono in forze maggiori, più tardi, al contrattacco; ma prima furono trattenuti dagli Ascari, dalle Guide e dai bersaglieri del 28° battaglione, poi assaliti ed accerchiati dalla colonna Tassoni e bersagliati dalle nostre artiglierie infine, dopo quattordici ore di accanito combattimento, sconfitti e inseguiti fino a Regdaline.

Scontri di varia entità ci furono nell'ultima settimana di agosto nelle zone di Bengasi e di Homs. Il 30 agosto gli Arabo-turchi, comandati da KALIL bey attaccarono dimostrativamente le posizioni italiane a nord ovest di Misurata, a sinistra del villaggio di Iedder, e sferrarono un attacco a fondo a quelle di sud est; ma dopo quattro ore di accanito combattimento furono respinti da alcune compagnie del 63° e del 40° Fanteria, dagli ascari e dai savari del capitano Pisciscelli, che rimase ferito.
Il 28 agosto partiva da Tripoli il generale CANEVA, sostituito interinalmente dal tenente generale OTTAVIO RAGNI, giunto poco prima al posto del generale FRUGONI. Il 2 settembre fu emanato il seguente regio decreto:

"Visto il nostro decreto 9 ottobre 1911, n. 1118, con il quale vengono fissate le attribuzioni del comandante del corpo di spedizione in Tripolitania e Cirenaica..., abbiamo decretato e decretiamo:
1° Il tenente generale CANEVA Cav. CARLO, designato per il comando di un'armata in guerra è esonerato dalla carica di comandante in capo del corpo di spedizione in Tripolitania e Cirenaica.
2° Il tenente generale RAGNI cav. OTTAVIO, comandante di Corpo d'Armata, è nominato comandante del Corpo di occupazione in Tripolitania.
3° - Il tenente generale BRICCOLA cav. OTTAVIO, comandante di divisione, è incaricato del comando del corpo di occupazione in Cirenaica.
4° - Le attribuzioni dei comandanti dei corpi di occupazione in Tripolitania e in Cirenaica sono, per quanto riguarda i rispettivi territori, le medesime che col nostro decreto 8 ottobre n. 1118 sopra citato erano stabilite per il comandante del corpo di spedizione in Tripolitania e in Cirenaica".

Con decreto del 19 settembre CANEVA fu promosso generale d'esercito. In Libia i vari settori furono affidati ai seguenti generali: Tripoli: OTTAVIO RAGNI, FELICE DE CHAURAND, LUCA MONTUORI, MICHELE SALAZAR, MASSIMO TOMMASONI e EDOARDO COARDI di Carpeneto; Zuara: VINCENZO GARIONI, ADOLFO TETTONI, CLEMENTE LEQUIO, ALBERTO CAVACIOCCHI e TULLIO TASSONI; Homs: FRANCESCO MARCHI; Misurata: VITTORIO CAMERANA; Bengasi: OTTAVIO BRICCOLA, ARMANO RICCI ARMANI e MACCAGATTA; Derna: EZIO REISOLI, LUIGI CAPELLO, FRANCESCO DEL BUONO e TOMMASO SALSA; Tobruck: CARLO D'AMICO. Le isole dell'Egeo rimasero sotto il comando del generale GIOVANNI AMEGLIO.

Intanto la guerra non aveva tregua. Il 14 settembre, agevolata abilmente da un'azione dimostrativa contro le posizioni nemiche di Bu-Msafer, ad occidente di Derna, condotta da una colonna agli ordini del generale CAPELLO, si effettuava l'occupazione di Casr el Leben, a 20 chilometri dalla città, per opera di due altre colonne comandate dai generali SALSA e DEL BUONO. Tre giorni dopo le nuove posizioni furono violentemente attaccate da numerose forze arabo-turche guidate da ENVER bey, ma queste, fronteggiate dalle truppe di Del Buono e accerchiate da quelle di Salsa, dopo un sanguinoso combattimento furono completamente sconfitte, lasciando sul terreno circa mezzo migliaio di morti. Gli italiani subirono 61 morti e 113 feriti, di cui 4 morti e 9 feriti tra gli ufficiali.
Scaramucce ci furono durante il mese a Misurata e a Bengasi; un serio attacco fu sferrato dal nemico il 27 al Mergheb; altri scontri avvennero in altre parti della fronte. Ma la più importante azione del settembre fu quella voluta dal generale RAGNI per conquistare l'oasi di Zanzur. Avvenne il 20 settembre e vi parteciparono la brigata Maggiotto, la brigata Salazar, la brigata Tommasoni e la brigata celere Di Carpeneto, composta di 4 squadroni di cavalleggeri Firenze, due di cavalleggeri Lodi, del 2° e 6° battaglioni eritreo, del battaglione ascari tripolini e dell' 11° bersaglieri.
L'artiglieria fu diretta dal generale TETTONI. Il nemico si batté con accanimento, ma fu poi disfatto dall'impeto delle truppe italiane, le quali conquistarono tutte le posizioni fissate con vigorosi assalti alla baionetta. Le perdite furono di 200 fra morti e feriti, fra i quali 2 tenenti colonnelli uccisi ed 1 ferito; quelle del nemico oltrepassarono i 2000 uomini. Ben 12.000 arabi e 1500 turchi presero parte al combattimento.

Il 7 ottobre, protette dalle regie navi Vespucci, Bausan, San Giorgio, truppe italiane sbarcarono a Bomba dai piroscafi Favignana e Vincenzo Florio. Il giorno dopo dalle truppe della divisione di Derna comandate dal generale REISOLI fu iniziata un'azione offensiva sulle posizioni occidentali del nemico. L'azione si svolse in tre giorni: l'8 ottobre, la colonna comandata dal generale SALSA, vincendo la resistenza nemica, scalò l'aspro ciglione che domina il Bu-Msafer ed occupò il pianoro di Timsichè; il 9 ottobre la colonna Salsa proseguì nell'avanzata, superando le aspre difficoltà del terreno e congiungendosi alla colonna CAPELLO, che contemporaneamente si era spinta attraverso l'uadi Bu-Msafer; il 10 le truppe, avanzando verso Bu-Suimara-Envaga ingaggiarono un vivace combattimento con gli Arabo-turchi e, dopo averli sconfitti, andarono a rafforzarsi nelle posizioni raggiunte il giorno precedente.

TRATTATIVE DI PACE (di OUCHY)
I COLLOQUI ITALO-TURCHI DI CAUX E DI OUCHY
FIRMA DEI PRELIMINARI - I FIRMANI DEL SULTANO
II REGIO DECRETO DEL 17 OTTOBRE
IL TRATTATO DI PACE TRA L'ITALIA E LA TURCHIA
L'ORDINE DEL GIORNO DI VITTORIO EMANUELE III

Mentre in Libia si combatteva, in Europa si pensava alla pace. Questa era desiderata dall'Italia, ma ancor più desiderata dalla Turchia, incapace di domare la rivolta dello Iemen e dell'Albania e piuttosto preoccupata dal malumore che serpeggiava nelle sue truppe e dal contegno aggressivo del Montenegro, della Serbia, della Bulgaria e della Grecia. Tutte sul piede di guerra per scrollarsi di dosso i Turchi e tutte intenzionate a conquistarsi l'indipendenza (Austria permettendo!).

Anche le Potenze europee desideravano la fine di questo conflitto, impensierite dal fermento balcanico ma anche dal furore anticristiano dei Turchi.

Gli ambasciatori francesi e austriaci a Costantinopoli cercarono d'indurre il ministro degli Esteri Ottomano ASSIM bey a cedere la Tripolitania al bey di Tunisi e la Cirenaica al Kedivè d'Egitto. Il bey e il Kedivè avrebbero in seguito ceduto le due province all'Italia a condizione però che fosse mantenuta nel paese l'autorità spirituale del sultano.
Assim bey invece propose un altro disegno: La Turchia avrebbe dichiarato indipendenti le due province sotto lo scettro di un bey arabo con il quale l'Italia avrebbe trattato per conseguirvi una posizione simile a quella della Francia in Tunisia.
Naturalmente l'Italia non poteva accettare la proposta del ministro turco, incompatibile con la (già) proclamata sovranità italiana su tutta la Libia, né poteva accogliere, e difatti non accolse, la proposta fatta tramite la Francia all'Italia, che, dimessosi ASSIM bey, accettare come suo successore NORADUGHIAN, che avrebbe poi concesso all'Italia la piena sovranità sulla Tripolitania ma a patto che rinunciasse ad ogni pretesa sulla Cirenaica.

Risultato migliore ottennero i negoziati diretti tra l'Italia e la Turchia, avviati per opera di due noti finanzieri, i commendatori VOLPI e NOGARA, dei quali il primo, in qualità di console serbo a Venezia, aveva libero accesso in Turchia, l'altro continuava a risiedere a Costantinopoli come rappresentante della Banca Commerciale.
Nel giugno del 1912, tornando da Costantinopoli, VOLPI si recò dal presidente del Consiglio GIOLITTI e gli disse che il Governo turco era desideroso di intavolare trattative direttamente con l'Italia.
Giolitti rispose che anche lui desiderava l'accordo e propose che la Porta nominasse delle persone di fiducia per incontrarsi con altri fiduciari del Governo italiano.
Il Governo turco scelse il presidente del Consiglio di Stato SAID HALIM pascià e FERID pascià e indicò come luogo d'incontro Vienna o Lucerna; GIOLITTI scelse l'ex-ministro BERTOLINI, l'on. FUSINATO, consigliere di Stato, e VOLPI, ai quali aggiunse come consulente NOGARA, e propose per l'incontro la città di Losanna.
I colloqui cominciarono il 12 luglio, ma il 17 il gabinetto turco di Said pascià si dimetteva e SAID TALIM e FERID si ritiravano. Al posto di Gran Visir fu messo MUKTAR pascià, a quello di presidente del Consiglio di Stato KIAMIL pascià e a quello di ministro della Guerra NAZIM pascià.

Il nuovo ministero turco era favorevole anch'esso alla pace, tanto che non accettò un ordine del giorno dei Giovani Turchi i quali volevano che la guerra fosse continuata fino a quando non fosse accertata la sovranità integrale ed effettiva sulla Tripolitania e sulla Cirenaica. Inoltre il nuovo Gabinetto era propenso a continuare le trattative con l'Italia e nominava, suoi fiduciari NABY bey e FAHREDIN bey, diplomatici di carriera, dando così un colore di ufficiosità ai negoziati.
Le trattative furono riprese il 12 agosto a Caux, presso Losanna; l'8 settembre i fiduciari si trasferirono ad Ouchy; il 16 un accordo di massima era raggiunto e gli onorevoli Bertolini e Fusinato si recavano con Volpi a Torino per accordarsi con Giolitti sulla procedura.
Pareva vicinissima la conclusione della pace e invece i Turchi cominciarono a tergiversare, a far circolar voci secondo le quali la pace non sarebbe stata possibile se l'Italia non si fosse accostata al punto di vista ottomano.
L'Italia rispose con l'azione del 20 settembre a Zanzur e, tre giorni dopo, con una dimostrazione navale nel porto di Smirne. Il contegno risoluto dell'Italia (o meglio il "tirare diritto" di Giolitti) indusse la Porta ad affrettare i negoziati e il 28 settembre giunse ad Ouchy il ministro turco RESCID pascià, il cui arrivo fece sperare in un sollecito accordo.

Questo si annunciò raggiunto il 3 ottobre. Il giorno dopo l'on. Bertolini partì per Cavour, dove si trovava l'on. Giolitti, e Rescid pascià per Costantinopoli per sottoporre al governo le condizioni di pace. Le quali alla Porta, non parvero soddisfacenti. La Turchia voleva che nel trattato s'introducesse una postilla in virtù della quale essa non sarebbe stata obbligata al ritiro delle sue truppe dalla Libia se non dopo l'approvazione del parlamento e la soluzione della questione balcanica.
Inoltre la Porta pretendeva che l'Italia rinunciasse alla tutela dei diritti degli abitanti della Libia presso il Governo turco. .
Alle tergiversazioni ottomane il Governo italiano rispose con un ultimatum con il quale concedeva alla Turchia tre giorni, dal 12 al 15 ottobre, per decidersi ad accettare le condizioni di pace fissate ad Oachy. I preparativi italiani per una vigorosa azione navale e il forzamento dei Dardanelli persuasero la Porta ad accettare le condizioni, e tre ore prima della scadenza dell'ultimatum fu firmato il protocollo preliminare.
Il Governo italiano ordinò subito la sospensione delle ostilità in Libia e i fiduciari turchi telegrafarono a Costantinopoli di riapplicare la normale tariffa doganale alle merci italiane. Il 17 ottobre, conforme ai capitoli del trattato preliminare, furono emanati i "firmani" imperiali, riguardanti le isole, la Libia e l'amnistia all'alleato dell'Italia IDRIS, e il decreto di Vittorio Emanuele III.

Il "firmano" del sultano MAOMETTO V ai popoli della Tripolitania e della Cirenaica diceva:

"Trovandosi il mio Governo da una parte nell'impossibilità di darvi i soccorsi efficaci che vi sono necessari per difendere il vostro paese e d'altra parte essendo sollecito del vostro benessere presente e avvenire, volendo evitare la continuazione di una guerra disastrosa per voi e per le vostre famiglie e pericolosa per il nostro impero, allo scopo di far rinascere nel vostro paese la pace e la prosperità, valendomi dei miei diritti sovrani, vi consento una piena e intera autonomia. Il vostro paese sarà retto da nuove leggi e da regolamenti speciali alla preparazione dei quali voi porterete il contributo dei vostri consigli, affinché essi corrispondano ai vostri bisogni e ai vostri costumi. Io nomino presso di voi come mio rappresentante il mio fedele servitore SCEMSI-EDDIN bey, col titolo di Naib-ul-Sultan (rappresentante del Sultano) che io incarico della protezione degli interessi ottomani nel vostro paese. Il mandato che io gli conferisco, ha una durata di cinque anni. Passato questo termine io mi riservo di rinnovare il suo mandato o di provvedere alla sua successione. Siccome è nostra intenzione che le disposizioni della legge sacra dello Scerial restino costantemente in vigore, noi ci riserviamo a questo scopo la nomina del "cadì", il quale a sita volta nominerà il "naib" fra gli "ulema" locali, conformemente alle prescrizioni dello Scerial. Gli emolumenti di questo "cadì saranno pagati da voi, quelli del Naib-u1-Sultan come quelli degli altri funzionari dello Sceriat saranno prelevati dalle entrate locali".

L'"iradè" per le isole dell'Egeo diceva:
"Si procederà a riforme amministrative e giudiziarie in modo che assicurino agli abitanti delle isole dell'Egeo soggette alla sovranità ottomana la distribuzione equa della giustizia, la sicurezza e il benessere senza distinzione di culto e di religione. I giudici saranno nominati fra le persone notabili che conoscono la lingua locale e che abbiano le capacità necessarie. Viene concessa piena l'intera amnistia ai suddetti abitanti che abbiano preso parte alle ostilità o che si siano compromessi in quell'occasione, eccettuati, ben inteso, i reati comuni. In conseguenza di ciò nessun individuo, a qualunque classe o condizione appartenga, potrà essere perseguitato o danneggiato nella persona o nei beni o nell'esercizio dei suoi diritti a causa dei suoi atti politici o militari, oppure per le opinioni che ha espresso durante il periodo delle ostilità. I detenuti e i deportati per queste ragioni saranno immediatamente rimessi in libertà".

Il regio decreto era invece del seguente tenore:

"Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia, vista la legge 25 febbraio 1912, n. 83, con la quale la Tripolitania e la Cirenaica furono poste sotto la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia, nell'intento di sollecitare la pacificazione delle dette province, abbiamo decretato e decretiamo:
1° È accordata piena ed intera amnistia agli abitanti della Tripolitania e della Cireanica, che hanno partecipato alle ostilità e si sono compromessi in occasione di esse, fatta eccezione per i reati comuni. In conseguenza nessun individuo, a qualunque classe e condizione appartenga, potrà essere processato o molestato nella sua persona e nei suoi beni e nell'esercizio dei suoi diritti, a causa degli atti politici o militari da lui commessi e da opinioni espresse durante le ostilità. Gli individui detenuti e deportarti per tale motivo saranno immediatamente liberati.
2° Gli abitanti della Tripolitania e della Cirenaica continueranno a godere come per il passato la più completa libertà nella pratica del culto mussulmano. Il nome di Sua Maestà Imperiale il Sultano, come Califfo, continuerà ad essere pronunziato nelle preghiere pubbliche dei mussulmani ed è riconosciuta la sua rappresentanza nella persona da lui nominata. I suoi emolumenti saranno prelevati sulle entrate locali. I diritti delle fondazioni pie (Vakuf) saranno rispettati come per il passato e nessun impedimento sarà apportato alle relazioni dei musulmani con il capo religioso denominato "Cadì, che sarà nominato dallo Sceich-ul-Islam, e col "Naib nominato da lui ed i cui emolumenti saranno prelevati sulle entrate locali.
3° Il predetto rappresentante è riconosciuto anche agli effetti della tutela degli interessi dello Stato ottomano e dei sudditi ottomani, i quali permangono
nelle due province dopo la legge del 25 febbraio 1912, n. 83. Con altro nuovo decreto sarà nominata una commissione della quale formeranno parte anche notabili indigeni per proporre per le due province ordinamenti civili ed amministrativi, ispirati a criteri liberali ed al rispetto degli usi e dei costumi locali".

Il 18 ottobre 1912, alle ore 15.15, in una sala del Palace Hotel di Ouchy fu firmato, con la data di Losanna, il trattato di pace di cui riportiamo il testo:

"Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà l'Imperatore degli Ottomani, animati da un eguale desiderio di fare cessare lo Stato di guerra esistente fra i due paesi, hanno nominato i loro plenipotenziari:
Sua Maestà il Re d'Italia; il signor PIETRO BERTOLINI, Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia, Grande Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, il signor GUIDO FUSINATO, Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia, Grande Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, consigliere di Stato; il signor GIUSEPPE VOLPI, Commendatore degli Ordini dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia.
Sua Maestà l'Imperatore degli Ottomani: Sua Eccellenza MEHMED NABY bey, Gran Cordone dell'Ordine Imperiale dell'Osmaniè, inviato straordinario e ministro plenipotenziari di Sua Maestà l'Imperatore degli Ottomani; Sua Eccellenza RUMBEYOGLOY FAHREDDIN bey, Grande Ufficiale dell'Ordine Imperiale del Megidié, Commendatore dell'Ordine Imperiale dell'Osmanié, inviato straordinario e ministro plenipotenziari di Sua Maestà l'Imperatore degli Ottomani; i quali dopo avere scambiato i loro rispettivi pieni poteri ed averli trovati in buona e dovuta forma, hanno convenuto i seguenti articoli:


Art. 1° I due Governi s'impegnano a prendere immediatamente dopo la firma del presente trattato le disposizioni necessarie per la cessazione immediata e simultanea delle ostilità. Commissari speciali saranno inviati sui luoghi per curare l'esecuzione delle dette disposizioni.

Art. 2° I due Governi s'impegnano a dare immediatamente, dopo la firma del presente trattato, l'ordine di richiamo dei loro ufficiali, delle loro truppe, nonché dei loro funzionari civili, rispettivamente: il Governo ottomano dalla Tripolitania e della Cirenaica e il Governo italiano dalle isole da esso occupate nel mar Egeo. Lo sgombro effettivo delle isole da parte degli ufficiali, delle truppe e dei funzionari civili italiani avrà luogo immediatamente dopo che la Tripolitania e la Cirenaica saranno state sgombrate dagli ufficiali, dalle truppe e dai funzionari civili ottomani.

Art. 3° I prigionieri di guerra e gli ostaggi saranno scambiati nel più breve termine possibile.

Art. 4° I due Governi si impegnano ad accordare piena e intera amnistia. Il Governo Reale agli abitanti della Tripolitania e della Cirenaica e il Governo Imperiale agli abitanti delle isole del mar Egeo soggette alla sovranità ottomana, i quali abbiano preso parte alle ostilità o che si siano compromessi in occasione di esse, fatta eccezione per i reati di diritto comune. In conseguenza nessun individuo a qualunque classe o condizione appartenga potrà essere processato o molestato nella sua persona o nei suoi beni o nell'esercizio dei suoi diritti, a causa dei suoi atti politici o militari o di opinioni espresse durante le ostilità. Gli individui detenuti o deportati per tale motivo saranno immediatamente liberati.

Art. 5° Tutti i trattati, convenzioni e impegni di qualsiasi genere, specie e natura conclusi e in vigore tra le due alte parti contraenti anteriormente alla dichiarazione della guerra, saranno rimessi immediatamente in vigore e i due Governi saranno posti di fronte all'altro, come pure i rispettivi sudditi nella situazione identica nella quale si trovavano prima delle ostilità.

Art. 6° L'Italia s' impegna a concludere con la Turchia allo stesso tempo in cui essa rinnoverà i suoi trattati di commercio con le altre Potenze, un trattato di commercio sulla base del diritto pubblico europeo. Cioè essa consente a lasciare alla Turchia tutta la sua indipendenza economica e il diritto di agire in materia commerciale e doganale come tutte le Potenze europee e senza essere legata dalle capitolazioni e da altri atti fino a questo giorno. E' bene inteso che il detto trattato di commercio non sarà posto in vigore che in quanto saranno messi in vigore i trattati di commercio conclusi dalla Sublime Porta con le altre Potenze sulla stessa base. Inoltre l'Italia consente all'aumento dell'11 al 15 per cento dei dazi doganali ad valorem in Turchia come pure alla istituzione di nuovi monopoli e alla riscossione di sopratasse di consumo sui 5 articoli seguenti: Petrolio, Carta da Sigarette, Fiammiferi, Alcol, Carte da giuoco, tutto a condizione che uno stesso trattamento sia applicato simultaneamente e senza distinzione alle importazioni degli altri paesi. In quanto ha tratto all'importazione di articoli formanti oggetto di un monopolio, l'amministrazione di questo monopolio è tenuta a fornirsi di articoli di provenienza italiana secondo il per cento stabilito sulla base importazione annuale di questi stessi articoli, purché i prezzi da offrire per la consegna degli articoli di monopolio si conformino alla situazione dei mercati nel momento della compra, pur prendendo in considerazione la qualità della merce da fornire e la media dei prezzi che sono stati praticati nei tre anni precedenti a quelli della dichiarazione della guerra per le dette qualità. E' inoltre Inteso che se la Turchia invece di stabilire nuovi monopoli sui detti cinque articoli si decidesse a colpirli con sopratasse di consumo, queste sopratasse sarebbero imposte nella stessa misura ai prodotti similari della Turchia e di ogni altra nazione.

Art. 7° Il Governo italiano s'impegna a sopprimere gli uffici postali italiani funzionanti nell'Impero ottomano, allo stesso tempo che gli altri Stati aventi uffici postali o altrimenti sopprimeranno i loro.

Art. 8° La Sublime Porta proponendosi di aprire in una conferenza europea o altrimenti con le grandi Potenze interessate negoziati allo scopo di fare cessare il regime capitolare in Turchia sostituendolo col regime del diritto internazionale, l'Italia riconoscendo il buon fondamento di questa intenzione della Sublime Porta dichiara fin d'ora di voler prestare a questo effetto il suo appoggio pieno e sincero.

Art. 9° Il Governo ottomano volendo attestare la sua soddisfazione per i buoni e leali servizi che gli sono stati resi dai sudditi italiani impiegati nelle amministrazioni e che egli si era visto forzato a congedare all'epoca delle ostilità si dichiara pronto a reintegrarli nella situazione che avevano lasciata. Un trattamento di disponibilità sarà loro pagato nei mesi passati fuori d'impiego e quest'interruzione di servizio non porterà nessun pregiudizio a quelli impiegati che avrebbero diritto a una pensione di riposo. Inoltre il Governo ottomano s'impegna ad usare i suoi buoni uffici presso le istituzioni con le quali è in rapporto (debito pubblico, società ferroviarie, banche ecc.), perché agiscano nello stesso modo verso i sudditi italiani che erano al loro servizio e che si trovano in condizioni analoghe.

Art. 10° Il Governo italiano s'impegna a versare annualmente alla cassa del debito pubblico ottomano per conto del Governo imperiale una somma corrispondente alla media delle somme che in ciascuno dei tre anni precedenti a quello della dichiarazione di guerra sono state consegnate all'esercizio del debito pubblico sulle entrate delle due province. L'ammontare delle dette annualità sarà determinato d'accordo da due commissari nominati uno dal Governo Reale, l'altro dal Governo Imperiale. In caso di disaccordo la decisione sarà rimessa a un collegio arbitrale composto dai detti commissari e da un super arbitro nominati d'accordo fra le due parti. Se l'accordo non si stabilirà in proposito ciascuna parte designerà una diversa Potenza e la scelta del super arbitro sarà fatta di concerto dalle Potenze così designate. Il Governo Reale nonché l'amministrazione del debito ottonano con l'intermediario del Governo Imperiale avranno la facoltà di chiedere la sostituzione delle suddette annualità col pagamento della somma corrispondente capitalizzata al 4 per cento. Per quanto si riferisce al precedente il Governo reale dichiara di riconoscere fin d'ora che l'annualità non può essere inferiore alla somma di lire italiane 2 milioni, e che è disposto a versare all'amministrazione del debito pubblico la somma capitalizzata corrispondente appena ne sarà fatta domanda.

Art. 11° Il presente trattato entrerà in vigore il giorno della sua firma. In fede di che i plenipotenziari hanno firmato il presente trattato e vi hanno apposto i loro sigilli".

Il 28 ottobre, Vittorio Emanuele III emanava il seguente ordine del giorno:

"Nella prova solenne alla quale l'Italia fu chiamata dai suoi nuovi destini, l'esercito e l'armata hanno degnamente compiuto il proprio dovere. Ad una saggia opera di preparazione corrisposero in terra ed in mare l'abile direzione dei capi ed il brillante valore dei combattenti. Il felice risultato conseguito fu un meritato premio all'attiva ed intelligente cooperazione di tutti ed all'abnegazione e alla calma pazienza onde serenamente furono
affrontati i pericoli ed i disagi e al sacrificio di nobili esistenze con entusiastica fede votata alla patria. Sia gloria ai prodi caduti per la grandezza d'Italia! All'esercito e all'armata, che fraternamente uniti nell'ardua impresa degnamente impersonarono la coscienza nazionale giunga la calda espressione del mio più vivo compiacimento, eco fedele del plauso e della gratitudine della patria".

La sovranità italiana sulla Libia fu riconosciuta, entro il mese di ottobre, da tutte le Potenze, prima fra tutte la Russia, ultima la Francia.
Il trattato di Losanna, sebbene criticato da molti, fu il 4 dicembre approvato dalla Camera con 335 voti contro 14, dal Senato con 155 voti contro 2.
L'ambasciatore italiano, conclusa la pace, ritornò a Costantinopoli; fu iniziata subito la restituzione dei prigionieri e fu prontamente liberata la missione Sforza-Sanfilippo che era stata fatta prigioniera dai Turchi all'inizio delle ostilità e giunse a Tripoli, festeggiatissima, l'11 di novembre.

Contemporaneamente alla restituzione dei prigionieri cominciò l'esodo degli ufficiali e dei soldati turchi; ma non tutti partirono; molti poi tornarono ed altri nuovi ne giunsero, che alimentarono la resistenza degli arabi contro l'Italia e capitanarono gli armati indigeni.
Il 7 dicembre si recò a Tripoli l'on. BERTOLINI, cui era stato affidato il portafoglio del Ministero delle Colonie, di recentissima istituzione. Bertolini visitò i dintorni e durante il suo soggiorno a Tripoli radunò i capi arabi e tenne loro un discorso.
Nello stesso mese di dicembre entrò in funzione il naib ul-Sultan, KHEMS EDDIN, la cui presenza, innocua di per se stessa, recò all'Italia un danno indirettamente perché valse a fare schierare contro SIDI AHMED, detto il Gran Senusso. Costui, comprato dall'Italia con doni e denari, si era presto tirato fuori dalla guerra.
Dalla sconfitta turca e dal conseguente abbandono della Cirenaica e della Tripolitania da parte degli Ottomani egli si era ripromesso il vantaggio di succedere al Sultano come rappresentante dell'Islam in Africa,. Queste sue speranze erano state troncate dalla presenza in Tripoli del "naib".
Vedremo in seguito che il Senusso sarà uno dei nemici più accaniti dell'Italia e uno di coloro che più degli altri contrasterà con le armi il possesso della nuova colonia dell'Italia: la Libia.

Che però precisiamo, l'Italia non ottiene dal governo turco una cessione formale, ma solo la sua rinuncia ad amministrarla e ad occuparla militarmente.
E poiché i Turchi manterranno alcuni presidi in Cirenaiaca, l'Italia non restituirà il Dodecanneso e Rodi, e continuerà ad occuparli anche durante la prima guerra mondiale, per poi ottenerli come possedimenti con il "Trattato di Losanna" del 24 luglio 1923.

Ciò che rimase di questa guerra, furono le tante micce lasciate, messe o fatte "crescere" sui Balcani.
Infatti i vari gruppi etnici, dopo la crisi dell'impero Ottomano, ognuno iniziò (ma anche molto prima della firma a Ouchy) a desiderare la propria indipendenza; e subito trovarono alcune potenze pronte ad appoggiare questi legittimi desideri, con patti segreti o interventi più o meno visibili.
Tutta l'arretratezza, la povertà e la mancanza di comunicazione, la penisola balcanica la doveva alla lunga dominazione ottomana. Ma alcune aspirazioni nazionalistiche -anche quando i "Giovani Turchi" costrinsero il sultano ad adempiere gli impegni costituzionali fino allora evasi- rimasero insoddisfatte e si avvicinarono gli slavi alla Triplice alleanza, che era interessata ai Balcani per il petrolio romeno, per le risorse minerarie da sfruttare, per i vari commerci oltre che per instaurarvi un egemonia politica.

Ma la fedeltà dei capi politici slavi alla dinastia asburgica fu scossa, quando nel 1908, l'amministrazione austro-ungarica decise di procedere all'annessione pura e semplice della Bosnia-Erzegovina. Questa era una regione povera, ma i suoi abitanti erano in maggioranza serbi-croati, e l'annessione fu considerata dagli slavi in genere, come un affronto magiaro-tedesco agli slavi Serbi e agli stessi slavi del sud che alla Serbia guardavano. Da quel momento Praga divenne il quartier generale degli indipendentisti "iugoslavi", e fu proprio a Praga a partire dal 1908, che si cominciò a parlare di un futuro stato degli Slavi, cioè della Iugoslavia.

Per le stesse ragioni anche la Russia -per egemonia e per problemi di frontiere- non poteva permettersi di restare a guardare, e per quanto avverso ai rivoluzionari balcanici (i serbi erano diventati i più irrequieti, e Belgrado il principale centro d'attrazione per tutti gli slavi del sud) diede l'impressione a tutti i panslavisti di essere (per motivi etnici) al loro fianco, senza però intervenire, ma facendo circolare la voce che si trattava soltanto di prendere tempo. E questi indugi, quell'accettare senza reagire all'annessione, indusse i comandi austriaci a voler passeggiare sui Balcani, convinti di poter fermare le tendenze centrifughe degli slavi, e le tendenze russofile dei cechi entrati nel mirino dei rancori dei tedeschi della Boemia.

I Greci a loro volta si contrapponevano in Macedonia sia ai serbi sia ai bulgari, divisi tra loro nonostante gli stretti legami etnici e linguistici. Infine c'erano gli Albanesi che pur essendo il popolo meno numeroso per razza e cultura, differenziandosi da tutti gli altri, miravano ad una propria netta indipendenza, pur vendendosi ora a questa ora a quell'altra Potenza, come poi vedremo.

In mezzo a tante ambiguità, in questi ultimi mesi del 1912,
alcune micce nei Balcani si erano già accese.

Siamo dunque alle "Guerre Balcaniche",
che sono gi
à il preannuncio alla grande guerra europea.

… periodo dal 1913 al 1914 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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