1927

I SUCCESSI - IL CONSENSO POPOLARE

IL MITO - IL "MUSSOLINISMO"

MASSIME E PENSIERI > > > > >

 


A proposito del "mito" M. ebbe a dire:
("Si è parlato di mito. Per mio conto vi rinunzio, perchè il mito non può essere imposto e io respingo ogni anticipata giubilazione....Vivissimo tra gli uomini, non intendo di essere collocato anzi tempo negli spazi siderei dei miti inaccessibili, ai quali nolto spesso si bruciano grani di incenso convenzionali e distratti quando non sono menzogenri e codardi"
(Disc. 17 gennaio 1926 . S. e D. vol V. pag. 252)

IL 1927

Il 1927 è l'anno di un profondo mutamento nel Fascismo come Partito. Nasce il fascismo mussoliniano, o meglio il "mussolinismo". Inizia la divinizzazione del "duce" termine che compare costantemente nelle manifestazioni pubbliche per designare la duplicità dei poteri: "capo" del fascismo e "capo" del governo, o meglio "capo" di un regime che comporta la fascistizzazione dello Stato e la statizzazione del fascismo.
Lo slogan è "Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato". E se il "fascismo" è ormai solo più Mussolini, Mussolini è lo Stato.
Uno Stato autoritario, con lui che regge personalmente 7 su 8 ministeri.

Passata la bufera del 1924-25, nel corso dell'anno 1926, oltre che aver fatto decadere tutti i deputati dell'opposizione (gli Aventiniani); fatto chiudere molti giornali ("che diffamano il governo di una Nazione") ; sciolte molte associazioni, partiti e sindacati; Mussolini con i "provvedimenti per la difesa dello Stato" (che il Re ha firmato!), progressivamente fa perdere alla giustizia, alla burocrazia e ai sindacati, l'autonomia rispetto al potere politico; inizia la costruzione dello Stato corporativo; avvia il sistema amministrativo estremamente gerarchizzato e compatto (con i Podestà e i Prefetti nominati da lui); rafforza l'apparato repressivo; fa entrare in funzione il Tribunale speciale; crea l'' OVRA che inizia una sua capillare preventiva azione di repressione di ogni manifestazione di antifascismo e controlla anche gli stessi ("inappagati") fascisti; e sono inquadrate all'interno di organizzazioni di regime pure le attività sportive e le organizzazioni giovanili (che creano screzi con le gerarchie cattoliche, anche se sono in corso segrete trattative concordatarie con alcuni rappresentanti della Santa Sede).

Non basta ancora. Mussolini, oramai comanda le forze militari e navali del Paese; la Milizia gli giura fedeltà ed è sottoposta al suo incontrollato comando; tutte le più alte cariche dello Stato sono fasciste e, come tali tenute ad ubbidire al Duce. Così i tribunali: giudici e magistrati ricevono gli ordini direttamente da Mussolini.
Ed infine il Re, che pur mantenendo formalmente alcuni diritti, "egli sa di dover obbedire ai fascisti (a Mussolini) o abdicare"
(Bolton King).

Quanto alla Camera... "... essa è soltanto un organismo di revisione, senza il potere di respingere le proposte o di modificarle. Può proporre solo di migliorarle. Non vi sono pubbliche espressioni di dissenso. La Camera approva qualunque cosa che il Duce propone. Ma se è così impotente perchè sopravvive. Mussolini però è in grado di riconoscere il valore di un Foro di risonanza al quale può rivolgersi per dare le sue spiegazioni in forma solenne. Il Parlamento con i suoi deputati che gridano o fanno gesti e smorfie- sopravvive solo per questo, e per le 24 mila lire all'anno che ricevono, visto che Mussolini ha sempre disprezzato il sistema parlamentare. Come egli disse una volta sarcasticamente, il Parlamento è un giocattolo, ma può anche essere un giocattolo che la gente desidera avere....Nonostante tutto il coraggio e la vantata indipendenza dell'uomo, e se potesse lo eviterebbe , il Parlamento è per lui un conforto perchè rientrando alla sua villa può pensare: Bene, io dopotutto sono in contatto con il popolo"
(Finer, citato da A. Petacco, in Storia del Fascismo, p. 619)

Tutti questi atteggiamenti e provvedimenti (ma ne seguirono poi altri, sino al '29, quando si arriverà al plebiscito) permettono a Mussolini, che ora è lui il Fascismo, di assicurare il potere al "fascismo", quindi a se stesso. Assertore di questo sbocco autoritario, non ne fa mistero né lui, né i suoi dirigenti.

Il 13 febbraio di quest'anno, Augusto Turati che è alla guida del Partito (dopo che è stato silurato lo scorso anno, l'irruente squadrista Farinacci), ai dirigenti fascisti dell'Alta Italia, ricorda loro che: "La meta definitiva del Fascismo non può essere avvicinata che da una condizione: che noi riusciamo a permerare veramente del nostro spirito tutti i centri vitali e tutti i gangli nervosi della vita nazionale.
Il regime non sarà definitivamente vittorioso, assoluto e imperituro se non quel giorno che noi sapremo che ad ogni posto di comando, da quello di generale e quello di caporale, vi è una Camicia Nera, con intatto dentro l'animo e lo spirito della Rivoluzione, con la mente e l'anima ben sagomate secondo la concezione dell'italiano nuovo, che dal Duce è stata lucidamente genialmente espressa...
La formula" tutto il potere a tutto il Fascismo" deve essere quest'anno la sua piena realizzazione. Nell'ordinamento politico, nelle funzioni amministrative, nell'attuazione corporativa, nella vita finanziaria, noi dobbiamo volere con intransigenza inflessibile che i posti di direzione siano tenuti da uomini nostri, completamente nostri, solamente nostri".

(Testo pubblicato dal "Meridiano" il 14 febbraio 1927. Poi anche in A. Turati, Una rivoluzione, p.121).

L'unica omissione che fa Turati, è non dire che "fascismo" significa "mussolinismo". E sembra che lui e alcuni suoi colleghi (con certe velleità "rivoluzionarie") non l'hanno ancora capito.

Più che il Fascismo-Partito, la "rivoluzione" la fece infatti Mussolini personalmente. Le gerarchie locali e centrali del vecchio partito furono depauperate. Molti gerarchi della prima ora (gli squadristi rivoluzionari) e quelli dell'ultima ora (quelli che opportunisticamente si erano convertiti), Mussolini legò loro le mani, anche e soprattutto quando si alzarono le proteste nei quadri inferiori, nei capi squadristi ma anche al vertice del partito (vedi Farinacci, lo stesso Turati e altri), dopo che avevano offerto uno spettacolo di "beghismo" provinciale, mettendo in piazza le loro rozze personalità, frustrate e deluse per non essere stati scelti ai vertici, e che poi impunemente criticavano Mussolini e il suo il moderatismo.
Significativi due interventi sul
"Popolo d'Italia": uno di Arnaldo Mussolini (11 nov.1927) che definisce "miserevole..." lo spettacolo "...dei gerarchi in lizza tra di loro per delle supremazie che nel partito non possono esistere"; e l'altro più tardi di Guido Gamberini (20 lug. 1928) che denunciava la "...tendenza di troppi a scorgere soltanto il proprio io specchiato nelle infinite, capricciose possibilità del potere, e a fabbricare idoli in ogni campanile decorando coi panneggi dell'onnipotenza gli attributi gerarchici".

Insomma, molti, pur privi di un'esperienza politica, solo perchè avevano fatto ottenere con la forza dello squadrismo il successo al loro capo, da lui pretendevano di essere scelti come dirigenti e funzionari di uno Stato, senza averne le qualità tecniche e politiche oltre che le capacità.
Nei gruppi dei più insofferenti non bastarono le epurazioni dal partito (quelle di Farinacci, seguite poi da quelle di Turati -nel '30- attaccato e ridicolizzato dallo stesso Farinacci con delle rivelazioni boccaccesche su squallide cose di femmine.
Poi nel '32 fu la volta di Grandi, Rocco, Bottai, nel '33 Arpinati, nel '34 Balbo.
Né bastarono gli ammonimenti, né gli interventi disciplinari, per mettere fine allo "spettacolo" dei "miserevoli" gerarchi e gerarchetti. Questi non smisero di creare "beghe di comari" , e pur divisi tra loro, crearono una sorta di omertà che li univa, e che volutamente o indirettamente procuravano discredito al PNF e indirettamente a Mussolini. Ma non pochi si nascosero in mezzo alle pieghe del servilismo per non rinunciare ad essere membri di quella élite, che dava potere, privilegi, successo e denari.
( Il 25 luglio '43 i fedelissimi, li conteremo sulle dita di una mano).

"Ma la conseguenza maggiore fu il rafforzarsi in Mussolini della tendenza - in lui, del resto innata - al sospetto e ad una sostanziale disistima verso la stragrande maggioranza dei suo collaboratori e dello stesso partito. Sospetto e disistima che lo portavano ad accentrare sempre di più ogni decisione ed ogni potere nella sua persona, a diffidare sempre più pressoché di tutti (anche di chi avrebbe meritato la sua fiducia), e, quindi a sentire sempre di più il bisogno di essere il più possibile informato di cosa pensassero e facessero (sin nella loro vita privata) tutti coloro che nel regime avevano qualche responsabilità".
(De Felice, op. cit. p. 349).
L'Ovra, nasce soprattutto per questa innata diffidenza. E uno dei motivi che Mussolini non volle far conoscere (nonostante le sollecitazioni) al Gran Consiglio un suo successore, era che voleva evitare che attorno al designato si costituisse un pericolosissimo centro di potere, a tutto scapito della solidità del regime e della sua stessa autorità. Tremendamente sospettoso, vedeva rivali dappertutto.

Le fortune e i successi poi ottenuti, con il Concordato con la Chiesa, con la proclamazione dell'Impero, e con il Patto di Monaco (quando parve che il Duce avesse salvato la pace in Europa), ritardarano ma non eliminarono i frondisti. Nel '39 a un passo dalla guerra, c'era una gran folla di frondisti. Ma poi nel giugno del '40 (mentre Hitler era quasi a Parigi) erano di nuovo tutti fascisti, italiani, Badoglio e Re compreso.

Mentre nel luglio del '43, non c'era più un fascista in giro. Mussolini si ritrovò solo. ("ma i fedelissimi dove sono?" - chiese - "Eccellenza, tutti uccel di bosco, ed alcuni hanno telefonato a Badoglio, mettendosi a sua disposizione").
Bastò una sola notte e tutti cambiarono idea sul fascismo, e parvero quasi felici di sbarazzarsi di Mussolini, e fu la dimostrazione lampante che "lui era il Fascismo".

Eppure paradossalmente proprio quando in questo anno 1927 inizia la sua "personale carriera" come Duce, alcuni suoi "amici" (oltre che ovviamente gli antifascisti) pensano che il regime crollerebbe immediatamente senza Mussolini.
Lo pensava Federzoni, Farinacci e tanti altri, oltre il Re, e molti al vertice dell'Esercito. Il fascismo era ormai solo Mussolini, e senza di lui il fascismo sarebbe crollato. Questo lo pensavano in molti.
Il 25 luglio 1943 il fascismo fu messo alla prova, e il 28 Badoglio con un decreto scioglieva il partito e tutte le organizzazioni da esso dipendenti. Solo uno si suicidò, alcuni (pochi) fedeli gerarchi si rifugiarono all'estero, altri si misero a disposizione di Badoglio.
E nelle piazze non accadde nulla di ciò che si temeva. Il "dramma" venne semmai dopo, ma per ben altre ragioni: di dignità, lealtà e onore "
E non mi sembra che tali ideali e convincimenti abbiano un'impronta fascista.  Appartengono al patrimonio morale di chiunque. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico non incide  che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento hanno invece incidenze  morali incalcolabili che possono gravare per secoli sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi, e  per l'eguale disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi. (Valerio Borghese).

Perchè ci fu questo accentramento del potere? Per Mussolini in questo 1927, i vecchi ("sansepolcrini") e i nuovi "amici" (iscritti al Partito) non erano in grado di esprimere una classe dirigente all'altezza delle necessità. Rammentiamo che Mussolini non ha affidato a nessuno dei suoi "amici" i suoi ministeri; sette degli otto, li regge lui personalmente (Esteri, Guerra, Colonie, Corporazioni, Lavori Pubblici, Marina, Aeronautica).

Quanto al resto, un caso emblematico è che lo stesso capo della Polizia dell'OVRA Bocchini, e quel Beneduce che sarà il genio della finanza e dell'economia mussoliniana, non sono fascisti.
Nè lo sono molti Prefetti; di 89 in carica, Mussolini rinnovandoli, solo 29 sono tratti dalle file del PNF; gli altri sono di carriera (di formazione giolittiana). E ai prefetti -organo del governo locale- Mussolini ha attribuito un'importanza ancora maggiore, come controllori e coordinatori di tutta la vita politica ed amministrativa della provincia, di quella attribuita ai loro predecessori. E costoro - ligi funzionari - assolvettero bene il loro lavoro, visto che poi, nel dopoguerra, nella nuova Repubblica Italiana, li ritroveremo quasi tutti confermati nelle loro funzioni.
Non fu toccata tutta la spina dorsale che aveva tenuto insieme il fascismo. Il tanto disprezzato "tubo vuoto" lo si prese invece "pieno".
"Via i prefetti" aveva tuonato LUIGI EINAUDI  il 25 aprile rientrando da Parigi; "via tutti i suoi uffici e le sue ramificazioni. Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata. Il prefetto se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde
. Per fortuna, di fatto oggi (!?) in Italia l'amministrazione centralizzata é scomparsa...questa  macchina oramai guasta e marcia. L'Unità del Paese non é data da prefetti e da provveditorati agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni romane. L'unità del Paese é fatta dagli italiani".
Non specificò chi erano questi italiani.
Poi Lui stesso LUIGI EINAUDI nominato Presidente della Repubblica nel 1948, riconfermerà molti vecchi prefetti del regime e ne nominerà degli altri che con il vecchio regime avevano iniziato la carriera. E dentro la "macchina guasta e marcia", sopravviveranno perfino gli "Enti autarchici territoriali".

Torniamo al 1927. Perfino in quel ministero tipicamente fascista, come quello delle Corporazioni, dopo dieci anni dalla sua costituzione, risulta che vi erano moltissimi funzionari che erano entrati in carriera prima della "marcia su Roma", e non avevano nulla a che vedere con il Partito o lo "squadrismo". Se nel frattempo diventarono pure loro "fascisti" fu solo dovuto a una meccanica identificazione del Fascismo allo Stato.
Anche in Senato, ancora nel 1932, c'erano 148 senatori (intoccabili notabili dell'età giolittiana) che non erano membri del PNF.

La fascistizzazione dello Stato, dell'amministrazione e della vita pubblica, ci sarà comunque, ma molti fascisti (della prima e seconda ora) chiamati a farne parte come dirigenti si dimostrarono inadatti o scarsamente preparati alle nuove mansioni. Più adatti a fare "parate", ma non a guidare uno Stato; quello Stato che Mussolini voleva creare senza alienarsi le forze dei grandi gruppi economici e quelle capacità che possedevano i funzionari della pubblica amministrazione del vecchio apparato burocratico, anche se era tradizionalmente conservatore. Ovviamente, per giungere ai risultati che desiderava Mussolini, occorreva tempo, altrimenti avrebbe creato un regime solo a parole.

E a ribadire questa tesi fu proprio Bottai, su "Critica Fascista", il 1° novembre 1928, scrivendo che: " la rivoluzione fascista non riesce a giungere in pieno al cuore della struttura amministrativa dello Stato; e si assiste al paradosso di un regime autoritario e, a parole, estremamente volitivo, energico, sprezzante dinnanzi agli ostacoli, ma che spesso finisce per trovarsi prigioniero di congegni amministrativi creati da un altro regime, e in contrasto con i suoi fini".

Un altro tentativo chiarificatore la rivista di Bottai l'aveva già fatto in questo autunno (15 settembre 1927), chiedendo "un'aperta discussione sull'operato delle gerarchie provinciali". E dette per un momento l'impressione di volere mettere in discussione tutta la politica mussoliniana. Ma il tentativo fu stroncato dal
Popolo d'Italia, con la penna di Arnaldo Mussolini (o di Mussolini stesso?) che tagliò corto ad ogni discussione facendo appello al patriottismo e alla disciplina del partito "altrimenti si va diritti a Krilenko" (l'ex generalissimo russo).
Bottai tornerà di nuovo alla carica il 1° gennaio del '29, ponendosi una domanda che lui stesso definiva "angosciante" (e forse non era il solo a porsela, molti "squadristi" non volevano andare in pensione): "La Rivoluzione è, dunque finita? Non resta, dunque, che accettare il ciclo chiuso della sua storia, come si è negli istituti, nelle leggi, nel Regime concretata?".

Anche De Bono, che non era un Farinacci, ma un moderato, nel giugno del prossimo anno annoterà nel suo diario: "Quanto marcio nella Milizia e nel Partito! E Lui non ci mette rimedio!". Ci mise rimedio lui, De Bono, il 25 luglio, firmando l'ordine Grandi, ma finì fucilato per alto tradimento.

Ma l'intenzione di Mussolini, fin da questo 1927, non era già più quella di rivitalizzare il PNF, né quella di concedergli maggiore partecipazione politica, o al suo interno quella democratica. Correva il rischio di ridare fiato alle varie anime, facendo risorgere i dualismi, i contrasti, le dispute sulla natura e sui fini del fascismo.
Più tardi disse anche a loro ciò che aveva già detto al resto degli italiani: "Credere, Obbedire, Combattere". Ubbidire insomma. E alcuni si adeguarono, ma non per questo cessarono di fare i frondisti.

Nonostante i molti provvedimenti, e il varo delle leggi "fascistissime", la potente burocrazia - pur in palese connivenza con Mussolini - continuò tranquillamente per quindici anni a non osservare né ad applicare buona parte della sua famosa legge n. 100 del 31 gennaio 1926; una legge sistematicamente boicottata dai burocrati fino al 1940.
Ricordiamo, che con questa legge, il potere esecutivo ricevette la facoltà di emanare le norme giuridiche per regolamentare l'esecuzioni delle leggi; l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni statali; l'ordinamento del personale, degli enti e istituti pubblici. Tutti solidi e inattaccabili feudi della vecchia burocrazia ministeriale; formalmente messa da parte ma pur sempre di fatto dominante.
Le strutture erano sì nuove, ma pur abolite, e con esse alcuni esponenti della vecchia classe dirigente, i vecchi organismi erano pur sempre al riparo, e il potere burocratico rimase per lo più nelle stesse mani che lo deteneva prima del 1920: retto dai notabili e dai facoltosi personaggi tutti già affermati nel periodo prefascista.
Giolitti fu incapace a controllare il violento fenomeno fascista e cercò invano di convogliarlo nello Stato liberale, che andò in crisi, e in crisi ci andò anche l'"età giolittiana".
Ma quando padronato, ceti medi e monarchia abbandonarono il vecchio, indomito gigante liberale e si accinsero a passare la mano al demagogo Mussolini non fu affatto la fine di un epoca come molti dicono; dell'"Età giollittiana" ci fu una continuità. Giolitti (cresciuto e formato nella burocrazia) lasciò al fascismo l'Italia dei prefetti e della burocrazia.

Scrive l'autonomista valdostano Emilio Chanoux, martire della resistenza: " L'Italia prefascista era specialmente organizzata per la dittatura. Tutto il potere era dello Stato, anzi della burocrazia statale, anzi dei ministri da cui questa burocrazia prendeva ordini. Né è senza motivo che il maggiore o migliore rappresentante di quel periodo storico fu Giolitti, cresciuto e formato nella burocrazia, vero primo dittatore dello Stato italiano sotto parvenze liberali. Per Mussolini fu facile ricevere dal Re le leve di comando (uno a uno riuscì a reggerne sette su otto), facendosi insediare nei ministeri, e da lì a governare dittatorialmente il Paese... l'Esercito, l'alta finanza, la grande industria, tutte le cosiddette grandi potenze dello Stato s'inchinarono al nuovo padrone, le masse che applaudivano istericamente e le classi dirigenti.
Tutto questo perché egli teneva nelle sue mani attraverso l'immensa ragnatela della burocrazia italiana la quale copriva il Paese delle sue propaggini e di cui egli teneva le fila".


Ma anche nell'ambiente militare, la situazione non era molto diversa. Le alte gerarchie dell'esercito erano legate al monarca sabaudo, al Regio Esercito. Badoglio, insofferente al fascismo fin dalla "Marcia su Roma", Mussolini per "levarselo dai piedi", lo aveva relegato come ambasciatore in Brasile, ma (dietro sue insistenti e accorate lettere - "per fare al tuo fianco, il proprio dovere verso la nazione") lo nominò (con un putiferio in Parlamento, ma con il Re consenziente) Capo di Stato Maggiore.

Ma nel febbraio di quest'anno 1927 (i motivi rimasero sconosciuti, ma un motivo molto serio ci doveva essere) Badoglio viene rimosso; e anche se gli viene affidato l'incarico di capo di stato maggiore generale dell'Esercito Regio, è privo di compiti operativi.
Per il timore di una fronda e per "levarselo dai piedi" una seconda volta, Mussolini nel '29 (e fino al '34) lo nominò Governatore della Libia".
Passata poi l'apoteosi abissina e la conquista dell'Impero, la terza rimozione, fu durante la guerra alla Grecia; che però a Mussolini fu fatale. L'umiliato Badoglio, tornò alla iniziale (e chissà quante) fronda, e dopo due anni il destituito Maresciallo, che era non del tutto andato in pensione, ma frequentava spesso il Quirinale, nel luglio del '43 si prese la vendetta-rivincita. Fu lui a tenere agli arresti Mussolini.

Nonostante questa iniziale freddezza della burocrazia che conta, un po' meno fredda in seguito con i successi, le imprese coloniali, e quando in Italia e dall'estero iniziano a confluire sulla persona Mussolini, omaggi e lodi. Alcune perfino iperboliche. All'inizio di quest'anno 1927, riceve il 1° gennaio gli auguri del duca D'Aosta che è più che un deferente atto di ossequio; gli telegrafa (e ovviamente va sui giornali): "La luce del vostro genio conservi all'Italia la luce della sua gloria".
E se un Sabaudo pensa questo, tutti gli altri italiani - e insieme l'uomo della strada - che cosa doveva altro pensare?

Ciononostante la maggioranza degli italiani fino alla fine del 1926, è ancora tiepida al fascismo, ma è tuttavia attratta dal magnetismo del Duce, anzi del DUX, titolo del libro biografico che Margherita Sarfatti gli ha appena dedicato. Un best seller che nel corso di soli sei mesi fu ristampato sei volte, e in sei anni, sedici edizioni (la prefazione fatta da Mussolini al libro e il capitolo conclusivo le abbiamo riportate nelle precedenti pagine).

Dunque, la vita, le gesta dell'ex rivoluzionario, le sue lotte, le sue passioni, la sua personalità, viene letta da molti italiani che iniziano non solo ad ammirare e a consolidare il mito di Mussolini, ma ad adattarsi e aderire al regime, con un consenso sempre più ampio e con sempre meno avversari. Compreso il Sud, non ancora entrato nelle traboccanti esaltazioni (non solo della massa, ma di autorevoli intellettuali), del Nord e del Centro Italia.

Claudio Schwarzenberg (in
"Diritto e giustizia nell'Italia fascista" Mursia ed., 1977) cita un rapporto della pubblica sicurezza, in cui si leggeva (anche se è del 22 agosto 1932 - il Sud fu l'ultimo a aderire, ma poi il primo a dissociarsi): "In una rapida gita nell'Italia meridionale abbiamo notato che lo stato d'animo delle popolazioni si va quasi dovunque e stranamente orientando sempre più verso il Duce e sempre meno verso il Fascismo, che è visto attraverso le beghe locali e il contegno non sempre o quasi mai esemplare dei gerarchi.....La conseguenza consolante è che il popolo sembra attaccarsi ogni giorno di più al Duce al quale non attribuisce mai per nessuna ragione la colpa di fatti che vanno imputati ai gerarchi locali e all'opera di partito che non è quale dovrebbe essere se le disposizioni del Segretario del Partito stesso fossero osservate in tutto e per tutto, sia pure con le inevitabili differenze tra provincia e provincia, dai segretari federali prima e dai loro dipendenti dopo. Molto dunque resta ancora da fare...."

Mussolini, per quanto dinamico, onnipresente e sempre tenuto al corrente di ogni cosa, non poteva sapere tutto. Molti italiani testimoni di certe prepotenze e di certi improvvisi arricchimenti, erano indignati e non per nulla mormoravano e ammiccavano: "Se lui lo sapesse...!". Altri dicono che lui sapesse, e che tollerando, incoraggiava indirettamente sia la corruzione che l'incompetenza dei suoi subordinati.

Tuttavia, correndo ai ripari (perchè i gerarchi e i gerarchetti di provincia, non solo erano loro stessi arroganti e incapaci, ma davano di loro iniziativa - per opportunismo - la tessera del fascismo ad altrettanto incapaci arroganti, pur essendo questi, noti -ma inetti- facoltosi e illustri personaggi locali), il Gran Consiglio (ovviamente presieduto da Mussolini) il 12 gennaio di quest'anno decise la chiusura delle iscrizioni al PNF.
Quando riapriranno, il Partito era ormai svuotato da ogni potere, salvo quello di iscrivere e curare le "nuove leve" dei giovani; e i suoi dirigenti più che altro addetti alle coreografiche parate, che con la regia di Starace diventarono oceaniche e di costume. Con un unico scopo: compiacere il Duce. Sensibile alle adulazioni.

Ma non solo giovani e non solo la massa si iscrive. "...anche quelli che accetteranno la formula del giuramento (come nel mondo della cultura e della scuola) non possono essere definiti dei veri fascisti. Molti hanno giurato per semplice tornaconto o comodità personale. Altri, e probabilmente in buon numero, sono politicamente indifferenti. Sia o no sincera l'adesione, con questa operazione, il fascismo (Mussolini) si assicura comunque la fedeltà o, almeno, la non opposizione degli intellettuali "istituzionali" italiani"
(Petacco, op. cit. p. 517).

Torniamo al "Mussolinismo" e al Fascismo del Dux, del Duce, che presto dovrà essere scritto DUCE, in lettere maiuscole. Mito, divinizzazione, dittatura, misure repressive, e l'uso sapiente dei mezzi di comunicazioni di massa, corrono in parallelo e allargano il "regno" di Mussolini.

"Il pensiero e la volontà di uno che è Duce diventino il pensiero e la volontà della massa" scriveva Gentile - Curzio Malaparte invece ammoniva che era ora di smetterla di dargli del tu e chiamarlo Benito. "E' tempo di dichiarare a voce alta, che Mussolini non esiste più. Oggi Mussolini si chiama DUCE e soltanto DUCE".
L'Utet, pubblicherà un libro di Vittorio Cian, sui "Precursori lontani di Mussolini": in testa è Dante, poi una schiera di condottieri, eroi, geni, poeti, fra cui: Giangaleazzo Visconti, Emanuele Filiberto, Ugo Foscolo, Sanratosa, I Fratelli Bandiera, G. Mameli, V. Gioberti, Conte Cavour, Manin, Crispi, Carducci, D'Annunzio, Corridoni e altri
.

Curzio Malaparte, già l'anno prima, pubblicandola a Bologna su "L'Italiano" dell'ottobre 1926, aveva composto una "canzone" (che però non fu mai musicata, ma fu nota come "La cantata dell'Arcimussolini".
Riportiamo solo la prima strofa, e divenne famosa soprattutto per il ritornello:
"Il vento rompe gli orizzonti
la luce s'amplia leggera
già si spalancano sui monti
chiari i cieli di primavera.
Nelle selve cantan le fonti
bianca è l'alba e rossa è la sera
dall'incendio dei tramonti
il bel tempo si spera.

Spunta il sole e canta il gallo
Mussolini monta a cavallo.


Oltre che in Italia, omaggi e lodi giungono anche dall'estero. In primo piano Winston Churchill, cancelliere dello scacchiere britannico del governo conservatore, che di passaggio giunge in Italia nel gennaio di questo anno 1927. Si incontra con mussolini due volte, il 15 e il 16. Poi alla conferenza stampa all'ambasciata inglese a Roma, Churchill esprime giudizi molto positivi sulla politica fascista, e non nasconde stima e ammirazione nei confronti di Mussolini come statista e come persona; giudizi che una volta letti in Inghilterra, provocheranno reazioni e interventi dei laburisti alla Camera dei Comuni.
Il testo del discorso fu pubblicato dal
Corriere della Sera e dal The Times del 21 gennaio 1927.
Dopo aver ammirato la persona del Duce dichiarando di essere "rimasto affascinato dal suo cortese e semplice portamento", Churchill aggiungeva : " .... dirò qualche parola su un aspetto internazionale del fascismo. Esternamente il vostro movimento ha reso un servizio al mondo intero.... L'Italia ha dimostrato che v'è un modo di combattere le forze sovversive, modo che può richiamare la massa del popolo ad una reale cooperazione con l'onore e gli interessi dello Stato. L'Italia ha dimostrato che la massa del popolo, quando è ben guidata, apprezza e vuol difendere l'onore e la stabilità della società civile. Essa ha dato il necessario antidoto al veleno russo..."

Ma non basta. (!!!!!!) Aggiungerà Churchill in patria: "Il genio romano impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all'incalzare del socialismo e ha indicato la strada che una Nazione può seguire quando sia coraggiosamente condotta. Col regime fascista, Mussolini ha stabilito un centro di orientamento dal quale i paesi che sono impegnati nella lotta corpo a corpo col socialismo non devono esitare ad essere guidati".

Ma a parte Churchill (che in occasione della crisi per il delitto Matteotti, fece giungere a Mussolini un consenso internazionale inaspettato con la incredibile frase "Se fossi italiano sarei fascista"), all'inizio di questo 1927, in tutti gli ambienti conservatori di ogni paese, il fascismo è visto come un valido deterrente alla minaccia bolscevica. Il "fantasma" che non ha cessato di aggirarsi in Europa.
Posizioni di entusiastico sostegno all'opera di Mussolini e del Fascismo saranno espresse, nel corso dell'arco dell'anno anche dal commediografo Bernard Shaw. "Gli italiani sono così stanchi della indisciplina, della confusione e della paralisi parlamentare che sentono e ritengono Mussolini sia il tiranno che ci vuole"...."E' chiaro che il nostro atteggiamento di fronte a un regime nuovo non può essere determinato dai mezzi impiegati per instaurarlo"...."E' evidente che non le camice nere proteggono Mussolini, ma Mussolini le camice nere"...In Inghilterra Shaw per queste frasi scatenò il finimondo, e lui rispose. "La chiara, consapevole e franca sicurezza con cui Mussolini si presenta, fa senza dubbio un divertente contrasto con le illusioni e le umiltà da burla con cui noi lo rimproveriamo perchè fa in Italia quello che noi non abbiamo mai esitato a fare in Inghilterra e in Irlanda di fronte a provocazioni assai minori di quelle che egli ha dovuto affrontare".
Sul
Guardian, Shaw attaccò ancora: "E' stupido rifiutarsi di riconoscere la dittatura del Duce solo perché non vi arrivò senza le solite vergogne. I suoi nemici o come le chiamate voi, vittime, non furono capaci di cogliere l'occasione. Non sapevano né guidare né seguire". E ancora " ....voi non potete sbarazzarvi di Mussolini semplicemente ripetendo che ha fatto un colpo di Stato, da Augusto a Lenin sono state decine le usurpazioni con i colpi di Stato, e di fronte a regimi nuovi il nostro atteggiamento non può essere determinato dai mezzi impiegati per instaurarlo".

L'Imperatore giapponese Hirohito, il 12 maggio, conferiva a Mussolini il Gran Cordone dell'ordine del Sol Levante, la più alta onorificenza che il Giappone potesse offrire a uno straniero.

Questi omaggi, lodi, riconoscimenti stranieri, e i consensi della massa, sensibile a questo successo di Mussolini (e quindi dello Stato Italiano) all'estero, giungevano paradossalmente proprio quando all'interno del partito che lui aveva creato, c'erano critiche, attacchi, disapprovazioni che gli provocavano un ripiegamento su se stesso della personalità, diventando sordo a quelle critiche, e sfiducia verso tutti, isolandosi personalmente e umanamente sempre di più dai suoi collaboratori più stretti e anche più competenti. I pochi amici che aveva, vanno dicendo di non capirlo più, e in quanto agli altri uomini che gli si avvicinano per capire lui umanamente, e farsi loro capire, ha forse ragione la Sarfatti nel suo Dux, quando
afferma: "Lui non ha tempo morale perché non ha voglia - cioé non ha interesse umano - per conoscerli nel loro complesso di uomini. Suppone a priori che essendo uomini saranno mediocri e vili; e sa che saranno diversi, perché non crede alla unità e continuità degli sviluppi psicologici".

Lui ha fiducia solo in se stesso, e la suggestione dei primi successi conseguiti, le adulazioni, i riconoscimenti stranieri, creano ancora di più quella volontà di potenza e di affermazione di sé. Atteggiamento messo così bene a fuoco da D. Cantinori, nella recensioni a
Scritti e Discorsi di B. Mussolini, in "Leonardo", 1935, p. 99):
"Questo senso della potenza, questa volontà di predominio che lo fa identificarsi spontaneamente con la sua patria, questo fortissimo protagonismo politico, diventa, nei momenti della lotta pù aspra per l'affermazione della propria volontà, consapevolezza ed affermazione della propria individualità... E' questa consapevolezza di sé, questo esser continuamente presente, cosciente della propria volontà e della propria individualità, continuerà sempre: la identificazione spontanea con il proprio popolo si articola sempre di più attraverso tale consapevolezza, in ordine, in comando, in primato, in dominio, in compiacimento per la disciplina e l'obbedienza ottenute".

Più tardi, dopo il grande successo della Conciliazione, che gli procurò un altissimo consenso popolare (il Plebiscito lo fece un mese dopo i Patti) visto svanire o svalutata la carta sociale del Corporativismo, Mussolini con il consenso ma in crisi, rilancerà il "suo" regime, puntando come tutti i dittatori moderni, alla grandezza nazionale, all'espansionismo coloniale e alle avventure militari.
Pur non credendoci molto, puntò molto sulla massa popolare, così come aveva prima puntato in questi anni Venti e primi anni Trenta, sulle
élite. Poi a queste nacque il timore che il fascismo si stesse evolvendo verso qualcosa di analogo al bolscevismo, e rimasero piuttosto diffidenti, nonostante le esteriori apparenze.
Ma sia la prima che la seconda, erano della vecchia generazione, e la nuova che doveva essere forgiata aveva solo poco più di dieci anni; occorreva una generazione intera prima di avere a disposizione un fascista perfetto (dal dirigente all'operaio) educato a libro e moschetto. "La forza e la passione dei giovani, è destinata a formare la tempra nuova e necessaria dell'anima italiana" (affermò M. nel discorso che pronuncerà al Senato il 22 dicembre 1928).

Una volta affermò, che lui il fascismo non l'aveva inventato, ma di "...averlo tratto dall'inconscio degli italiani. E non sono nemmeno un dittatore, perchè il mio potere di comando coincide perfettamente con la volontà di ubbidienza del popolo italiano".


Turati (proprio lui! prima di essere espulso - per uno scandalo - nel '31 ) così descrisse la situazione: "Ogni giorno, su ogni piazza, i mille cuori del fascismo urlano le stesse parole: Amore, Devozione, Fedeltà, Disciplina fino al sacrificio". In effetti - scriverà Petacco in
Storia del fascismo - quando si instaura questa "religione del Duce", corrisponde, in una certa misura, anche ad un'autentica inclinazione dell'animo popolare, a quel gusto del cesarismo che, in genere, affascina o può affascinare le folle".

Gli storici vorrebbero stabilire se il consenso popolare era veritiero oppure se era un fenomeno puramente epidermico. E tentano di stabilire se gli applausi erano un gioco di prestigio oppure vere espressioni di genuino entusiasmo.

Se tutto era veramente finto, anche se non prendiamo in considerazione i giornali che non riportavano il pensiero della gente comune perchè - direbbe lo scettico - la stampa era asservita al regime, le folle nelle piazze (viste nelle fotografie che ci rimangono) non si potevano creare artificialmente.
Quelle piazze riempite dopo il Concordato ci mostrano un entusiasmo travolgente.
Alla proclamazione dell'Impero, nelle piazze ad applaudire erano scesi perfino noti elementi dell'antifascismo (qualcuno rientrò perfino dall'estero, facendo atto di sottomissione). Altrettanto dicasi quando l'Italia entrò nel '40 in guerra; dal Re, fino all'ultimo moderato, andavano dicendo "chi è assente ha sempre torto" oppure "...e allora cosa ci siamo alleati affare?" (ad Hitler).

Tutto dunque parte da questo fatidico anno 1927, quando (anche se con mezzi autoritari, giustificati "per il bene del Paese") inizia a diffondersi tra gli italiani la convinzione di essere protagonisti di avvenimenti che destavano ammirazione in tutto il mondo e mettevano l'Italia all'avanguardia e nella lotta contro il comunismo e nell'edificazione di un nuovo ordine politico-sociale che avrebbe finalmente aperto una nuova era nella storia dei popoli.
"Anche se il PNF godeva di poco credito e non molto più alto era quello del fascismo come ideologia, grande era invece il prestigio personale di Mussolini. Che nei prossimi anni andrà aumentando in senso inversamente proporzionale a quello del partito e del fascismo e per molti italiani aveva costituito una sorta di compensazione psicologica e politica: a mano a mano che l'esperimento fascista aveva mostrato i suoi limiti e i suoi lati negativi, essi si erano aggrappati alla fiducia, alla speranza nell'uomo, nel "capo" superiore a tutte le parti, anche alla propria, unico in grado di intendere le "vere" aspirazioni del paese, di porsi come arbitro e mediatore dei conflitti e dei contrasti interni e di imporre la propria volontà a tutti".

"Infine i giovani. L'Italia, pensavano molto giovani e giovanissimi, aveva finalmente ritrovato quei "veri" valori morali e nazionali tipici della sua tradizione, che soli potevano presiedere ad una simile azione ed era retta da un regime politico che, con tutti i suoi difetti, aveva però un grande pregio: poteva comandare e farsi ubbidire e aveva alla testa un uomo dinamico, nuovo, spregiudicato. Da qui - almeno in buona parte dei giovani- uno stato di disponibilità che, se assecondato e sollecitato, poteva, per intanto, trasformarsi in entusiasmo ed impegno e che, in un eventuale futuro, poteva, nel nome della "positiva" tradizione italiana, diventare anche un potente strumento per prendere d'assalto ciò che di "negativo" questa stessa tradizione aveva prodotto".
(De Felice, op. cit. pag. 375-376).

Mio il corsivo sottolineato. Pensando al 1943, al 1945, e a tutta quella classe dirigente, industriale, politica, economica, fino all'ultimo artigiano, che forgiatisi nel ventennio della "volontà" e che divenuti maturi quarantenni, all'inizio anni '60 - da soli - diedero vita al "miracolo economico" degli... "italiani"; i creativi di quel "Made in Italy" che era già nato -anche se in forma modesta- in questi ultimi anni Venti, inizio Trenta.

Italiani che dimostrarono nel dopoguerra che bisognava semmai fare l'Italia e non l'incontrario.
"Abbiamo capito subito e ci siamo resi conto che non avremmo saputo dirigere la società italiana. Il Paese, fuori, era più forte della politica, e anche più intelligente. Non fare nulla fu la scelta migliore di tanti provvedimenti governativi. Il paese fu così lasciato nella logica della foresta e per fortuna ci è andata bene".
Onestamente lo confesserà l'industriale e senatore Dc Piero Bassetti, su Repubblica, molti anni dopo.

Forse nemmeno Mussolini se ne era reso conto. Nella sua ultima intervista otto giorni prima di essere ucciso fece una considerazioni sugli italiani sottovalutandoli ingenerosamente; e non si rese conto che stava sottovalutando anche la sua opera, visto che era stato lui a farli crescere, sia con le goliardate e pagliacciate di Starace (veri boomerang - ma fu una positiva reazione), sia con quelle grandi intuizioni che aveva avuto e che il quel periodo erano guardate con stupore dai grandi economisti mondiali: il corporativismo, le partecipazioni statali, le bonifiche, le strutture economico-finanziarie-industriali e quegli enti e istituti (che sono poi giunti fino a noi e vivono ancora - Eni, Iri, Sip, Ina, Bin, ecc.) quando il panorama mondiale era privo di nuove strategie economiche, ed erano fallite quelle tradizionali: in America dopo il venerdì nero di Wall Street entrò in crisi il capitalismo, e anche nella "rivoluzionaria" Russia di Stalin il "collettivismo" e il "Piano quinquennale" (anche se furono esaltanti all'inizio) a partire dal 1929 furono imposti solo con la forza (quindi un'utopia disperata).

LOSOWSKI, presidente dei sindacati operai della Russia sovietica; in un colloquio avuto con giornalisti recatisi a studiare l'organizzazione del regime comunista russo, egli disse (e fu profeta):
“Se la sperata rivoluzione europea non avviene, la rivoluzione bolscevica russa é condannata a perire. Non possiamo sussistere se il comunismo non si propaga dappertutto. Se rimarremo soli, fatalmente cadremo. Come si potranno conciliare nelle relazioni commerciali l'economia comunista e quella borghese?
Nella vita economica internazionale valgono le leggi dei vasi comunicanti; perciò, o noi saremo costretti ad accettare le vostre leggi, o voi le nostre, e ciò in un breve periodo di tempo. Per salvare le nostre conquiste dobbiamo guadagnare tempo, utilizzare anche il più breve respiro, altrimenti è la morte !”.
" I rapporti economici fra i diversi centri di vita e di produzione non ammettono la contemporanea esistenza di organizzazioni sociali così antagoniste"
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Questa era l'introduzione a questo ANNO 1927,
che ora affrontiamo cronologicamente nei singoli mesi,
e accenneremo agli avvenimenti più importanti > > >

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Fonti, citazioni, testi, bibliografia
RENZO DE FELICE "Mussolini il fascista"- Einaudi, 1966
CONTEMPORANEA - Cento anni di giornali italiani
MUSSOLINI, Scritti Politici. Feltrinelli
MUSSOLINI, Scritti e Discorsi, La Fenice, 1983
A. PETACCO, Storia del Fascismo (6 vol.) Curcio
MARTIN CLARK, Storia dell'Italia contemporanea 1871-1999), Bompiani

STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE, Utet
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