ANNO 1942

IL SACRIFICIO DELLA FOLGORE
( CON TESTIMONIANZE: " IO C'ERO" )

Era il meglio della gioventù italiana. Erano Paracadutisti.
N
el 1939 a Tarquinia (VT) con la denominazione di “Regia Scuola Paracadutisti” furono addestrati i primi due battaglioni. I corsi erano composti di elementi selezionati provenienti da personale italiano dell’Esercito e Aeronautica. Nel 1941, fu costituita la divisione paracadutisti “Cacciatori d’Africa” denominata poi “Folgore”. Lo scopo principale era l’addestramento per un’azione aviotrasportata programmata contro l’isola di Malta, che poi per ordini superiori, non fu mai compiuta. (Le conseguenze furono piuttosto gravi. Gli inglesi se ne impossessarono, ne fecero la loro base, e fu da allora la spina nel fianco dei convogli italo-tedeschi nel Mediterraneo, diretti a rinforzare le truppe in Africa).
La Folgore sarebbe stata utile con un colpo di mano impossessarsi di quest'isola, che era il punto più strategico del Mediterraneo. Invece li inviarono come fanteria ad Al-Alamein, a difendere quel presidio dagli attacchi degli inglesi.

La situazione era già molto critica il 25 ottobre. Rommel da alcuni giorni aveva lasciato al comando a Stumme, e questi con l'attacco degli inglesi probabilmente era disperato. Muore -secondo alcune fonti- di aploplessia, secondo altri con un un colpo di rivoltella alla tempia. 
Rommel subito messo al corrente a Berlino, deve accorrere subito in Africa,  dove giunge il 26 ottobre, trovandosi davanti una situazione gravissima.

Poi la situazione divenne ancor più gravissima il giorno dopo. Rommel dedica il giorno 27 questa lettera alla moglie, convinto che sia finita: "La battaglia infuria e probabilmente sfonderemo ad onta di tutte le gravi difficoltà. Potrebbe anche darsi che naufragheremo, nel qual caso tutto il corso della guerra ne verrebbe sfavorevolmente  influenzato poiché tutta l'Africa del Nord cadrebbe in mano degli inglesi. Ciò potrebbe avvenire nel corso di pochi giorni e pressoché senza battaglia. Noi facciamo tutto quanto è umanamente possibile per vincere. Purtroppo la superiorità del nemico è enorme. Che la cosa ci riesca, che io vinca o meno la battaglia è nelle mani di Dio. La vita è dura per uno sconfitto, io guardo dritto innanzi verso il mio destino poiché la mia coscienza è tranquilla. Quanto era umanamente possibile fare io l'ho fatto, e non mi sono risparmiato personalmente. Dovessi rimanere sul campo di battaglia, desidero rendere grazie a te e al ragazzo per tutto l'amore e la tenerezza che avete voluto donarmi nella mia vita". (lettera riportata nel DIARIO DI ROMMEL - vedi).

2 NOVEMBRE - Alle ore 1 di notte, il XXX corpo dell’8a armata britannica si lancia all’attacco per attuare l’operazione “Supercharge”, l’offensiva di sfondamento. Coperta da un imponente sbarramento di artiglieria, la 2a divisione neozelandese apre un nuovo corridoio nei campi minati nemici, liberando la strada alla IX brigata corazzata.
Ma all’alba le batterie anticarro italo- tedesche fanno strage dei carri della brigata inglese, distruggendone il 75%, anche se non riescono a respingerla oltre i campi minati. Verso sera, Rommel dispone in prima linea di soli 32 carri pienamente efficienti.
3 NOVEMBRE - Ma anche gli inglesi, nonostante la superiorità il giorno dopo sono in difficoltà. Del resto proprio dal gen. Alexander, parte un telex per Churchill in questi termini: “Il nemico si batte con la forza della disperazione, ma noi lo stiamo assalendo duramente e senza tregua infliggendogli, senza pietà, colpi gravissimi. Crediamo che cederà presto...”.

4 NOVEMBRE - Quello che invia Alexander al suo capo è ottimistico, mentre quello che riceve Rommel dal suo è di ben altro tenore, è cinico e funereo: Alle 10,30 riceve un telegramma di Hitler “...Nella situazione nella quale vi trovate non ci può essere altro pensiero che quello di resistere, di non cedere di un passo e di impegnare nella battaglia ogni uomo e ogni arma ancora utilizzabili... Alle sue truppe lei non può indicare nessun’altra via se non quella che porta alla vittoria o alla morte”.

5 NOVEMBRE - E purtroppo la giornata seguente è proprio triste e lugubre.
Gli inglesi sferrano il loro micidiale attacco. Inutile, disperata difesa delle truppe italiane: la divisione corazzata Ariete, la Littorio e la divisione motorizzata Trieste sono annientate o circondate; 30.000 uomini fatti prigionieri (20.000 italiani, 10.000 tedeschi). E non potevano fare altrimenti, perchè erano tutti appiedati, senza nessun mezzo per ripiegare, solo i tedeschi ne avevano ancora a disposizione, gli italiani quasi più nessuno. 

 

Ecco come David Irving, nel libro "La pista della Volpe", descrive le ultime azioni della battaglia di El Alamein che portarono Rommel a ordinare la ritirata:

"...Nella notte segni certi rivelarono che Montgomery stava per sferrare la mazzata decisiva. Verso le 22, circa 200 cannoni aprirono il fuoco di sbarramento contro un settore limitato delle difese di Rommel, mentre ondate di bombardieri pesanti colpivano la stessa zona e obiettivi nelle immediate retrovie. Fu una lunga, fredda notte, durante la quale il feldmaresciallo vide il deserto continuamente illuminato a giorno dai bengala. Il Quartier Generale dell'Afrika Korps venne colpito: tutte le comunicazioni telefoniche con esso furono interrotte, lo stesso generale Thoma restò leggermente ferito; le comunicazioni via radio erano disturbate al punto da riuscire praticamente impossibili. Alle 5 del mattino, Rommel si recò sul posto per vedere che cosa stesse accadendo. Correva voce che, all'una, massi di carri e fanteria avessero sfondato a ovest di Quota 28 su un fronte di circa un chilometro e stessero avanzando irresistibilmente attraverso i campi minati, tentando di aprire una breccia e operare uno sfondamento definitivo. Nel settore era tuttora in corso una sanguinosa battaglia, ma le fanterie italo-tedesche che vi erano schierate erano assai inferiori per numero e potenza di fuoco".

Il generale tedesco von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi: non si è più sentito di condividere il massacro imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni. Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea.
Quando spuntò il giorno Rommel potè vedere i relitti di decine di carri nemici sparsi sui campi minati, ma dietro a questi centinaia e centinaia di altri mezzi corazzati si stavano ammassando per irrompere nei varchi".

Erwin Rommel di fronte a questo disastro a dispetto degli ordini di Hitler dà  l’ordine e decide l'unica soluzione possibile: la ritirata.

La ritirata sarà un altro capolavoro del feldmaresciallo, perché nonostante la sconfitta subita Montgomery non riuscirà ad accerchiarlo e a distruggere definitivamente l'Afrika Korps. Comincia qui l'odissea dei settantamila superstiti della battaglia di El Alamein: tremilaquattrocento chilometri nel deserto, invano inseguiti dal nemico fino alla Tunisia.

Quando a Rommel viene annunciato lo sbarco di un corpo di spedizione di centomila americani in Algeria e in Marocco, capisce d'essere preso tra due fuochi e di non avere, né lui né l'Afrika Korps, più alcuno scampo. Si tratta soltanto di contare i giorni che mancano alla fine.
Gli aiuti sempre richiesti, Hitler li invierà in Tunisia, quando ormai era troppo tardi.
L'occupazione della Tunisia influì ben poco sulle successive sorti generali del conflitto.
William Shirer nella Storia del Terzo Reich scriverà:
" Se il Fuhrer avesse mandato qualche mese prima soltanto un quinto di quelle truppe e di quei carri armati a Rommel, probabilmente la "volpe del deserto" in quel momento si sarebbe trovata al di là del Nilo, lo sbarco angloamericano nell'Africa del Nord non avrebbe avuto luogo e il Mediterraneo sarebbe stato irrimediabilmente perduto per gli alleati, e così sarebbe stato salvaguardato il punto vulnerabile del corpo dell'Asse"
Altrettanto gravissimo errore di Mussolini: se avesse mandato in Africa invece che in Russia soltanto un quinto delle truppe dell'ARMIR, in una sera di novembre forse avrebbe cenato al Cairo con Rommel. 

A sacrificarsi per consentire lo sganciamento delle altre divisioni, tedesche e italiane, rimasero solo i paracadutisti della FOLGORE.
Gli ultimi a cedere ad El Alamein furono loro, abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara. Resistettero per tredici giorni senza cedere un metro. 
Di 5000 uomini con i quali era partita da Tarquinia, alle ore 14,35, del 6 novembre, della Folgore restavano “ufficiali 32, truppa 262”.
Alla resa, ebbero l'onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario.
La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commentò:
" I "resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane".

Così si concluse la battaglia di El Alamein. Fu una delle battaglie più decisive della seconda guerra mondiale, perché mise fine alla minaccia italo-tedesca sul Canale di Suez, consentì il dominio assoluto del Mediterraneo agli inglesi, cancellò dallo scacchiere un intero fronte e, in prospettiva, aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia destinato a riportare gli alleati in Europa.

Nella ritirata nel deserto africano 120.000 uomini si dirigono in Tunisia, qui Messe si arrenderà, e i prigionieri iniziano a incolonnarsi per raggiungere i campi di concentramenti inglesi in Rhodesia o in sud Africa, a 9 mila chilometri dalla patria, che rivedranno alcuni solo nel settembre del 1946.

Di questa testimonianza l'autore ha quella del padre. Che per quanto dura, questa prigionia alla fine riservò anche una beffa. Al loro rientro, negarono ai "perdenti" perfino la paga di soldato, oltre sentirsi dire dagli "imboscati" e perfino dai propri familiari "bravi! voi a fare la bella vita e noi sotto i bombardamenti, nella guerra civile, e nella miseria"
Insomma che era meglio se si fossero arresi "prima ancora di iniziare", avrebbero così accelerato la liberazione, e la guerra sarebbe finita prima. Tutti si erano dimenticati che erano stati loro a spingerli, battendo le mani o benedicendo i gagliardetti quando partivano,  disistimando quelli che invece rimanevano casa.

Dopo anni di umiliazioni sui campi di battaglia con i "carretti armati", e i "fucili Upim, reparto giocattoli", i reduci trovarono al loro ritorno  anche quest'altra umiliazione. E scoprirono pure che più nessuno era fascista; eppure le madri e i padri erano stati loro ad allevarli e a vestirli fin da bambini con le divise, erano stati loro a insegnare il "credo", e a indicare come doveva essere la loro vita futura. Che dire dei "professori", "educatori", "opinionisti"? Quelli? spariti tutti!
Che tradimento per molti giovani! Il tradimento di una intera generazione di padri; che non ebbero neppure la dignità di fare silenzio, né vollero rispettare chi voleva piangere in pace; e non solo per una guerra persa dopo tanti sacrifici, "ma per come la si aveva persa"; eppure altri "ora dicevano" quasi con orgoglio "vinta"; e che loro avevano combattuto in pianura nelle valli e in montagna. 
Ma prima (quando predicava Carlo Rosselli ) dov'erano?

Oppure, ogni soldato che si rispetti, può forse lui decidere un bel mattino cosa fare, come farlo e con chi farlo? 
Allora si giustifica, per il passato come per il futuro la diserzione, il sabotaggio militare, il venir meno al giuramento di fedeltà, ognuno allora è giustificato se interpreta il dovere verso la patria secondo le sue opinioni o i suoi interessi personali. Allora vedremmo le idee di patria  trasformarsi in quella lavagna dove ognuno un bel mattino alzandosi può scrivere o cancellare tutto quello che vuole e quando vuole.
E dove finiscono le distinzioni morali, l'etica, il diritto, in tempo di pace come in tempo di guerra?

Che batosta! per chi aveva creduto nei padri, nei nonni, nei "maestri, e nelle favole che per anni e anni, durante tutta la loro gioventù, gli avevano raccontato.
Dopo alcuni anni, i poveri cristi, scopriranno alcune pagine di qualche ex ufficiale: " Allo scoppio della guerra? I più fecero come chi scrive, cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi nè in un senso nè nell'altro. Quelli di noi che vennero richiamati alle armi, cioè quasi tutti, non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati". Montanelli, L'Italia dell'Asse, Rizzoli ed. 1981.

Bravo!!! Ma come si permette?!

Che brutta "liquidazione" per tutti coloro che invece si erano battuti come leoni da una parte e dall'altra, quelli che si immolarono a Cefalonia, quelli caduti in Russia, quelli sprofondati negli abissi marini o seppelliti nella sabbia di El Alemein; e che dire di quelli che sono tornati mutilati? Chi ha il coraggio di dirgli "noi quasi tutti non abbiamo contribuito" ? oppure,  non eravate "traditori ma nemmeno buoni soldati"? oppure "i più fecero come me, cioè nulla"?  Imsomma dirgli chiaro e tondo che "il fesso era stato solo lui".

E a quelli della "Folgore" vivi e morti cosa gli diciamo? Fessi?!
Che potevano scegliere tra scappare e combattere?

Chi scrive qui è stato proprio dentro alla "Folgore", negli anni '50, a Viterbo. Lì, come miei istruttori, c'erano alcuni dei sopravvissuti, come il Colonnello Mautino, o il maresciallo Vanna che allora dirigevano il centro CMP, e volavamo ancora con i SM 80-82 della guerra (le famose "vacche"). Quando mi raccontavano degli amici che avevano lasciato laggiù, dimenticavano i gradi che avevano addosso e piangevano come dei bambini e non erano più capaci di andare avanti, concludevano dicendo... basta.... basta.... basta!
Alla resa (che gli inglesi non ebbero nemmeno il coraggio di chiedere, davanti a quella scena di disperata dignità militare) in quel 6 novembre 1942, quelli della Folgore, messi in riga, l'ufficiale rivolgendosi agli inglesi e portando la mano alla visiera, lesse la forza: "Ufficiali, 32, truppa 262".
Di 5000 uomini della "Folgore" ne restavano vivi solo 294 !
4706 non erano scappati !!! Erano morti !!!

E Montanelli osa dire "non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati", e aggiunge "noi quasi tutti non abbiamo contribuito".

Rommel era invece di questa opinione ""Gli italiani, qui in Africa, sono degli ottimi camerati e dei bravi e valorosi soldati. Se avessero i nostri mezzi, potrebbero gareggiare con le nostre migliori truppe. L'episodio di Giarabub  rivela le doti di coraggio degli italiani.... l'unica cosa viva qui è il valore e il coraggio dei piloti italiani; un nostro aviatore rifiuterebbe di decollare con quegli apparecchi che qui chiamano a ragione "Totebahren" "Casse da Morto". (dal Diario di Rommel - vedi)
E poi quest'altra opinione, fatta dai nemici ! : "...i resti della divisione Folgore (ad El Alemein) hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane" (la citazione è della BBC inglese, dell'11 novembre a battaglia conclusa).

Alcuni anni dopo, Carrel Barret, lo storico inglese così commentò: "Considerata l'immenza disparità di forze tra le opposte armate, quel che sorprende non è il fatto che vincessimo la battaglia, ma che fossimo sul punto di perderla".

Rommel fu sbalordito dall'eroismo degli italiani "I tedeschi hanno meravigliato il mondo, ma gli italiani hanno sbalordito i tedeschi"

Il padre di chi scrive si salvò dalla morte ad El Alemein, perchè rimase fermo tre giorni con il camion 100 chilometri prima, senza carburante perchè mitragliato dagli inglesi, ma non riuscì a scampare -dopo la battaglia del Mareth- alla resa di Messe in Tunisia. In quanto a opinioni, le sue collimavano con quelle di Rommel, non con quelle di Montanelli (lui non c'era, i "buoni soldati" invece c'erano!).
Messe aveva scritto a Mussolini "condividerò la sorte dei miei soldati, anche con la prigionia se necessario", ma poi lui dalla Tunisia, volò a Londra a fare i brindisi, per rientrare pochi mesi dopo a fianco del re e di Badoglio come Capo di Stato Maggiore delle nuove Forze Armate (ovviamente a far la guerra contro quelli che fino a pochi mesi prima erano i suoi alleati e i suoi soldati, guidati da lui prima in Russia, poi in Africa)

Rommel scrivendo alla moglie il 14 novembre (mancavano 8 mesi alla caduta di Mussolini) non si sbagliava. "Da Roma mi sono giunte preoccupanti notizie sulla situazione italiana. Al Comando Supremo italiano l'atmosfera è oscillante, grigia e gravida di elettricità. Le ostilità contro di noi aumentano. Si teme, negli ambiente  della Corte vi siano correnti che premono sul Re d'Italia perchè prenda in mano la situazione interna italiana e limiti l'autorità del Primo Ministro (Mussolini). Voci darebbero sicuro al nostro servizio informazioni che la Principessa ereditaria, MARIA JOSE', abbia avuto, tramite una sua amica francese, dei contatti con diplomatici americani ed inglesi in Svizzera per una pace separata. Sarebbe mostruoso!" - " Il Maresciallo Cavallero capo del Comando Supremo italiano sarebbe stato silurato per ordine del Re d'Italia"

Ancora più mostruoso è che Messe è in Tunisia a fianco di Rommel, poi messo da solo a guidare gli italiani. A guidare "I non buoni soldati" che con Messe, tutto avevano capito, meno da che parte dovevano stare.
 (compreso il padre di chi qui scrive, Gonzato Giuseppe, che per "fortuna" morì nel 1958. Ha evitato di leggere che "non era un buon soldato". Partito nel 1935, tornato nel 1946! dopo essere stato sbattuto in Somalia, Eritrea, Ethiopia, Sudan, Libia, Tripolitania, Tunisia, finì poi prigioniero in Kenia, poi trasferito in Uganda, Tanzania, Rhodesia, Mozambico, infine gli ultimi due anni in Sud Africa).

Mentre Montanelli si fece conoscere come futuro giornalista (quand'era partito non lo era!), quando proprio in Africa, in Abissinia mettendo a buon frutto la vittoria, scrisse e pubblicò a puntate il romanzo d'ambiente etiopico, "Ambesà"

(portammo sì la civiltà: ma con lo scudiscio in mano)

Questa una sua corrispodenza a "Civilta Fascista"
"Ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in monopolio ai capi biondi d'oltralpe; e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo. Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve. Almeno finchè non si sia data loro una civiltà..... non cediamo a sentimentalismi...niente indulgenze, niente amorazzi. Si pensi che qui debbon venire famiglie, famiglie e famiglie nostre. Il bianco comandi. Ogni languore che possa intiepidirci di dentro non deve trapelare al di fuori".
(Indro Montanelli. dicembre 1935. Da "Civiltà fascista" N.1, gennaio 1936 - che abbiamo in originale)


El Alamein 1942 - El Alamein 2001
Io c'ero

Io ci sono tornato. Sono un maresciallo di P.S. in pensione da qualche anno. Sono siciliano di Mazara del Vallo e quest'anno, l'8 Gennaio ho compiuto 78 anni. Sono un reduce della battaglia di El Alamein. A 58 anni da quel grande evento militare, era mio sacro dovere, sentito nel mio essere più profondo avvicinare il mio cuore e la mia mente al grande silenzio che avvolge quei soldati d'Italia, che , con disperato coraggio e tenacia onorarono il nome e la bandiera deI nostro paese sul conteso terreno di EI Alamein. Io c'ero! La, nel deserto egiziano, ove mille pezzi d'artiglieria ed oltre mille carri armati nemici, si avventarono contro le truppe italiane gettando nella lotta una straripante superiorità di uomini e mezzi in un rapporto di sei a uno, una inesauribile scorta di munizioni, uno schiacciante dominio aereo. Quella battaglia decisiva della guerra d'Africa ha trasformato EL Alamein in un "simbolo", racchiudendovi lo spirito di quegli eroi che tali sono stati e tali rimarranno nel tempo. Ero lì, sono tornato: ferito nel corpo e nello spirito. Sono un reduce, un fortunato pilota carrista ad EI Alamein sono ancora presente, con lo spirito, con la preghiera, ricordando i caduti che giacciono colà.

Dopo tanti anni ci sono ritornato, ho camminato ancora su quella terra, per confondere i ricordi e le lacrime con la sabbia infuocata ad onorare quella parte di me che è rimasta con quei soldati. Ho provato una così grande commozione nel visitare il torrione ottagonale che contiene al suo interno le spoglie dei caduti che mi sono ritornati nella memoria i nomi dei miei compagni carristi che ben conoscevo. Le spoglie dei soldati italiani raccolte nel sacrario sono una minima parte dei caduti nell'inferno di pietra e desolazione. Soldati che suscitarono l'ammirazione dello stesso esercito nemico e del mondo intero per i molti episodi di eroismo che contrassegnarono le ultime fasi della battaglia. Spero che questa mia testimonianza serva a far si che anche a quei morti sia rivolta ogni tanto una preghiera, un pensiero, un ricordo. Mi chiedo dove sono adesso i superstiti (pochi, credo). Sono stati soldati che, superato il comune coraggio e la fase dell'audacia, hanno dimostrato d'essere veri eroi, limpidi, valorosi. M'è parso di riconoscere il mio carro, su cui avevamo scritto "o uomo, favilla di Dio, se hai l'animo ingombro di paura seguirmi non potrai! " L'ho cercato sulla prora del carro, mi è sembrato di intravederne le tracce, non ne sono sicuro.., ma per me, quello che era li nel mausoleo sarà per sempre mio!

Pilota carrista 4° battaglione Carri M 13/40 133° Carristi
Un giovanissimo d'allora. VITO BRUNO Via delle Telecomunicazioni, 9
Mazara del Vallo(Trapani) Tel. 0923/651127

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Sulla tragedia di EI Alamein, vedi anche la tragedia di alcuni prigionieri, che imbarcati sulla nave inglese "Laconia", mentre venivano trasportati in Inghilterra, furono attaccati dagli americani, affondati, e nuovamente bombardati durante i soccorsi.
Morirono quasi tutti, affogati, o mangiati dai pescicani dopo ore e ore in acqua.

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Adesso a El-Alamein c'è un sacrario (precisamente a quota 33), dove i soldati italiani resteranno in eterno per ricordare una grande pagina di eroismo.
Nel piccolo cimitero, dove combattè la Folgore, una lapida ricorda:

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Commovente è la poesia "Via Marina" scritta da Aldo De Gioia nel suo libro "Zibaldone Napoletano". Inizia e termina con questi versi:


"In un radioso mattino d'estate
un cinquantenne, capitato per caso
in Via Marina, ripensa alla sua infanzia
osservando il luogo dal quale
il padre partì per la guerra......

Tra le canzoni in voga si cantava
"Tornerai" ma nessuno tornò ed
il bimbo attese invano il papà....

Il cinquantenne volge il pensiero
a El-Alamein, nel cui sacrario riposa
il padre, partito in un mattino
di sole ormai nell'oblio.


Una lettrice leggendo i versi gli scrisse:

"Sono stata ad Al Elamein nello scorso novembre, ho visto il Sacrario. Ho trovato la tomba di un giovane soldato che non conoscevo: mio padre, partito appena ero nata.
In quel sacrario ho detto "papà", un nome mai pronunciato prima di allora....Mi trovo protagonista per quella "Via Marina" di cui lei parla. La terrò con me per sempre! (Maria Notari (Brindisi 1989)

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Chi scrive qui, quando parti il padre, aveva anche lui appena 4 anni
Ma io fui più fortunato - lo rividi dopo la prigionia in Africa nel 1946.
Per morire però da li a poco. (3 anni di prigionia si pagano!)
Ma ormai mi aveva messo nel sangue la Folgore.
Così a vent'anni andai anch'io alla Folgore a Viterbo
con gli stessi istruttori....
(vedi la mia storia sul Paracadutismo
e le numertose immagini > > >


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