ANNO 1943

IL 25 LUGLIO - PROCLAMI - STATO D'ASSEDIO
MA I NEMICI CHI SONO?



20 LUGLIO - Visto il discreto successo dello sbarco in Sicilia, gli strateghi anglo-americani, rinunciano al "piano Brimstone" (invasione della Sardegna) e iniziano ad organizzare uno sbarco sulla costa fra Napoli e Salerno; luogo ideale per sbarcare uomini sulle spiagge salernitane, per l’ampiezza del porto di Napoli, e per la vicinanza di questa città a Roma. L'intenzione è quella di far poi risalire la 5a Armata comandata dal gen. Clark, verso la capitale, con in appoggio un'eventuale sbarco di anfibi sulla costa laziale o un audace aviosbarco di paracadutisti sugli aeroporti di Roma.

IL 22 LUGLIO L'efferatezza dei bombardamenti su Roma aveva già ripagato subito il nemico. Infatti la situazione si andò rapidamente aggravando. Si ebbe la sensazione in tutta Italia, che si era non all'ultima crisi, ma ormai sull'orlo del precipizio. Questi momenti drammatici fecero accelerare il crollo del regime fascista e prima ancora di questo esautorare lo stesso Mussolini.
Da più parti in queste ore di smarrimento oltre che di dolore per i morti e le distruzioni, se ne invocava la destituzione, l'arresto, e qualcuno pensò perfino di assassinarlo. E non solo in Italia...

... ma in Inghilterra il Capo del "Bomber Command" Harris, già il 13 luglio 1943, aveva concepito l'idea di usare i suoi bombardieri non per la solita missione per polverizzare città e paesi (lui si riteva nel farlo un "artista") ma usare il suo squadrone di "Lancaster" (617) per uccidere una singola persona: Mussolini.
(i due documenti sono conservati al Public Record Office di Londra)
Denominata "Operazione Dux" , questa era una incursione da farsi in pieno giorno su Roma per distruggere Palazzo Venezia e Villa Torlonia mentre - se non in uno nell'altro edificio - era sicuramente presente il Duce.
Harris era convinto che morto Mussolini, l'Italia si sarebbe fortemente demoralizzata e le possibilità di piegare l'Italia fortemente aumentate. Dei monumenti romani ad Harris non importava nulla, e in quanto a perdite civili non si era mai preoccupato (lui disse un giorno che "era pagato apposta per ammazzare la gente").

La proposta di Harris sconcertò il pur cinico Churchill, mentre già mister Bomber e il suo comandante sir Portal, nella notte del 14 e 15 luglio avevano scelto per la missione il capitano Maltby e avevano già programmato l'invio dei "Lancaster" a Blida in Algeria; Churchill preso da alcuni scrupoli, volle consigliarsi immediatamente con il suo delfino e pupillo Antonhy Eden ( ministro degli Esteri); che gli rispose con una minuta già il giorno dopo:

"Mi avete chiesto consiglio, ebbene la cosa non mi piace. La possibilità di uccidere Mussolini sono sicuramente assai scarse e quelle di "demoralizzare il Paese" non molto grandi. Se noi non riuscissimo ad ucciderlo, non diminuiremmo certo il suo prestigio e potremmo perfino rilanciare la sua declinante popolarità. Inoltre corremmo il rischio di essere odiati per aver colpito la parte più antica della Città e causato perdite tra i civili senza aver realizzato alcun risultato militare. L'obiettivo è troppo difficile per giustificare un tentativo sul piano militare, mentre sul piano psicologico andrebbe a nostro svantaggio se non fosse di successo al 100 per cento".

Churchill su questa minuta tracciò un "Sono d'accordo"; ma la non autorizzazione all'impresa non raggiunse subito Harris, che infatti nell'andata (in Algeria) il 16 e il 18 luglio inviò sull'Italia due squadriglie di bombardieri per un totale di 42 aerei per un primo bombardamento strategico in Lombardia in Liguria e in Emilia. Poi per il giorno 19 luglio con gli stessi aerei sarebbe poi partita da Blida la "missione" per Roma con un carico di 85 tonnellate di bombe destinate all'"Operazione Dux".
Ma fra i colpiti, gli abbattuti e gli sfasciati nell'atterraggio, gli aerei disponibili non erano più 42 ma erano rimasti 33. Oltre questa decimazione ad Harris era inoltre arrivato da Churchill la non autorizzazione alla delicata missione. Che sarebbe fallita comunque, perchè quel giorno -19 luglio- Mussolini era assente da Roma per incontrarsi con Hitler a Feltre. Il dubbio di Eden quindi si rivelò fondato.

Mentre i "Lancaster" di Harris restavano a terra inoperosi, gli americani presero in contropiede gli inglesi. Decisero infatti loro di fare per la prima volta un bombardamento sulla Capitale italiana. Dalla Tunisia, la USAAF fece partire con obiettivo Roma 159 "Fortezze Volanti" e 112 "Liberator" che colpirono il mattino gli scali ferroviari Littorio e San Lorenzo, e il pomeriggio altri 321 bombardieri (B 25. B 26, e P 38) fecero terra bruciata attorno a Ciampino, rovesciando sulla città 682 tonnellate di bombe su 44 punti chiave, ma che purtroppo distrussero gravemente i quartieri popolari di Prenestino, Tiburtino e Latino (questo terrificante bombardamento l'abbiamo narrato nelle pagine precedenti).

Harris a
Blida rimase solo per poche ore inoperoso. La sera del 24 luglio, rispedì in Inghilterra gli aerei. Li caricò di frutta prelibata algerina, e ci aggiunse le 85 tonnellate di bombe che non aveva utilizzate nella "Operazione Dux". In questo viaggio di ritorno, incaricò i suoi piloti di rilasciare il carico su una importante città italiana senza specificare quale. La scelta fatta dai piloti della sfortunata città fu Livorno, che nella notte del 24-25 luglio subì il micidiale bombardamento: 320 edifici andarono distrutti, migliaia le abitazioni lesionate, e diverse centinaia le vittime; con gran soddisfazione di Harris.
Proviamo a immaginare questo stesso carico (già predisposto) rovesciato in Piazza Venezia: oggi il Campidoglio e il Colosseo non sarebbero che un cumulo di macerie.
Destino vuole che proprio in quella stessa notte livornese, in quelle stesse ore, si stava svolgendo un burrascosa seduta a Palazzo Venezia. Mussolini -tornato da Feltre- anche senza il bombardamento del Palazzo ancora integro, stava cadendo in disgrazia comunque, non veniva eliminato fisicamente da Harris, ma politicamente dai suoi "amici" e "parenti"..

Mussolini un giorno era stato premonitore "se agli italiani gli distruggono un monumento, o perdono un Giotto, si metteranno a piangere e alzeranno le mani".


Ma i motivi non erano solo questi: gli italiani, il popolo, la borghesia, i militari tutti, erano stanchi di questa guerra. E nè Mussolini, né (come vedremo) il suo sostituto Badoglio, potevano più indurre gli italiani a combattere. Inoltre erano assenti le idee chiare sul da farsi, mancava un piano d'azione per come sganciarsi dai tedeschi e di conseguenza era inesistente quella necessaria strategia per non aggravare la situazione militare. Chi invece (prevedendo l'aria che tirava) aveva già pronti i piani erano i tedeschi che in più in regalo ricevettero i successivi 45 giorni (fino all'8 settembre) per organizzarsi ancora meglio.

Badoglio giocò la sua partita doppia pensando che fossero i tedeschi così tanto sciocchi da lasciarsi menare per il naso. Questi con quella "infausta comunicazione" (la definizione è di Umberto I di Savoia)"La guerra continua" non avrebbero dato molta credibilità alla "volontà" italiana di proseguire la guerra e avrebbero senz'altro preparato le rappresaglie.
E rendeva inoltre diffidenti quelli che dovevano diventare i nuovi "alleati"; questi con quella frase potevano ritenere che non era né Mussolini né il "fascismo" ad aver voluto la guerra ma bensì l'intero popolo italiano e che ora voleva continuarla.
Tutti davano la colpa agli italiani plagiati da Mussolini di aver voluto e aver iniziato la guerra, ed ora? Ora anche senza Mussolini, la guerra proseguiva ?!!!

Tuttavia a Washington e a Londra il "25 luglio" era stato interpretato come il primo passo per una richiesta di pace. Nello stesso pomeriggio, ora di Washington, di quello stesso giorno, Roosevelt scriveva a Churchill, e contemporaneamente Churchill scriveva a Roosevelt, che il cambiamento di Governo italiano lasciava prevedere trattative di pace separatamente dalla Germania. E già avevano abbozzato un piano (ottimistico) che prevedeva l'occupazione dell'Italia almeno fino alla linea Ancona-Livorno entro il mese di novembre.(Roosevelt and Churchill, op. cit., pag. 356, doc. 324)

Invece non solo il 25 luglio, ma ancora fino all'8 settembre (quando già l'armistizio era stato firmato) il Re d'Italia confermava a Rahn "la decisione di continuare a combattere fino alla fine a fianco della Germania,.... e dica al Fuhrer che l'Italia non capitolerà mai, è legata alla Germania per la vita e per la morte". Mentre a sua volta Badoglio aggiungeva "...A Berlino non si può e non si deve ignorare che la parola data da Badoglio non si presta ad alcun equivoco".

Non si possono poi dare grosse colpe agli anglo-americani, se nel corso di alcuni contatti (fra l'altro non ufficiali e affidati a due sconosciuti mediatori - e perfino uno all'inasputa dell'altro) erano diffidenti con l'Italia e gli negavano attenzioni e utilissimi appoggi, visto che il comportamento degli uomini politici italiani era di una incredibile faciloneria e altrettanta era l'ambiguità. Potevano anche dire quelle frasi in pubblico, farle pure scrivere sui giornali, ma almeno potevano mandare a dire al "nemico" "ci stiamo comportando così, ma stiamo barando, e queste sono invece le nostre vere intenzioni... ecc. ecc." elencandole una a una".. Nulla!

22 LUGLIO - La cosa più ridicola o se vogliamo piuttosto ambigua, è che il gen. Vittorio Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, dopo l'incontro di Feltre, chiede al Comando tedesco l’invio in Meridione di alcune divisioni tedesche e il trasferimento dalla Calabria alla Sicilia della 29a divisione motorizzata tedesca. Qualcuno al Quartiere generale tedesco non fu così ingenuo, pensò che era una diabolica trappola; se ci fosse stato -come era nell'aria- uno sbarco nelle coste laziali o in quelle in campania, le armate tedesche si sarebbero trovate con la strada sbarrata della ritirata e quindi intrappolate.

E avevano buone ragioni di pensarlo, e quindi di diffidare, perché, come leggeremo più avanti, il gen Ambrosio, già il 16 luglio, quindi prima di Feltre, si era già incontrato con il Re per studiare come destituire Mussolini, e come sganciarsi dai tedeschi (Ma senza prendere nessuna iniziativa per rendere informati gli anglo-americani)
Abbiamo detto ridicola e piuttosto ambigua perchè dopo si disse che ci fu "l'invasione tedesca" dell'Italia, mentre a chiamare gli "alleati tedeschi" furono gli stessi generali italiani per respingere dall'Italia e soprattutto in Sicilia gli anglo-americani, che nei bollettini di guerra fino all'8 e 9 settembre (compreso) leggiamo erano i "nemici". Ovviamente se i tedeschi non scendevano in soccorso, gli italiani avrebbero detto in tal caso che nel momento del bisogno (per fermare l'invasione anglo-americana), erano stati traditi dall'"alleato".
VERSO IL 25 LUGLIO

IL 24 LUGLIO (ore 17) - Si riunisce il Gran Consiglio (28 partecipanti); si discute sull'Ordine del giorno presentato da DINO GRANDI. Si invita Mussolini a lasciare l'esecutivo e a rimettere tutti i suoi poteri nelle mani del Re (secondo l'art. 5 dello Statuto del Regno, che attribuisce al Re la suprema iniziativa di decisione). Mussolini calmo, ascolta, poi prospetta il drammatico scenario in cui verrebbe a trovarsi il Paese. E' convinto, quasi sicuro (ma qui sbaglia) di una sommossa dei suoi fedeli, ma teme anche, che la sua estromissione sarebbe traumatica nell'alleato Hitler (e qui non sbaglia) che potrebbe rivolgere le armi immediatamente contro quelli che lui riterrebbe a torto o ragione dei traditori.
Mussolini sa benissimo che l'Alto Adige é già circondato dalle armate tedesche, pronte a invadere le due vallate bolzanine e quindi scendere verso Verona. " e a voi che rimanete cosa credete che vi succeda, che sarete risparmiati, no, "cari signori", non sarete risparmiati. L'Italia cadrà nel caos piu' terribile".

L'ordine del giorno era il seguente:
Il Gran Consiglio del Fascismo
riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra
proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma
la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara
che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.

 


Il documento originale con le firme è nella PAGINA "MUSSOLINI > > > "

Rileggendolo bene, nell'iniziativa di Grandi (seguita poi dal voto favorevole di coloro che erano vicini a questa sua linea) c'è la esplicita volontà di riportare in primo piano l'autorità della Corona e lo Statuto Albertino, e di conseguenza di accantonare la leadership mussoliniana.
Ma non c'è nessuna volontà di cancellare il regime di cui proprio i proponenti sono gli ex esponenti di primo piano. E proprio per questo, neppure c'è in loro il sospetto (o il minimo timore) di essere solo degli strumenti e ignari complici dell'iniziativa del re.

Risposero SI (cioè misero la loro firma sul documento): Grandi (Presidente della Camera), Federzoni (Presidente dell'Accademia), De Bono (quadrumviro), De Vecchi (quadrumviro), Ciano (membro a titolo personale), De Marsico (Ministro della Giustizia), Acerbo (Ministro delle Finanze), Pareschi (Ministro dell'Agricoltura) , Cianetti (Ministro per le Corporazioni), Balella (Confederazione dei datori di lavoro dell'Industria), Gottardi (Confederazione dei lavoratori dell'Industria), Bignardi (Confederazione degli agricoltori), De Stefani, Alfieri, Rossoni, Bottai (membri a titolo personale), Marinelli (ex-segretario amministrativo del Partito fascista), Albini (Sottosegretario agli Interni) e Bastianini (Sottosegretario agli Esteri).
I due ultimi non facevano parte del Gran Consiglio e furono invitati alla seduta pensando probabilmente Mussolini di poter contare su di essi.
Risposero NO (cioè non firmarono): Scorza (Segretario del Partito fascista), Biggini (Ministro dell'Educazione), Polverelli (Ministro della Cultura Popolare), Tringali Casanova (Presidente del Tribunale Speciale), Frattari (Confederazione dei datori di lavoro dell'agricoltura), Buffarini (membro a titolo personale), Galbiati (Comandante della Milizia). Si astenne Suardo (Presidente del Senato). Farinacci (membro a titolo personale) che aveva preparato un suo ordine del giorno di difesa del regime, si astenne di presentarlo e anche lui non firmò.
Badoglio (in L'Italia nella seconda guerra mondiale, p. 73) asserisce che i principali gerarchi avevano pensato a un triumvirato, ma non sembra esatto.
Graziani (Ho difeso la patria, p. 303 e segg.) narra avergli detto Grandi che Mussolini non andava più, doversi quindi salvare quel poco che si poteva del fascismo, e De Bono di ritenersi egli e i suoi amici traditi da Grandi. Giovannini nel settimanale «Oggi» (del 14 marzo 1948, art. La repubblica di sangue e di lacrime), probabilmente avutane comunicazione da Scorza, ricorda che nel tragitto da palazzo Venezia a Villa Torlonia di ritorno dal Gran Consiglio, Mussolini ruppe un lungo silenzio per dire, quasi esprimendo a voce alta un rovello interiore: «Anche Ciano, Albini e Bastianini...».
Di Albini era già stato detto in un gruppo di senatori che stava al governo come uomo di fiducia della Corte. Di Bastianini persona a lui vicino faceva credere che fosse il solo del Gran Consiglio a conoscere i segreti disegni del Re, ma non è stato confermato finora. Secondo Monelli (Roma '43, p. 134) Bastianini preconizzava un governo di concentrazione nazionale. Quanto a Ciano, i motivi dello sconcerto di Mussolini erano abbastanza immaginabili, e dovevano essere pari a quelli di Cesare "anche tu figlio mio!").

Il Re gioca gli uni e gli altri, giacchè non difende il regime, come Grandi e i suoi amici (firmatari e no) vorrebbero, né si batte per il rapido ritorno alle libertà costituzionali e alla democrazia parlamentare e partitica come chiedono le forze raccolte intorno a Bonomi. Si preoccupa invece di instaurare una dittatura militare - quella di Badoglio- con l'intento di "restaurare" una effettiva monarchia (che in venti anni pur seduta sul trono non ha mai regnato ma ha sempre detto sì al caporale quando doveva dire no e sempre no quando doveva dire si. La Corona si era messa fuori gioco fin dalla Marcia su Roma); cioè il passaggio da una dittatura mussoliniana a una dittatura del sovrano con militari a lui più vicini. Insomma, cogliere al volo il grosso favore fattogli dai congiurati.

Ciò che è singolare è la scarsa consapevolezza dei firmatari, che votando contro Mussolini, non si rendono conto che danno il via a un processo che avrebbe portato in poco tempo al rovesciamento non solo di Mussolini ma del fascismo come regime. Anzi si illudono che trattando con le istituzioni tradizionali (è patetica la comunicazione di Grandi ad Aquarone) parteciperanno al cambiamento e saranno chiamati dal sovrano a controllarlo.
Non si resero conto che la monarchia li avrebbe solo utilizzati per l'obiettivo suo di dividere le proprie responsabilità da quelle della dittatura e apparire agli italiani come l'unica autorità costituzionale

Ci fu anche l'O.d.G. di Scorza (il vecchio squadrista asceso qualche mese prima quasi d'improvviso alla segreteria del Partito) che respingendo la formula di Grandi, difendeva l'opera di Mussolini; ma non fu nemmeno messo ai voti. Quella di Scorza fu l'ultima -e anche inutile- manifestazione d'intransigenza del vecchio Partito fascista che aveva a quel punto le ore contate.

Sia i firmatari che gli altri, e ci mettiamo pure Mussolini, avevano perduto il realismo politico (più realistici semmai lo furono tra il 1922 e il 1925). Tutti ebbero una valutazione del tutto errata della situazione politica interna oltre che internazionale.
Ingenua poi la convinzione che il partito e le organizzazioni fasciste, avrebbero avuto la capacità di difendere il regime. Poche ore dopo il fascismo fu messo fuorilegge e nessuno reagì, anzi alcuni gerarchi si misero subito a disposizione di Badoglio e del Re.

IL 25 LUGLIO
(ore 2,40) Mussolini ostentando insieme sicurezza e indifferenza (qualcuno disse poi "rassegnazione", ma conoscendo Mussolini, sappiamo che una certa dose di fatalismo faceva parte della sua personalità) viene messo in minoranza dal Gran Consiglio del fascismo. 19 voti per appello nominale su 28 gli sono contrari, 8 a favore, 1 astenuto (Suardo). L' O.d.G. Grandi viene approvato. Mussolini deve lasciare l'esecutivo e rimettere il mandato al re. (Cianetti che aveva votato in seduta con i congiurati, nella tarda mattinata dello stesso 25 luglio, si dissociò e inviò una lettera a Mussolini dichiarandosi a suo favore - gesto che gli salvò la vita. Al processo di Verona fu l'unico ad evitare la condanna alla fucilazione. Si prese 30 anni di reclusione)

IL 25 LUGLIO (Domenica ore 4) - GRANDI, a poco più di un'ora dal voto, riferisce l'esito della riunione al ministro della real casa ACQUARONE ( un ex ufficiale d'ordinanza del maresciallo Badoglio e ricordiamo che fu Ciano a suggerire a suo tempo al re il nome di Acquarone per quel posto), affinché informi il sovrano del voto di sfiducia a Mussolini; e che toccava al Re trarne le conseguenze, ossia cambiare il governo e porre fine alla guerra.
Grandi gli riferì pure che aveva già un piano pronto: a) comunicare ai tedeschi che l'Italia cessava le ostilità; b) far sapere agli anglo-americani che l'Italia era "amica" (alleata); c) indicava come capo del Governo il generale barone RAFFAELE CAVIGLIA (Ambasciatore presso la Repubblica Turca) e ALBERTO PIRELLI ministro degli esteri per i suoi molti contatti all'estero.

Grandi non é per nulla favorevole alle intenzioni espresse dal re di mettere BADOGLIO, che considera ambiguo per i troppi legami, prebende e ogni genere di onori ricevuti dal fascismo mussoliniano. Grandi, muovendosi molto bene nei rapporti con gli americani da' anche alcune indicazioni su come avviare delle trattative ufficiali (nulla era stato fatto in tal senso prima) per ottenere un eventuale armistizio onorevole. Nulla da fare. Il re ha gia fatto le sue scelte! (sappiamo oggi che fin dal 16 luglio Badoglio si era incontrato con il Re, con il generale Ambrosio, e che il Maresciallo propose un suo Governo (militare). Inoltre già il 24 mattina aveva ricevuto una visita di Acquarone, di Ambrosio e Castellano, per riferire quanto sarebbe accaduto nella notte e il giorno dopo.
E fu di Ambrosio e Castellano l'idea di arrestare Mussolini dopo il colloquio del pomeriggio con il Re. Mentre Badoglio già pensava ai futuri arresti (e con ingratitudine, compresi gli autori della destituzione. Un "golpe" dentro il "golpe").

Infatti, Mussolini defenestrato dai suoi stessi gerarchi, questi (firmatari e no) non solo non sono chiamati nel nuovo governo (soprattutto i primi - come Grandi, e il cinico- ma ingenuo- Ciano - che ci speravano), ma fra poche ore saranno tutti presi dal terrore di essere -come Mussolini- arrestati.
Non su ordine di Mussolini per il subito tradimento (che qualche fedele gerarca a Mussolini suggeriva di fare) ma con un mandato con precise disposizioni impartite da Badoglio per arrestare sia gli uni che gli altri. Alcuni nella notte che seguì si salvarono saltando la finestra di casa per non essere catturati, altri fuggirono e ripararono all'estero, Ciano andò a rifugiarsi da un amico. Insomma, capirono tutti in poche ore di essere stati solo usati oltre che raggirati.

IL 25 LUGLIO (ore 11) - Il maresciallo Badoglio riceve in anticipo dal re il mandato di Capo del Governo (lui poi si schernirà, dicendo che non ne sapeva nulla fino a poche ore prima), poi fa scattare sull'intero Paese un piano operativo con severe disposizioni ai vertici dell'esercito e della polizia (oltre che il controllo di tutti le fonti di informazione- radio, telefoni, giornali).

IL 25 LUGLIO (ore 17) - Mussolini viene convocato dal re; lo informa della sua destituzione (il Re dimentica il suo "io saro' sempre al suo fianco") e nell'accomiatarsi gli fa trovare fuori in giardino (pur sempre casa sua!) i carabinieri per arrestarlo ("per la sua incolumità" dirà poi il re). Ma l'arresto dell'ospite in casa reale, scandalizzò perfino la stessa regina ELENA.

Ecco il suo racconto, fatto in una intervista nel marzo 1950,
pubblicata su "Storia illustrata" del luglio 1983:
"Eravamo in giardino. A me non aveva ancora detto nulla. Quando un emozionato Acquarone ci raggiunse, e disse a mio marito "Il generale dei carabinieri desidera, prima dell'arresto di Mussolini, l'autorizzazione di Vostra Maestà". Io restai di sasso. Mi venne, poi da tremare quando sentii mio marito rispondere "Va bene. Qualcuno devi prendersi la responsabilità. Me l'assumo io". Poi salì la scalinata con il generale. Attraversavo l'atrio quando Mussolini arrivò. Andò incontro a mio marito. E mio marito gli disse "Caro duce, l'Italia va in tocchi...", Non lo aveva mai chiamato così, ma sempre "eccellenza". Io nel frattempo salii al piano superiore, mentre la mia dama di compagnia, la Jaccarino attardandosi nella saletta era rimasta giù e ormai non poteva più muoversi. Più tardi mi riferì tutto. Mi narrò che mio marito aveva perso le staffe e si era messo a urlare contro Mussolini, infine gli comunicò che lo destituiva e che a suo posto metteva Badoglio. Quando poi la Jaccarino mi raggiunse, dalla finestra di una sala, vedemmo mio marito tranquillo e sereno, che accompagnava sulla scalinata della villa, Mussolini, Il colloquio era durato meno di venti minuti. Mussolini appariva invecchiato di vent'anni. Mio marito gli strinse la mano. L'altro mosse qualche passo nel giardino, ma fu fermato da un ufficiale dei carabinieri seguito da soldati armati. Il dramma si era compiuto. Mi sentivo ribollire. Per poco non sbattei contro mio marito, che rientrava. "E' fatta" disse piano, lui. "Se dovevate farlo arrestare" gli gridai a piena voce, indignata "..questo doveva avvenire fuori casa nostra. Quel che avete fatto non è un gesto da sovrano...". Lui ripetè "Ormai è fatta" e cercò di prendermi sotto braccio, ma io mi allontanai di scatto da lui, "Non posso accettare un fatto del genere" dissi "mio padre non lo avrebbe mai fatto" poi andai a rinchiudermi nella mia camera".

Qui invece lasciamo il racconto al protagonista.

RELAZIONE DI MUSSOLINI DEL COLLOQUIO COL RE
(Articolo pubblicato postumo dal " Meridiano d'Italia', - il 6 aprile 1947)

«Del re ero sicuro: non avevo motivo di dubitare di lui. Il colloquio, a Villa Savoia, durò circa venti minuti. Si iniziò con una mia succinta relazione sulla situazione politico-militare e sull'incontro a Feltre. Vittorio Emanuele, dimostrando vivo interessamento a quanto gli andavo esponendo, domandò precisazioni e fece qualche obiezione. Gli parlai, poi, della situazione in Sicilia, della minaccia diretta contro l'Italia meridionale, della seduta del Gran Consiglio, facendogli presente la necessità di agire energicamente per stroncare l'offensiva dei nemici esterni ed interni. Fu allora che il re, infiorando come sua consuetudine le frasi con qualche parola piemontese, mi disse che era inutile far progetti per l'avvenire, perché la guerra era ormai da considerarsi irrimediabilmente perduta, che "il popolo non la sentiva, che l'Esercito non voleva battersi".
«Specialmente gli alpini non vogliono più battersi per voi- disse acre, levandosi in piedi.
- « Si batteranno per voi, Maestà» - ribattei.
«Fu in quel momento che mi accorsi di trovarmi di fronte un uomo col quale ogni ragione era impossibile».
« - Tutto è inutile ormai; - soggiunse il re - l'avvenire della Nazione è ora affidato alla Corona. Le mie decisioni sono già state prese. Nuovo Capo del Governo è il Maresciallo Badoglio e virtualmente è già entrato in funzione. Sarà bene che vi mettiate a sua disposizione ».
« Era nel suo pieno diritto licenziare il suo Primo Ministro, ma ciò nonostante ero e rimanevo il capo del Fascismo. Questo gli dissi e mi avviai per uscire ».
« Il re mi trattenne: - Cercate di starvene tranquillo - soggiunse. - Sul vostro nome sarà meglio che non si faccia dello scalpore ».
« - Se ne è già fatto abbastanza: - risposi ».
Mussolini dopo averlo salutato si avvia all'uscita per risalire sulla sua auto.


RELAZIONE DI MUSSOLINI SUL SUO ARRESTO

(Articolo pubblicato postumo dal " Meridiano d'Italia', - il 20 aprile 1947)

« Discendendo la scalinata di villa Savoia, fui sorpreso di non trovare la mia macchina ad attendermi. Con il pretesto che l'udienza si sarebbe protratta a lungo e che occorreva lasciare libero il piazzale, essa era stata avviata in un viale adiacente.
« Mi arrestai a metà dello scalone e chiesi al maggiordomo di Casa reale di far avanzare la mia vettura. Nello stesso istante sopraggiungeva una autoambulanza della Croce Rossa. Un colonnello dei carabinieri, staccandosi da un plotone formato da ufficiali e da militi, mi si avvicinò:
« Eccellenza - mi disse - vi prego salire nell'autoambulanza.
Sorpreso, protestai. Il colonnello rispose che quello era l'ordine.
« Devo proteggere la vostra vita, eccellenza - soggiunse, manifestamente astenendosi di usare il termine duce. - Quindi intendo eseguire l'ordine ricevuto.
Compresi di essere caduto in una trappola. Ma non c'era nulla da fare. Bisognava inchinarsi davanti alla forza. Salii dunque sull'autoambulanza: lercia, ve lo assicuro. (l'ambulanza era lorda di sangue, per aver poco prima trasportato feriti del bombardamento - Ndr). Non vi nascondo che in quel momento malignamente pensai che i traditori intendessero in tal modo offendermi, adeguando secondo loro il contenente al contenuto. Con me salirono il colonnello, due carabinieri in borghese e due in divisa. Tutti armati di fucile mitragliatore.
L'autoambulanza partì a strappo e attraversò i quartieri di Roma a tale andatura, che ad un certo momento pregai l'ufficiale di dar l'ordine di moderare la corsa.
« Qui finiremo con l'investire qualche disgraziato e con lo sfasciarci contro un muro - dissi.
« Ci arrestammo nel cortile della caserma Podgora, dei carabinieri, in via Quintino Sella. Fui fatto scendere e sostare per circa un'ora, strettamente sorvegliato, nella stanza attigua al corpo di guardia. Alla mia richiesta di spiegazioni, l'ufficiale che mi aveva accompagnato rispose: - E' stato necessario prendere delle misure per proteggervi dal furore popolare. Bisognerà far perdere le vostre tracce ».


IL 25 LUGLIO (ore 22,47)
L'Italia a quest'ora (è Domenica) ancora alzata esplode, quella già a letto viene strattonata e svegliata con un grido "E' caduto il Duce", "Hanno liquidato Mussolini!"; poi tutti insieme gli italiani si riversano nelle piazze, quando il comunicato radiofonico annuncia la caduta di Mussolini e la nomina di Badoglio.

Già si levano in alto le grida di Viva la Pace, é finita la guerra, ma subito dopo si smorzano le grida in gola. I due proclami che seguono sono molto chiari. Il primo, quello del Re, informa di avere assunto il comando delle forze armate (ma se andiamo a ritroso, nel giugno del 1940, non aveva mai cessato di essere il capo delle Forze armate - vedi Biografia di Badoglio) e ordina di riprendere i posti di combattimento.

Il secondo proclama, quello di Badoglio, é ancora piu' chiaro:
" Assumo il governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua".

il manifesto

Iniziano i 45 giorni più ambigui e ipocriti della storia d'Italia. Hitler é lapidario "da certi italiani me lo aspettavo" e non volle incontrarsi con questi "nuovi italiani" (sempre alleati) e discutere il nuovo quadro politico né le future operazioni militari. Anche quando ricevette il giorno 27 il telegramma di Badoglio che gli ribadiva che manteneva fede alla parola data, Hitler nemmeno gli rispose. Gli sembrava assurdo che Badoglio nel destituire Mussolini, facesse un salto nel buio, e che quindi aveva già trattato la resa con i nemici. Hitler non aveva più bisogno di capire cosa volesse dire "la guerra continua" aveva capito ben altre cose.
Badoglio -ostentando ipocrisia- aveva perfino inviato il generale Marras a Berlino per invitare Hitler in un convegno con lui e il Re, da tenersi in Italia. Ma se i due italiani non andavano a Berlino perchè erano certi (e lo dissero esplicitamente) che non sarebbero più tornati, nemmeno Hitler cadde nel tranello nè volle mettere a rischio la sua vita nel venire in Italia. A Berlino erano molti a pensare che dopo aver arrestato Mussolini i badogliani volessero -mentre era in Italia- impadronirsi anche del Fuhrer.

Il popolo nel frattempo non aveva ancora capito proprio nulla. Qualcuno si mise a festeggiare che era caduto Mussolini quindi il fascismo. Del resto quando cade l'uomo di un regime, cade anche il suo sistema. Ma poi riflettendoci, vedendo nuovamente ai vertici gli uomini che dal fascismo avevano avuto tutto, titoli, onori e averi (e Badoglio era uno di questi) non diedero molta importanza ad alcune manifestazioni antifasciste (queste furono scarse e solo a Roma, mentre a Milano le dimostrazioni furono un po' diverse da quelle romane popolaresche e... isteriche (perchè ben manovrate); nel capoluogo lombardo comparvero più comunisti, con veri uomini politici che esposero programmi precisi; importanti -come quelli di Roveda, appena uscito da prigione, in piazza del Duomo- perchè contenevano l'annuncio di quella che divenne in seguito la vera azione del partito comunista. Che intendeva (o almeno così faceva credere) rimanere unito in un fronte nazionale d'azione con tutti i partiti dell'antifascismo, dai democratici ai cattolici, e trarre dalle masse popolari gli elementi decisivi per la soluzione delle crisi italiana.

Si formavano intanto altre concentrazioni di carattere rivoluzionario, come il Patto d'unità dei socialisti col partito cristiano sociale o l'unione dello stesso partito col Movimento comunisti d'Italia e col Partito repubblicano del lavoro in una Federazione repubblicana sociale ("L'Azione", clandestino, 10 novembre 1943), Il Partito Cristiano Sociale cercava un credo politico sentimentale tra Maritain e Bergiaief; il Repubblicano del lavoro aveva due pregiudiziali, la repubblica e la rivendicazione di tutti i diritti e di tutti i doveri del popolo lavoratore; il Movimento Comunista (che aveva per organo clandestino "Bandiera Rossa") era avversario deciso del PCI, accusando la sua politica d'essere un "arcanum imperii", affatto impenetrabile al proletariato, riservata a una vasta burocrazia e al professionalismo politico dei capi. (Cfr. Dipiero, Storia critica dei partiti italiani, pag. 261-264).

Gli anglo-americani guardavano con meraviglia, e alcuni con disprezzo, questi uomini, così piccoli dinanzi all'immensità degli avvenimenti mondiali, arrabbattarsi per questioni inattuali e non essenziali, mentre l'Italia sanguinava e soffriva, orrendamente percossa da una bufera di sangue e lacrime.
Inoltre si divertivano pure, nel vedere degli illusi che volevano -perfino con arroganza- mutare le leggi del vincitore, sempre rafforzate, mai allentate (fino al 10 febbraio 1947). Si accapigliavano e ringhiavano tutti nell'agone, non rispettando gli avversari, spesso infamandoli, e dimenticavano di essere senza alcuna libertà sotto il duro governo della Missione Alleata (poi in seguito AMGOT).

Torniamo ai fatti. In queste manifestazioni festevoli con canti e sbandieramenti che si videro suppergiù uguali in altre città anche se in minor misura, qualcosa di strano nell'aria c'era; acclamavano il Re e Badoglio ma di Mussolini nessuno più ne parlava, silenzio assoluto. Quindi non era un normale passaggio di poteri dopo una crisi costituzionale, ma era un vero e proprio brutale colpo di Stato. Il popolo bue è ignorante, ma di certe cose sporche ne sente subito... la puzza. E quella era una vera e propria puzza di cospirazione. Fra l'altro di pochi; infatti non era una rivoluzione nazionale di popolo (anche perché non esisteva ancora un'organizzazione di massa o di partito capace o in grado di organizzarsi per farla), ma semmai era una restaurazione di pochi disgiunti dalle moltitudini. Una corrente cospirativa con dentro di tutto: individui che erano fascisti e antifascisti, gruppetti legati alla monarchia, generali che obbedivano ai loro interessi personali alle loro ambizioni e ai loro odii, alcuni ex gerarchi fascisti che accantonate le vecchie passioni si mettevano a disposizione del Re e di Badoglio. Erano in sostanza tutti uomini incapaci di creare o adeguarsi al nuovo, e giocavano solo la propria carta per restare a galla.

E questi uomini chiamarono perfino il popolo a giurare su di loro, proprio loro che erano spergiuri, volendo ancora una volta dividere le responsabilità di un'altra guerra; quella che per il Paese fu ancora più sanguinosa oltre che più vergognosa perchè come se quella di fuori non bastasse, fu fatta in Italia da italiani, per mesi e mesi a scannarsi sul pianerottolo o nel cortile di casa.

C'è sconcerto e angoscia in mezzo ai veri fascisti, ma non è che negli altri l'inquietudine era inferiore.
Il mattino dopo, il giorno 26 LUGLIO in entrambi i due schieramenti le perplessità erano ancora moltissime, nonostante fosse presente la tanta voglia di lottare per riottenere la libertà.
Un manifesto emanato il 26 mattina e affisso in tutto il Paese, dal nuovo Comandante del Corpo d'Armata di Roma, sgombrò -a chi le aveva- ogni perplessità: e fu l'ordine del coprifuoco.



Ne seguì un altro, il medesimo giorno, dello stesso tenore, firmato dallo stesso Badoglio:


PROCLAMA DI BADOGLIO

Roma 26 Luglio 1943

"Italiani !
Dopo l'appello di S.M. il Re Imperatore agli italiani e il mio proclama, ognuno riprenda il suo posto di lavoro e di responsabilità.
Non è il momento di abbandonarsi a dimostrazioni, che non saranno tollerate.
L'ora grave che volge impone a ognuno serietà, disciplina, patriottismo fatti di dedizione ai supremi interessi della Nazione.
Sono vietati gli assembramenti,
e la forza pubblica ha l'ordine di disperderli inesorabilmente".


Badoglio

Due manifesti ambigui; che senza usare la frase, proclamava lo "stato d'assedio" e imponeva il coprifuoco dal tramonto all'alba. Il primo non si vedeva in Italia da trent'anni; mentre il secondo era una cosa sconosciuta nella storia del Regno. E quell' "inesorabile" non era molto diverso da quello minaccioso di stampo hitleriano.
Raccapricciante poi la Circolare alle truppe


Gli ordini erano di straordinaria severità: un governo dittatoriali non li avrebbe dati più duri.
Tutti i poteri civili passavano alle autorità militari, tutti i locali pubblici dovevano chiudere all'ora del coprifuoco; era fatto tassativo divieto di riunione pubblica, di adunate e di manifestazioni, di circolazione agli autoveicoli privati, di affissione di stampati; vietato uscire di casa, vietato chiudere i portoni, vietato tenere le persiane aperte. Ai giornali (pur cambiando i direttori) fu permessa un'unica edizione, e la censura preventiva divenne ancora più severa. I trasgressori di questi ordini sarebbero stati senz'altro arrestati e giudicati dai tribunali militari. Continuando con le tanto criticate "veline", si davano disposizioni alle redazioni dei giornali su cosa scrivere.
Alcuni giornali già in macchina, eliminarono le cose "sgradite" a Badoglio, e continuarono a stampare con gli spazi bianchi (che ebbero un'effetto peggiore della notiza eliminata). Il satirico giornale Marco Eurelio, ci fece anche la caricatura. Un analfabeta con in mano un giornale con gli spazi bianchi leggeva e diceva "Finalmente hanno pensato anche a noi, e possiamo leggere qualcosa"

Eppure in mezzo a tanta severità, alcune squadre scorazzavano istericamente nelle strade delle città più importanti distruggendo tutte le sedi del fascio, e altre strutture sportive, ricreative, dopolavoristiche (che poi erano edifici dello Stato) e i vari simboli del littorio. E, di già che c'erano, svaligiarono alcuni negozi di noti fascisti, distrussero sedi di partito, aggredirono qualche malcapitato) senza che la polizia (ex fascista) intervenisse. Pazienza gli emotivi umori nelle masse (che in effetti erano gruppi guidati) ma che la forza pubblica non reagisse alle distruzioni di cose e alle violenze anche sulle persone, non era normale, sembrava tutto questo già concertato in precedenza. Ma da chi? Chi ne era il regista?

Altri, meno isterici, tuttavia vedendo queste scene, erano ottimisti, si stavano convincendo che se il fascismo era dunque caduto, la guerra che Mussolini aveva iniziata, dunque cessava. Ma non era così. La guerra continuava e sempre a fianco del vecchio alleato (o almeno cosi pareva, leggendo i bollettini di guerra, e leggendo quella sibillina frase nel proclama di Badoglio: " l'Italia mantiene fede alla parola data".

Quando poi, personalità, prefetti, generali, alti funzionari (tutti nominati dal fascismo) si precipitarono a inviare (e a far sapere a tutti che li avevano inviati) comunicati a Badoglio e al Re dichiarando di essere al loro fianco, e nel tempo stesso andavano invocando una concordia nazionale (ovviamente per mantenere il proprio posto), l'impressione che era caduto il fascismo non esisteva proprio. Tutti quelli che veramente contavano erano tutti al loro posto, cioè tutti quelli che fino alle ore 22 e quarantasette minuti si erano dichiarati sempre fascisti di "provata fede".
Solo alcuni, che avevano con Badoglio rapporti non idilliaci o esistevano vecchi rancori, dovevano guardarsi da certi manipolati gruppetti, e da alcune disposizione che aveva emanato Badoglio (che guarda un po', richiama al suo posto di Capo della polizia Senise - E come vedremo più avanti, pure lui usato, poi consegnato ai tedeschi).
I personaggi potenzialmente più pericolosi erano il generale ENZO GALBIATI, capo di stato maggiore della MILIZIA (alle sue dipendenze c'erano più di trecentomila uomini) e il capo della polizia RENZO CERICA (che poteva mobilitare agenti di Pubblica Sicurezza ma anche reparti di Carabinieri). Entrambi gli alti funzionari erano fascistissimi di provata fede. Il generale Galbiati era anche membro del Gran Consiglio e aveva partecipato alla seduta, votando contro l'ordine del giorno di Grandi; ma anche lui fece atto di sottomissione.
Dalle ore 20 di domenica 25 luglio -quando il piccolo Re aveva già esautorato Mussolini, nominato Badoglio nuovo capo del Governo e proceduto alle altre nomine più urgenti - iniziò la corsa alla fedeltà. Fedeltà al Re, beninteso.

Il responsabile di ogni male, era il regime abbattuto, a Mussolini gli si scaricava ogni colpa. Mentre gli uomini corresponsabili a titolo uguale, giocando i bussolotti del colpo di Stato, facevano sparire le loro gravi colpe. Tutti vollero far credere d'essere stati contrari all'intervento in guerra e contro Mussolini; di non aver delirato con lui alla conquista dell'Impero; di non averlo mai applaudito quando ci fu la dichiarazione di guerra alla Francia-Inghilterra, alla Grecia, alla Russia, e agli Stati Uniti d'America; negavano e in più infangavano la memoria di tanti caduti che - guidati al macello proprio da loro - si erano tuttavia comportati da eroi.
Insomma si rivoltavano, contribuivano a far rivoltare gli animi, e si riciclavano.

Il generale Galbiati si affrettò ad emanare una circolare a tutti i comandi della Milizia: in sintesi: "non fate nulla, siate fedeli al Re, come fedelissimo al Re è il vostro comandante".
Il dottor Cerica si mise disciplinatamente a disposizione del nuovo capo della Polizia, CARMINE SENISE (che aveva già ricoperto la medesima carica fino al 14 aprile di quello stesso anno, quando era stato messo alla porta da Mussolini "perchè arrestava troppe camice nere", ma che fu richiamato in questa circostanza (divenne utile); ma fu poi... il giorno prima della "grande fuga" ...messo prima in galera (paradossalmente perchè antiamericano) poi ancora più paradossalmente lasciato in mano ai tedeschi con la precedente accusa di "antifascismo-nazismo" e finì deportato a Dachau).

E i "Moschettieri del Duce?" La divisione "M" di provata fede? I moschettieri erano i più scelti fedeli fra i fedeli della Milizia fascista. Erano l'equivalente, per Mussolini, di ciò che erano i Corazzieri per il Re: la guardia personale, i preretoriani. Essere nominato Moschettiere era un privilegio, una patente di indiscutibile fede. Comandare i Moschettieri era un privilegio conteso dai più bei nomi della nobiltà. Infatti il loro comandante era un nobile, il marchese ACHILLE d'HAVET: ma che alla notizia della destituzione del Duce si affrettò a far professione di obbedienza e fedeltà al Re. Un bel quadretto!
L'Italia fu piena di "quaglie"; quanti "salti"!!

In seguito dissero tutti; "per evitare luttuosi eventi, in una situazione che era già fin troppo luttuosa per ragioni belliche". Le stesse cose poi dissero (e fu una tragedia maggiore) l'8 settembre.
Cioè che era meglio battersela che battersi. I Re, i capi di Stato maggiore, ecc. ecc. in testa !!
l' "Avanti Savoia" diventò un "indietro Savoia" ed infine un "si salvi chi può".

E il Segretario del partito CARLO SCORZA? Rimasto senza Duce cosa fa? Cerica gli comunica che Mussolini è agli arresti, e che anche lui è nella lista. Scorza chiede di essere lasciato in libertà "sulla parola" per poter fare opera di pacificazione dentro i fascisti, temendo rivolte di piazza degli ex squadristi. Ma Scorza in poche ore si rende conto che non c'è niente da pacificare perchè pare che non ci siano più fascisti in Italia.
E così anche lui fa il "salto" e si mette a disposizione del nuovo governo "per sacro dovere di soldato". E nessuno più si ricorda di arrestarlo. Finirà in prigione due mesi dopo, ma saranno i fascisti di Salò ad arrestarlo. Già, perché c'era anche un mistero da chiarire: poco dopo le ore 20 di domenica 25 luglio 1943 (quindi appena avuto notizia della rimozione del Duce) con un tempismo eccezionale, era partito da Roma un telegramma circolare che smobilitava tutte le Federazioni Fasciste e le Guardie ai Labari (cosa che semmai doveva fare o il Re o Badoglio). Il telegramma era firmato "Scorza", ma questi negò la paternità del messaggio davanti ai giudici repubblichini, che il 15 aprile 1944 lo processarono ma poi lo assolsero per diretto intervento di Mussolini.

E i prefetti tutti nominati dal fascismo perchè di "provata fede" ? - Salvo alcuni, quelli invisi a Badoglio e al Re, pochi i prefetti rimossi, mandati in pensione; eppure quelli nominati sempre nel fascismo avevano fatto la loro carriera. Ma sia gli uni che gli altri diedero un superlavoro alle poste e telegrafi. Partirono una montagna di telegrammi il cui testo era sempre più o meno questo: "riconfermo assoluta fedeltà a S.M. il Re".
Quindi se il pericolo era rappresentato dai fascisti, i fascisti come abbiamo visto non ce n'erano più!
Quanta amarezza deve aver provato Mussolini! Quando il Duce s'informò che cosa era accaduto nelle strade e nelle piazze dopo l'annuncio, qualcuno imbarazzato gli disse "Nulla!". E lui chiese "ma... ma anche quelli della mia Milizia?" (i 150.000 di provata fede), "si ! anche quelli ! se la sono tutti squagliata ! e tutti i capi stanno mandando i telegrammi al Re e a Badoglio!".

I battaglioni "M" erano accampati allo stadio Mussolini, pronti a menar le mani se Pollastrini, il capo dello squadrismo romano, rompeva gli indugi con un cenno. Invece al momento critico quelli non si mossero, anzi Pollastrini si sentì minacciato, e preferì consegnarsi alla polizia, farsi mettere in cella, per sfuggire ad un eventuale linciaggio o all'ira di alcuni gruppetti che giravano in città intenzionati a fare i "giustizieri".
Badoglio ne approfittò subito, e sul Messaggero del 27 luglio, aveva fatto aggiungere cinque scarne righe in un angolino:
E così anche i 150.000 (fedelissimi) furono attaccati al carro badogliano, con i comandanti in prima fila che fecero buttare via emblemi e distintivi vari ai loro uomini, gli misero un paio di stellette e col nome di divisione "Centauro", furono inquadrati in blocco nel nuovo esercito di Badoglio.

(da notare che poi (vedi) alla "Difesa di Roma", il 9 settembre, prima contrastarono insieme agli altri i tedeschi, poi il giorno 10, la divisione Centauro si unì a quelle tedesche -- Ma non c'era nulla di strano, perchè Calvi di Bergolo (genero dello stesso Re), parlando al proprio esercito, dopo aver consegnato Roma ai tedeschi, aveva detto anche lui come il suocero "
L'ora grave che volge impone a ognuno serietà, disciplina, patriottismo fatti di dedizione ai supremi interessi della Nazione". E disse pure che "era non solo patriottico ma era un onore entrare e giurare dentro l'esercito di Hitler" !!!!!! )

Il terrore si impadroni dei fascisti di "provata fede", questo perché Badoglio nella Gazzetta del Popolo del 30 luglio, con un altro piccolo trafiletto aveva fatto un po' paura ai fascisti più "in vista".
E non sereni erano pure gli anti-fascisti in galera (soprattutto i comunisti) che per liberarli si "richiedeva inevitabilmente del tempo".
Si voleva insomma fare a meno degli uni, e non avere subito tra i piedi gli altri.

Solo due uomini furono di provata fede: MANLIO MORGAGNI, presidente dell'Agenzia Stefani; nella suo redazione chiamò accanto a sé tutti i collaboratori, disse a ognuno "grazie" e divise fra loro i suoi averi; tutti credevano che -come gli altri- sarebbe fuggito, invece entrò nel suo ufficio, compilò un breve messaggio "Il Duce non c'è più. La mia vita non ha più scopo. Viva Mussolini!" e si sparò una revolverata in testa. Lo stesso insano gesto fece il conte Frontini, gerarca del Partito, amministratore di beni della famiglia Ciano.

Fu poi varata la Commissione per l'inchiesta sugli elleciti arricchimenti di gerarchi e pubblici funzionari che si erano avvicendati in 20 anni. Furono migliaia gli inquisiti. E cosa abominevole, tutti potevano fare le denunzie. Fra le libertà conquistate c'era prima di tutto quella di fare la delazione.

Se c'era ancora qualcuno che aveva dubbi che il Governo Badoglio era una grande restaurazione, furono sgombrati questi dubbi il 27 LUGLIO dall'annuncio ufficiale della nomina dei nuovi ministri del Gabinetto compilata il giorno prima.

BADOGLIO conservava il titolo fascista di Capo del Governo, Primo Ministro. Agli Esteri fu insediato l'ambasciatore GUARIGLIA, già rappresentante dell'Italia fascista; agli Interni il prefetto FORNACIARI, ex prefetto fascista prima di Trieste poi di Milano; alle Colonie il generale GABBA, senatore di nomina fascista; alla Giustizia AZZARITI, un alto magistrato ignoto; alle Finanze il provveditore generale dello Stato BARTOLINI, che portava nel volto le tracce della violenza infertagli il giorno prima da un gruppo di scalmanati, perché tipico esponente del regime fascista; alla Guerra il generale SORICE, da molti anni stretto collaboratore di Mussolini; alla Marina il contrammiraglio De COURTEN, a cui la parte più giovane della Marina stessa guardava come a un maestro ed era noto come caldo fautore dell'alleanza con la Germania; all'Aviazione il generale SANDALLI, distintosi molto nella guerra etiopica; all'Educazione nazionale il professor SEVERI, funzionario devotissimo al regime caduto e "doppiogiochista" insigne; ai Lavori pubblici il dott. ROMANO, capo di gabinetto del suo predecessore fascista; all'Agricoltura il prof. BRIZI, senatore di nomina fascista e capogabinetto di Acerbo; alle Comunicazioni il generale AMOROSO; alle Corporazioni il dott. PICCARDI, consigliere di stato di nomina fascista; alla Cultura Popolare, l'ambasciatore ROCCO, dal 1936 direttore generale della Stampa estera allo stesso Ministero fascista; agli Scambi e Valute il direttore generale della Banca d'Italia ACANFORA; alla Produzione bellica il generale FAVAGROSSA, capo dello stesso dicastero nell'ultimo Gabinetto mussoliniano. Fu nominato anche un sottosegretario alla Presidenza nella persona del dott. Baratono, ex Alto Commissario fascista di Napoli.

Erano dunque tutti tecnici, burocrati e militari, un gruppo di persone che nulla rappresentavano nel Paese. Senza nessuna esperienza politica né avevano le capacità per risolvere i complicati problemi. Il primo era la guerra in corso, il secondo era la minaccia di una guerra di tedeschi e anglo-americani in casa, il terzo una guerra civile nel Paese. Ma proprio per queste incapacità erano uomini utili a Badoglio, che rispetto a loro, lui si sentiva l'eminenza grigia; affiancato da un solo uomo, Aquarone, perchè rappresentante della Real Casa, ma pure lui un impreparato alla politica.

Badoglio si sentiva ma non era una eminenza grigia, l'Italia fu data in mano a un militare inesperto di politica. Un Paese che in quel momento aveva bisogno di risolvere problemi politici tutti inestricabili e difficilissimi e assai poco tecnici. Le qualità militari del Maresciallo avrebbero potuto contare, se la guerra continuava, ma quelli che avevano indicato o accettato Badoglio, dopo la caduta di Mussolini, volevano la fine sollecita della guerra, anche se non immediata. Quindi dello stratega non c'era bisogno. Fra l'altro anche le sue virtù di soldato venivano molte discusse. Essendo stato capo di Stato Maggiore dal 1926 al 1940, lo si riteneva, non a torto, responsabile dell'impreparazione militare che aveva causato tante sventure. Fascisti e antifascisti gli rimproveravano che all'inizio della guerra lui doveva dimettersi e che il suo gesto avrebbe impedito la guerra. A queste accuse lui rispondeva che gli sarebbe parso tradimento. Ma rimanendo al suo posto non è che gli servì a evitare errori, anzi in molti casi fu lui a dare il benestare a quelli che commettevano i più grossi errori.
Nessuno aveva poi dimenticato Caporetto dove dalla sciagura (proprio sulla linea del suo corpo d'armata era stato rotto il fronte) uscì non imputato bensì vice capo di stato maggiore. Litigò con Diaz per aver scatenato in pieno autunno l'offensiva su Vittorio Veneto, ma poi ne trasse la gloria.
Fu avverso all'Impresa di Etiopia, poi vi accorse, e quindi la fece quella guerra ricavandone altra gloria, titoli e ricchezze (che ne era entusiasta basta leggere le sue memorie "La guerra d'Etiopia", che furono pubblicate con tempismo, in molte edizioni, di cui alcune in carta pregiata con la sua firma autografata, quindi molto costosa).

Aveva nel 1922, asserito nel corso della Marcia su Roma, che se munito di pieni poteri, in ventiquatto ore avrebbe liquidato il fascismo: in seguito dentro il fascismo ottenne tutti i favori, gli onori e tutti i vantaggi che ambizione umana potesse desiderare.

Era come già detto, corresponsabile della sciagurata impreparazione dell'esercito, della campagna in Grecia e dei malanni che ne derivarono; eppure ora se ne avvantaggiava.

Partendo per l'Etiopia aveva affermato che vi andava per "servire la causa dell'Italia fascista", poi espresse riconoscenza al "Duce magnifico", esaltandone "l'infallibile politica", e riconobbe che la vittoria era del "fascio di spiriti che si chiamava la Nazione fascista".(citazioni prese dallo stesso: Badoglio, "La guerra d'Etiopia").

Della Spagna disse che vi si era combattuto eroicamente "in nome dei più alti ideali della civiltà fascista". Nel Maggio del 1940 si prosternò ancora a Mussolini: "Se orgoglio io ho, è quello di avere sempre servito fedelmente con devozione illimitata, Voi, Duce". e poi prese l'iniziativa per fargli dare dal Re il supremo comando delle Forze Armate (Mussolini, nell'opera che abbiamo già citata).
Arricchitosi straordinariamente durante l'epoca fascista, fascisti e antifascisti lo consideravano come un vero approfittatore del regime (ora invece a quelli come lui dava la caccia e invitava pure la popolazione a fare delazione)
.
Aveva partecipato alle trattative dell'alleanza politica e militare fra l'Italia e la Germania; poi era stato prima contrario all'intervento in guerra, poi mutò parere. "L'ora delle grandi decisioni si avvicina. Noi che dobbiamo l'unità della Patria all'atto di suprema audacia del piccolo Piemonte, che osò dichiarare guerra al grande impero Austro-Ungarico, non possiamo disertare la storia, ma affrontare la guerra con suprema audacia". (queste frasi sono in una lettera che Mussolini fece pubblicare nella "Corrispondenza Repubblicana" del 19 ottobre 1943 - Per ricordare a Badoglio che quella guerra l'aveva anche lui desiderata, voluta e propagandata).
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Quattro giorni dopo, il giorno 29-30 LUGLIO i giornali titolano "Il Popolo italiano restituito alla libertà. Scioglimento della Camera dei fasci e delle corporazioni".

Restituito alla libertà !! Ma come potevano gli italiani esseri liberi, se l'Italia e il suo governo non lo erano? Con una guerra "che continuava" e che seguitava a paralizzare il Paese e con in giro già il fantasma della disfatta? La Libertà erano forse ancora rovine e macerie?
Riflessioni e domande senza risposte. In questo stesso giornale, erano stati precipitosamente eliminati alcuni articoli perchè non graditi al Governo, e la prima pagina uscì con gli spazi bianchi (nel primo a sinistra - nell'articoletto "Siamo in guerra" furono eliminate delle frasi, mentre a fondo pagina fu eliminato un intero articolo, rimase solo il titolo che era "Saggia progressiva liquidazione" (possiamo immaginare di chi).
Come inizio di libertà c'era da stare allegri.


Il Corriere della Sera, scriverà poco dopo, il 5 settembre: "Quale libertà? Se ne parla molto, ma bisogna tener presente che l'elogiare la libertà non coincide con l'attuarla e neppure col porne le prime premesse. Perché la libertà ha un suo proprio ritmo, un respiro, che dev'essere assecondato e facilitato, senza di che c'è la dissoluzione anarchica della libertà, comodo pretesto a tutte le reazioni. Oggi ci viene data la libertà di parlare male di Mussolini e dei gerarchi di ieri, magari di progettare i più complicati piani per l'avvenire, dimenticando le concrete situazioni presenti e i problemi che sono veramente tali"

Infatti, nello stesso tempo i giornali del 30 luglio titolavano in prima pagina:
"Divieto di costituzione di qualsiasi partito politico"
.


Inoltre c'era quell'altra frase sibillina; "la guerra continua" il "nemico" ci minaccia, calpesta il nostro suolo, ha invaso le nostre città". 
Ma il nemico chi era?
(ce lo dirà Badoglio solo l'11 settembre, quando ormai era al sicuro a Brindisi)

Che Badoglio e i giornali nell'indicare il "nemico" si riferissero agli invasori anglo-americani in Sicilia, apparentemente non ci sono dubbi, perchè nella stessa pagina dei proclami, ci sono altri titoli inequivocabili come il bollettino di guerra N.1160 (vedi il primo giornale) che afferma "Aspri combattimenti in Sicilia. Sei mercantili colpiti, dodici apparecchi abbattuti"; e nel testo "I bombardieri germanici hanno conseguito "favorevoli risultati".

Gli "avversari", i "nemici colpiti" erano inequivocabilmente gli anglo-americani



Ma a che gioco giochiamo allora? si dissero chi credeva di aver capito qualcosa.

(Ma il giornale dell'8 settembre fu ancora più ambiguo, con il "bollettino 1201" >>)
(una farsa ! dentro una tragedia che andava a compiersi. L'armistizio era stato firmato da cinque giorni, ma i "nemici" erano sempre gli stessi: gli anglo-americani.
E davanti a questi atteggiamenti, gli anglo-americani avevano le loro buone ragioni ancora il giorno 8 settembre a bombardare Frascati e altre città. Volevano far capire che non scherzavano a chi li menava per il naso).

Oltre quelle di Badoglio, generici erano gli atteggiamenti anche i giornali: Il Popolo d'Italia (fascista per eccellenza) in un suo editoriale affermava: "Oggi più che mai occorrono fermezza d'animo, armonia di sentimenti e sempre più tenace volontà di combattere";
L'Unità: "La volontà popolare sta oggi gettando tutto il proprio peso sulla bilancia...e nella fase attuale della situazione bisogna che la volontà popolare sia rispettata";
Il Corriere della Sera: "La voce del dovere deve risuonare limpida e imperiosa nelle coscienze, dando il massimo del vigore al nostro sentimento di disciplina, di collaborazione incondizionata e operante. Obbedire, essere accanto all'uono che deve guidare la nazione in un così grave momento"; La Stampa: "L'Italia non può perire, e l'Italia non perirà se sapremo stringerci con ferrea decisione, con impegno totale, con abnegazione senza riserve attorno al grande, canuto vegliardo Re, che impersona l'anima immortale e l'istinto vitale di tutto il popolo".

Insomma, tante belle parole, ma nessuno indicava una strada ben precisa; anche perchè "la tenace voglia di combattere" non c'era; la "volontà popolare" non era rappresentata, la "collaborazione operante" mancava; e l' "istinto vitale" era fiaccato.
Né i cittadini di questa Italia badogliana, sapevano
chi dovevano seriamente combattere e per quale motivo. Anche se tutti lo sapevano, ma non potevano dirlo - per non prendersi una denuncia di disfattismo; cioé se si parlava male dei tedeschi - e le "veline" in proposito ai giornali (in puro stili mussoliniano) non mancarono; inoltre i prefetti avevano ricevuto l'ordine di stroncare ogni manifestazione paficista oltre che... anti-tedesca.


Solo un giornale estero fu molto chiaro (oltre che profetico) l'inglese Daily Express: "Badoglio vuole continuare la guerra... continuare nella politica bellica di Mussolini. Ma chi difenderà l'Italia? Probabilmente Badoglio si occuperà del Sud, Hitler del Nord...(le armate alleate sono ancora lontane). Chi dunque potrà allontanare dall'Italia del Nord i tedeschi? I cittadini di Milano e di Torino hanno ora l'opportunità di cacciare i tedeschi prima che questi trasfomino le loro città in tante Varsavie. Questa opportunità non l'avranno a lungo: se non coglieranno a volo il momento propizio, l'Italia del Nord diventerà una piazzaforte tedesca, e la penisola subirà il marchio feroce del passaggio dell'esercito germanico".

Badoglio e il Re, rimasero a chiedersi cosa fare per 45 giorni, facendo sfumare l'"opportunità" e regalando tempo prezioso ai tedeschi. Poi si diedero alla fuga. Passi pure la motivazione di Badoglio (che ascrisse a malafede e livore politico l'espressione "fuga") che si giustificò "per governare meglio dal Sud l'Italia", e che "i capi di Stato che hanno avuto il Paese invaso si sono in tempo recati all'estero"; ma dimentica di dirci che nessun capo di Stato e Sovrano si è trascinato dietro tutto lo Stato Maggiore lasciando l'esercito allo sbando senza ordini. Questo era un atto da corte marziale!


Quasi alla fine dei 45 giorni, PIETRO BADOGLIO, con il consenso del re inizia le difficili trattative di armistizio con i "nemici" abbattuti" e "colpiti", che dovrebbero trasformarsi come per incanto in alleati, e con gli altri "alleati tedeschi" in casa, che "conseguono favorevoli risultati" far finta di nulla mentre trescano.
L'Italia ha nel frattempo 2 milioni di soldati al fronte con i tedeschi, 52 divisioni a combattere al loro fianco, e che hanno a loro volta ammassato 22 divisioni ai tre confini (Francia, Austria, Iugoslavia) e, presagendo il tradimento sono già tutte allertate fino al più piccolo distaccamento. Pronti a far scattare l'Operazione Alarico: cioè l'occupazione della penisola.
Hitler prima del fatidico 8 settembre interromperà addirittura l'"Operazione Cittadella" nella "grande battaglia di giganti" a Kurks lasciando Manstein -l'unico generale tedesco che era riuscito a sfondare le 8 cinture difensive dei russi - praticamente circondato e a tentare di cavarsela da solo, per inviare decine di divisioni al Brennero pronte ad entrare in Italia.

Torniamo al 25 luglio.
La notizia della destituzione di Mussolini, raggiunse Berlino....

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