UNA DELLE 30.000 PAGINE DI STORIOLOGIA ......SULLA STORIA D'ITALIA >>>>>

ANNO 1944
( Gennaio - Dicembre
)

12 mesi agitati
e oscuri fatti politici

IL PROCESSO DI VERONA AI TRADITORI - "LE ZUFFE NEL POLLAIO" (5 pag. chirografate di MUSSOLINI)
TOGLIATTI: LA SVOLTA DI SALERNO -
MUSSOLINI - UN ROMPICAPO - IL "CINEVARIETA' PARTENOPEO"
IL FATTACCIO: CHI ERANO LE VITTIME DI VIA RASELLA
5 GIUGNO "I BARBARI GIUNGONO A ROMA" - 6 GIUGNO LO SBARCO IN NORMANDIA
9 LUGLIO: LA "MANO TESA" DI TOGLIATTI - L'ULTIMA INTERVISTA DI MUSSOLINI
GLI "ALLEATI" (!!??) A MILANO

PARTIAMO DA UNA PANORAMICA A INIZIO ANNO


Nella strategia delle operazioni di guerra che gli anglo americani stanno sviluppando nell'Italia Meridionale, ci sono improvvisamente delle sostanziali modifiche.
Montgomery che dal suo sbarco in Sicilia aveva raggiunto abbastanza velocemente la valle del Sangro, in Abruzzo (contava di arrivare a Pescara a fine novembre e a Roma in dicembre), dopo la furiosa battaglia di Ortona (dal 24 al 28 dicembre - una delle più sanguinose battaglie in Italia, con moltissime perdite) non ha ottenuto i risultati che i vertici delle due Potenze si attendevano. Churchill in persona piombato a Tollo la notte del 28 stesso, decise di portarsi via e sostituire il Maresciallo Montgomey (che destinerà al futuro sbarco in Normandia) con il generale Leese, e lasciare alla VIII armata inglese compiti di attacco meno sanguinosi e restare se necessario solo in difensiva (Rimarranno bloccati nei dintorni di Orsogna per circa cinque mesi, fermati dalla forte difesa tedesca della Linea Gustav).


Gli Americani fanno altrettanto nell'altro versante. Il gen. Patton lascia il comando della VII armata USA al gen. Clark; anche lui molto attardato rispetto alle previsioni dei piani, che però lo stesso Clark ha stravolto, credendo ingenuamente di poter arrivare anche lui - e prima di Montgomery) in pochi giorni a Roma (a mettersi in capo la corona di "liberatore d'Italia". . Tuttavia nonostante molte critiche e perfino il rischio di essere destituito, mantiene (lui è un raccomandato di ferro) il comando della V armata, che dovrebbe puntare - superato il Volturno- non su Roma, ma su Anzio dove è previsto (lo vedremo più avanti) l'appoggio a Clark di uno sbarco di anfibi e un aviolancio di paracadutisti per occupare gli aeroporti. Nei piani ("Piano Shingle") questo congiungimento era stato organizzato per attaccare subito i tedeschi in ritirata, inseguirli, e non dare loro il tempo di organizzarsi, di stabilire e rafforzare una linea di difesa sull'Appennino Tosco-Emiliano ("Linea Gotica").

Come Montgomery in Normandia, anche Patton viene incaricato di dedicarsi alla preparazione di un piano di sbarco (l'“Anvil”), previsto dagli Alleati sulle coste della Francia meridionale. Sarà proprio Patton a sfondare
il fronte tedesco e puntare con l'audacia nel cuore della Francia, e il 24 agosto la sua 3a armata si fermò alle porte di Parigi, cavallerescamente Patton desiderava che fossero i reparti francesi ad entrare in Città.

Contemporaneamente il gen. Alexander, comandante il XV Gruppo di armate in Italia, stabilisce l’operazione “Shingle” (l'attacco anfibio sulle coste del Mar Tirreno nei pressi di Anzio) previsto tra il 20 e il 31 gennaio. Qualche giorno prima dell’inizio della Shingle, la V armata di Clark avrebbe dovuto lanciare un deciso attacco verso Cassino e Frosinone per impegnare il maggior numero possibile di tedeschi.
Si aggiunge a Clark il Corpo di Spedizione francese del gen. Juin che prende posizione sul fianco settentrionale della V armata mentre il VI corpo USA del gen. Lucas viene ritirato dalla prima linea in quanto proprio lui è stato destinato per condurre l’operazione “Shingle” su Anzio.

Il 4-5 gennaio nel versante adriatico, in preparazione dell’attacco al Monte Cedro, unità della 46a divisione (X corpo britannico) stabiliscono una testa di ponte sulla riva settentrionale del fiume Peccia. Tentano il giorno dopo un'offensiva al di là del fiume, ma sono contenuti dalle forze tedesche della 10a armata di Vietinghoff.
Va meglio il giorno 7, quando riescono a conquistare il Monte Porchia e il Monte La Chiaia. Il giorno dopo, il X corpo riesce a conquistare anche il Monte Cedro.


IN UNA PRIOSSIMA PAGINA NARREREMO I FATTI MILITARI
NELL'ARCO DEI 12 MESI DELL'ANNO 1944

QUI OCCUPIAMOCI DEI FATTI POLITICI

8 GENNAIO - Stabilito al Congresso fascista dello scorso novembre, che ai traditori bisognava "farla pagare", inizia a Verona il processo contro i 19 membri del Gran Consiglio del Fascismo ritenuti responsabili della caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Con quello che era poi accaduto - sciogliemento del Partito fascista, i congiurati perseguiti, i 45 giorni di caos fino all'armistizio, infine la fuga del Re Badoglio e tutto lo stato maggiore - ne avevano di argomenti accusatori. Soprattutto gli intransigenti, un tempo irriducibili squadristi (spina nel fianco di Mussolini). Ma vi erano anche moderati, e alcuni (come vedremo più avanti) sulla linea della riconciliazione nazionale volendo dimenticare odi, rancori e irrazionali vendette.
In stato di detenzione al processo ne comparvero solo 6, gli altri furono giudicati in contumacia

11 GENNAIO - A Verona, dopo il sommario processo, i sei accusati sono condannati a morte con l'accusa di tradimento per aver votato a favore della destituzione di Mussolini al Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio dello scorso anno. Fra questi oltre a EMILIO DE BONO -uno dei quadrunviri che aveva con MUSSOLINI fondato il Partito Fascista e organizzato con lui la Marcia su Roma- c'è anche il genero dello stesso Mussolini, GALEAZZO CIANO.

Ciano, come gli altri condannati, fascista della prima ora nell'ottobre del '22, aveva preso parte alla marcia su Roma. Figlio di un valoroso ufficiale della Grande Guerra (Costanzo Ciano - leggendarie le sue imprese con D'Annunzio; Fiume, Buccari ecc.) dopo la laurea in legge, collaborando agli ordini di punta del regime fascista, era entrato nella carriera diplomatica. Prima addetto all'ambasciata di Rio de Janeiro, poi a quella di Pechino e a Buonos Aires. Nel 1930 sposatosi con la figlia di Mussolini, Edda, tornò in Cina come console a Shanghai e, successivamente ministro plenipotenziario.

Galeazzo Ciano, era salito alla ribalta del successo politico subito dopo essere diventato genero del Duce, attirandosi molta antipatie e invidie dagli altri gerarchi che consideravano quel successo puro nepotismo e non certo per le qualità che aveva. Comunque diventato l'uomo più in vista del regime, percorse una rapidissima carriera, che lo portò ad essere delegato italiano alla conferenza cino giapponese (1932), a ricoprire le cariche di sottosegretario (1934), ministro della stampa e propaganda (1934), membro del Gran Consiglio (1935) ed infine ministro degli Esteri nel 1936 dopo la fine della guerra d'Etiopia alla quale aveva partecipato pilotando aerei da bombardamento. Una carica molto delicata l'ultima, in quel preciso momento storico.

Per tutti questi motivi, e la sua veloce ascesa ben presto fu considerato da molti (i moderati) il delfino di Mussolini, e quindi suo degno e naturale successore. Tuttavia fu prima zelante esecutore delle direttive del suocero, poi cominciò a influire in alcune decisioni sulla base di orientamenti personali. E nemmeno mancò di perseguire interessi personali, legandosi a potenti gruppi finanziari e favorendo le loro speculazioni.

Alla vigilia dell'entrata in guerra, mentre erano già stretti (anche se indefiniti) i legami di Mussolini con Hitler, Ciano con le sue -poche celate- velleità antitedesche, divenne il punto di riferimento dei sostenitori della neutralità; ma anche questi suoi atteggiamenti erano poco chiari, e non ebbero concreti riflessi sulla condotta politica di Mussolini, né servì a stemperare l'aggressività degli interventisti i famosi "acciaisti" (del tipo staraciano, pavoliniano, farinacciano ecc.)
Eppure quando Hitler invase la Polonia, era stato lui a remare contro con una politica traversale; ma quando Hitler in Francia iniziò a travolgere ogni difesa, a Milano, a Ciano non gli mancò l'entusiasmo e la determinazione nell'invitare gli italiani a marciare a fianco dei  tedeschi. Il suo fu un discorso di guerriero, e nel declamarlo prese perfino atteggiamenti mussoliniani (questo discorso è inserito nell'anno 1940). Fu insomma molto incoerente rispetto a ciò che scriveva nel suo Diario.
Dopo la magra figura in Francia, fu ancora lui a volere e a trascinare Mussolini nella sua "guerra parallela" in Grecia, che riteneva "facile, una passeggiata, al massimo operazioni belliche per due settimane per ottenere la completa vittoria". Facile non lo era, perchè fu poi un disastro.

L'antipatia per i tedeschi però rimase, ma poco palese durante i primi due anni di guerra, anche perchè Mussolini era piuttosto infastidito che da Berlino arrivassero frasi poco riguardose nei confronti di suo genero ("Mussolini ha dei traditori in famiglia" andava dicendo Hitler ai suoi). Ma quando nel '43 iniziò a profilarsi la catastrofe per le forze dell'asse, Ciano riprese e accentuò le critiche alla politica di alleanza con i nazisti; a quel punto Mussolini nel febbraio 1943, lo esonerò dalla carica di ministro degli esteri e lo relegò a fare l'ambasciatore in Vaticano.
C'era già in giro aria di fronda, e Ciano si avvicinò a Grandi, favorevole al distacco dalla Germania. I due prima si appoggiarono l'un l'altro, poi allargarono la fronda, fino a quando convocarono la seduta del gran consiglio del 24-25 luglio.

Qui, come già sappiamo, Ciano ebbe il coraggio, pur incrociando lo sbigottito e interrogativo sguardo del suocero, di votare in modo palese l'ordine del giorno al Gran Consiglio, che toglieva a Mussolini i poteri di capo del governo e quello di capo del fascismo. Atto che rappresentò per Mussolini la sua uscita di scena dopo un ventennio, e non solo politica ma anche fisica, visto che venne subito dopo arrestato, mandato prima a Ponza, poi alla Maddalena, infine sul Gran Sasso.

Ciano dopo aver fatto un gran favore a Badoglio con l'appoggiare la cacciata di Mussolini, era convinto -come Grandi- di entrare nel suo governo. Cadute queste illusione, sciolto il Partito fascista, Ciano dovette darsi alla macchia per non finire arrestato e giustiziato pure lui come Muti, Cavallero e altri.
Rimase nascosto in Italia, ma poi fece un altro più tragico e puerile errore, quello di fuggire anche lui e rifugiarsi proprio dai tedeschi, a Monaco di Baviera.
Fu un vero e proprio "suicidio" di un ingenuo. Hitler prima lo accolse bene, lo fece perfino incontrare con Mussolini dopo la sua liberazione al Fran Sasso, e farsi raggiungere dalla moglie Edda, che cercò di indurre padre e marito a una effimera riconciliazione.
Purtroppo Ciano a Monaco commise un'altra fatale ingenuità. Diffidando dei tedeschi, chiese di poter raggiungere la Spagna. Non era quindi un pentito, nè dimostrava di essere andato in Germania come tanti altri gerarchi a incitare gli italiani da radio Monaco a lavare l'onta dei traditori. Il permesso non solo gli fu rifiutato, ma fu trattenuto dalle autorità naziste. Il 19 ottobre lo presero per il bavero e lo consegnarono ai fascisti italiani.

Nel frattempo Mussolini era già tornato in Italia (23 sett), aveva dato vita a un nuovo governo, ricostituito un Gabinetto (il 27 set.), tracciato un programma del nuovo Stato Fascista, e (ingenuo pure lui) ridato spazio ai gerarchi più intransigenti, quelli che gridavano vendetta, "al muro! al Muro! i traditori".
Il 14-16 novembre si apriva a Verona il primo congresso del nuovo Partito fascista repubblicano.

L'aria che tirava a Verona, la leggeremo più avanti; ed era -l'abbiamo appena detto- aria di vendette e di morte per i traditori.
Mussolini si trovò nella imbarazzante situazione di non potersi tirare indietro pur essendo Ciano suo genero; dovette farlo processare assieme agli altri congiurati, che furono alla fine tutti condannati a morte. Quella di Ciano, fu una "vita sbagliata" fino all'ultimo istante.
Suo moglie scrisse accorate lettere al padre. Lui stesso chiese la grazia. Quest'ultima a Mussolini non fu nemmeno inoltrata da Pavolini "per non dargli un altro dispiacere".
Dopo glorie e onori, megalomanie e invidie, terminava in questo agghiacciante modo la vita di Galeazzo Ciano.





Comparsi davanti al tribunale speciale, composto da ufficiali della Miliza fascista, Ciano, Emilio de Bono, Giovanni Marinelli, Luciano Gottardi, Carlo Pareschi, con il breve e sommario processo, seguito dalla condanna a morte, furono portati nella fortezza di San Procolo a Verona, e qui fucilati alla schiena.


Si salvò solo Tullio Cianetti che, per aver ritrattato la sua adesione al documento Grandi, fu condannato a 30 anni di reclusione.

Ciano ci ha lasciato i Diari, che costituiscono una preziosa fonte sugli umori al vertice del regime, ma anche a farci conoscere i suoi grandi errori politici che avrebbero potuto, se non commessi, cambiare la storia d'Italia.


14 GENNAIO - Viene proclamata la socializzazione delle aziende. Con questo ritorno di Mussolini “alle origini”, il regime tenta di assicurarsi l’appoggio delle masse operaie del Nord. E se già prima, in particolare i comunisti, lottavano contro il fascismo (che era un lontano partito cugino socialista, e tale rimase Mussolini fino agli anni '20), ora non vogliono certo un concorrente sulla piazza, con le antiche idee socialisteggianti del Mussolini anni forlivesi.
Se Mussolini sperava di conciliarsi alcuni importanti elementi di sinistra, rimase deluso.
Il CLN sempre impegnato a denigrare e combattere il fascismo a ogni costo, svalutò moralmente la socializzazione, ed infine tagliò corto, disse che quello era un atto disperato di propaganda, che Mussolini ora, con l'acqua alla gola bussava a Mosca (dove in passato era stato molto considerato da Lenin, che prima di morire ebbe il tempo di rimproverare i socialisti italiani dicendo "l'unico rivoluzionario capace di fare una rivoluzione ve lo siete lasciato sfuggire").

Ma in questo duro atteggiamento, non sono da sottovalutare i legami che ormai, il CLN milanese e torinese, aveva con alcuni importanti capitalisti e industriali, con i "padroni". Questi non è che erano diventati improvvisamente marxisti, nè sensibili al proletariato, ma più semplicemente si preparavano un alibi per domani, e in molti casi perfino sovvenzionando il movimento; o concertando una linea per difendere il posto di lavoro degli operai e nello stesso tempo salvare la propria fabbrica.
Inoltre, pare che non tutti i fascisti a Verona erano d'accordo sulla socializzazione, anche se c'era dentro il partito una corrente di estremisti di sinistra. Altri la volevano più a lungo discuterla. Gli scettici dissero che era inattuabile e solo demagogia. Mentre l'ala estrema destra guidata da Farinacci, era tutta contraria.
Non si era ancora a ferri corti, ma c'era ancora una certa tolleranza, e lo dimostra il fatto che i moderati, con una certa libertà d'azione si riunirono in febbraio a Valdagno, per discutere l'atteggiamento conciliativo con alcuni membri del CLN.
Gli intransigenti (che andavano dicendo che gli uni e gli altri erano tutti sovversivi) li volevano arrestare, anzi uno (membro della direzione del partito d'azione) lo arrestarono pure e questo preso dal panico, piuttosto di finire in galera, snocciolò tutto l'apparato, una lunga serie di nomi di clandestini e capi partigiani, rivelando o inventandosi progetti sovversivi militari e politici, e fra questi nomi, fece quelli di Parri, Lombardi e tanti altri, che corsero un serio rischio.

Mussolini se aveva veramente intenzione di mettere le mani sui dirigenti clandestini, ne aveva la possibilità. Invece volle che non si procedesse contro nessuno e si preoccupò perfino che queste rivelazioni e i relativi verbali non cadessero in mano tedesca. I quali già erano irritati oltre che sorpresi del suo decreto. Perfino Hitler chiese spiegazioni telefoniche, temendo che la riforma avrebbe disturbato l'azione di guerra e la produzione bellica.
A rassicurarlo ci pensò il suo generale Leyers.

Si afferma da più parti, che volendo applicare il decreto, in quel punto dove si parla di commissioni di fabbrica di operai e imprenditori, la sinistra millantò di essere riuscita a convincere il proletariato a rifiutare il decreto e a non applicarlo.
La verità è che Leyers (che era sovrintendente alle industrie belliche in Italia) potè assicurare Hitler, affermando che il decreto non poteva essere applicato senza il suo consenso, avendo già inviato a tutte le imprese dichiarate "protette" (impegnate nella produzione bellica), una circolare avvertendo che "ogni trasformazione della compagine interna, tecnica e amministrativa doveva essere da lui autorizzata".
Il decreto insomma non si applicò nella grande industria bellica, perchè era impossibile applicarlo. Quindi fu ininfluente l'opera millantata dei comunisti presso la forza lavoro delle grandi industrie.

23 GENNAIO - Com'era nel programma fissato in precedenza, alle ore 2 del mattino scatta l’operazione “Shingle”, lo sbarco nella zona tra Anzio e Nettuno, sulla costa tirrenica
(azione militare che narriamo in altre pagine a parte - con i fatti divisi in due semestri).

La notizia dello sbarco aveva risvegliato nella capitale tutte le speranze degli antifascisti; e non solo quelli del CLN. Tutti erano convinti che la liberazione era una questione di ore o di pochi giorni. Che quella di Anzio era la battaglia decisiva.
Il Partito socialista di unità proletaria con un proprio manifesto (fa sempre le cose a parte) e il CNL (Partito Socialista Italiano - Partito d'Azione - Democrazia Cristiana - Partito Liberale - Partito Comunista - Democrazia del Lavoro) con un messaggio invitarono i romani alla mobilitazione, convinti - recitavano entrambi - che "fra pochi giorni faranno il loro ingresso a Roma l'esercito anglo-americano" e che era "...giunto il momento di liberarsi non solo dei tedeschi ma anche da una decisa volontà di liberarsi dalla infausta dinastia regnante".

Pochi giorni dopo, a Napoli si riunì un congresso del Comitato di liberazione
Il 25 gennaio 1944, fu diffuso l'ordine del giorno dei combattenti di Taranto.
Il 26 Gennaio 1944 ci fu la mozione al Congresso di Bari
Il 27 Gennaio 1944, il Congresso di Bari votò un ordine del giorno.
Il 12 Marzo i partiti di sinistra si diedero appuntamento a Napoli.



Quello di Napoli, svoltosi in Galleria (Gli anglo-americani in un primo momento lo volevano proibire, come avevano già fatto a novembre) buona parte degli oratori non nominavano la questione monarchica, tuttavia da parte di alcuni pieni di rancori, ci fu l'attacco violento contro il Re e contro Badoglio. Si disse (The Times 13 marzo 1944) che i convenuti (4000) rappresentassero 300.000 combattenti (sic!), ma ci furono contestazioni sui mandati.
Quelli che erano possibilisti con il Re e con il governo Badoglio, non erano proprio tanto sinceri, ma si disse che avevano capito che non potevano subire l'umiliazione (da parte degli anglo-americani) della scomparsa del governo regio e quindi lo accettavano così com'era in attesa di tempi migliori a breve termine, convinti che la guerra con gli anglo-americani dopo pochi giorni sarebbe finita.

Il "congresso" si svolse con la solita violenza nel liguaggio, e gli oratori ripeterono quanto s'era detto - nello stesso modo- a Bari; e come in quello, a Napoli ci furono notevoli incomprensioni e contrasti sulla linea da seguire. Croce definì l'O.d.G. di Napoli "cretino" (Croce, Quando l'Italia era tagliata in due, pag 68).
Per quel possibilismo espresso da una corrente, già qualcuno prevedeva un gesto rivoluzionario (solo un gesto, perchè nessun partito aveva forze sufficienti per farla la rivoluzione. Inoltre come avrebbero reagito gli anglo-americani, si poteva solo immaginare).
Con quest'aria che tirava il 12 marzo a Napoli, ci sembra proprio inverosimile che gli anglo-americani alcuni giorni dopo sollecitassero degli attentati, tantomeno quello di via Rasella del 23 marzo, che avrebbe potuto scatenare una insurrezione incontrollata, con tutti i benefici per i comunisti.

Sia Croce che Sforza, che si ritenevano a Napoli capi del movimento e ambivano a guidare loro due il governo, non reagirono, temendo di screditarsi di fronte agli anglo-americani (di loro due abbiamo già visto quanto astio proclamavano pubblicamente contro il Sovrano e il Ministero Badoglio).
Sforza contava di prendere il potere, e dopo aver tirato per la giacca Croce dalla sua parte, il filosofo convinto ad affiancarlo gli aveva promesso che lui "sarebbe entrato nel Gabinetto come ministro senza portafoglio, e avrebbe partecipato al consiglio dei ministri per formare il Governo, e per supplirlo nella presidenza, se Sforza si dovesse recare all'estero per trattative diplomatiche" (Croce, op, cit. pag. 70)

Dunque Sforza e Croce erano andati al Congresso di Napoli lusingati nella vana speranza di prendere nel nuovo Governo, la presidenza e la vicepresidenza. Accolsero con malumore quell'O.d.G. e cosa era emerso al Congresso medesimo, che poi Croce definì "Villano di origine e sciocco di contenuto" (Croce, op, cit. pag. 70)

Il Congresso di Bari invece, dalla pubblicità che se ne fece, era vantato come "la prima manifestazione nazionale della risorgente libertà politica"... "un'assemblea di uomini coscienti, che doveva prendere decisioni d'importanza storica, attesa da tutto il popolo italiano".
Tutti fecero fiumi di parole, ma nessuno si ricordava che il monopolio della libertà era in mano straniera, e che i vincitori guardavano se non con disprezzo, certo con scherno, quegli uomini che parlavano contro il loro re e contro il governo, per dare da intendere ad altri di essere uomoni liberi.

Le cronache ci dicono che a Bari fu eletta una giunta permanente, composta da un rappresentante per ogni partito, per mettere in pratica la risoluzione del congresso; che era quella di proporre l'abicazione del Re e il rinvio della scelta istituzionale. Ma l'aria che tirava (con le nuove relazioni Russia-Badoglio) era quella di una eventuale partecipazione a un governo Badoglio (che poi avanzò Togliatti al suo rientro in Italia alla fine di marzo, sconcertando i comunisti italiani e lasciando sbigottiti oltre che dubbiosi gli anglo-americani).

Non sappiamo nè da Badoglio, nè dai comunisti cosa accadde. Lo possiamo solo immaginare quando andiamo a leggere una dichiarazione della Democrazia Cristiana del 26 gennaio (il documento è riportato in "Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943-1967", presentati da Mariano Rumor, edizione 5 lune, 1967). Ecco cosa riportava la dichiarazione
"In riferimento alla dichiarazione del Partito Comunista pubblicata sul Risorgimento del 25 gennaio la Democrazia Cristiana precisa che, fra le condizioni per una eventuale partecipazione al Governo Badoglio, vi era quella della collaborazione con tutti i Partiti rappresentati nei Comitati di Liberazione, e non già con i soli Partiti Comunisti e Socialisti". ("Non già con i
soli partiti Comunisti e Socialisti" - Chi stava tramando? quel "non già con i soli" è inequivocabile)

Il 27-29 gennaio sempre a Bari la DC tenne un congresso, parallelo a quello dei C.d.L.N. Probabilmente si discusse molto. Poi alla chiusura del Congresso dei Comitati , l'O.d.G. dello stesso Comitato costituiva la Giunta Esecutiva Permanente, alla quale furono chiamati i rappresentanti designati dai partiti componenti i Comitati, onde predisporre le condizioni necessarie per il raggiungimento degli scopi discussi.


MESSAGGIO DEL COMITATO CENTRALE DI LIBERAZIONE
19 gennaio 1944


Il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale invia al Congresso di Bari il suo fraterno saluto. Il Congresso si riunisce, mentre si scatena la battaglia decisiva che darà la vittoria alle Nazioni che si sono battute sotto la bandiera della libertà.

In questa battaglia l'Italia, dal fascismo condotta al più grande disastro della sua storia, è a fianco delle nazioni alleate. Essa non può risorgere a Nazione libera e non può riacquistare il suo posto in Europa se non provando col sacrificio dei suoi figli come sia stata trascinata contro la sua volontà alla alleanza con la Germania ed alla guerra contro le Nazioni Unite.

I Comitati di Liberazione dell'Italia occupata sono impegnati con tutte le loro forze nella lotta contro l'invasore che bisogna scacciare oltre il Brennero e contro i suoi servi fascisti.

L'eroica guerriglia dei patrioti, i grandi scioperi del nord, la cospirazione, l'azione quotidiana dei partiti antifascisti, sono il segno della indomita volontà di lotta del popolo. I fucilati di Savona, di Brescia, di Milano, di Roma. di Ferrara e di tante altre terre d'Italia, le migliaia di carcerati che popolano le galere, la fierezza con cui i volontari della libertà affrontano il piombo nazista e fascista, le resistenze ai bandi ed alle leve, attestano davanti al mondo la volontà di lotta della nuova Italia.

In questa lotta è assente il governo che, dopo la fuga del Re da Roma, non ha saputo organizzare la partecipazione effettiva della nazione alla guerra, né ha contribuito alla resistenza nell'Italia occupata.

Questo governo deve sparire! La posizione da voi presa e quella assunta dal nostro Comitato Centrale per la costituzione di un governo straordinario che assuma tutti i poteri costituzionali dello Stato senza compromettere la concordia della Nazione e senza pregiudicare la libera espressione della volontà popolare sulla forma istituzionale, rappresentano la condizione indispensabile perché l'Italia conduca con necessario vigore la guerra fino alla vittoria ed assicuri il proprio avvenire.

Il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale conta sulle deliberazioni del Congresso di Bari per intensificare nell'Italia meridionale e nelle isole la mobilitazione di tutte le energie e prendere le iniziative atte ad aiutare e potenziare la lotta dell'Italia occupata.

Roma. 19 gennaio 1944.

Partito Socialista Italiano - Partito d'Azione - Democrazia Cristiana - Partito Liberale - Partito Comunista - Democrazia del Lavoro.


In fondo al documento vi era la firma di sei partiti: Michele Di Pietro per il PLI, , Paolo Tedeschi per il PCI, Luigi Sansone per il PSI, Adolfo Omodeo per il P.d'A., Andrea Gallo per Democrazia del Lavoro, e infine Angelico Venuti per la DC (dunque c'era la DC, ed essendoci il PC spariva il "
soli")


Il colonnello Stevens a Radio Londra l'8 marzo, fu impietoso nei confronti di quel vociare e gesticolare che si era visto a Bari e a Napoli, e con sarcasmo disse che "l'India era giunta a un grado di educazione politica più elevata dell'Italia"

Il 25 gennaio 1944, si aggiunse l'ordine del giorno dei combattenti di Taranto.
Il 26 Gennaio 1944 ci fu la mozione al Congresso riunito a Bari
Il 27 Gennaio 1944, il Congresso votò un ordine del giorno.
Il 6 Febbraio 1944 si aggiunse quello della Giunta Esecutiva a Napoli
Il 11 Febbraio la risposta di Badoglio alla nazione

 


ORDINE DEL GIORNO DEI COMBATTENTI
Taranto 25 Gennaio 1944

I Combattenti delle Terre Liberate, riuniti in Taranto per iniziativa della Federazione Ionica, nel giorno 25 gennaio 1944;

Fedeli
al loro giuramento ed alla disciplina combattentistica;

Salutano
le Nazioni Alleate alle quali gli Italiani si sforzeranno sempre più di apportare il maggior contributo possibile per la vittoria contro il comune nemico, creando così i sacri legami per la ricostruzione dell'Italia nel dopo-guerra;

Salutano
i propri commilitoni che valorosamente combattono sul mare, in terra e nell'aria, sia a fianco degli Alleati che con la guerriglia nella Italia occupata;

Considerando
che lo slancio totale di tutte le energie deve essere rivolto alla guerra di liberazione; che ogni deviazione da questo scopo è un tradimento; che all'uopo s'impone una tregua delle passioni, in maniera che nessuno sforzo si disperda verso altro fine che non sia quello della cacciata dei tedeschi dall'Italia; che è quindi necessario l'affratellamento di tutto il popolo nel supremo sacrificio comune, sedando ogni divergenza nel campo della politica interna, per assicurare la completa tranquillità nelle retrovie, e rinsaldare il morale dei nostri soldati che eroicamente si battono sui fronti di guerra;

E s a m i n a
l'attuale situazione politica e le modalità e gli scopi del prossimo congresso dei Comitati di Liberazione in Bari, dichiarando che detto congresso rappresenta unicamente il pensiero di limitati gruppi politici;

Fanno voti
che tutti gli italiani si stringano, con l'unico scopo di raggiungere presto la liberazione del nostro Paese, rinviando la soluzione di ogni questione politica al giorno in cui tutti gli italiani potranno esprimere liberamente e serenamente la loro opinione, compresi quelli oggi ancora sottoposti al giogo e quelli che con ansia attendono la fine della loro prigionia.


 


MOZIONE DEL PARTITO D'AZIONE PER IL CONGRESSO DI BARI
(26 GENNAIO 1944)

1. - Non essendo seguita né al 25 luglio né all'armistizio né alla dichiarazione di guerra alla Germania l'attesa e richiesta abdicazione di Vittorio Emanuele III, ed essendosi dimostrato il susseguito suo governo in Brindisi del tutto inefficiente e anzi tuttavia ispirato a metodi reazionari e a un effettivo spirito antidemocratico: formulare, l'atto di accusa
contro il re, fondato su tutte le violazioni dello statuto da lui commesse.

2. - Che il Congresso si proclami Assemblea Rappresentativa dell'Italia Liberata e che stabilisca di riconvocarsi al più presto, con l'inclusione di delegati delle province non ancora liberate, in Roma per ivi sedere in permanenza fino alla formazione
della Costituente, assolvendo temporaneamente ai seguenti compiti:
a) Procedere alla formazione del Governo;
b) Intensificare lo sforzo bellico;
c) Vigilare acché niuno attenti alle riconquistate libertà.

3. -- Nel frattempo, e fino alla liberazione di Roma, eleggere una giunta esecutiva permanente dell'Italia liberata che:
a) si compia tutti gli atti necessari al perseguimento degli scopi sopraenunciati di intensificazione dello sforzo bellico e di vigilanza e tutela delle riconquistate libertà;
b) Rappresenti il popolo italiano nei rapporti con le Nazioni Unite;
c) si curi la legale riconvocazione del Congresso quale assemblea rappresentativa e deliberante in Roma, verificando i poteri di ciascun delegato;
d) Abbia i poteri di deliberare e agire in vece del congresso.

 

4. - ORDINE DEL GIORNO VOTATO DAL CONGRESSO DI BARI
(29 GENNAIO 1944)
Il Congresso, udita ed approvata la relazione Arangio-Ruiz sulla politica interna;
ritenuto che le condizioni attuali del Paese non consentono la immediata soluzione della questione istituzionale; che, però, presupposto innegabile della ricostruzione morale e materiale italiana è l'abdicazione immediata del Re, responsabile delle sciagure del Paese;
ritenuto che questo Congresso, espressione vera e unica della volontà e delle forze della Nazione, ha il diritto ed il dovere, in rappresentanza del popolo italiano, di proclamare tale esigenza;
Dichiara
la necessità di pervenire alla composizione di un governo con i pieni poteri del momento di eccezione e con la partecipazione di tutti i partiti rappresentanti al Congresso, che abbia i compiti di intensificare al massimo lo sforzo bellico, di avviare a soluzione i più urgenti problemi della vita italiana, con l'appoggio delle masse popolari, al cui benessere intende lavorare, e di predisporre con garanzia di imparzialità e libertà la convocazione dell'Assemblea Costituente, da indirsi appena cessate le ostilità;

Delibera
la costituzione di una Giunta esecutiva permanente alla quale siano chiamati i rappresentanti designati dei partiti componenti i Comitati di Liberazione e che, in accordo col Comitato Centrale ed in contatto con le personalità politiche e riconosciute come alta espressione dell'antifascismo, predisponga le condizioni necessarie al raggiungimento degli scopi suddetti.

Per il Partito Liberale: Michele Di Pietro Per la Democrazia Cristiana: Angelo Venuti Perda Democrazia del Lavoro: Andrea Gallo Per il Partito d'Azione: Adolfo Omodeo Per il Partito Socialista: Luigi Sansone Per il Partito Comunista: Paolo Tedeschi
Sono stati designati dai rispettivi partiti, come membri nella G.E.P.:
FRANCESCO CERABONA, per il Partito della Democrazia del Lavoro;
VINCENZO ARANCIO-Ruitz, per il Partito Liberale; PAOLO TEDESCHI, per il partito Comunista; VINCENZO CALACE, per il Partito d'Azione; ANGELO RAFFAELE JERVOLINO, per la Democrazia
Cristiana
ORESTE LONGOBARDI, per il Partito Socialista.
.

 


LA GIUNTA ESECUTIVA AL RE
(6 FEBBRAIO 1944)
A Vittorio Emanuele III Re d'Italia
La Giunta Esecutiva Permanente, nominata dal Congresso dei Comitati di Liberazione tenutosi a Bari nei giorni 28 e 29 gennaio 1944, e che ha svolto i suoi lavori in un'ardente atmosfera di passione italiana e umana, francheggiata dal messaggio di dolore e di speranza pervenuto da Roma a nome dei fratelli oppressi ancora dal Vostro alleato di ieri, fedele interprete della solenne, austera, unanime condanna del Popolo Italiano a carico Vostro, di fronte all'incolmabile abisso morale e politico, che divide il popolo dal Monarca, reputa suo preciso dovere notificarVi il deliberato del Congresso stesso.
Vogliate ben meditare il significato di tale voto, che esprime il sentimento unanime degli italiani, i quali angosciosamente domandano una pronta azione, che lavi le vergogne del passato e ponga i possibili ripari alla rovina del Paese.
Prevalga finalmente la carità di Patria e si faccia chiaro alla Vostra coscienza il dovere dell'immediata abdicazione, sì che il potere venga assunto in questa ora suprema da uomini non compromessi con un ventennio di violenze, di turpitudini e di delitti.
Ogni ulteriore indugio aggrava la situazione del Paese e rende più paurose le Vostre responsabilità, che non possono in alcun modo essere coperte da una costituzione lacerata.


Napoli, 6 febbraio 1944
La Giunta Esecutiva Permanente
VINCENZO ARANCIO-RuIz, A. RAFFAELE JERVOLINO,
FRANCESCO CERABONA, ORESTE LONGOBARDI,
PAOLO TEDESCHI, VINCENZO CALACE.


 

 


PROCLAMA DI BADOGLIO
(11 FEBBRAIO 1944)

« Italiani! Le Nazione Unite, aderendo alla richiesta del Regio Governo, hanno disposto che la maggior parte del nostro territorio finora occupato dalle Forze Alleate ci sia restituito. Restano naturalmente in vigore soltanto quelle clausole e condizioni che sono necessarie per la condotta della guerra.

E' questo, dopo molte dolorose e tormentose giornate, un primo giorno fausto, perché, se lo sapremo e lo vorremo, sarà il primo della rinascita che può venire solo dallo sforzo risoluto e concorde. Siate, Italiani, all'altezza dell'avvenimento, in nome di questa Patria risorgente dall'abisso, insanguinata e dolente.

Ringrazio gli Alleati, a nome di S. M. il Re e di tutto il popolo italiano, per questo nobile gesto che è un atto di generosità ed anche una prova di fiducia. A nessuno sfuggirà l'importanza e la portata dell'avvenimento. E' questa la prima tappa verso la rinnovata unità della Patria, che deve essere il nostro scopo e la nostra suprema aspirazione, la prima tappa dopo quella cieca corsa verso l'abisso alla quale il popolo italiano è stato per venti anni costretto da un regime di cui vogliamo completamente redimerci, in nome della libertà che c'è cara, ma non della licenza, in cui nessun popolo può cadere senza pericolo estremo.

Italiani! Le Forze Alleate combattono vittoriosamente con noi il comune nemico tedesco, quello stesso nemico che abbiamo combattuto insieme sul Carso, sull'Isonzo, sul Piave. Dall'esito di questa lotta dipende l'avvenire dell'Italia e del mondo. Tutti gli italiani, in ogni settore della vita nazionale, dai più umili ai più alti, vi debbono contribuire con tutti i mezzi e con tutte le loro forze, senza riserva, senza esitazioni, senza discussioni. I nostri fratelli ci attendono in Roma Eterna, in tutte le città ed in tutti i villaggi ancora premuti dalle baionette naziste.

La guerra può essere vinta soltanto con la più leale, con la più franca, con la più intima collaborazione con i liberi e i grandi popoli Alleati. Chiunque compia atti che ostacolino le forze armate nostre ed Alleate e ne intralcino lo sforzo bellico, o comunque giovino al nemico, sarà senz'altro giudicato ed esemplarmente punito ».

Badoglio



A questa "olimpiade" dei partiti, tutti impegnati a superarsi nell'arte di screditarsi l'un l'altro, si aggiunse una corrispondenza repubblicana fascista con un intervento dello stesso Mussolini, dal titolo e dal testo piuttosto singolare e con un "realistico apprezzamento". "ZUFFE NEL POLLAIO".

Mentre gli Alleati restituiscono al re e al governo Badoglio la giurisdizione di Potenza, Salerno, Bari, la Sicilia e la Sardegna, Mussolini irride in questo articolo, Sforza e Croce mentre si "ritirano con le pive nel sacco". Il primo "...dal coraggio leonino che versa la furtiva lacrima, non ha rivali in sfrontatezza; il secondo il filosofo di Pescasseroli, che in vent'nni non ha mai voluto fare politica, ma che è sempre stato accontentato nelle sue domande, ora si era messo a fare politica. Pive nel sacco anche per lui". Infine i commenti sul congresso di Bari, "hanno partecipato dei "bonzi", "degli avversari non per antagonismo nazionale ma per concorrenza personale. Insomma bassezza politica"; "e i sei partiti nel loro congresso a Napoli? Sono sei, ma sono disuniti, non hanno la forza, infatti non hanno avuto il coraggio di prendere una netta posizione istituzionale, hanno accettato la monarchia e forse aspetteranno pure che diventi Re il piccolo Vittorio Emanuele. Per Sforza e Croce, pive nel sacco".


"ZUFFE NEL POLLAIO"
Di Mussolini


RIPRODUCIAMO L'INTERA LETTERA ORIGINALE (5 PAGINE)

Ma a Napoli messo sul fuoco a rosolare c'era dell'altro, e quindi il possibilismo nascondeva ben altro. Il russo Whishinsky aveva già percorso nei precedenti mesi l'Italia meridionale (Ne abbiamo parlato, quando abbiamo accennato alla Sicilia e all'indipendentismo) e si era reso conto che se si prendevano invece che atteggiamenti intransigenti comportamenti possibilisti, si poteva senza tanti traumi far entrare in Italia la politica Russa.
Bogolov a fine febbraio lo sostituì nel Consiglio Consultivo, e questi il 4 marzo s'incontrò con Badoglio proponendogli che "se era disposto a mettere per iscritto la domanda al governo sovietico per lo scambio dei rappresentanti, questa sarebbe stata accolta" (Badoglio, L'Italia nel secondo conflitto mondiale, p.164).
Contatti in tal senso c'erano già stati nel mesi di gennaio con Badoglio e Prunas - segretario generale del ministero degli esteri - (Prunas, "Il ministero degli affari esteri", pag 39). Ora l'abile Bogolov operando in questo modo, dimostrava al mondo che l'iniziativa anche se (a parole) era partita dalla Russia, la richiesta veniva fatta dall'Italia per iscritto.
Badoglio senza avvertire gli anglo-americani, "accettò la proposta; il 7 marzo spedì la domanda, e quattro giorni dopo il governo sovietico rispose accettando di riprendere le dirette relazioni tra i due governi" (Soviet Foreign Policy during the patriot wr, vol. II, pag. 57 e 56).

Per la Russia voleva dire tradire gli interessi rivoluzionari e comunisti, perché il governo russo riconosceva il governo regio e la monarchia, quindi non poteva rovesciarli tramite gli accesi suoi seguaci che aveva e si agitavano in Italia. La Russia non dava proprio quello che davano gli anglo-americani (armi e viveri), ma procurava però l'indipendenza (a Badoglio e C.) più di questi.

Del resto anche Badoglio voleva sganciarsi dall' opprimente politica degli anglo americani, e se questa politica fosse diventata ancora più soffocante, lui pensava, questi buoni rapporti con la Russia avrebbero riequilibrato le forze.

Il 13 marzo Badoglio, lasciando di stucco gli anglo-americani, oltre gli intransigenti contro il suo governo (spiazzandoli così tutti), pubblicava il seguente comunicato:
"In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il governo dell'URSS ed il regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due governi senza indugio allo scambio dei rappresentanti, muniti dello statuto diplomatico di uso"....."La Russia socialista ci tende la mano, nonostante gli errori del passato regime, un gesto che non sarà dimenticato dal popolo italiano".....

Poi inviò un telegramma a Stalin, che lo stesso giorno diffuse la notizia emettendo un comunicato riportando per intero il desiderio espresso da Badoglio (cioè dall'Italia).
Con un passo chiave, che è indubbiamente indirizzato agli anglo-americani:
"La nuova Italia in quasi mezzo anno di cobelligeranza ECC. ECC. vedi sotto

RIPRESA DELLE RELAZIONI ITALIA-RUSSIA

(13 MARZO 1944)


« In seguito al desiderio, a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il Governo dell'Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche ed il Regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi.

In conformità a tali decisioni sarà proceduto tra i due Governi senza indugio allo scambio di rappresentanti muniti dello Statuto diplomatico di uso.

Il Capo del Governo, Maresciallo Badoglio, ha diretto a Stalin il seguente telegramma:


« Nel momento in cui i nostri due Paesi decidono di scambiare rappresentanti ufficiali tengo a dirle, Signor Maresciallo, che tutto il popolo italiano, pienamente consapevole dell'imponente e vittorioso sforzo bellico sovietico e più che mai convinto della necessità di riportare i rapporti italo-russi a quel piano di feconda ed amichevole collaborazione che fu temporaneamente e tragicamente abbandonato da quel regime che oggi combattiamo assieme. Interprete dei sentimenti del popolo italiano trasmetto a lei, Signor Maresciallo, ed al grande ed eroico popolo russo i miei grati e caldi voti augurali ».

La ripresa delle relazioni tra l'Italia e l'U.R.S.S. chiude un capitolo ed apre una nuova fase della vita internazionale italiana. Come tale è avvenimento di ovvia importanza che sarà indubbiamente apprezzato in tutto il suo significato e portata dalla intera opinione pubblica italiana. al di qua e al di là della
linea di battaglia.

L'imponente sforzo bellico della Russia Sovietica, gli enormi sacrifici stoicamente sopportati, le sue travolgenti vittorie su quella che era stata considerata come la più colossale macchina di guerra che il mondo abbia mai conosciuto, tutto ciò che tale sforzo e tali vittorie necessariamente presumono ed implicano in fatto di organizzazione economica, politica, sociale, danno, senza possibilità di contestazioni, alla Russia Sovietica un posto prevalente, oggi in guerra, nella pace domani.

La nuova Italia in quasi mezzo anno di cobelligeranza ha da altra parte dato e dà prove che dovrebbero essere assolutamente probanti del suo buon volere, della sua lealtà, del suo deciso e fermo proposito di totale collaborazione con le fazioni Unite.

Italia e Russia, registrano realisticamente tali circostanze, e, altrettanto realisticamente ne traggono quelle conseguenze che sono del resto condizioni necessarie di ogni politica veramente ricostruttrice.

Aderendo al desiderio manifestato dal R. Governo alle Nazioni Unite, la Russia Socialista ci tende la mano, nonostante gli errori del passato regime. Ed e questo indubbiamente un gesto che non sarà facilutente dimenticato dal popolo italiano, compiuto com'è in una delle ore più tragiche della sua storia.

E' superfluo e sarebbe forse in questa occasione intempestivo soffermarsi su ciò che l'avvenimento implica nei confronti della presente situazione italiana.

Occorre piuttosto sottolineare in modo particolarissimo la necessità che da esso tutti gli italiani ritraggano una ulteriore ragione di perseverare con ogni mezzo nel loro sforzo contro l'oppressore tedesco, un ulteriore motivo di completa ed integrale collaborazione con le Nazioni Unite, un ulteriore incentivo a vivere liberi tra le Nazioni libere».

 

Badoglio fu affrontato il 25 marzo da una sfuriata di Mac Farlane, che lo accusò prima di poca sincerità nei suoi confronti e -consegnandogli una lettera del Comando Supremo- "...poca sincerità con i governi americano e inglese, i quale non gli riconoscevano alcun diritto di fare accordi di qualsiasi genere con nessuna potenza, alleata o neutrale, senza il consenso del Comando Supremo, e senza usare il tramite dell'ACC. e ciò anche per la sicurezza delle operazioni militari" (Hull, Memories, Vol.II, pag.1557)

Badoglio queste poche righe lo indignarono profondamente, il nuovo arbitrio aveva fatto traboccare il vaso, è fece un'aperta accusa ai governi alleati. Con un atto di orgoglio rispose con una durissima lettera (Non si esclude che sia stata concordata con i russi, perchè vi sono ripetute alcune considerazioni già fatte nel comunicato diffuso a Mosca il 13 marzo). La lettera fra l'altro diceva:

"Nessun governo può reggere con queste progressive umilianti limitazioni... Non dico che sarebbe la cosa migliore, ma certamente più sincera e aperta che l'Amministrazione alleata, se vuole effettivamente governare il Paese, si decidesse a governarlo direttamente e senza tramiti..." ..."Cobelligeranza è ancora una forma vaga, sarebbe ora che dopo sei mesi di lealissima collaborazione, la si definisse in modo preciso; fermamente ritengo che moltissime clausole di quell'armistizio firmato sono da considerarsi scadute, e che è opportuno fare un nuovo accordo...con quella che è oggi, la reale ed effettiva situazione di fatto..."
"I metodi dell'ACC costituiscono un lento e progressivo processo d'asfissia dell'Italia; l'ACC non sorveglia, non controlla, ma interferisce in ogni minimo affare e decide in modo imperativo; il mio governo è mero strumento della loro volontà, mentre io ho di fronte al Paese le responsabilità di atti e fatti, che non sono di loro...".

 

LETTERA INDIGNATA DI BADOGLIO AL GENERALE
MAC FARLANE

che lo accusato di
"...poca sincerità con i governi americano e inglese, i quale non gli riconoscevano alcun diritto di fare accordi di qualsiasi genere con nessuna potenza, alleata o neutrale, senza il consenso del Comando Supremo, e senza usare il tramite dell'ACC. e ciò anche per la sicurezza delle operazioni militari" (Hull, Memories, Vol.II, pag.1557)

(Fine marzo 1944)

(Non si esclude che questa sottostante lettera di B. sia stata concordata con Bogomolonov.
Vi sono ripetute alcune considerazioni fatte nel comunicato diffuso a Mosca il 13 marzo)


Al generale Mac Farlane

"lo non credo affatto, caro generale, che le condizioni d'armistizio, per quanto dure, prevedano il divieto di concludere accordi con potenze neutre o alleate. E neanche credo che il « diritto generale del Comandante Supremo, motivato da ragioni di sicurezza militare » giustifichi una sua interferenza, quando tali ragioni di sicurezza non sono definitivamente definibili e invocabili.

« Si tratta dunque, come sempre di un ulteriore arbitrario aggravamento delle condizioni di armistizio, o, nel miglior dei casi, di una interpretazione sempre più restrittiva e illiberale delle sue clausole.

Tutto ciò non è affatto giustificato, né dall'atteggiamento mio e del mio Governo verso le Potenze alleate né, in particolare, dalla recente iniziativa sovietica, che ha provocato il Vostro memorandum del 25 marzo, che è e resta una iniziativa amichevole verso l'Italia, che io non potevo, né, se avessi potuto, dovevo declinare.

Ora io vorrei molto sinceramente dirvi che codesto sistema e codesti metodi corrispondono esattamente ad un lento e progressivo processo di asfissia. L'Amministrazione alleata non si limita infatti alla sorveglianza dell'attività amministrativa e governativa italiana, ma interferisce in ogni anche minimo particolare della vita del Paese e decide in modo e forma categorici ed imperativi.

Così che io ed il mio Governo siamo davvero ridotti ad essere semplici strumenti ed esecutori delle decisioni alleate, pur mantenendo di fronte al Paese tutte le responsabilità di atti e fatti alla cui formazione non abbiamo in alcun modo concorso.

Nessun Governo ed in qualunque modo composto può, a lungo, reggere con queste progressive, umilianti, e, soprattutto, sterili limitazioni. E sarebbe forse non dirò miglior cosa, ma certamente più sincera e aperta, che l'Amministrazione alleata, se vuole effettivamente governare il Paese, si decidesse a governarlo direttamente e senza tramiti.

« Non credo - sebbene a volte mi si affacci il dubbio - che sia questo il Vostro proposito. Sic-
ché, con molta lealtà e con molta amicizia, io vorrei dirvi, caro generale, che, ad evitare situazioni gravi in un periodo grave, sarebbe umano e saggio dare inizio da parte alleata, nell'interesse della causa comune, ad una politica davvero e finalmente ricostruttiva.

« Voi sapete, ad esempio, che la parola cabelligeranza è ancora oggi una formula vana perché si appoggia unicamente sull'armistizio. Voi sapete altresì che moltissime clausole dell'armistizio del 3 e del 29 settembre sono da considerarsi scadute, sia perché già portate ad esecuzione, o materialmente impossibili ad eseguirsi, o sostituite da altri accordi, ecc.

« Ora io mi domando e Vi domando se non sarebbe, come io fermamente ritengo, opportuno per noi e per tutti, che tali documenti fossero sostituiti da un nuovo documento che scartasse tali clausole cadute, e definisse in modo preciso la cobelligeranza quale è uscita da sei mesi di lealissima collaborazione; adeguare, insomma, la situazione internazionale italiana a quella che è, oggi, la reale ed effettiva situazione di fatto.

« Non credo di domandare l'impossibile »

Badoglio


(Badoglio, L'Italia nel secondo conflitto mondiale, p.175-177).

La reazione degli alleati all'amicizia di Mosca, fu dura. La "Reuter" scrisse che l'Italia era cobelligerante contro la Germania, ma nello stesso tempo nemica degli alleati. E che il ripristino delle relazioni diplomatiche con l'Italia, doveva essere rinviato a dopo la firma della pace. (avverrà, infatti, dopo il 10 febbraio 1947 - e saranno piuttosto dure).

Il 18 marzo Cordel Hull per l'America e Eden per l'Inghilterra, fecero ulteriori dichiarazioni molto pesanti, rimettendo l'Italia sullo stesso piano della Germania, come "Stato aggressivo" e promettevano un severo "controllo a tempo indeterminato".
"Nel processo di ristabilimento dell'ordine internazionale gli Stati Uniti dovranno esercitare una sorveglianza sugli Stati aggressivi, per un tempo sufficiente a che questi ultimi dimostrino la loro volontà e capacità di vivere in pace con le altre Nazioni. Quanto a lungo tale sorveglianza dovrà durare dipende dalla rapidità con la quale i popoli della Germania, del Giappone, dell'Italia ed i loro satelliti daranno prove convincenti che essi hanno ripudiato ed abbandonato le mostruose dottrine razziali e di conquista armata, ed avranno lealmente abbracciato i principi basilari dei procedimenti pacifici"
(cit. da Degli Espinosa, Il Regno del Sud, p. 315)
.

Non mancarono neppure in Italia i commenti sarcastici e le vignette sui giornali, riferendosi al servilismo di Badoglio verso i russi, quelli che per l'intera vita lui aveva combattuto.
La "Provincia lavoratrice" presentò Badoglio come il lustrascarpe di Stalin.



Mentre la "Settimana"
"Hai servito quei fessi dei miei soci, ora servirai anche me"


Il danno di queste schermaglie fu enorme. Distrusse le ultime illusioni che gli ingenui si attendevano dalla "cobelligeranza", e quindi l'Italia era ormai destinata a portare la camicia di forza per tutto quel tempo che fosse piaciuto agli anglo-americani.

Questi, indubbiamente fecero le loro rimostranze a Mosca, ma non si conoscono tali documenti; fu tuttavia stabilito un principio contrario ad ogni trattazione individuale dei problemi italiani, e fu riaffermata la suprema autorità in Italia del Comando in Capo alleato.
Molotov giustificò l'accordo Italo-Russo, dicendo che non era stato bene informato dai suoi due soci degli sviluppi dei loro affari in Italia, inoltre la proposta non l'aveva fatta la Russia ma era partita dall'Italia, da Badoglio in persona (abbiamo visto come !).
Tuttavia cercò di sfruttare subito l'accordo, proponendo agli alleati e al Consiglio Consultivo di far formare, prima ancora della presa di Roma, un governo Badoglio facendovi entrare tutti i partiti antifascisti, e primi i comunisti. Gli anglo-americani (che prima erano contrari) accettarono, ma misero una condizione: che il nuovo governo si assumeva formalmente tutte le obbligazioni concernenti gli alleati già assunte dal precedente governo. Insomma, questo voleva dire che volevano seguitare a comandare loro come e più di prima.

(Forse la verità nelle rimostranze a Mosca degli anglo-americani, era che
temevano un accordo russo-tedesco (considerato credibile dagli analisti americani) e che dopotutto aveva un precedente nel patto fatto con Molotov pochi anni prima. Se questo avveniva, avrebbe avuto conseguenze disastrose per il fronte alleato.
Ma poi nel '45 si diedero da fare invece gli anglo americani per un patto con i tedeschi, all'insaputa di uno Stalin infuriato).

Inoltre sappiamo del famoso "Piano Morgenthau". Pochi storici se ne sono occupati. Solo recentemente si è venuto a conoscenza di questo "Piano", che era quello di sterminare il popolo tedesco. Era un piano vendicativo dei vincitori anglo-americani che prevedeva la trasformazione della Germania in nazione agricola e pastorale mediante la distruzione di tutte le sue industrie. Inoltre il "Piano" prevedeva -per risarcire i danni sofferti dall'Unione Sovietica - l'invio in territorio russo milioni di lavoratori forzati tedeschi.
L'applicazione di questo piano, che era stato approvato da Roosevelt, fallì (in parte) perchè morto il presidente americano, il suo successore Harry Truman, nel clima della guerra fredda, si accorse della necessità di opporre una rinata Germania alla crescente pressione sovietica in Europa. Così invece di un piano di distruzione, fu paradossalmente varato un piano di aiuti e di ricostruzione della Germania,

I russi in questi primi mesi del '44, oltre che proseguire le buone relazioni con l'Italia, non ponendo alcuna pregiudiziale contro Badoglio o l'abdicazione del Re, conferivano ai due quel particolare prestigio che gli anglo-americani avevano snobbato.
Ma nel farlo, Mosca sconfessava l'azione svolta sino allora dai comunisti italiani, la scompigliava appieno, buttandola all'aria, come quella del CLN, ed infine proponendo una politica di unità nazionale, fece partire da Mosca e sbarcare il 27 marzo a Salerno Palmiro Togliatti.
Questi, riunito il Consiglio del partito comunista, con un comunicato, metteva fine all'insanabile disaccordo dei partiti ed invitava a unire tutte le forze politiche per entrare nel governo Badoglio. Tale presa di posizione sarà ricordata come "la svolta di Salerno" (quella che lasciò inebetiti i comunisti rivoluzionari italiani).

VEDI LA PAGINA DEDICATA ALLA "SVOLTA DI SALERNO" > di Togliatti > >


Abbiamo corso un po' troppo;
facciamo un piccolo passo indietro,
riprenderemo poi i fatti (Badoglio-Togliatti), più avanti il giorno 18 MARZO

31 GENNAIO - Dal CLN centrale viene creata un'altra struttura nella regione settentrionale che prenderà il nome  CLN AI (Alta Italia). Qui iniziano a operare congiuntamente le Brigate di assalto Garibaldi del PCI, le Brigate Giustizia del Partito d'Azione e le Brigate Matteotti del PSI.

11 FEBBRAIO - Il governo Badoglio, lascia Brindisi per trasferirsi a Salerno. Lo fa in coincidenza con la restituzione alla amministrazione italiana della massima parte del territorio conquistato dagli anglo-americani. Un governo che non ha nessun potere, perchè il totale controllo politico e militare è affidato fin dal novembre '43 alla ACC (Allied Control Commission) che avrà le stesse funzioni di governo fino al 1° gennaio 1946.
Gli Alleati hanno a totale disposizione i mezzi finanziari ( messi a disposizione da Badoglio dopo la firma a Malta dell'"Armistizio lungo") le strutture logistiche e portuali, i mezzi di comunicazione, la moneta, le Banche, i cambi, le relazioni commerciali e finanziarie con altri Paesi, la radio, la stampa, il cinema, il teatro, e perfino le scuole.

Anche la famiglia Reale si sposta a Ravello nella Villa Sangro.
Qui il re riceverà De Nicola, che insiste sulle sue dimissioni parlando chiaro "Esistono in questa guerra delle responsabilità; noi studiosi di diritto sappiamo che la responsabilità dei fatti è questa: il sovrano che dichiara una guerra e poi la perde , deve lasciare il trono". In alternativa, gli propose la Luogotenenza di suo figlio Umberto.
Il Re respinge la prima proposta, ma condiziona la seconda solo quando Roma sarà liberata; poi -afferma- "sarà il popolo a decidere quale forma dare allo Stato". Non lo dice a vanvera, il clima che si respira nel Sud è tutto a favore della monarchia sabauda. E il referendum lo confermerà

12 FEBBRAIO - Mussolini dalla Repubblica Sociale a Salò (ma sommariamente già anticipato al Convegno di Verona) espone il suo nuovo Progetto Economico per l'Italia dopo averlo approntato con ANGELO TARCHI.  Diffonde il programma del suo nuovo governo(Programma dei 18 punti) (VEDI IL ALTRE PAGINE - Il Decreto di Mussolini  sulla Socializzazione) . Una programmazione economica del nuovo Stato con  un ritorno agli slogan della socializzazione. Si parla di coogestione delle fabbriche, accesso agli utili, politica sociale. Si illustra infatti che la gestione delle imprese sia pubbliche che private verranno socializzate: nelle private i consigli di amministrazione saranno integrati da rappresentanti dei lavoratori in numero pari a quello dei rappresentanti degli azionisti. Mentre in quelle pubbliche tutti i dipendenti operai impiegati e tecnici avranno all'interno un consiglio di gestione.

I primi a non essere d'accordo sono i tedeschi (i comandi militari, che dominano non con delle istituzione, ma con l'arroganza e il terrore) che già si sentono padroni del Nord Italia e quindi con tale orientamento la socializzazione va contro i loro interessi.
Poi ci sono gli industriali dove troviamo una parte che rimangono silenziosi per il fatto che già alcuni con opportunismo si sono appoggiati alla Resistenza (facendo quei patti ambigui che abbiamo già letto a fine 1943), mentre un'altra parte dovendo fare lucrosi affari con i tedeschi rimangono pure questi silenziosi, facendo buon viso a cattiva sorte (!?).

Infine gli operai, sia fascisti che antifascisti (nel lavoro non esistono delle vere e proprie grandi lacerazioni - infatti i reduci al ritorno accuseranno gli uni e gli altri di essere solo degli imboscati) anche loro tacciono. Dopo aver sperimentato venti anni di politica antisindacale del regime, questo ritorno ai vecchi discorsi di Mussolini anni 1914-'19 non incantano, nè quelli della sinistra nè quelli della destra: tutti seguitano a lavorare e a campare facendo dov'era possibile gli agnostici.

Paradossalmente questi silenzi (di industriali e operai) si rivelano molto utili e fanno mettere in luce agli Alleati queste due attive resistenze al programma governativo del nuovo fascismo, e, convinti della bontà dei propositi (e qui ritorna l'opera persuasiva del già citato Alberto Pirelli (vedi inizio '43) gli anglo-americani non bombardano i grandi centri industriali, pur questi addetti alla produzione di materiale bellico per i tedeschi.

Sarà proprio questo gioco sottile di industriali e operai (a garantire in alcuni casi é la stessa Resistenza di matrice comunista) a permettere il salvataggio delle fabbriche del Nord. Spesso operando sul filo del rasoio della repressione tedesca, quando in concerto operai e industriali attueranno pretestuosi scioperi, serrate, strani sabotaggi, nonostante la presenza germanica e quindi esposti alla feroce rappresaglia. Infatti Hitler informato "ha mangiato la foglia" e ordina che in questi casi si colpisca duro; che un 20% degli scioperanti presi a caso venga punito e deportato in Germania.

Nel grande sciopero iniziato a Novembre dello scorso anno, proseguito per tutto il mese di dicembre, che dalla Fiat di Torino si estese poi negli altri impianti industriali del Piemonte, della Lombardia e della Liguria, nei vari manifesti dei promotori P.C.I, non compare mai una motivazione contro i tedeschi; ma anzi si scagliano contro i magnati delle industrie (Fiat, Breda, Pirelli, Caproni, Magnaghi ecc.) dandogli dei traditori, venduti ai tedeschi, sfruttatori, affamatori. Fanno rivendicazioni di carattere economico (aumento dei salari del 100%), chiedono il raddoppio delle razioni di generi alimentari, la sospensione dei licenziamenti, e che siano liberati i membri delle commissioni interne, arrestati con l'accusa di attività antinazista e antifascista.
Lo sciopero è quindi un pretesto (concordato con i "padroni" che si barcamenano) per puntualizzare che le agitazioni sono dovute per le rivendicazioni di carattere economico, e non contro i tedeschi. Ma intanto, nel fermare le macchine, gli stabilimenti, gli operai, si blocca la produzione di armi per i tedeschi.
Prova ne sia che, all'inizio del manifesto, dopo avere infierito contro i "padroni", lo stesso manifesto conclude "Trattate direttamente e solamente con i padroni".




22 FEBBRAIO - CHURCHILL a Londra in un discorso alla Camera dei Comuni, (detto della caffettiera), parla molto chiaro nei riguardi della caotica situazione politica italiana. Non vuole che i partiti che hanno costituito il Comitato Nazionale vadano alla guida del governo. Preferisce l'inetto Badoglio con la sua (questa gli é più simpatica) monarchia, alla guida del governo fantoccio, che definisce "il manico della bollente caffettiera da non rompere prima di averne uno di ricambio o a portata di mano uno strofinaccio per toglierla dal fuoco".

Badoglio andava bene per gli inglesi non per le qualità che il maresciallo aveva, o quelle spuntate fuori all'improvviso il 25 luglio, ma perchè essendo stato un connivente della politica mussoliniana, quindi non affidabile, in qualsiasi momento gli alleati potevano scaricarlo e sostituirlo, e nessuno in Italia si sarebbe opposto.
Ora dunque l'Italia doveva tenersi quello che aveva, non doveva correre avventure pericolose che erano poi principalmente quelle comuniste, che stavano organizzando molto bene la Resistenza.
Il movimento all' inizio del 1944, non era ancora molto esteso. A migliaia e migliaia, una vera fiumana di gente compromessa o paurosa, dopo l'8 settembre era fuggita in Svizzera. Gli antifascisti rimasti in patria si raccoglievano intorno ai Comitati di Liberazione nazionale, i quali non liberavano da nulla, ma attendevano di essere liberati da quelli che ora tutti chiamavano "Alleati". Ciò non toglie che talora avessero degli uomini animosi e intelligenti, di solito intellettuali, un po' meno d'azione, che era quello invece che ci voleva.

Nel Nord comprendevano cinque partiti (comunisti, partito d'azione, socialista, democristiano e liberale). I quali partiti, vivendo e operando assieme e così stretti, si contaminavano l'un l'altro, non di rado perdendo i propri connotati.
La maggiore attività si esplicava nella stampa di periodici clandestini, che non erano pochi, e sembra proprio che si chiudeva un occhio, che insomma ci fosse una larga complicità della polizia e delle altre autorità. Del resto costoro se agivano diversamente potevano compromettere il proprio futuro.

In queste pubblicazioni, negli articoli, vi era tanto sentimento, ma povertà di idee, e pure molta povertà ideologica. Solo tanta demagogia, ma di quella già vecchia, come chi la predicava, Non erano insomma pagine di vangelo rivoluzionario. Spesso quei fogli non erano nemmeno organi di partito ma di fazioni di partito. Quello che poi mancava era la capcaità di vedere i problemi in un ottica straniera, internazionale.
Certi slogan, a leggerli oggi si resta impressionati. Uno, affermava che "L'Italia non era più nazione di popolo ma nazione di partiti". Poco dopo ne usciva un altro che diceva il contrario "Il potere, la nazione, lo Stato è del Popolo". Un altro ancora "Lo stato è della classe operaia, del popolo, quindi del comunismo, e quindi Stalin, è la guida del popolo". Che non era poi molto diverso dallo slogan di pochi anni prima "Il popolo è tutto per il fascismo, il fascismo sono io, quindi sono io la guida del popolo".
(Strano a dirsi, ma una simile frase sta nuovamente tornando di moda in Italia, anche in questi anno post 2000)

A distinguersi dento i membri dei CLN, c'erano i comunisti. I più attivi, senza paragone. E proprio per questo, per loro era giunto il momento di giocare una parte direttiva e d'avanguardia, quella di mobilitare le masse, di rivendicare alle forze proletarie la direzione della lotta e far sì che gli obiettivi dei CLN coincidessero con quelli della classe operaia.
Rispuntati da ogni parte, i leader che sono alla guida, hanno  precisi orientamenti e programmi per il dopoguerra, ma che per Churchill sono i "diavoli" bolscevichi. Gli eterni fantasmi che Churchill teme e vede dappertutto, in Francia, in Olanda, in Italia e in Grecia. (In quest'ultima vedremo in seguito come cinicamente li affronterà).

I ciellisti erano i più attivi (i comunisti molto di più degli altri ) ma non erano soli. Fuori dal CLN si formavano a getto continuo piccoli gruppi, che si davano nome di partiti ed erano di tutti i colori, cattolici, comunisti sciolti non conformisti, democratici, liberali. C'erano perfino i cattolici comunisti, che dal loro foglio proletario, affermavano che Mosca aveva gettato le basi della Nuova Europa. Anche loro guardavano a Mosca e andavano in deliquio. Come riuscissero a conciliare Cristo e Stalin resta un mistero.



1° MARZO - Scatta una delle tante operazioni strategiche che abbiamo - come tecnica di sabotaggio- accennato il 12 febbraio. I comunisti con l'approvazione del CLN (e con l'approvazione degli industriali stessi) proclamano uno sciopero generale in tutte le regioni. Con una forte partecipazione delle maestranze; l'astensione dal lavoro durerà una settimana intera, mettendo in crisi la produzione bellica tedesca, che presa in contropiede e non riuscendo a venirne a capo, si scatena in una terribile rappresaglia. Molti manifestanti - volendo seguire i tedeschi le direttive impartite da Hitler - sono arrestati e deportati in Germania.

Non sfugge quindi ai tedeschi in queste manifestazione la componente negativa, ma neppure sfugge la componente positiva agli alleati, essendo chiaro a entrambi che il carattere delle agitazioni sono di natura politica, e che hanno come obiettivo la destabilizzazione della produzione per arrecare danni militari ai tedeschi, e non come si é voluto far credere di natura economica o di disagi sul lavoro (ed era proprio la strategia architettata da Alberto Pirelli).

12 MARZO -
Il pontefice Pio XII lancia un accorato appello ai belligeranti affinché Roma sia risparmiata dalla distruzione.

13 MARZO - Contrariamente a quanto affermava Churchill, Roosevelt preoccupato della situazione caotica che va sempre di più deteriorando il territorio italiano, é invece favorevole alla fine della monarchia in Italia e gradirebbe nel governo alcuni rappresentanti politici dell'antifascismo. Stesso parere lo esprimono i rappresentanti russi che credono di avere una forte compagine in Italia (ma che forse hanno sopravalutato).
Entrambi insomma sembrano accettare la soluzione presentata dal CLN a Napoli, dove i capi hanno indicato in modo chiaro che accettano che a fine conflitto si farà ricorso alla libera espressione della volontà popolare. Ma intanto fino a quella data - che la credono ma non è affatto, vicina - hanno accettato il governo Badoglio. Questo atteggiamento in Inghilterra non è molto chiaro. Forse perchè non credevano alla sincerità dei comunisti.

Infatti Churchill che è una vecchia volpe, in disaccordo con Roosevelt, rema controvento; lui vede i fantasmi dall'Est, e più che accelerare la risoluzione del conflitto in Italia con una grande offensiva, l'ha resa già blanda sulla Linea Gustav (con un forte disimpegno sul Sangro, togliendo dal comando Montgomery),  e sta preparandosi di rendere debole anche quella che dovrebbe liberare Roma e riversarsi poi sulla Linea Gotica.
Infatti 7 divisione (oltre Montgomery) fin dall'inizio anno sono dirottate in Inghilterra per lo sbarco in Normandia. A Churchill gli basta che nello stesso giorno (quindi l'impedimento di raggiungere Roma fu un semplice pretesto poi giustificato in mille modi - compresi gli errori di Clark) che una divisione, quella di Clark liberi le zone di sbarco laziali (non Roma - su questa, arbitrariamente -come già accennato - punterà Clark, per sua ambizione, ma con nessuna utilità strategica) mentre contemporaneamente imponenti forze da sbarco attraverseranno nello stesso giorno La Manica.

Anche se in quest'ultima le forze saranno imponenti come vedremo più avanti, l'operazione liberazione o meglio "la presa di Roma" (così ragionava Clark, ma anche perchè ci teneva ad arrivare per primo a Roma, tralasciando di inseguire i tedeschi nella loro caotica ritirata) era un obiettivo importante oltre che spettacolare che avrebbe ottenuto un tremendo effetto psicologico in tutto il mondo e una forte demoralizzazione sui tedeschi. Insomma faceva più notizia la caduta di Roma che non i 2.800.000 uomini, 13.000 aerei e 6000 navi che sbarcavano in Francia; e la faceva ancora di più se Clark faceva in tempo a rubare i titoli dei giornali di tutto il mondo.

Clark quando giunse nelle vicinanze di Roma (mattino del 4 giugno) fece la scena dell'infuriato, se la prese con un comandante che non aveva spinto a fondo l'attacco per liberargli la strada per Roma, e chiedeva perchè e per come. L'altro si difese dicendo che i tedeschi erano agguerriti, e che era pericoloso spingersi in avanti, che c'erano i cecchini.
Si narra che Clark, notando il cartello stradale "Roma", si mise in posa per farsi fotografare. Per poco non ci lasciò la pelle, delle sventagliate di mitra di un gruppo di paracadutisti tedeschi appostati sulla terrazza di un edificio, lo costrinse a buttarsi e a ripararsi dentro un fosso. L'altro che aveva appena ricevuto la sfuriata, fu pronto a fargli notare beffardamente "ha capito ora perchè non ci siamo spinti in avanti?".
La foto fu rimandata al giorno dopo, ma per sicurezza Clark non andò a mettersi in posa sotto il cartello, ma lo fece staccare, si fece la foto e se lo portò addirittura a casa come souvenir.
Il 5 mattina, all'alba di una giornata di sole, Clark manda avanti i carri armati a presidiare i punti strategici, poi sale su una Jeep, imbocca la Casilina e cerca - sbagliando cinque volte strada - di arrivare al Campidoglio per passare da trionfatore sotto l'arco di Tito e poi fare la parata davanti al Colosseo.

Poi fa l'impaziente, si lamenta di non poter inseguire i tedeschi in rotta verso la Linea Gotica dove quasi indisturbati vi rimarranno per oltre sei mesi; "a cosa serve mai questa vittoria?" si chiedeva (o recitava) sconsolato.
Ma Clark, era un militare, non un politico della stazza di Churchill. Più tardi, arrancando con i suoi pochi uomini fino a Firenze e poi a metà strada verso Bologna, qui dovrà fermarsi per l'intero inverno; il percorso lo coprirà con una avanzata da lumaca: due chilometri al giorno. Dando così il tempo a Kesselring di predisporre un'altra formidabile difesa sulla linea gotica.

Un'operazione quella di Clark così anomala, che però costerà all'Italia del Nord un altro intero anno di guerra e un intero anno di bombardamenti fino al 25 aprile del '45. Questi ultimi senza una motivazione strategica, ma solo per "far cuocere nel suo brodo l'Italia". Infatti i danni bellici ai tedeschi saranno quasi irrisori, ma costeranno ai civili 135.000 morti, pari a quelli che morirono in guerra nell'intero conflitto in cinque anni (di cui circa 80.000 morti e dispersi in Russia). Un prezzo altissimo per la popolazione italiana,  fatto pagare con molto cinismo. Per non parlare del danno ai tesori artistici e archeologici; ma l'ordine era "bombardate, bombardate, bombardate" e, "Se necessario buttate giù anche il Colosseo".

18 MARZO -
COLPO DI SCENA - Il governo italiano del Sud stabilisce rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. (questi fatti li abbiamo già narrati sopra). E' inviato in Italia Michail Kostlev come "rappresentante diretto" di Mosca. Mentre nella capitale russa viene ammesso come plemipotenziario del governo italiano Piero Quaroni.
Londra e Washington, sanno benissimo che non è stato Badoglio a prendere questa iniziativa (anche se è stato lui a inviare il famoso telegramma a Stalin); e ciò che si teme ora è che la mossa Russa tende a inserire l'azione della diplomazia sovietica in un teatro di operazioni direttamente controllato dagli anglo-americani.
A loro volta in Italia gli anglo-americani nominano alti commissari Noel Charles e Kirk Alexxander, e non accettano rappresentanti italiani.

Nello stesso giorno il Comitato centrale di liberazione nazionale i socialisti e il Partito d'Azione, insistono sulla pregiudiziale repubblicana, inoltre insistono sull'incriminazione del re, e il passaggio di tutti i poteri ai CLN. Più possibilisti la Democrazia cristiana, il Partito liberale e Democrazia del lavoro.
Onde evitare una spaccatura del CLN, Scoccimarro (del Pci) propone un compromesso che però i Repubblicani con La Malfa respingono.

Fra liti e contrasti, il giorno dopo c'è la doccia fredda per tutti gli intransigenti. L'ambasciatore sovietico a Washington, presenta a Hull sottosegretario di Stato americano, un memorandum nel quale si sottolinea la necessità - per non deteriorare la situazione italiana - di giungere a una composizione. Non eliminare la monarchia e tantomeno il governo Badoglio, ma semmai rafforzarlo facendovi entrare tutti i partiti. Solo a guerra finita si farà ricorso alla volontà popolare con libere elezioni.

Il 30 marzo, mentre dall'Unione Sovietica il 27 era già partito per far rientro in Italia, Palmiro Togliatti, la "Isvetia" pubblicava un articolo sugli "Affari Italiani". Il contenuto sono delle bacchettate ai suoi due alleati. "Si deve constatare che i problemi connessi con l'attuale posizione politica italiana non sono mai stati finora oggetto di comune scambio di vedute tra le potenze alleate....Inghilterra e Stati Uniti hanno iniziato un'azione politica nei confronti dell'Italia e hanno rilasciato dichiarazioni, che non sono il risultato di decisioni comuni delle tre Potenze....
La politica degli Alleati nella questione deve basarsi su un atteggiamento comune concordamente assunto. Si ribadisce la necessità di appoggiare il Governo Badoglio con tutti i rappresentanti dei partiti".

 

ARTICOLO SULL' "ISVETIA"
RIGUARDO AGLI AFFARI ITALIANI
(DEL 30 MARZO 1944)

INTERVENTO DOPO IL RICONOSCIMENTO DEL GOVERNO BADOGLIO, E L'INVITO A RACCOGLIERE INTORNO AD ESSO I PARTITI E TUTTE LE FORZE ANTIFASCISTE PER FORMARE UNA VERA UNITA' NAZIONALE.
NECESSARIA A SGOMBERARE DA OGNI OSTACOLO LA VIA CHE CONDUCE ALLA VITTORIA CONTRO LA GERMANIA.


Impegno nobile, anche se la realtà era ben diversa. Quello che intendeva veramente fare la Russia, era di prendere l'iniziativa per poter entrare nella politica interna italiana, dominata dagli anglo-americani.

Mosca marzo 1944

« La guerra, in seguito alle vittoriose offensive dell'Armata Rossa, è entrata per la Germania in una fase critica; i tedeschi tentano disperatamente con tutti i mezzi di cui possono disporre di ritardare la rovina che si sta abbattendo su di loro. Poiché si avvicina il momento in cui si inizieranno le operazioni concordate fra le Potenze Alleate per dare il colpo decisivo alla Germania hitleriana, secondo quanto venne stabilito alla Conferenza di Teheran, e poiché tali operazioni verranno intraprese non soltanto dall'Ovest e dal Sud, acquista particolare importanza politica la questione italiana.

La situazione politica esistente attualmente in Italia è la seguente: Le regioni dell'Italia meridionale, liberate da parte delle truppe angloamericane dalla dominazione fascista, costituiscono un'importantissima base di ope
razioni per gli eserciti dei nostri alleati; tuttavia, circa due terzi del territorio italiano sono ancora sotto il tallone dei nazisti e sotto quello dei loro complici affiliati alla banda di Mussolini. Le regioni dell'Italia liberata sono amministrate dal governo del maresciallo Badoglio che viene appoggiato da alcuni settori della popolazione italiana. Tale governo ha più volte dichiarato di essere pronto a partecipare insieme con gli Alleati alla lotta comune contro gli invasori hitleriani e contro i loro complici fascisti. D'altra parte, nell'Italia meridionale, dopo l'armistizio, sono risorti e svolgono la loro attività numerosi partiti e gruppi antifascisti democratici, i quali trovano seguito in larghi strati della popolazione italiana e aspirano a partecipare attivamente alla lotta contro la Germania di Hitler.

Sino al gennaio di quest'anno questi gruppi antifascisti erano pochi, mal collegati tra loro, e limitavano la loro attività ad alcuni centri provinciali e a pochi altri secondari. L'unione di questi gruppi si è realizzata solamente al Congresso di Bari, che ebbe luogo alla fine del gennaio, e al quale parteciparono i rappresentanti dei seguenti partiti: Liberale, Democratico Cristiano, d'Azione, delle Democrazie del Lavoro, Socialista e Comunista. Il Congresso ha nominato una Giunta Esecutiva Permanente, la quale ha lo scopo di unire le forze antifasciste e democratiche italiane nella lotta contro il nazismo. In tal modo, quindi, tanto il governo Badoglio, quanto la Giunta Esecutiva Permanente, hanno dichiarato di essere pronti a lottare insieme
con gli Alleati per scacciare i tedeschi e i loro servi fascisti; ciononostante, le forze del governo Badoglio e della Giunta Esecutiva Permanente non sono unite, ma al contrario si esauriscono lottando fra di loro e nel frattempo la situazione politica ed economica dell'Italia e continua a peggiorare, battendo una via senza uscita. Ciò non può che nuocere alle causa comune degli Alleati, cioè alla causa della lotta contro la Germania hitleriana.

Tale è la situazione nelle regioni dell'Italia liberata ed essa non può essere guardata con indifferenza, se si vogliono tenere nella debita considerazione gli interessi superiori della lotta delle Nazioni Unite contro la Germania. L'esperienza degli ultimi tempi prova che una tale situazione porta inevitabilmente l'Italia all'esaurimento delle sue forze e minaccia di condurla alla catastrofe. Ma hanno gli Alleati interesse a lasciare che gli avvenimenti si svolgono in maniera da spingere l'Italia alla rovina? Certamente no.

L'Unione Sovietica, ed in genere gli Alleati, non possono avere interesse a che l'Italia venga a trovarsi sull'orlo dell'abisso. Quale via d'uscita esiste da tale stato di cose? La via d'uscita consiste principalmente nel dare all'azione delle Potenze Alleate circa la politica italiana un orientamento corrispondente al compito degli Alleati, che è quello di lottare contro il comune nemico, la Germania hitleriana. Perciò la politica degli Alleati nella questione deve basarsi su un atteggiamento comune concordamente assunto.

Si deve invece constatare che i problemi connessi
con l'attuale posizione politica italiana non sono mai stati finora oggetto di comune scambio di vedute tra le Potenze alleate.

Naturalmente, sia l'Inghilterra che gli Stati Uniti hanno iniziato un'azione politica nei confronti dell'Italia e si sono anche avute al riguardo delle dichiarazioni da parte dei rappresentanti ufficiali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti; tuttavia è noto che queste azioni e queste dichiarazioni non sono state il risultato di decisioni comuni delle tre Potenze. I rappresentanti ufficiali dei nostri Alleati hanno dichiarato che l'atttuale governo italiano non può essere sostituito da nessun altro governo e che l'esame di tutta la situazione politica in Italia deve essere rinviato ad epoca successiva alla presa di Roma da parte delle truppe alleate.

E' facile provare che tale punto di vista non è stato oggetto di conversazioni tra gli Alleati né alla Conferenza di Mosca, né in seno al Comitato consultivo per l'Italia, né in via diplomatica. Il Primo Ministro Churchill, parlando ai Comuni il 22 febbraio, ha espresso l'opinione che solamente dopo la liberazione di Roma potrà essere formato un governo italiano su basi più ampie. Anche ciò non è stato il risultato
di accordi intervenuti fra i tre Alleati. Inoltre gli uomini di Stato sia inglesi che americani hanno dichiarato che ora sarebbe intempestivo porre il problema della permanenza della Monarchia in Italia o il problema dell'abdicazione di Re Vittorio Emanuele. Anche questo problema non è stato esaminato in comune dalle tre Potenze, né alla Conferenza di Mosca, né in seno al Comitato Consultivo per l'Italia, né in via diplomatica.

Ma se non si può negare che la soluzione di questo problema che riguarda la vita in terna dell'Italia è preferibile sia trovata in un periodo più adatto, quando cioè tutto il popolo italiano potrà scegliersi liberamente la sua forma dl governo, si sarebbe dovuto però convenire che una simile impostazione del problema del governo italiano per un certo periodo di tempo non avrebbe dovuto avere come conseguenza un ritardo nell'unificazione delle forze antifasciste italiane e che essa non avrebbe dovuto costituire, in ultima analisi. un ostacolo alla lotta comune contro la Germania hitleriana. E' facile comprendere che i partiti democratici in Italia, i quali si sono più volte pronunciati per l'abdicazione di Re Vittorio Emanuele e per la sostituzione del governo Badoglio, naturalmente non saranno stati soddisfatti di quella politica che ha trovato la sua espressione nelle dichiarazioni su ricordate dei rappresentanti dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Questa circostanza danneggia non solo l'unità italiana, ma soprattutto gli interessi fondamentali della lotta contro il comune nemico, interessi che esigono l'eliminazione di tutte le cause tendenti a prolungare la guerra.

Da ciò risulta che per gli Alleati è necessario di trovare il modo di unire tutte le forze antifasciste italiane per la lotta contro la Germania. Non si può prescindere dal fatto che, col suo attuale carattere, il governo Badoglio non è in grado di unire intorno a sè gli elementi antifascisti e democratici in Italia per la lotta contro
Hitler, ma d'altra parte lo stesso governo Badoglio, nella persona dei suoi rappresentanti più in vista, ha dichiarato più volte di essere pronto ad includere nel suo seno nuovi elementi capaci di esercitare un'azione più efficace nei riguardi dell'unità di tutti gli italiani.

Non si vede allora perché una tale decisione tendente a modificare il governo Badoglio debba trovare dinanzi a sè ostacoli insormontabili, visto che è anche desiderio delle tre Potenze alleate di vedere il governo Badoglio allargare le sue basi in senso democratico; tale decisione farà probabilmente cessare i motivi che determinano l'attuale atteggiamento negativo della Giunta Esecutiva verso il governo Badoglio e permetterà a numerosi elementi antifascisti e democratici italiani di partecipare più attivamente alla lotta comune contro l'invasore tedesco.

In relazione a tutto ciò ha destato viva sorpresa la presa di posizione del ministro Eden nella seduta del 22 marzo ai Comuni, allorché all'interpellanza con la quale il deputato Thomas ha chiesto se il governo di Mosca intendesse o meno rendere più democratico il governo italiano, egli ha risposto semplicemente: « L'interpellante dovrebbe rivolgersi al governo sovietico ». Non si capisce perché il signor Eden non abbia saputo trovare una risposta ad una domanda come questa, posta in forza di un diritto riconosciuto e per di più perfettamente legittima. Non è forse desiderio del governo britannico, secondo le decisioni della Conferenza di Mosca, di rendere il governo italiano più democratico? Forse che questo problema non è giunto a maturazione dall'estate dell'anno scorso, quando incominciò la liberazione dell'Italia dalle bande di Hitler e di Mussolini? Forse che questo problema non ha nulla a che fare con la politica dell'Inghilterra? O forse gli uomini politici inglesi sono sfavorevoli alla democratizzazione del governo Badoglio?

Non si può non rilevare la circostanza che una certa parte della stampa inglese e americana, invece di chiedere misure atte a normalizzare la situazione politica italiana considerandola dal punto di vista dell'interesse fondamentale che gli Alleati portano alla guerra contro Hitler, negli ultimi tempi gonfia artificiosamente un altro problema e precisamente quello del ristabilimento di relazioni dirette tra l'Unione Sovietica e il governo di Badoglio con lo scambio dei rappresentanti tra i due Paesi.

Alcuni organi della stampa d'Inghilterra e d'America manifestano della perplessità, della meraviglia e perfino della preoccupazione in relazione a questo fatto. E' invece evidente che non
esiste assolutamente alcun motivo che incuta timore. Siccome il governo sovietico non aveva finora contatti diretti con il governo italiano, mentre i nostri alleati sono con esso in continuo contatto a mezzo di numerosi organi militari e civili, il nostro governo ha ritenuto opportuna l'istituzione di una forma diretta di contatto con il governo Badoglio.

Si ricordi che
la sola organizzazione A.M.G.O.T. che funziona in Italia ha nel suo seno qualche migliaio di rappresentanti inglesi e americani al suo comando. Inoltre, in Italia funzionano autorità militari inglesi ed americane, le quali fanno parte attiva del Comando del Paese. Delle tre Potenze alleate, soltanto l'Unione Sovietica non aveva rapporti diretti col governo italiano ed aveva alle sue dipendenze in Italia soltanto pochi membri di consultazione sovietici per le necessità dell'Italia.

Dunque, l'Unione Sovietica non si è trovata nelle medesime condizioni di fronte alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. Ora questa disparità sta in qualche modo liquidandosi in quanto l'Unione Sovietica ha la possibilità di essere in contatto diretto col governo italiano, come da tempo potevano fare i nostri alleati.
E' chiaro che questo contatto diplomatico non è ancora completo fra i due paesi, rappresenta soltanto un inizio. E' ancora più chiaro il vero scopo della Commissione, la quale ha richiamato intorno a queste necessità parte della stampa alleata. Diversi organi della stampa americana tentano di far passare l'attuale azione dell'Unione Sovietica niente meno come appoggiantesi ad elementi non democratici in Italia, e denuncia in pieno la posizione dell'Unione Sovietica. Bisogna affermare che tale tentativo mette in rilievo che sono essi gli autori di ciò e li scopre e li denuncia.

A tutti è chiaro che in ogni modo non è l'azione dell'Unione Sovietica che ostacola la democratizzazione del governo Badoglio ed ancor più si sa che l'Unione Sovietica è pronta con tutti i mezzi ad agevolare la soluzione di questo problema nel tempo più breve e a fare in modo che non sia rimandato, per esempio, fino alla presa di Roma. Per questa ragione attira l'attenzione un'altra risposta data dal Ministro degli Affari Esteri signor Eden. nella seduta alla Camera dei Comuni il 23 marzo alla domanda « se il governo sovietico è unito e d'accordo con l'Inghilterra e gli Stati Uniti sulla situazione presente e sulla necessità di un cambiamento dell'azione futura riguardo al governo d'Italia dopo la presa di Roma » ; la risposta del Ministro diceva: « Il governo sovietico non dovrebbe essere malcontento per la linea di condotta da noi seguita al riguardo ».

Si precisa che l'attuale scopo degli sforzi dell'Unione Sovietica è di far sì che tutte le forze antifasciste italiane si riuniscano intorno al governo Badoglio per la lotta contro la Germania hitleriana. La questione italiana ha acquistato grande importanza ed attende la sua soluzione, né si può rinviarlo, ad esempio, fino alla presa di Roma; essa deve essere risolta tenendo presente la necessità di sgombrare da ogni ostacolo la strada che conduce alla vittoria sulla Germania hitleriana »

A godersi lo spettacolo Mussolini, con un articolo il 16 marzo, sarcastico su "Corrispondenza Repubblicana"; titolo "Cinevarietà partenopeo".
"All'indomani
, del congresso di Napoli) era appena calato il sipario sul cine-varietà partenopeo, quando le cronache hanno annunciato un nuovo sollazzevole colpo di scena che deve aver fatto rimanere di stucco i mestieranti dello antifascismo napoletano.
Durante il comizio, Stalin fu acclamatissimo e Badoglio fischiatissimo. Ebbene, quando nell'aria vibravano ancora gli echi degli applausi e dei fischi, l'acclamatissimo Stalin riannodava le relazioni diplomatiche col fischiatissimo Duca di Addis Abeba.
Una prova così vistosa di solidarietà col marchese di Caporetto doveva proprio venire dal Cremlino a percuotere e soprattutto a ridicoleggiare i campioni dell'antifascismo vesuviano?
La realtà è che Stalin, per i suoi prevedibili piani diplomatici, stima più redditizio, almeno per il momento, utilizzare un autentico traditore quale il maresciallo, piuttosto che far calcolo sugli illusi, gli opportunisti, gli eroi di Napoli"
.

 

COMMENTO DI MUSSOLINI
AGLI ULTIMI AVVENIMENTI
(Corrispondenza repubblicana del 16 marzo 1944 intitolata
"ROMPICAPO - CINEVARIETA' PARTENOPEO"


Come è stato riferito, si è finalmente, dopo un abbastanza movimentato tira e molla tra promotori e autorità militari angloamericane, tenuto a Napoli l'annunziato grandissimo comizio organizzato dai partiti antifascisti di oltre Garigliano.

Grandissimo? Veramente no. Dal punto di vista della frequenza, sembra che la Galleria Umberto fosse affollata da 5000 dimostranti, secondo i dati inviati a Londra da Mister Cecil Sprigge, corrispondente della Reuter da Napoli. Non sono molti, quando si ponga mente che il comizio doveva raccogliere gli aderenti di cinque partiti e considerato, che, nella massa, v'era certamente la solita aliquota di curiosi e di contrari.

Ma non erano ben sei i partiti antifascisti nell'italia invasa?

Erano, ma oggi sono cinque, perché uno di essi, il democratico cristiano, o sturzesco che dir si voglia, ha tagliato diligentemente la corda ed ha «marinato » il comizio. Il cale ha sollevato la più fiera delle indignazioni da parte di uno degli oratori. A proposito dei quali è indispensabile notare che gli « assi » o i « cannoni e dell'antifascismo hanno girato al largo. Non sono apparsi alla tribuna né Sforza, né Croce, né il bollentissimo Omodeo. Sforza e Croce, effettivamente, sono oratori da sala e non da piazza, da assemblea, non da comizio. E' gente che per via del sangue più o meno bluastro o per consuetudine di vita riservata, non può mescolarsi troppo da vicino con la vile plebaglia né tollerarne l'incomposto clamore.
Così, invece dei solennissimi bonzi, sono saliti sulla bigoncia uno che si chiana Russo, uno che si chiama Tedeschi, ed uno jugoslavo di cui le crona
che inglesi non ci hanno tramandato il nome glorioso e che, secondo Sprigge, ha parlato in un pessimo italiano. Deve essere stato veramente pessimo, se persino un inglese se ne è accorto.

Tema dei discorsi: Basta con Vittorio! Basta con Badoglio! Questo « Tandem » deve andarsene, non per l'immane vergogna e infamia e rovina della capitolazione, ma perché reo di fascismo o quasi. E' stata approvata una mozione in questo senso ed è stato annunciato un « referendum » allo scopo di ottenere l'abdicazione di Vittorio Savoia e le dimissioni del suo primo ministro.

Il « colore » del comizio è dato dal fatto che il più sepolcrale silenzio ha « sottolineato » l'evacuazione di Churchill e Roosevelt, mentre il nome di Stalin veniva accolto da un uragano di applausi tale da far tremare le scarse vetrate rimaste a ricordo delle 104 incursioni effettuate dai «liberatori » anglosassoni.

Come ognuno di voi, o intelligenti ascoltatori che avete seguito le note della « Corrispondenza Repubblicana » può agevolmente constatare, i sei e ora cinque partiti antifascisti hanno camminato come si dice facciano i gamberi, in relazione alla soluzione del problema costituzionale.
In un primo tempo, autunno inoltrato del 1943, propositi oltranzionistì. La monarchia è colpevole di avere instaurato ed appoggiato durante 20 anni il Fascismo; dunque, deve seguirne il destino. Non si osa nemmeno dai rimpatriati carichi di rancore - pronunziare la parola repubblica, ma è sottintesa.
Però dopo alcune settimane, assistiamo ad un primo ripiegamento tattico. La forma definitiva politica dello Stato sarà decisa, si dice, dal popolo alla fine della guerra, ma, nell'attesa, la presenza di Vit
torio e del figlio è intollerabile. Essi almeno devono decidersi a fare le valigie e più presto sarà, tanto meglio. Il principio monarchico viene però, sia pure formalmente rispettato nella persona del piccolo nipote, che forse un giorno, molto ma molto remoto, regnerà.

Ma questo non è l'ultimo ripiegamento tattico; adesso non si parla più del nipote. Non si richiede più la testa del figlio, ci si contenta solo del padre Vittorio Savoia e anche qui si apre una porticina di sicurezza attraverso un referendum che si farà quando si farà; il che prelude ad un ultimo ripiegamento tattico destinato a insabbiare in maniera definitiva la questione.

I partiti antifascisti non avrebbero potuto offrire una spettacolo più pietoso del loro infantilismo politico, della loro vera e propria involuzione mentale, della loro pusillanimità morale. Né poteva essere diversamente, dato il loro programma di pura e semplice negazione antifascista. Essi devono fare soltanto ed esattamente l'opposto di quanto dice e fa il fascismo.

E' la bandiera della Repubbica che il Fascismo innalza? Gli antifascisti, anche repubblicani, diventano monarchici. Il Fascismo socializza le industrie? Gli antifascisti, anche i comunisti, difenderanno a spada tratta i privilegi del capitalismo.
Supponiamo -è una ipotesi per il momento semplicemente accademica - che il Fascismo diventi anticlericale: ebbene i massoni antifascisti del partito di azione si schiererebbero, dopo il trono, a difesa dell'altare.
Questa gente inacidita fa la politica del dispetto, la politica di Origene.
Ma data la loro manifesta impotenza, potrebbero farne
una diversa? Sta di fatto che essi non furono, e non sono mai presi sul serio dai loro stessi padroni e finanziatori.
Era infatti appena calato il sipario sul numero del cine-varietà partenopeo, che le cronache hanno annunciato un nuovo sollazzevole colpo di scena che deve aver fatto rimanere di stucco o di «palta», come dicono sulle rive amene dell'Olona, i mestieranti dello antifascismo napoletano.

Cecil Sprigge ci ha narrato che, durante il comizio, Stalin fu acclamatissimo e Badoglio fischiatissimo. Ebbene, all'indomani, quando nell'aria vibravano ancora gli echi degli applausi e dei fischi, l'acclamatissimo Stalin riannodava le relazioni diplomatiche col fischiatissimo Duca di Addis Abeba.

C'è da perdere il lume della ragione di fronte al mistero di questi subitanei rompicapo. Una smentita di siffatto calibro, una così potente legnata, una prova così vistosa di solidarietà col marchese di Caporetto doveva proprio venire dal Cremlino a percuotere e soprattutto a ridicoleggiare i campioni dell'antifascismo vesuviano?

Questo è troppo! Devono aver brontolato Sforza e Croce e Omodeo e i salmodianti minori: « Se Stalin voleva in un certo modo « liquidarci » doveva almeno, in nome dei comuni principii, rispettare le forme ».

La realtà è che Stalin, per i suoi prevedibili piani diplomatici, stima più redditizio, almeno per il momento, utilizzare un autentico traditore quale il maresciallo, piuttosto che far calcolo sugli illusi, gli opportunisti, gli eroi della sesta giornata, che insieme con un certo numero di delinquenti formano la massa di manovra dell'antifascismo italiano.
Quanto alla monarchia, essa è letteralmente liquidata al nord, né potrà sopravvivere, malgrado l'ignavia complice delle cosidette sinistre, a sud del Garigliano.

 

Mentre si svolgevano queste schermaglie, e gli scambi diplomatici scompigliavano tutta la politica degli antifascisti, a Roma accadeva il "Fattaccio"

 

IL FATTACCIO - VIA RASELLA




23 MARZO - VIA RASELLA - In tutta Italia la situazione é ancora critica, Roma è ancora piena di tedeschi, e i GAP fanno sabotaggi e attentati. Le rappresaglie che poi seguono sono durissime. La più terribile avviene nell'attentato di Via Rasella, in questo 23-marzo.

Il "gappista" Rosario Bentivegna, travestito da spazzino e con 18 chili di tritolo dentro una carretto, lo fa esplodere mentre una colonna di 156 militari tedeschi sta risalendo via Rasella.

Restano uccisi 33 (ma in effetti poi con i feriti, successivamente i morti  furono 42) altoatesini di Bolzano, precisamente quasi tutti di Ora. Uomini piuttosto anziani, riservisti, che erano stati reclutati e inquadrati nei ranghi tedeschi, visto che l'Alto Adige, il Friuli, la Venezia Giulia, dall'8 settembre erano diventati ormai di fatto territori annessi al Reich. Significa che i 33 erano a tutti gli effetti italiani, salvo affermare che l'Alto Adige non era più Italia perchè Hitler l'aveva sottomesso al Reich.
(Una curiosità: fra gli scampati c'era Ernst Thoeni, zio del futuro "azzurro" campione del mondo di sci Gustav Thoeni (che chi scrive ha incontrato, quando abitava in Alto Adige). Inoltre per chi è curioso di sapere l'età di quei "malcapitati", al cimitero di Bolzano e di Ora, esiste una lapide che ricorda i morti nell'attentato, erano tutti di una certa età piuttosto avanzata. 

Con loro morirono anche due civili, un ragazzo di 13 anni (Pietro Zuccheretti) e un uomo di 66 (Antonio Chiaretti, un uomo di sinistra, ma di Bandiera Rossa che si era recato in zona a una riunione con altri amici).
(ma non è mai stato chiarito quanti furono i civili morti, alcuni storici parlano di 6 altri di 8 - Ma Il Messaggero del 28 marzo 1944, già parlava di sette vittime civili
Hitler in persona ordinò la rappresaglia (ma è solo una delle tante versioni, non esistono documenti), 10 italiani per ogni tedesco ucciso. "Esemplare giustizia tedesca" scrisse il Messaggero il giorno dopo.
La "Stampa" il 26 marzo usciva con il comunicato "Stefani", che attribuisce la vile imboscata, ai "comunisti badogliani".

 

 



I manifesti sui muri di Roma da mesi parlavano chiaro (alcuni dicono di averli visti, altri no. Ma anche se vogliamo credere a quest'ultima giustificazione, dobbiamo però ricordare che c'era già stato l'episodio di Salvo D'Acquisto. Il carabiniere che autoaccusandosi dell'attentato di due tedeschi, salvò 20 suoi concittadini dalla rappresaglia 1:10. E Salvo D'Acquisto, per chi voleva intendere, era molto di più che un manifesto!!! ).
Bentivegna l'esecutore materiale dell'attentato "A me non risulta che ci fosse un ordine di rappresaglia. Non sapevo che c'erano state altre rappresaglie. Non ebbi richiesta di presentarmi e non vidi il manifesto a firma Kesselring"
(Bentivegna, Achtyung banditen, ed. Mursia, Milano 1983)

Potrebbe sembrare strano che un atto così importante di terrorismo possa essere stato affidato a gente che non sapeva, non vedeva, e non conosceva  le regole di guerra (anche se fu "poi" (quindi solo dopo, retroattivamente) giustificata - quella di via Rasella - come "una azione di guerra")

 Ma la rappresaglia (anche se i bandi non ci fossero stati) quella era: 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Già molti paesi l'avevano applicata o subìta, quella era la convenzione firmata da tutti le nazioni in guerra. Chi organizzò l'attentato e operò sapeva benissimo quello che sarebbe accaduto subito dopo. E proprio per questo, l'operazione terroristica dei Gap, allora, ma ancora oggi dopo oltre 50 anni, viene criticata (e da alcuni anche condannata) e  se era opportuno farla o meno. Non si comprende quale "colpo" potesse arrecare ai tedeschi la morte di 33 riservisti altoatesini; ebbe semmai un effetto negativo sulla resistenza: l'attività partigiana si ridusse "a causa del deterioramento dei rapporti fra i vari gruppi della stessa resistenza e della popolazione civile...e al crescere della disponibilità alla delazione".
Nè potevano (un lettore mi ha scritto avanzando questa tesi - Ndr) "essere state sollecitate dagli alleati", perchè tornavano esclusivamente a vantaggio del partito comunista e azioni del genere nessun riflesso avevano sull'andamento della guerra e sugli interessi americani in Italia.

Gli angloamericani mai e poi mai avrebbero contemplato un'azione come quella del 23 marzo che avrebbe potuto determinare quella insurrezione e quello scontro che essi da qualche tempo temevano proprio dalla sinistra italiana" (Alberto e Elisa Benzoni a pag. 81- Attentato e rappresaglia ed. Marsilio, Venezia 1999)

 Ovviamente la rappresaglia fatta dai tedeschi fu criticata e condannata;  sia l'atto come i suoi esecutori.
Il processo a Priebke, uno degli esecutori materiali, si é svolto nel corso del 1997 con tanti distinguo di carattere militare e civile.  Puntando innanzitutto il dito NON sulla rappresaglia del 10 a 1 (quindi cinicamente accettata - Del resto al processo di Norimberga  le rappresaglie non furono condannate, ma il 10 a 1 fu ritenuto equo, perché ogni esercito del mondo l'aveva accettata VEDI QUI LE RAPPRESAGLIE ) ma sul fatto che ai 330 (rapporto 10 a 1) ne furono aggiunti altri 5, innocenti. (anche se c'erano le terribili condizioni di fucilarne altri 82, perchè i tedeschi feriti, poi morti, furono alla fine 42.
 In secondo piano é invece passata le responsabilità e l'opportunità dell'attentato che non accelerò di una sola ora l'avanzata degli alleati, anzi si tradusse - rappresaglia a parte - in un aggravamento delle quotidiane relazioni  dei tedeschi con la popolazione romana.
Non solo, ma le conseguenze dell'attentato che poi provocò la rappresaglia, divise anche gli stessi antifascisti. L'azione fu dunque decisa per necessità di guerra o necessità di partito? Mistero.
Ma forse questo manifesto chiarisce molto le idee:

(LA PRIMA è CHE SI VOLEVA IL COMUNISMO IN ITALIA !!!)
SI PUNTAVA ALLA "NUOVA EUROPA COMUNISTA"



Viva il Comunismo! Viva la Russia ! Viva Stalin !


Un paio di partiti della sinistra (cosiddetti della "liberazione") affermavano di combattere per la Patria, ma quando due parti erano in lotta, ne veniva che tutte e due a uguale titolo dovevano accusarsi di tradimento. E poi, non si poteva dire che i comunisti combattessero per l'Italia, sì invece per la vittoria del proletariato, cioè, per la vittoria di una parte dell'Italia sull'altra non proletaria.
Non deve destare meraviglia se gli italiani diffidavano e non montavano sulle giostre delle varie ideologie. Si trovarono dinanzi a una concorrenza di varie democrazie offerte sul mercato: democrazia liberale, democrazia cattolica, democrazia socialista, democrazia azionista, democrazia cattolica comunista, democrazia repubblicana, tutte diverse l'una dall'altra, e tutte presentate come specifico rimedio per guarire l'Italia. Infine c'era la democrazia comunista, imperniato sul "credere" e sull'"obbedire" ( simile al dittatore fascista) a quell'autorità assoluta di Mosca, cioè al dittatore Stalin, che controllava le azioni e il loro pensiero nel modo non tanto dissimile da quello ex capo del fascismo.

KAPPLER incaricato della rappresaglia, fece eseguire l'ordine ai suoi subalterni. Ne giustiziarono 335 (forse 336), cinque in più per la gran fretta di eseguire quello che doveva essere un monito a tutte quelle forze di Liberazione che i tedeschi consideravano tutti traditori e banditi
(e i partigiani non facevano parte di un esercito regolare (secondo la convenzione di Ginevra).  Solo con il decreto legge n. 96 del 5 aprile 1944, pochi giorni dopo via Rasella, seguito dal D. L. n. 194 del 12 aprile 1945 gli attentati  furono (!? retroattivamente) considerati legittimi. E solo il 9 giugno 1950 e  il 14 gennaio 1954 si stabilì che in Via Rasella si era svolta una "azione di guerra". Premiando perfino gli esecutori.
(cioè dopo; come del resto sempre accade in tutte le guerre vinte)

Dalle carceri romane le vittime furono prelevate fra i detenuti che vi si trovavano per vari reati, e molti erano quelli politici; più un certo numero di ebrei (73) in prigione dopo le retate che avevano subito nei giorni precedenti. Non abbastanza per arrivare a 330, cinquanta furono aggiunti con varie motivazioni e  solo per arrivare al numero fissato; ma con qualche errore nelle addizioni, cioè con 5 in più di malcapitati.
Fu compiuta così la strage delle FOSSE ARDEATINE.

Da notare che fra i detenuti c'era il meglio dell'antifascismo monarchico, antibadogliani, democristiani, liberali, azionisti  e del "gruppo trotzkista" denominato Bandiera Rossa che il PCI "stalinista" vedeva come fumo negli occhi. Dei 336 martiri antifascisti delle Ardeatine, solo 3 erano comunisti.

La tesi di alcuni storici (ne citiamo uno, Mario Spataro, autore del libro documento  Dal Caso Priebke al Nazi Gold, 2 vol. ed. Settimo Sigillo, 1999) è quella di una faida tra bande partigiane.
Regolamento dei conti, avallato dal fatto che da settimane il comando tedesco riceveva delazioni che portavano all'arresto di elementi della clandestinità antifascista, nessuno dei quali era però strettamente legato al Pci stalinista. Secondo questa singolare tesi, l'obiettivo della cacciata dei nazisti era solo secondario: scopo principale era l'eliminazione per mano tedesca di ogni concorrenza nella futura contesa per il controllo del Paese.

Gli esecutori del piano furono circa 17 gappisti, alcuni di loro ricevettero anche le medaglie al valore (per aver fatto "un azione di guerra"), ma altri nomi sono fino ad oggi rimasti... sconosciuti; e il vero motivo dell'attentato pure.
Del resto l'Avanti del 5 aprile, nell'esecrazione della rappresaglia, scriveva "...la guerra è il tempo in cui i figli sono assassinati dai padri". Amen!

Le polemiche iniziarono subito, poi continuarono; ma anche dopo 50 anni, sia da una parte che dall'altra non sono mai finite. I misteri restano.
Il mistero poi di Bruno Buozzi è quello più fitto. Lo conosceranno solo i nostri pronipoti. Il fascicolo esiste, ma è Top-secret.
Buozzi non finì nelle Ardeatine, ma per circostanze misteriose, fu ucciso in una occasione diversa il 4 giugno con un colpo alla nuca. Poche ore dopo il comunista Giuseppe Di Vittorio dava vita, secondo le linee dettate dal Pci, al nuovo sindacato (già in mano a Buozzi dal 28 gennaio 1944)-

Buozzi che era un socialista, sin dal 1919 aveva dato prova di equilibrio e di attaccamento alla causa del vero sindacalismo non politicizzato. Durante il ventennio non era inviso da Mussolini, perché aveva preso energicamente posizione contro l'istigazione alla violenza nelle fabbriche voluta dall'ala comunista ed estremista. Non inviso neppure - dopo l'8 settembre- da Badoglio, e da questi posto ai vertici della Confedearzione generale del lavoro. Buozzi si era così trovato a contendere agli altri sindacalisti l'ingente eredità finanziaria e patrimoniale del sindacato fascista. Una quantità non indifferente di quattrini e immobili.
Scontri ci furono di Di Vittorio -che non si discostava dalla linea imposta dal Pci- con Buozzi quando questi apprezzò la "Socializzazione" di Mussolini. Il 13 febbraio Di Vittorio scriveva "Si sentono dire da Buozzi cose da mettersi le mani nei capelli. C'è da augurarsi che egli non le dica mai in pubblico. Giunge a dire, ad esempio, che la più parte delle leggi sindacali fasciste, dei contratti di lavoro, la carta del lavoro, sono ottime cose alle quali basterà cambiare qualche parola, per la forma, e potremo apporvi la nostra firma".

L'ostilità comunista aumentò a dismisura quando, il 28 gennaio 1944, ben 500 delegati sindacali meridionali, riuniti a Bari, elessero Bruno Buozzi segretario generale della nuova Confederazione generale del lavoro, dando al comunista Roveda e al democristiano Grandi solo le vicesegreterie: come riferito da Forbice, una nota del Pci espresse aperta contestazione a quella nomina, accusando Buozzi di essere il portatore di un "putrido riformismo".
Tre mesi dopo Buozzi venne arrestato dai tedeschi, che andarono a colpo sicuro, verosimilmente a causa di una delazione. Si era infatti trasferito in una casa di Trastevere appena il giorno prima con un nome di copertura (ingegner Mario Alberti). Nella ritirata del 4 giugno, i tedeschi caricarono su un camion Buozzi e altri 13 prigionieri, e prima di proseguire si fermarono in un casolare e dentro un fienile li uccisero tutti con un colpo alla nuca.
Il 9 giugno si costituiva la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) con la firma di quello che sarà detto "Patto di Roma". Di Vittorio al vertice.
(Buozzi: chi era e i retroscena della sua singolare morte a pag. 923 ,
Appendice B/3 del libro che citiamo sotto)


SU TUTTA LA VICENDA "RASELLA-ARDEATINE" LA MIGLIORE RICOSTRUZIONE (a mio parere) E' PROPRIO QUELLA DI MARIO SPATARO" 1083 pagine, enorme bibliografia, documenti e 152 immagini, di cui moltissime inedite. I nomi degli uccisi, sia tedeschi che italiani.
 "Dal caso Priebke al nazi gold. Storie d'ingiustizie e di quattrini".

26 MARZO - Divampano le polemiche sul perchè e per cosa èstata fatta l'azione terroristica partigiana in Via Rasella che ha poi scatenato la repressione tedesca. GIORGIO AMENDOLA chiede l'approvazione dell'attacco al CLN romano, ma SPATARO il rappresentante della DC dimostra subito la sua piena ostilità e disapprovazione al gesto ritenuto folle per le conseguenze che ha provocato, e si dissocia da questo tipo di lotta.

L'Unità
invece esce con un articolo dove i comunisti si assumono da soli la responsabilità dell'azione.
"....mentre una colonna della Polizia tedesca in pieno assetto di guerra transitava per Via Rasella, un reparto dei GAP eseguiva una audace e violento attacco a bombe a mano seminando la strage...."



 

Le vittime di Via Rasella - non erano di nazionalità tedesca, ma tutti - ripeto tutti - avevano già fatto il militare anni prima nell'esercito italiano. Ma nel '43-'44 erano stati richiamati in servizio per formare il "Polizeiregiment Bozen”, sotto il completo controllo del nuovo esercito nazista delle SS che si era formato a Bolzano. Questo reparto fu poi impiegato nella Roma occupata dai nazisti con compiti solo di guardia e sorveglianza. Il loro comandante, maggiore Johann Dobek, non volle mai partecipare in azione militari proprio per i motivi che i suoi soldati non erano tedeschi ma italiani-sudtirolesi.

Qui sotto i loro nomi e la loro età, che sono sulla lapide che si trova all'entrata del Cimitero di Ora a Bolzano. L'appartenenza di questo reparto é sempre stato al centro di grandi dibattiti tra gli storici,che però non sono mai stati a Bolzano - dove io vi ho vissuto 10 anni - nè hanno mai conosciuto i parenti che a Bolzano sono ancora in vita.
Riguardo alla legittimità di fare questo attentato, ricordiamo che se questo fu fatto da soggetti non inquadrati in un esercito regolare, considerati fuori legge. Ma poi - conquistata la vittoria (ma degli angloamericani) l'attentato fu riconosciuta più tardi il 9 giugno 1950 e il 14 gennaio 1954 si stabilì che in Via Rasella si era svolta una "azione di guerra". Premiato perfino con medaglia al valore l'autore Rosario Bentivegna).
Qui ricordiamo che Partigiani erano composti da disertori (secondo la Convenzione di Ginevra) e non da un esercito regolare. A Parigi alla Conferenza della Pace, infatti non venne riconosciuta nessuna alleanza con i partigiani italiani, anzi sono indicati - nel trattato finale - sempre come "nemici".

CHI ERANO LE VITTIME DI VIA RASELLA

1 Karl Andergassen 5-1-1914 - anni 30 Kaltern / Caldaro
2 Franz Bergmeister 6-9-1906 - anni 37 Kastelruth / Castelrotto
3 Josef Dissertori 5-6-1913 - anni 30 Eppan / Appiano
4 Georg Eichner 21-4-1902 - anni 41 Sarnthein / Sarentino
5 Jakob Erlacher 12-7-1901 - anni 42 Enneberg / Marebbe
6 Friedrich Fischnaller 19-11-1902 - anni 41 ND
7 Johann Fischnaller 17-11-1904 - anni 39 Mühlbach / Rio di Pusteria
8 Eduard Frötscher 19-12-1912 - anni 31 Latzfons / Lazfons (frazione di Klausen / Chiusa)
9 Vinzenz Haller ND ND Ratschings / Racines
10 Leonhard Kaspareth 28-1-1915 - anni 29 Kaltern / Caldaro
11 Johann Kaufmann 19-10-1913 - anni 30 Welschnofen / Nova Levante
12 Anton Matscher 12-6-1912 - anni 31 Brixen / Bressanone
13 Anton Mittelberger 15-11-1907 - anni 36 Gries (frazione di Bolzano)
14 Michael Moser 29-9-1904 - anni 39 Kitzbühel (Austria)
15 Franz Niederstätter 1-6-1917 - anni 26 Aldein / Aldino
16 Eugen Oberlechner 30-4-1908 - anni 35 Mühlwald / Selva dei Molini
17 Mathias Oberrauch 15-8-1910 - anni 33 Bolzano
18 Paulinus Palla 31-12-1915 - anni 28 Buchenstein / Livinallongo del Col di Lana
19 Augustin Pescosta 9-5-1912 - anni 31 Kolfuschg / Colfosco (frazione di Corvara in Badia)
20 Daniel Profanter 22-5-1915 - anni 28 Andrian / Andriano
21 Josef Raich 14-12-1906 - anni 37 St. Martin / San Martino in Badia
22 Anton Rauch 5-8-1910 - anni 33 Völs / Fiè allo Sciliar
23 Engelbert Rungger 21-12-1907 - anni 36 Welschellen / Rina (frazione di Marebbe)
24 Johann Schweigl 13-8-1908 - anni 35 St. Leonhard / San Leonardo in Passiria
25 Johann Seyer 3-6-1904 - anni 39 Gais
26 Ignatz Spiess 4-7-1911 - anni 32 Schweinsteg / Sant'Orsola (frazione di San Leonardo in Passiria)
27 Eduard Spögler 11-7-1908 35 Sarnthein / Sarentino
28 Ignatz Stecher 11-5-1911 - anni 32 Schluderns / Sluderno
29 Albert Stedile 26-6-1915 - anni 28 Bolzano
30 Josef Steger 10-8-1908 - anni 35 Prettau / Predoi
31 Hermann Tschigg 23-4-1911- anni 32 St. Pauls / San Paolo (frazione di Appiano)[100]
32 Fidelius Turneretscher 19-1-1914 - anni 30 Untermoi / Antermoia (frazione di San Martino in Badia)
33 Josef Wartbichler 13-11-1907 - anni 36 ND

 


Ma BONOMI  presidente del CCLN (Comitato Centrale Liberazione Nazionale) polemicamente si dimette e provoca delle lacerazioni all'interno dello stesso comitato. Iniziano dissapori e altri modi di intendere la lotta della Resistenza e come portarla avanti, che provocano contrapposizioni ideologiche insanabili; fratture che si ripercuoteranno in seguito nel momento in cui si discuteranno, con le alleanze, gli orientamenti politici dei governi che seguiranno, e dove troveremo lo stesso Bonomi come primo ministro.

27 MARZO - Con queste altre lacerazioni, la situazione politica continua ad essere ancora più bloccata dal rifiuto dei partiti e degli esponenti antifascisti ad entrare nel governo Badoglio.
Ma a ricucire gli strappi, arriva da Mosca PALMIRO TOGLIATTI. Sbarca a Napoli dalla motonave Tuscania. Come tanti che erano fuggiti all'estero, ha terminato dopo 18 anni
il lungo esilio in Unione Sovietica, dove ha svolto le funzioni con Dimitrov quale segretario, di vicesegretario del Comintern (la Terza Internazionale).
Il 31 dello stesso mese, presiedendo i lavori del Consiglio del Pci, fa approvare all'unanumità la sua linea politica che prevede la formazione di "un governo capace di organizzare un vero e grande sforzo di guerra e in primo luogo di creare un esercito, forte, che si batta sul serio contro i tedeschi".
Perentorio sulla questione istituzionale, ed è quindi abbandonata l'intransigenza che i comunisti italiani condividevano con gli antifascisti.

Con un suo programma (e con le istruzioni dei Sovieti) delinea gli impegni che dovrà assumersi il nuovo PCI.

Il Consiglio avrebbe dovuto informare la Giunta esecutiva, ma Togliatti temendo che questa con chiacchiere, discussioni e contrasti danneggiasse la sua azione, in una conferenza stampa anticipò ogni cosa.

Parlando a Salerno il 2 aprile, invita perentoriamente a promuovere la costituzione urgente di un "nuovo governo di carattere transitorio ma forte e autorevole con l'adesione dei grandi partiti di massa".
E se non si poteva ottenere l'abdicazione del Re, la questione la si poteva benissimo posporre. "Accantoniamo il problema, dichiariamo solennemente, tutti uniti, che lo risolveremo quando l'Italia sarà stata liberata e il popolo potrà essere consultato".
Sarà chiamato questo suo intervento "la svolta di Salerno" che imprimerà un'inversione di rotta alla vita politica italiana.

Pochi giorni dopo, con un comunicato interviene anche Vishinsky, Commissario del Popolo per gli affari esteri, che ribadisce la linea politica assunta da Mosca, e quella esposta da Togliatti.
Alcuni programmi di Togliatti, uniti alle difficoltà della guerra ostacolano la sua azione politica; ma i maggiori ostacoli sono quelli messi degli Alleati, che non hanno gradito le relazioni riprese dall'Italia badogliana il 13 marzo con l'Unione Sovietica senza esserne informati. Nè hanno gradito questo intervento di Togliatti, che è poi la linea di Mosca.

Se l'azione svolta fino allora dagli antifascisti e dai comunisti era stata quella di infangare il Re e la Monarchia, dopo la "svolta di Salerno" di Togliatti e le buone relazioni con Mosca, è proprio il re a riacquistare prestigio.
Le due novità lo hanno rinfrancato, fino al punto di dire del primo "Palmiro Togliatti, dato il momento e la guerra in corso, ha parlato da italiano"; mentre riferendosi all'importanza politica del secondo avvenimento aggiunse:
"La diplomazia russa è molto abile anche se, per ciò, e non soltanto per ciò, molto pericolosa...L'aver inviato il signor Togliatti ora e non prima, e cioè l'aver lasciato che gli oppositori minori si esaurissero, ottenendo quel poco che potevano ottenere e perdendo quotazioni a forza di gaffes, presso gli angloamericani, è una mossa politica d'incalcolabile portata. L'uomo nuovo può fare una politica nuova".

Bolla che ascoltava queste considerazioni del Re e dicendo che tutto ciò poteva essere a esclusivo vantaggio dell'URSS, il Re soggiunse:
"In questo momento il capo del comunismo è sincero: lo scopo vero è di vincere la guerra. Quanto al poi, deve ancora venire... Il mondo va a sinistra, come è fatale dopo tutte le guerre, anche se vinte. Ma questa specialmente porterà a sinistra, e nessuno potrebbe predire per quanto tempo. Gravi problemi sociali si addensano come nuovole all'orizzonte. Tornerà il sereno senza che scoppi la tempesta? Purtroppo l'egoismo e l'ambizione, che dovrebbero non avere nulla a che vedere col progresso e l'ascesa dei popoli, frusteranno le intese che pacificamente sarebbero possibili. Augurao all'Italia di trovare la giusta via senza subire nuovi esperimenti di sangue. Non sarà certamente Casa Savoia che ostacolerà con irrigidimenti da 14 luglio francese la volontà spontanea del popolo italiano". (
Bolla. "Colloqui con Umberto II", p.128)

Gli anglo- americani nel frattempo stanno già loro ridisegnando l'Europa e la futura politica, e non solo diffidano dalle forze antifasciste che si sono organizzate, soprattutto comuniste, ma diffidano ora dello stesso governo Badoglio, che viene tollerato solo perchè legato ancora alla monarchia. Tuttavia Badoglio - paradossalmente viene scelto proprio perchè lo ritengono il meno capace di organizzare un gruppo di potere.
Churchill è infatti cinico, preferisce lo stato confusionale che si è creato in Italia piuttosto che quello organizzato, che in un primo momento sfrutta, poi verso la fine del 1944 (vedi 13 novembre) vuole smobilitare, disarmare e mandare a casa, quando ormai nella Resistenza, sono diventati predominanti i gruppi della sinistra, o meglio i comunisti.

Comunque Togliatti riesce a compattare il CLN e subito, il 6 aprile, invita il Re a far conoscere agli italiani le sue vere intenzioni di ritirarsi, abdicare o meno. Nello stesso comunicato rinnova ancora l'invito a formare con urgenza un Governo di Unità Nazionale senza attendere la fine del conflitto.
Togliatti ottiene subito un primo effetto, gli stessi alleati ora sono loro stessi a invitare il re ad abdicare, o a favore del figlio UMBERTO o del nipotino VITTORIO EMANUELE. Infatti .....

12 APRILE - RE VITTORIO EMANUELE III, alla radio annuncia il suo ritiro, affermando che abdicherà a favore del figlio Umberto non appena si sarà liberata Roma e lui potrà far ritorno al Quirinale. Nello stesso giorno BADOGLIO inizia le consultazioni per formare un nuovo governo.

13 APRILE - E' approntato con un decreto, un Organo (Alto Commissariato per l'Epurazione) per la rimozione di tutte quelle cariche pubbliche che sono state date sotto il fascismo, quindi la punizione dei delitti e degli illeciti e gli arricchimenti facili di alcuni industriali che avevano servito il regime. I controlli verranno poi estesi a tutte quelle società con capitali che superano i cinque milioni.
Fra i colpiti eccellenti viene subito indicato Giovanni Agnelli della Fiat, che però morirà il 16 dicembre del 1945, a pochi giorni dall'8 febbraio 1946 quando saranno del tutto abolite queste sanzioni.

Tuttavia è un provvedimento che viene  largamente disatteso. Se era alquanto problematico fare queste epurazioni nelle attività industriali (soprattutto dentro le varie dinastie private proprietarie di grandi complessi), non era affatto semplice agire all'interno delle attività pubbliche (banche, enti, giustizia, partecipazioni, ecc.) dove le cariche erano palesi vecchie scelte politiche fatte dal regime.
Ma in entrambi i casi nessuno perse una poltrona, tutto continuò come prima. Nelle prefetture rimasero tutti quelli nominati sotto il fascismo (e più fascisti di loro non c'era nessuno, trattandosi appunto di ordine pubblico) così
come prima nelle grandi direzioni di enti, istituzioni, banche; tutti i dirigenti rimasero al loro posto. I vertici dei partiti si spartirono la grande "torta".
In quella industriale e dell'alta finanza, come leggeremo, ci fu anche la "GRANDE ABBUFFATA"

Fu uno strano modo questo abbattimento del regime; si erano solo tolti i quadri e i busti di Mussolini alle pareti, ma le persone che contavano, quelle che avevano il vero potere (ovviamente di pura fede fascista), restavano al loro posto, cambiandosi subito solo la camicia. La guerra fascisti e antifascisti, quella di scannarsi nelle strade e nei paesi era solo dei poveri, strumentalizzati, usati, e spesse volte reciprocamente intenti a eliminarsi per ben altri rancori. E così anche dentro i partiti, infestati di ideologhi di secondo e terzo ordine, che seminavano confusione. Anzi molti combattevano il fascismo per passione propria e per ordine degli stranieri, senza sapere che cosa fosse stato e che cosa fosse ancora.

Infatti nella classe dirigente sia pubblica che privata non c'era nemmeno il più piccolo disturbo nè politico nè di piazza. Imperterriti i prefetti che avevano fino a ieri perseguitato gli antifascisti rimasero a fare ordine pubblico anche in queste circostanze tragiche, dove l'imparzialità poteva sembrare istituzionale ma non lo era di certo quella personale. Erano pur sempre quegli uomini una espressione di quel regime.
Se dunque lo Stato era Mussolini ed era lui il fascismo, e se fascismo era l' intero apparato statale e se questo apparato rimaneva tale e quale, il fascismo restava, seguitava ad essere vegeto dentro lo Stato, e seguiterà a esserlo anche dopo. Epurazioni non ve ne furono. Ci si tolse solo il distintivo e si fece finta di nulla. Questa casta di burocrati dissero ai cittadini sbigottiti -  giustificando il perchè si era ancora su quella poltrona - che "il fascismo era stato un male collettivo e non del singolo". Si proseguì quindi a operare con il solito potere, autoassolvendosi da ogni cosa.
Aveva forse ragione Ferrara, quando ancora il 30 settembre 1945, su "Risorgimento liberale" scriveva "...finchè non sapremo che cosa è stato il fascismo, resteremo sempre dentro il fascismo".

Non fu così invece per i "poveri cristi", convinti che il fascismo era stato un male del singolo e non della massa, e giudicando i fascisti in genere gli unici responsabili del disastro, come dei dannati si misero a dare la caccia ad altri "poveri cristi", fin quando l'odio salì così alto che alla fine diventarono essi stessi prede da cacciare, nelle valli, ai monti e al piano, dentro le foreste, nelle grotte e nelle caverne. L'Italia si trasformò in una grande arena di fanatici vendicatori, fino all'ultimo sangue.

Mentre l'imperatore senza più impero, il re senza più il regno, i generali senza più esercito, e i lacchè senza posteriori da baciare, badavano, senza essere disturbati, all'unica cosa; quella di tenersi stretta la poltrona, riciclarsi; a loro delle idee e delle dottrine, delle ideologie, e perfino dei vangeli, non importava un bel nulla. Erano realisti non idealisti. Erano stati nel regime tanti "piccoli" Mussolini; e molti (diciamo quasi tutti)  il regime lo avevano utilizzato o l'avevano servito per servirsene. Gli arricchimenti facili di alcuni erano noti, com'era  nota l'onestà di Mussolini e il suo colpire senza pietà gli approfittatori (anche se non lo faceva sapere per non screditare il partito). Li  esautorava perfino dai piccoli incarichi (vedi Starace)
La gente lo sapeva tutto questo, e non per nulla, davanti alla spudoratezza di alcuni, mormorava da anni "se lo sapesse Lui".

Di epurazioni per il male-governo dentro il regime negli anni passati ce ne furono. Quando questo accadeva (anche se non proprio reso pubblico) la folla applaudiva. Mussolini offriva alcune volte la carcassa del colpevole per accontentarli e ammansirli, indicando il reo come unico responsabile della corruzione  che  negli ultimi anni si era allargata a macchia d'olio fra i collaboratori inetti ma boriosi, e che proprio per questo il fascismo stava perdendo consensi.
Scriveranno  molti giornalisti, quando finì tutto, che il consenso era fittizio, che il popolo non era fascista, ma intanto quando proprio loro scrivevano in prima pagina sui giornali, decantavano imprese, tributavano lodi, glorificavano gesta, predicavano di dare fiducia al regime migliore del mondo, elogiavano molte mezze tacche, incensavano l'alleato Hitler; tutto questo non era fittizio, ma era dentro la casta (che era poi quella che contava, quella che faceva "cultura",) c'era quindi un totale consenso. Le pagine dei giornali di quel tempo ci sono rimaste, e sono testimonianze di servilismo e di chiusure mentali.

Nel '40 quando Mussolini entrò in guerra, tutti i giornali scrissero che era ora! che cosa ancora si aspettava? Anni dopo invece cosa leggeremo dagli stessi giornali o dai libri degli storici? Che  "I più fecero come chi scrive, cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi nè in un senso nè nell'altro. Quelli di noi che vennero richiamati alle armi, cioè quasi tutti, non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati".  Indro Montanelli L'Italia dell'Asse,, Rizzoli ed. 1981- 
Insomma agli italiani ignoranti sarebbe stato più utile leggere i giornali di Bogotà e non quelli del Paese Italia.


Tornando a questi anni, quando l'orientamento politico più tardi prese un ben preciso colore e la sostituzioni nelle alte cariche pubbliche cominciò a farle, un altro regime  (pardon "sistema", "governo"), paradossalmente in alcuni casi si ripescarono proprio quei soggetti (dichiaratisi vittime e a sentir loro, ora antifascisti) epurati per poco nobili affari. Si tornò così a fare una "distribuzione benefica" un gigantesco "ripescaggio" di loschi soggetti, in quella che fu chiamata Prima Repubblica, che duro' ininterrottamente un cinquantennio. Operando per il bene del Paese, ma spesso proseguendo il male; distribuendo cariche e prebende dentro il vecchio marcio. Insomma come il sistema precedente.
Con la differenza che prima c'era un solo uomo di un regime e tanti beneficiati per avere da questi il consenso, poi ci furono i tanti beneficiati che cercarono per sè stessi il consenso (l'immorale clientelismo politico di ogni colore che iniziò dal '48 in poi, con in prima fila le partecipazioni statali, i patronati, gli enti, e gli industriali che non ricordavano i fondi ricevuti; e se c'erano carte in giro, furono fatte subito sparire
. VEDI LA GRANDE ABBUFFATA)

Il popolo era convinto di aver lottato per una trasformazione del potere. Avevano lottato invece per ottenere alla fine solo quella "carcassa" buttata in piazzale Loreto. Basterebbe ricordare le tremende battaglie sindacali che poi seguirono, per avere pane e lavoro, o ricordare la rabbiosa delusione dei tre milioni di uomini (reduci, partigiani, prigionieri) che una volta rientrati, oltre non trovare nemmeno più la carcassa (Lui lo avevano con il gancio del macellaio già appeso poi fatto sparire) non trovarono nemmeno più le briciole di quel potere e di quelle ricchezze che Mussolini aveva distribuito a certi indegni personaggi; questi se le erano nuovamente già distribuite fra di loro, sotto un altro vessillo, non più nero, ma uno rosso e uno bianco, e su quest'ultimo ci misero perfino una croce, per dare l'impressione di dirittura morale.

18 APRILE - Nel regno del sud si forma il CIL, il Corpo Italiano di Liberazione, che si metterà a disposizione degli alleati che coordineranno sia le strutture logistiche sia le azioni di guerra. Non sono partigiani, ma regolari reparti militari che vengono ricostituiti con i nuovi coscritti (salvo essere dichiarati disertori e anche qui fucilati- ne più ne meno come a Salò) dopo il  disfacimento e la fuga  dell'intero stato maggiore dell'esercito italiano l'8 settembre (e che erano poi quasi gli stessi, Badoglio in prima fila).

22-24 APRILE - Sollecitato da tutte le forze politiche del Paese e seguendo (ambiguamente)  la linea indicata a Salerno da Togliatti, Badoglio vara il suo primo governo di Unità Nazionale proprio a Salerno dove troviamo fra gli altri lo stesso Palmiro Togliatti ministro senza portafoglio, SALVATORE ARDISIO (DC) agli Interni, RUIZ ARANGIO (PLI) alla Giustizia, mentre Badoglio tiene per se' quello degli Esteri.

Togliatti era abile , ma non audace, con un'eloquenza tra l'avvocato e il professore, tranquillo in mezzo agli energumeni, con una comunicativa che gli guadagnava molte simpatie, e aveva affermato che domani l'Italia per volontà di popolo avrebbe avuto un regime democratico e progressivo: intanto era prudente. C'erano altri comunisti intransigenti, i quali credevano seriamente che il regime sovietico fosse democratico: ma erano poveri di spirito. Togliatti era troppo intelligente e troppo esperto per poter essere tra costoro.. Che cosa intendeva allora per "democratico e progressivo"? A parte la difficoltà che aveva di precisare, una definizione esatta non gli conveniva, con questa oscura definizione del programma confondeva anche i seguaci e con l'equivoco li indeboliva. In una intervista dichiarava che l'Italia comunista, ora o in un prevedibile futuro, era esclusa:
"Noi non pensiamo affatto in questi termini, il nostro problema è di creare un'Italia democratica e in qualche modo vivere quanto meglio possiamo. Noi comunisti crediamo nei piccoli proprietari agricoli e nella proprietà privata qui in Italia. Potete immaginare un'Italia senza di essi?".
(Togliatti, in un'intervista al New York Times, riportata integralmente dal Popolo del 16 luglio 1944)

No, non si poteva immaginare un'Italia senza la proprietà e i mezzi di produzione privati, ma nemmeno si poteva immaginare il comunismo con la conservazione della prima e di quell'odioso "strumento che rende possibile lo sfruttamento del proletariato" che erano i secondi.
Togliatti frenava, non agitava più lo spauracchio della rivoluzione, perchè frenato dal governo di Mosca, che stava abbandonando (con patti chiari,fatti a Mosca e a Yalta con Churchill) l'Italia alla sfera d'influenza anglo-americana e perchè voleva guadagnarsi le simpatie dei ceti borghesi e medi che avrebbero governato l'Italia; che sotto il protettivo ombrello degli Alleati, pur essendo stati fascisti, non avevano mollato nemmeno un ufficio di una qualsiasi istituzione.

Questo opportunismo non giovò al comunismo, che restò sì saldo, ma fisso in vane predicazioni tra la palingenesi messianicamente promessa e l'ambiguità della "democrazia progressiva".
Forse, o meglio dire quasi certamente, furono tuttavia evitati alla Nazione quei mali che solo dopo quasi mezzo secolo vennero poi in superficie.
Comunque bisogna rilevare che l'azione sindacale del partito comunista non fu senza vantaggio per le classi lavoratrici sin dai primi tempi, con buona pace degli industriali.


25 MAGGIO - Finalmente dopo l'Odissea di Montecassino subita dagli anglo-americani, il II corpo USA, che sale verso nord lungo la costa tirrenica, si ricongiunge al VI corpo USA che ha intanto sfondato il cerchio tedesco che chiudeva le forze alleate nella testa di sbarco di Anzio (il VI corpo si schiera nel settore costiero prendendo il posto del II, che rimane sul fianco sinistro dei francesi).
Mentre la 3a divisione conquista Cisterna e Cori, la 1a divisione corazzata americana progredisce in direzione di Velletri.
Con un fronte così ampio e consolidato al gen. Clark, comandante la V armata USA, si presentano due possibilità: puntare direttamente su Roma e conquistare la città ricavandone gloria e prestigio e un eco propagandistico di importanza straordinaria, oppure puntare il più velocemente possibile verso nord-est con tutte le sue forze per intrappolare (cosa fattibile) la 10a armata tedesca di Vietinghoff.

Militarmente e strategicamente la seconda possibilità significherebbe probabilmente la fine della guerra in Italia, perché Kesselring non avrebbe avuto il tempo per consolidarsi sulla linea Gotica; ma Roma attira Clark in maniera irresistibile. Lui vuole passare alla Storia.


Così dava l'annuncio il giornale di regime

5 GIUGNO (Domenica)- Finalmente un contingente dei reparti delle truppe alleate al comando del generale CLARK liberano Roma dopo essere rimasti in stallo per quasi 5 mesi con delle motivazioni che restano un mistero per tutti (I maligni dicono invece che era un protetto di Eisenhawer, e che già una volta era intervenuto a suo favore quando lo si voleva destituire dal comando della V armata).
A parte la vanità di Clark, militarmente l'inseguimento dei tedeschi potevano con un po' più di impegno e mezzi farlo prima. Ma politicamente c'erano forse in gioco altre componenti che abbiamo già accennato il 13 marzo. Mancano 24 ore allo sbarco di Normandia, e quello che deve far notizia è la "caduta di Roma", è questa notizia che deve andare sui giornali e nelle radio di tutto il mondo.  Roma  oltre che capitale storica dell'intero Occidente e capitale della cristianità è soprattutto la capitale del fascismo.
Anche Berlino apprende la notizia del più grande sbarco della storia, di uomini e mezzi, e apprendono i tedeschi che si sta dunque avvicinandosi l'ora più critica della Germania; ma anche a Berlino la caduta di Roma è sentita come l'ora della disfatta totale.
La caduta e la conquista di Roma - questo Churchill lo sapeva benissimo - ottiene un effetto psicologico dirompente  in Italia, in Germania e in tutto il mondo, come e più di 100 cento battaglie vinte.

6 GIUGNO - Con Roma liberata rientra al Quirinale VITTORIO EMANUELE III, che subito, come era nei patti, firma il decreto di abdicazione e nomina il principe UMBERTO luogotenente generale del regno. In verità, prima del rientro a Roma, gli inglesi (Mac Farlane) lo avevano invitato a firmare il documento, già a Ravello (vedi in calce al documento, "dato a Ravello il 5 giugno") e appena a Roma sempre gli inglesi invitarono (!) Badoglio a dimettersi dal governo.



6 GIUGNO - A tredici giorni dalla costituzione del primo governo formato da Badoglio, il maresciallo (controvoglia, su parere o meglio su ordine dell'inglese Mac Farlane) rassegna le dimissioni, e rimette nelle mani di Umberto il mandato, che subito dà  inizio alle consultazioni  (vedi 18 giugno)

Le dimissioni si rivelarono un grosso errore di Badoglio (ma se era un ordine, cos'altro poteva fare?) ; infatti verrà subito scaricato, perchè uomo scomodo (a tutti, ma soprattutto ai socialisti e agli inglesi). Pur dandosi molto da fare con il CCLN di Roma (che però non hanno dimenticato quando il 25 luglio Badoglio li ha disprezzati) e anche se gradito agli americani, a Badoglio il nuovo Governo non gli dà nessun incarico, viene mandato a casa in pensione, e questa volta anche con il tacito consenso degli alleati.
Lui davanti a quelli che lo hanno esautorato da ogni incarico, al cospetto dei leader dei più importanti partiti politici, è  infuriato, sprezzante, impietoso e persino offensivo. L'eroe, l'ex condottiero, il principe degli intrighi, li accusa tutti: "Voi siete riuniti intorno a questo tavolo in Roma liberata non perchè voi, che eravate nascosti o chiusi in conventi, abbiate potuto fare qualche cosa: chi ha lavorato finora, assumendo le più gravi responsabilità. è quel militare che, come ha detto Ruini, non appartiene ad alcun partito". (Badoglio, op. cit., pag. 219).


Non ha lo stile per perdere, ma solo la vocazione dell'arroganza. Tuttavia quale sia la stima, che si ha di Badoglio, non si può non ammettere che il quel drammatico momento, mentra dava quello schiaffo morale ai politicanti, stanati dall'altrui sacrificio, la sua statura diventava imponente.
Dopo venticinque anni  come primo attore di una grande farsa, finisce per essere messo da parte, e finirà poi anche davanti a un tribunale (ma con i magistrati del vecchio ex regime tutti al loro posto) con l'accusa di non aver difeso Roma ma di essere "scappato".
Finirà il processo
a tarallucci e vino. (nel clima dei perdoni reciproci di tutte le forze combattenti).
Badoglio finirà i suoi giorni nella grande magnificente villa e nelle sue tenute; quelle che gli erano state date in dono dal fascismo che aveva all'inizio contrastato, poi accettato, poi si era distaccato, infine senza farsi scrupolo, con l'ingratitudine di quanto aveva da esso ricevuto, anche tradito (forse molti non la pensano così, ma se potessero parlare i fucilati di Cefalonia, e tanti altri, direbbero la loro!)

Scompare così (e con lui pochi giorni dopo un sovrano) l'uomo che ha causato una delle più cruenti guerre civili e militari in Italia con 200.000 vittime, reso un inferno la prigionia di 680.000 italiani prigionieri in Germania, altri 650.000 presso gli alleati, e cadute vittime 70.000 partigiani e assieme a loro 15-50.000 fascisti (non si é mai saputo il numero esatto); e che infine ha trasformato l'onore di militare e politico con la sua fuga, in tradimento. Si può (per tanti giustificati motivi) anche fuggire da soli, ma non (dando un pessimo esempio) con tutto lo stato maggiore dell'esercito, lasciando questo allo sbando.

Se Mussolini era mosso da utopistici ideali (l'antibolscevismo era il primo) e si costruì il suo regime dittatoriale tragico nel suo divenire per tutte le sue ingenuità, Badoglio non aveva nessuno di questi ideali, fu solo un cinico calcolatore, principe dell'intrigo e un personaggio tragico della storia d'Italia; perfino più responsabile di Mussolini, che ormai in quell'8 settembre era fuori causa.
Tre armistizi (di carta straccia) nella sua carriera;  significa che Badoglio arrivava sempre nel momento giusto come un avvoltoio quando c'era da spolpare gloria, onori e prebende. Il "vincitore delle sconfitte" fu soprannominato.
Gli americani, riferendosi ai suoi doppi giochi, crearono anche un verbo "to do not badogliare",  "non fare il Badoglio", cioè "non barcamenarti sul filo del rasoio del tradimento" secondo l'"Oxford dictionary"..

Con le "badogliate" siglò tragedie e sventure. Non gli bastava essere il responsabile di Caporetto, volle anche un drammatico e tragico 8 settembre!


Sbarco in NormandiaLO SBARCO IN NORMANDIA
(vedi particolari in 2nda Guerra Mondiale > > >


6 GIUGNO - SBARCO IN MORMANDIA - In questa data avviene il più imponente ma anche il più tecnologico sbarco della Storia. Dall'Inghilterra, via mare, via cielo, raggiungono la Francia su 6000 mezzi navali di ogni tipo 2.800.000 uomini, mentre sopra le loro teste come protezione volano contemporaneamente 13.000 aerei. Il 28-8 arriveranno a Parigi, il 7-3-'45  sul Reno. Ma in Italia dalla stampa che abbiamo visto all'inizio nella nostra prima pagina, sembra quasi che stia vincendo la Germania, mentre questa in effetti sta subendo la piu' grande disfatta della sua storia, aggredita con la  stessa  tecnica e la stessa strategia che Hitler ha insegnato a tutto il mondo: le truppe aereotrasportate (paracadustisti e alianti)   i blitz fulminei, i genieri che ricostruiscono i ponti in un istante, e alle Ardenne aggirano il Vallo Sigfrido come i tedeschi avevano aggirato a suo tempo la Maginot.

L'operazione "Overlord" fu un vero capolavoro di ingegneria.
In rete vi sono descrizioni molto approfondite (che vi segnaliamo), mentre noi nella pagina sopra dedicata evidenziamo solo alcune date e alcuni aspetti del famoso sbarco.


10 GIUGNO - PARTIGIANI ALL'ATTACCO - Disposizioni emanate dal Comando della Brigata Garibaldi. "Dopo lo sbarco in Normandia gli eserciti alleati avanzano su tutti i fronti. E giunta l'ora dell'attacco generale per tutte le formazioni partigiane, per tutti i patrioti, per tutti gli italiani".
Si ordina: 1) che tutte le formazioni garibaldine scendano in campo con tutta la potenza delle proprie armi, del proprio entusiasmo e del proprio eroismo. Attacchino i centri, i depositi nemici, lancino in tutte le direzioni pattuglie di guastatori a insidiare il nemico, a interrompere le sue vie di comunicazione, a far saltare treni e ponti, a tendere imboscate ai convogli tedeschi. 2) Che si estendi ovunque l'autorità partigiana e popolare; occupando paesi e vallate, scacciandovi tedeschi e fascisti, istituendovi organismi amministrativi popolari che assumeranno il potere in nome del Governo di Unità Nazionale. 3) Chi ha le armi, attacchi e combatta, chi non le ha se le procuri, e intanto saboti la macchina bellica tedesca nemica. Basta un fiammifero per dar fuoco a un deposito..... 5) Che non si dia tregua ai tedeschi, ai fascisti e alle spie, che si sopprimano senza pietà. Chiunque aiuta tedeschi e fascisti, chiunque combatta contro la patria é un nemico e un traditore e deve essere punito con la PENA DI MORTE".

Non bisogna dimenticare che sui muri ci sono contemporaneamente le stesse disposizioni della Repubblica di Salò (pur sempre un governo sovrano) e per i disertori e i renitenti alla leva c'e' la pena di morte, oltre al resto (rappresaglie alle famiglie) (ma una simile legge era applicata anche nel Sud dal Governo Badoglio)

I tribunali e le stesse autorità politiche della RSI, dipendono in tutto e per tutto dal comando tedesco, padrone assoluto dell'Italia Settentrionale. Questa l'ordinanza per tutti i cittadini:
Si ordina: 1) Compilare un elenco di tutti gli inquilini di una casa e applicarlo all'interno del portone di ogni edificio, e nell'alloggio nella porta di entrata.
2) Ogni casa in cui vi siano persone che non figurino nell'elenco verrà subito data alle fiamme e le stesse persone che vi abitano che hanno dato rifugio verranno trattate come i ribelli.
3) Chi ha rapporti con i ribelli o presta loro aiuto in qualsiasi maniera, verrà trattato come ribelle e incorrerà nella pena di morte mediante fucilazione.
4) Ogni casa in cui vengono trovate armi e munizioni verrà immediatamente incendiata e i suoi abitanti trattati come al punto sopra. Morte per fucilazione.
5) Chiunque viene sorpreso all'aperto con indosso armi e munizioni di qualsiasi tipo, verrà immediatamente con giudizio sommario fucilato sul posto come ribelle.
6) Chiunque abbia notizia del luogo ove hanno rifugio elementi ribelli e non ne faccia subito denuncia verrà considerato alla stessa stregua di colui che ha offerto rifugio.
7) Case, alberghi e locande che accolgono persone, devono subito comunicarlo alla PS o registrarle negli appositi registri dei forestieri a disposizione della Pubblica Sicurezza (una norma quest'ultima in Italia mai cancellata, in contrasto con i Paesi della Unione Europea. Si rischia ancora oggi (1997) di essere processati se ospitate a casa vostra un cittadino europeo se entro 48 ore non lo denunciate alla P.S.)

Insomma da come abbiamo visto, fare il partigiano o il repubblichino si rischia in entrambi la pelle. Non c'e' scampo, sia da una parte della barricata che dall'altra. Ed emerge pure che non fare assolutamente nulla si é accusati di collaborazionismo sotterraneo. Fare una scelta razionale non é possibile Schierarsi da una parte e riuscire a comprendere quella che é diventata ora una guerra politica con i cinici interessi territoriali dei Grandi non é  facile, neppure ai politici di prima grandezza. Sia il comune cittadino come per l'intellettuale spinto da una dottrina e da alti ideali,  per entrambi la menzogna e la delazione è giustificata e considerata come una generosità, e perfino l'assassinio o la strage diventa un'azione eroica (da entrambe le parti - vedi via Rasella).

18 GIUGNO - A Roma, viene varato il nuovo Governo di Unità Nazionale presieduto (ma assume anche gli Interni e gli Esteri) da IVANOE BONOMI (leader di Democrazia del lavoro). Il governo si insedierà il 15 luglio a Roma, che in questo periodo è sotto l'amministrazione alleata . Fra i ministri senza portafoglio (uno per ogni partito) De Gasperi (DC), Togliatti (PCI), Corradini (PLI), Ruini (DL), Cianca (Pd'A), Saragat (PSIUP), Sforza (indipendente, che si era nel frattempo avvicinato ai repubblicani costituitisi, dopo il rientro di Randolfo Pacciardi, in partito (escluso dal CLN).
Fra i ministri Tupini (DC) giustizia; Gronchi (DC) industria e commercio; Mancini (PSIUP) lavori pubblici; Gullo (PCI) agricoltura; Piacentini all'Aeronautica; De Courten alla Marina; Siglienti alle finanze; De Ruggiero all'istruzione; Cerabona alle comunicazioni. Nenni che allora raccoglieva molte simpatie stranamente rimase fuori (lui giustificò la cosa dicendo che così era più libero di fare l'opposizione (ma allora non era un governo democratico, come aveva in precedenza detto).
(Se notiamo non c'è più il Ministero delle Colonie perchè tutti accettarono quatti quatti e senza alcuna protesta, l'imposizione, la proibizione degli Alleati di costituirlo. Ed era evidente e fatale che, rinunciando al Ministero, si rinunciava implicitamente alle colonie).

Era questo (con il Re che chiamava Bonomi) un governo democratico? Pretendeva solo di essere democratico (come aveva detto Nenni) ma sappiamo e abbiamo visto che era composto di uomini scelti esclusivamente per la loro appartenenza politica e con un ministero -o un senza portafoglio- ad ogni partito, indipendentemente dalla competenza che le persone scelte avevano. Di volontà popolare nemmeno l'ombra. E con i piccoli partiti che contavano (ed erano arroganti) quanto i grandi.
Lo stesso C.L.N. di Roma, che sembrava essere il miglior canale esistente in Italia per esprimere la volontà popolare, avevano scelto Bonomi unanimamente, mentre erano divisi su Badoglio.

Quando il Comitato si riunì per scegliere i ministri: ebbe da Mac Farlane solo due ore per decidere. Quando uscì si trovò nell'anticamera due ufficiali inglesi. Ci furono discussioni su alcuni nomi, tuttavia il il Gabinetto Bonomi fu costituito. Ma il bello doveva venire.

Gli inglesi con Mac Farlane (che però era un socialista inglese, e fu pure rimproverato da Londra per aver accettato la nomina di un presidente. che gli inglesi stimavano rivoluzionario o troppo amico di quei rivoluzionari, dietro i quali vedevano la Russia) avevano posto due veti: primo, non si doveva nominaare Sforza ministro degli esteri come voleva fare Bonomi; secondo, proibito costituire il ministero delle colonie. Inoltre Churchill preferiva Badoglio. Scrisse subito a Roosevelt, dicendogli che la sostituzione di Badoglio con "quel gruppo di vecchi e affamati politicanti" era un grande disastro. E insorgendo contro la scelta di Bonomi, aggiungeva che Badoglio "dal momento in cui aveva consegnato la flotta nelle sue mani, era stato un utile strumento. Contestava con veemenza che si era proceduto a formare quel governo senza consultare l'A.C.C., e che si era negato agli italiani il diritto di formare un Governo di loro scelta.
Roosevelt rispose invece che semmai era un errore non permettere l'insediamento del governo Bonomi. E che con l'uscita di Badoglio sarebbero cessate tutte le critiche dentro e fuori l'Italia.

Tuttavia dopo aver ottenuto solo in parte quello che volevano, gli inglesi, sottoposero il nuovo governo a un regime di particolare umiliazione. Ordinarono di partire per Salerno, e qui gli fecero fare una lunga anticamera per attendere il placet degli alleati. Bonomi (dopo la formazione del governo) voleva dare alle stampe un comunicato alla Nazione, ma sentì subito il peso dell'alleato, e l'essenza della sua libertà, quando il generale Hume, governatore di Roma, volle prima vedere il comunicato, poi tagliò le frasi che non gradiva e fra queste l'annuncio del prossimo ritorno del Governo a Roma. Che gli inglesi non gradivano
Bonomi e gli altri, quatti quatti (salvo Croce, che voleva fare una protesta ai governi alleati) accettarono quella supina e servile acquiscenza, agli ordini degli inglesi e americani, che li renderà poi impotenti a reagire, contro qualunque umiliazione e li priverà d'ogni dignità dinanzi allo straniero. Il quale, sapendoli sprovvisti di fierezza e curvi per la paura di irritare la sua scontrosa superbia, li tratterà come si trattano quelli che non si stimano, e di cui non stimandoli, si diffida. L'aver accettato e subìto quel primo avvilimento sarà principio di molti guai, che il governo "democratico" farà subire all'Italia, mentre crederà con l'umile servizio di guadagnarsi l'amicizia degli alleati e invece questi, li porteranno come pecore al diktat del 10 febbraio 1947.
Un gesto di forza avrebbe forse giovato di più alla causa italiana e le avrebbe conquistato rispetto.
Invece anche Nenni che stava per scrivere che "...l'Italia occupata anelava il giorno in cui sarà sola a decidere il suo destino" ritenne opportuno di cancellare questa modesta frase per non infastidire gli alleati.

Badoglio era convinto (essendo gradito a Churchill) che dopo un mese o due l'avrebbero richiamato. Del resto i suoi "amici" si mostravano sorridenti e tanto cortesi. E qualcuno disse pure che Badoglio aveva una mezza promessa di Togliatti e non fu smentito. Del resto Comunisti e socialisti votarono il giorno 7 giugno a Salerno, un ordine del giorno, nel quale si dichiaravano d'accordo di "ritenere opportuno che il nuovo governo mantenesse la sua fisionomia unitaria nazionale e tale da rendere possibile una energica realizzazione di quel programma di partecipazione alla guerra a lato delle grandi nazioni Alleate". L'8 al Gran Hotel di Roma quando vennero fuori anche i nomi di Bonomi (fatti da Revel e Orlando) come capo del governo, e un Casati ministro, alcuni commentarono "ma che, ci risiamo?".
Le biografie che fecero i giornali ai nuovi ministri, dimenticarono di dire che Casati era stato Ministro di Mussolini, che Bonomi era stato persino compagno di lista di Farinacci, e che De Gasperi, il 17 novembre 1922, aveva giustificato con un gran discorso il voto dei 107 deputati popolari favorevole al Governo fascista (dopo che era stato liquidato don Sturzo e lui aveva preso il suo posto).


Churchill
è superinfuriato, riteneva Badoglio "l'unico uomo competente" per mantenere quello stato quo (confusionale, ma a lui utile, perchè il maresciallo era pur sempre un responsabile del disastro) che gli era "gradito" e che rientrava nei suoi "giochi", perfino opponendosi all'ordine di idee sia americane che russe.
Ciò che scrisse a Roosevelt sul nuovo Governo di Unità Nazionale Italiano lo abbiamo visto. Mentre da Stalin temeva che con il suo vassallo Tito oltre che dominare sui Balcani potesse legarsi con le forze di sinistra italiane e sconvolgere lo scacchiere mediterraneo che solo Churchill ritiene di primaria importanza, contrariamente a molti suoi colleghi di Londra e a Washington, che invece ritengono la penisola italiana di scarsa importanza strategica nel dopoguerra.

Assieme agli USA Churchill propose a tutti i componenti del governo di sottoscrivere l'Armistizio Lungo, il cui testo dei vari articoli venne mantenuto segreto. "Prendere o lasciare". E si rimanda la lettura dei contenuti e la questione istituzionale a conflitto finito. E' dura e umiliante la condizione ma bisogna accettare, l'Italia é una nazione sconfitta e ha sopra la testa 13.000 bombardieri pronti a raderla al suolo.

 

19 GIUGNO - All'interno del CLN Alta Italia viene costituito il Corpo Volontari Libertà al comando del generale RAFFAELE CADORNA. Vicecomandanti "politici" sono: FERRUCCIO PARRI (P.d'A.), LUIGI LONGO (PCI), SANDRO PERTINI (PSI), ENRICO MATTEI (DC), MARIO ARGENTON (PLI). Scopo: fare un unico comando e coordinare le operazioni dei vari gruppi di partigiani di ogni tendenza politica.

25 GIUGNO
- Il nuovo governo di Unità Nazionale con il decreto n. 151 stabilisce che alla fine della guerra sia eletta a suffragio universale una ASSEMBLEA COSTITUENTE che dovrà 1) scegliere la forma di Stato, 2) elaborare il testo della nuova Costituzione Italiana.

LA MANO TESA DI TOGLIATTI

9 LUGLIO
- Togliatti a Roma al Teatro Brancaccio fa il discorso della "mano tesa". Disponibilità del PCI a realizzare un'alleanza politica con i socialisti e i democristiani. Togliatti é il primo forse a capire (!) la situazione ambigua che si sta creando con il premier inglese, al Brancaccio propone un'alleanza politica più ampia, e oltre i socialisti, invita pure la DC di De Gasperi. (IN SEGUITO TOGLIATTI DA DE GASPERI RICEVERA' IN PREMIO UN "MINISTERO" QUELLA DELLA GIUSTIZIA

Ma nel "discorso della mano tesa", si delineano evidenti contrasti che allertano gli Alleati che ora danno ordini precisi ai capi partigiani: ubbidire solo ai Comandi Alleati. Ai loro ufficiali l'ordine é: impedire ai partigiani ogni autonoma iniziativa a carattere militare.

20 LUGLIO
- Primo Congresso della Democrazia Cristiana a Napoli dove si formano i quadri del partito, che subito dopo eleggono come segretario politico e alla direzione ALCIDE DE GASPERI.

Mentre si svolgeva questo congresso, dopo l'umiliazione fatta subire al governo di Salerno, gli inglesi umiliarono anche Vittorio Emanuele III. Da Ravello dove V. E. III, inizialmente si era trasferito, era poi sceso a Napoli, andando a dimorare a Posillipo nella sua villa Rosebery.
Senonchè giungendo a Napoli Re Giorgio d'Inghilterra, considerando gli inglesi nemico il re italiano, questo doveva sgomberare dalla città mentre vi soggiornava il loro sovrano. Era un invito irriverente, ma V.E. III dovette ubbidire, sgomberò su due piedi e se ne ritornò a Ravello.

20 LUGLIO
- L'Europa e il mondo é raggiunto da una notizia drammatica: trattiene il fiato, ma segue subito la delusione, é fallito l'attentato a Hitler che resta addirittura illeso dopo lo scoppio di una bomba fatta esplodere dentro un baracca dove stava tenendo una riunione, che va in briciole ma lascia il dittatore senza un graffio. L'attentato condotto da un gruppo di militari dissidenti che desiderano far finire la guerra eliminando il Furher, fallisce proprio per l'ingenuità nell'eseguirlo. Infatti nessuna bomba è catastrofica se viene fatta esplodere in un ambiente che non offre resistenza. Cinque chili di tritolo si possono far esplodere a tre metri senza ricevere nessun danno, mentre con la stessa quantità si può far saltare un ponte di dodici arcate o sbriciolare un palazzo di 10 piani se chi lo usa conosce la tecnica del sabotaggio.
Comunque i  congiurati incapaci di fare questo attentato pagarono con la vita la loro ignoranza; il giorno dopo furono tutti fatti fucilare da Hitler.


4 AGOSTO
- Firenze é martoriata sia dai tedeschi in ritirata, sia con i bombardamenti degli alleati. I primi fanno saltare tutti i ponti sull'Arno. L'unico a essere risparmiato dai tedeschi é Ponte Vecchio, ma non viene risparmiato invece dagli alleati che non lo buttano giù del tutto ma ne fanno un cumulo di macerie.
I Partigiani della città (fortissima la concentrazione dei comunisti)  l'11 agosto impartiscono l'ordine di insurrezione;  Firenze si trasforma in un grande campo di battaglia fino alla vittoria. Poi entreranno con molta calma gli alleati con la città già ripulita da tedeschi e fascisti "mentre loro comodi pranzavano noi liberavamo Firenze" diranno i 2832 uomini con in mano solo 908 fucili, 48 mitra, 904 pistole e 1365 bombe a mano.
Gli alleati non si preoccupavano più di tanto; se la prendevano con calma; del resto dalla loro parte c'erano imponenti mezzi, uomini e i soliti aerei che ormai volavano indisturbati, a bombardare, bombardare, bombardare. Questo era l'ordine!

12 AGOSTO
- A Stazzena in Versilia, durante la ritirata i tedeschi puniscono il paese in un modo selvaggio, reo di non aver dato delle indicazioni sui partigiani che hanno condotto un atto di sabotaggio e rei di aver dato a loro asilo, fanno una rappresaglia, una carneficina. I 560 abitanti vengono tutti trucidati, il paese dato alle fiamme. A comandare la strage il maggiore Reder.

26 AGOSTO
- Si svolge la battaglia di Parigi. La 7a armata tedesca dopo lo sbarco alleato  a sud della Francia, presa dentro la tenaglia con le divisioni anglo-americane provenienti da nord e da sud viene accerchiata. Per primo a giungere alle porte della città è la 3a armata di Patton, che però cavallerescamente si arresta dando a una divisione di carri armati del generale francese Leclerc la possibilità di entrare primi.
De Gaulle entra a Parigi con gli alleati. Per la Francia la guerra é quasi finita, ma non le vendette e le numerose esecuzioni sommarie dei seguaci del filonazista Petain. Una carneficina fatta casa per casa. Come in Italia.

29 AGOSTO
- Churchill fa una visita al Vaticano, poi ripartendo dall'Italia lancia un messaggio agli italiani "Un dono sarà certamente dato all'Italia, quando saranno ristabilite le condizioni normali, il dono della liberta'".
Ma l'Italia in dono da questo momento in poi e fino al 25 aprile del 1945 riceverà 115.000 missioni di bombardieri, che costeranno 64.000 morti di inerti cittadini e la distruzioni di un patrimonio edilizio e artistico immenso, con una motivazione strategica quasi insignificante. Pochissimi i danni ai tedeschi. Si mirava a colpire solo il morale della popolazione italiana.

Lo scrive Roosevelt: " Noi dobbiamo sottoporre la Germania e l'Italia ad un incessante e sempre crescente bombardamento aereo. Queste misure possono da sole provocare un rivolgimento interno o un crollo" (lettera di Roosevelt a Churchill, del 25 luglio 1941. - Doc. 67, pag. 151 - Loewenheim- Langley- Jonas, Roosevelt and Churchill). - "...deve essere nostro irrinunciabile programma un sempre maggior carico di bombe da sganciare sopra la Germania e l'Italia" (Ib. del 31 ottobre 1942 , doc. 180, pag. 325) - "...io non credo che ai tedeschi piaccia tale medicina e agli italiani ancor meno ...la furia della popolazione italiana può ora volgersi contro intrusi tedeschi che hanno portato, come essi sentiranno, queste sofferenze sull'Italia e che sono venuti in suo aiuto così debolmente e malvolentieri.." (Ib. del 30 luglio 1943, doc. 246 . pag 358)



3 SETTEMBRE
- l'Ottava armata alleata riesce a sfondare la Linea Gotica sugli Appennini, ma é inspiegabilmente arrestata. Pur con una superiorità di uomini e mezzi, con di fronte un Kesselring che ha grossi problemi di rifornimenti, l'armata viene fermata. C'e' uno stallo e Clark che la guida è  infuriato, l'ordine lo ritiene inspiegabile "perche' siamo arrivati allora fin qui, se non possiamo andare avanti?". Ma se non c'e' una ragione militare, c'é però quella politica....infatti il...

7 SETTEMBRE
le truppe sovietiche dopo aver travolto le armate tedesche, con i suoi 912.000 uomini, 20.000 cannoni, 3000 carri armati e 3200 aerei, hanno  liquidato i tre Paesi Baltici, si sono affacciate su Briga, stanno travolgendo  ogni resistenza e sono  arrivate al confine della Iugoslavia unendosi ai partigiani slavi di Tito, che li accolgono come salvatori (il 9 dicembre entreranno a Belgrado già ripulita dai Titini).
Churchill a queste notizie entra in fibrillazione, non credeva in questa grande efficienza russa nè credeva che tutto sarebbe avvenuto in così brevissimo tempo. Ora teme dalla Iugoslavia uno sfondamento in Italia che non sarebbe difficile ai russi e ai titini, visto il grande sostegno delle numerose brigate partigiane italiane comuniste in Friuli e Venezia Giulia.
Churchill è molto preoccupato. I Balcani gli tolgono il sonno. Non c'e' altro da fare, urge combinare per il 9 ottobre un incontro con Stalin " Sistemeremo subito le nostre faccende nei Balcani". (vedi 9 ottobre).

Proprio dal Friuli (già  proclamata Repubblica Partigiana della Carnia) e dalla Venezia Giulia sorgono grandi contrasti fra i gruppi partigiani garibaldini e gli osovani azionisti della Osoppo. Tito propose inutilmente a questi ultimi un assorbimento nella sua armata slovena, che però non alzerà un dito quando proprio in questo settembre gruppi partigiani italiani della Osoppo verranno attaccati dai tedeschi. Tito ai superstiti della Osoppo non fa più un invito ma ordina che la brigata sgomberi la zona. Non si combatte più per la bandiera italiana ma per quella rossa. E' il tempo della strage di Porzus, dove cadde vittima il fratello di P. P. Pasolini, che scriverà sulla tragedia delle pagine strazianti (VEDI PAGINA DEDICATA IN FONDO A "LA RESISTENZA" >>>>

Gli storici sostengono che questa é una pagina amara della lotta di classe svoltasi parallelamente alla guerra di Liberazione: la strumentalizzazione tattica, anticomunista delle formazioni osovane non poteva che approdare a una tragedia. Lo scopo era chiaro: giocare rischiosamente alcune carte in anticipo in vista di quella che sarebbe stato poi la grossa disputa politica nel Friuli liberato.

Così scrisse poi Pasolini, ed é un epitaffio per tutti gli eccidi commessi da una e l'altra parte in ogni zona d'Italia: "Io credo che il loro rapporto con coloro che li hanno assassinati non sia altro che un rapporto tra Bene e Male; così essi sono morti in nome di quella spiritualità che é insita anche nel comunismo o anche nel peggiore degli uomini".

10 SETTEMBRE
- I partigiani liberano la Val d'Ossola dai tedeschi e danno vita alla Repubblica della val D'Ossola. Ma seguitano a diffondersi contrasti politici che portano a una palese rottura con gli alleati che li abbandonano del tutto al loro destino. Di circa 3600 uomini, ormai isolati e affamati, dopo pochi mesi, attaccati violentemente dai repubblichini (12 Nov.) si sbandano; gli ultimi 65 chiederanno aiuto alla vicina Svizzera, consegnando loro le ultime armi. Sono, con quelli sopra in Friuli i primi contrasti politici e ideologici all'interno della Resistenza destinati poi a esplodere apertamente nel dopoguerra.

19 SETTEMBRE
- Se a Nord gli "italiani" della Repubblica Sociale con le Brigate Nere sparano su altri "italiani" e se nel Friuli (e non solo in questo) partigiani " italiani rossi" sparano su partigiani "italiani bianchi".....
....nel Sud le cose non vanno meglio in quello che dovrebbe essere il Nuovo Regno dell'Italia "liberato" dai nemici.
La polizia "italiana", anche qui spara su altri "italiani"  in una manifestazione a Palermo il 19 ottobre, su cittadini che reclamavano  la mancanza del pane. Sul terreno rimangono 30 morti e 150 feriti, tutti poveri disgraziati che avevano soltanto fame. Ideologie, armistizi lunghi e corti, questi non sapevano nemmeno cosa fossero.

23 SETTEMBRE
- Viene raggiunta e liberata dagli alleati, Rimini. Ma anche qui le truppe invece di avanzare o cercare di riunirsi a quelle di Clark nei pressi di Bologna, rimangono in stallo fino alla primavera successiva. Il contegno degli anglo americani acquartierati nelle città "liberate" comincia a preoccupare. Dilaga la prostituzione nei bassi ceti, a Roma per un pezzo di pane e qualche sigaretta e l'intraprendenza degli alleati con le donne, letteralmente attratte e sedotte dal loro ostentato e opulento stile di vita, superano il limite di guardia degli italiani, che puniscono le irretite peccatrici, pubblicamente tosandole. Ma non servono queste moralistiche punizioni per fermare la "miseria".

27 SETTEMBRE
- Inspiegabilmente l'offensiva alleata sul fronte italiano già lenta dopo la liberazione di Roma, viene sospesa pure sulla linea Gotica quando ormai gli alleati - con i messi che avevano - potevano benissimo proseguire verso la pianura Padana. E troviamo sempre il generale Clark che conduce l'armata, a imprecare contro i suoi stessi superiori "E' una vergogna che non ci si permetta di sfruttare questa vittoria". (Ma lui non è un politico!)

Insomma i calcoli politici rallentano l'avanzata alleata che rimane inchiodata per cinque mesi su una linea che Kesselring non poteva più difendere di fronte alla superiorità numerica di uomini e di mezzi, anche se a Clark gli erano state già tolte 7 divisioni. Ma Clark ripetiamo è un militare, non un politico. Scrive Petacco "Può essere avanzata l'ipotesi, non suffragata da documenti che l'arresto abbia qualcosa a che fare, ancora una volta, col dichiarato proposito di non dare fastidio a Stalin, giungendo per primi sull'Istria e nella Iugoslavia superiore che sono zone di sua competenza. Vi sono prove indirette che avallano queste interpretazioni, come si potrà vedere alla fine della guerra." Churchill insomma manovra o ha già manovrato

Un ritardo che però permette a Mussolini di organizzare quattro divisioni italiane che addestrate in Germania fin dal gennaio, ora mette a disposizione di Graziani, e con altri suoi 4 battaglioni di Cacciatori delle Alpi fa scattare il 12 novembre una micidiale offensiva in grande stile dal Piemonte al Veneto con tremende rappresaglie nelle file partigiane; una offensiva che permette di recuperare molte zone dalla Resistenza liberate.

28 SETTEMBRE
- MARZABOTTO - Il maggiore REDER, il "macellaio" di Stazzena, supera la sua malvagità operando con una atrocità senza eguali. Reo di aver ospitato gruppi di partigiani che hanno compiuto atti di sabotaggio fra Sasso Marconi e Marzabotto, la rappresaglia nel paese e terribile. I 1836 abitanti sono tutti uccisi e le case rase al suolo. Vecchi, donne e bambini (21 avevano meno di 5 anni) vengono massacrati. Se gli dobbiamo credere, lo stesso feroce Kesselring ne fu stravolto. "Non é possibile che un tedesco si sia macchiato di un così atroce delitto".

9 OTTOBRE
- CHURCHILL vola a Mosca da STALIN. Vuole mettere fine  con un chiaro colloquio ai suoi dubbi e alle sue paure bolsceviche che abbiamo letto il 7 settembre. "Sistemiamo le nostre faccende nei Balcani. Procediamo a offerte e controfferte stiracchiate". Dal blocco appunti strappa un foglio a quadretti, sprofonda in una poltrona, e butta giù a matita la spartizione dell'Europa in una forma cinica (lo afferma lui stesso), sintetica e lapidaria.

Traccia una riga al centro da una parte l'Inghilterra dall'altra la Russia. E comincia a scrivere le percentuali da mettere nella rispettiva influenza politica ed economica. Grecia 90% a noi 10% a voi. Bulgaria 25% contro il 75%. Ungheria 50% a 50%. Romania 10 a 90. Iugoslavia 50 a 50. e via di questo passo. Alla fine consegna il foglietto a Stalin, che legge e senza fiatare mette il suo OK. Churchill gli domanda "Non saremo troppo cinici per il fatto che abbiamo deciso questioni così gravide di conseguenze per milioni di uomini in maniera così improvvisata?". Ma gli scrupoli non albergavano in questa seduta. Ci saranno poi alcuni piccole modifiche apportate da Eden e Molotov ma la sostanza rimase quella.

Era dunque stata violata la Carta Atlantica firmata all'inizio del conflitto fra America, Russia e Inghilterra. I principi di libertà di quel solenne documento firmato dai Tre Grandi erano
1) non aspirare a ingrandimenti territoriali
2) nessun mutamento di confini non voluti liberamente dai Popoli interessati,  
3) si sanciva di rispettare il diritto dei Popoli all'autodecisione, e ...
4) ci si impegnava di ridare l'autonomia a quelli che ne erano stati privati.


Principi di libertà e di democrazia dove l'impegno era "un debito sacro" per il proprio e gli altri Popoli del mondo. (!!!)

Molotov scriverà nelle sue Memorie "Churchill era disposto a "svendere" i Balcani pur di mantenere il predominio sulla Grecia".
(Chi ha il Mediterraneo domina il mondo- dagli imperatori romani fino a Napoleone e fino all'aiuto degli inglesi a Garibaldi;  sempre il Mediterraneo è stato l'assillo di tutti)

Lo vedremo Churchill subito all'opera: quando si ritrovò i partigiani comunisti che avevano già buttato fuori i tedeschi e si stavano impadronendo della Grecia. Churchill giudicò necessario sbarazzarsi di loro. Confiderà (e quindi Molotov non sbagliava) nelle sue Memorie: "avevamo pagato il nostro prezzo alla Russia, e non dovevamo esitare a sbarazzarci di quella gente". Infatti il tentativo dei partigiani fu subito soffocato nel sangue; li bombardarono, li mitragliarono, li deportarono, li annientarono. FINIRONO TUTTI AL CIMITERO!! (QUELLE CHE SAREBBE ACCADUTO ANCHE A MILANO SE FOSSE SCOPPIATA LA RIVOLUZIONE nei giorni di Piazzale Loreto.

Stalin rimase in silenzio mentre i comunisti greci venivano fatti a pezzi. E' ancora Churchill a scrivere "Stalin non ci fece una parola di rimprovero, si attenne strettamente e fedelmente al nostro accordo del 9 ottobre, fatto sul foglio a quadretti". (!!)

(la stessa cosa fecero poi gli occidentali quando i russi invasero l'Ungheria e la Cecoslovacchia; non mossero un dito)


La Grecia fu quindi il primo Stato europeo che liberatasi dal nazismo e dal fascismo si ritrovò ad essere alla mercè dell'ex nemico, che era poi diventato l'amico salvatore, ma alla fine il  nuovo "nemico", il padrone, alla faccia della Carta Atlantica.
L'Italia come vedremo a fine anno, se non trovava una soluzione interna avrebbe fatto la stessa fine; i 250.000 partigiani sarebbero stati spazzati via alla maniera greca. E i russi sarebbero rimasti a guardare (senza intervenire).

Tutti quei timori espressi dai politici italiani nel dopoguerra fino agli anni '70 (la tanto temuta invasione russa) erano solo frottole che raccontavano, utili solo a loro. I patti di Mosca e Yalta sarebbero stati sempre rispettati! dagli alleati, come dai russi.
Chi scrive negli anni '50 e '60 era dentro un reparto speciale della Nato. L'ultima preoccupazione dei  comandanti era proprio un'invasione russa; considerata "impossibile".

La prima semmai era solo (bisognava comunque essere pronti) quella di stroncare sul nascere ogni velleità all'interno, sia nell'ambito politico che militare (loro minacciavano di non dare più aiuti all'Italia) .
Pronti anche nel caso che i comunisti fossero arrivati a partecipare al governo con modi apparentemente legali.
Bisognava "essere pronti" a intraprendere azioni per "assistere" quegli italiani (pochi o tanti non aveva importanza) che si sarebbero "opposti" al regime comunista.

Se non vogliamo essere ostinatamente disincantati, questa "opposizione" non era poi tanto difficile crearla, se solo ci fosse stata la volontà di crearla; per motivi grossi però, e non per quei "quattro gatti nostrani" che litigavano (anche fra di loro) solo per non perdere le ambite poltrone.

10 OTTOBRE - Liberazione della Città di Alba. Anche qui i partigiani cacciati i tedeschi danno vita a una Repubblica e a un governo partigiano, con Commissari e Copmandanti.
Il comando tedesco mette cospique taglie per chi segnala i "Capi-Ribelli".

20 OTTOBRE - MILANO - Mai una città pianse così tanto! SI VERGOGNO' PERFINO LA MORTE !"!!
Degli uomini fecero una orribile "strage di innocenti"
(vedi link
"I 200 PICCOLI ANGELI" > > >

31 OTTOBRE
- BONOMI della DC, a Roma costituisce la confederazione dei coltivatori diretti, staccandola dal sindacato CGIL. Una mossa che permetterà in breve tempo di andare a formare una forza elettorale che é ora allo sbando, ma che abilmente presto sarà guidata dai politici democristiani (con il grande appoggio e la mobilitazione delle 25.647 parrocchie sparse nel Paese) iniziando subito i referenti a sostituire, a insediarsi e a dirigere quelle istituzioni ex fasciste dell'assistenza, nei gruppi giovanili che nel '39 erano stati sciolti; altrettanto avviene negli enti e nelle grandi industrie di Stato.

7 NOVEMBRE
- A Bologna i fascisti fiancheggiatori delle truppe tedesche sulla Linea Gotica, sono affrontati dai gruppi di partigiani, che con micidiali colpi di mano e fulminei blitz ostacolano la ritirata germanica. Lo scontro durerà due giorni con perdite pesanti, 216 saranno i morti nelle file fasciste, 13 in quelle partigiane.

12 NOVEMBRE
- Una tremenda offensiva portata avanti dall'esercito repubblichino con la  Decima Mas, dalla Divisione Muti, e dai RAP (Reparti Anti Partigiani) disintegrano  la formazione che aveva costituito la Repubblica della Val D'Ossola, spazzano via il "Libero Stato di Alba", e proseguono con altre "pulizie" nelle valli Biellesi. Non la X ma alcune schegge impazziti, ormai senza controllo, come lo sono pure alcune formazioni partigiane, seminano il terrore da Cuneo fino a Bassano, dove sul filare di alberi ornamentali del centrale Corso Venezia impiccano 31 partigiani con il cartello-monito sul petto "traditori". Vi rimasero per giorni e giorni appesi, creando una cornice allucinante nella cittadina veneta terrorizzata. Fra l'altro c'erano cospicui premi per i delatori, come recita l'avviso-foto appena messo sopra.


Siamo in NOVEMBRE, l'inverno alle porte. Pur lanciando disperati appelli agli Alleati, i gruppi di partigiani sulle montagne vengono abbandonati al loro destino. Dal cielo non giungono più nè armi nè viveri. Gli inglesi si giustificheranno dicendo che erano Repubbliche Comuniste, "inferni bolscevichi", dei "sovversivi".
Sono i "fantasmi" che vede in ogni luogo Churchill. Fu dunque facile ai repubblichini (ripetiamo alcune teste calde) sferrare l'attacco a questi italiani dichiarati "banditi" e....  "sovversivi" (attenzione) perfino dalle stesse forze alleate. Fu facile a questi "italiani" far fuori altri "italiani". Ne abbiamo una testimonianza agghiacciante da un Rapporto del comandante Ruta al Quartiere Generale della RSI:
"Questa prima operazione antiribelli di una certa entità, condotta da comandanti italiani ed eseguita da sole truppe italiane, si può tra l'altro considerare il compendio di tutte le attività formative e addestrative svolte fino ad oggi... di fronte alla presenza di un nemico ribelle attivo".

ITALIANI CONTRO ITALIANI !!!

13 NOVEMBRE
. Un nemico attivo che in questo stesso giorno, falcidiato da queste operazioni "ben riuscite" come abbiamo appena letto sopra, come se non gli bastasse, viene investito da una doccia fredda. Messo quasi  KO dagli stessi alleati.
Il comandante delle forze alleate generale ALEXANDER impartisce per radio a tutte le formazioni partigiane i suoi Ordini dove esorta i "Patrioti a sospendere le azioni di guerriglia in attesa che riprenda l'offensiva alleata in primavera".

Il proclama é ambiguo, non dice chiaro e tondo "andate a casa"  ma è implicito. Una assurdità, persino inconcepibile. La prima parola che venne spontanea ad ogni "combattente" fu "tradimento" (Un altro!). Lo dirà persino un grande generale americano che era con loro a coordinare la guerriglia, assieme a tutti quei prigionieri alleati, liberati dai partigiani, che sbandati, non potendosi ricongiungere con i propri reparti erano saliti con loro sulle montagne. (Ma molti furono espressamente addestrati per entrare in queste formazioni di "ribelli", per poi relazionare ai vari comandi le intenzioni "politiche" di questi gruppi, considerati tutti bolscevichi. Di questa idea era del resto anche Badoglio. A lui i Russi gli facevano solo comodo ma ion Russia, lui non voleva fra i piedi i bolscevichi italiani.

Gli effetti di questo proclama, a parte lo sconcerto psicologico che piegava e umiliava l'opera fino allora svolta dai volenterosi guerriglieri, furono micidiali per altre ragioni:
1) Ora Kesselring sapeva che non ci sarebbe stata una offensiva americana fino a primavera.
2) I partigiani che scendevano dalle montagne (salvo volatizzarsi) potevano essere catturati uno a uno prima della primavera.
3) Si permetteva così ai repubblichini di organizzarsi e di agire meglio con la repressione.

E lo faranno, e sarà  in questi mesi molto dura; il periodo dove la Resistenza pagò un alto contributo di sangue. I caduti si conteranno in circa 70.000. Ma non dimentichiamo che morirono anche dall'altra parte 40.000/50.000 fascisti o fascisti per forza della coscrizione; ed anche questi erano "italiani".

Appare dunque assurdo questo proclama, ma purtroppo contiene il solito deliberato tentativo politico di assicurarsi alcuni vantaggi. Alla luce dei fatti del dopo, si potrebbe dire che i partigiani italiani (quelli che erano scampati) furono in questo frangente anche "fortunati".
In Olanda dopo aver diffuso un proclama del disarmo molto simile a quello italiano, non raggiunto lo scopo lo ottennero sotto la minaccia dei carri armati. Mentre in Grecia Churchill con i partigiani - anche qui comunisti - ebbe meno scrupoli, il 7 dicembre  andò subito al sodo, li fece annientare tutti. Li spazzò via dalla sua strada. Alla "finestra" c'era l'altrettanto cinico Stalin che rimase a guardare. (i patti erano patti!)

Un calcolo politico giocato con un cinismo spaventoso. Aveva Churchill paura di contrarre con la Resistenza partigiana italiana un debito superfluo, di nessuna utilità, anzi pericoloso sul piano politico, e decise di scaricarla nel momento (ma proprio per questo) che era diventata efficiente, organizzata, capace forse di  risolvere più velocemente la situazione su tutta l'Italia settentrionale.
I comandi di queste unità erano ormai diventate delle vere strutture militari, con una direzione strategica molte volte superiore a quella alleata, che se da una parte disponeva di ingenti mezzi, dall'altra non conoscevano affatto il territorio e il terreno dove si muovevano, nè bastavano le cartine topografiche (vedi Cassino).

Ma abbiamo già detto che forse proprio per questo la Resistenza rappresentava un pericolo nel lasciarla crescere e ingigantire, e ne fu decretata la fine, giocando sulla pelle dei partigiani.
Ma soprattutto aizzando italiani contro italiani alla vendetta.

Ma i comandanti di queste unità non si scoraggiarono. Più determinati degli Olandesi, più decisi dei Greci, non mollarono. ("ci vogliono mandare a casa dopo tanti sacrifici e tanti caduti; faremo da soli!" - era ormai questa la consegna. Non proprio gradita agli alleati). Infatti il.......

2 DICEMBRE
dopo 15 giorni di caos (un altro 8 settembre), e tanta rabbia in corpo che s'insinuava sempre di più nell'animo di questi uomini  logorati e dispersi in valli, montagne, città e anfratti e con un inverno davanti da vivere alla macchia (era impensabile tornare a casa!!! come voleva Alexander !!) fu presa la decisione dal comando del CLN Alta Italia di partire per Roma dove il....

7 DICEMBRE-
PIZZONI, PAIETTA, SOGNO e PARRI, scavalcando il generale ALEXANDER, conferiscono con WILSON capo di tutte le forze nel Mediterraneo. Da lui ottengono maggiore comprensione: un consistente sostegno militare e il necessario appoggio per paracadutare viveri e armi onde poter salvare così decine di migliaia di partigiani in trappola sparsi nell'arco alpino.

Ma gli alleati chiedono ed esigono che siano inquadrati e coordinati dai propri generali. Minacciano altrimenti (appellandosi alle condizioni dell'armistizio, che conoscono però solo loro) il totale smantellamento delle formazioni partigiane "con ogni mezzo" (come in Grecia?); non vogliono intralci ai loro piani.
I capi partigiani, come del resto avevano già fatto i rappresentanti del governo, al "buio",  dovettero anche loro firmare le condizioni. Che poi era una sola: quella di mettersi a disposizione e sotto il Comando degli Alleati.

fu chiarissimo poi il loro comunicato dopo l'entrata a Milano

 



In cambio del sostegno fu fatto sottoscrivere un'impegnativa capestro:
1) Totale e immediato smantellamento delle formazioni partigiane a liberazione avvenuta;
2) Pieno riconoscimento delle autorità  alleate e del governo dalle stesse gradito, formato  e imposto;
3) Massimo impegno per tutelare gli apparati produttivi attualmente gestiti dai tedeschi.

Nei primi due articoli fu dura firmare ma non c'erano alternative:  "prendere o lasciare"; lasciare voleva dire abbandonare i partigiani al loro destino o fargli fare la fine dei partigiani greci: mitragliati dagli aerei a bassa quota.
Il servizio informativo curato dagli  infiltrati tra le file partigiane, era del resto in grado di segnalare tutti gli obiettivi "caldi"; quindi ci sarebbe stato un intervento piuttosto drastico se l'accordo non veniva  rispettato.

12 DICEMBRE
- C'è l'ultimo atto del governo Bonomi. Dimessosi il 25 novembre, lo stesso Bonomi va a formare il nuovo governo, dove troviamo questa volta De Gasperi ministro degli Esteri, Togliatti vicepresidente, e lo stesso Bonomi primo ministro, che tiene per sé il ministero degli Interni.

E arriviamo all'ultimo discorso di Mussolini del 16 dicembre.....

16 DICEMBRE
- Mussolini al Teatro Lirico di Milano tiene il suo "discorso della riscossa". L'apparente disimpegno sulla Linea Gotica degli alleati, le "prodezze" di alcuni suoi reparti, e lo stesso proclama di Alexander ai Partigiani (che potrebbe significare la fine della Resistenza), lo rendono -nonostante lo sfacelo- ancora ottimista.
Il Paese é lacerato, sta ponendosi interrogativi inquietanti. Le ultime notizie che arrivano dall'estero sono tutte positive per gli alleati e fanno intravedere a breve termine una disfatta dell'esercito tedesco, quindi non è difficile immaginare il Paese nella totale anarchia, piombare nel giustizialismo delle vendette traversali.

Non é il clima del "25 Luglio", l'emotività di quelle manifestazioni che erano seguite al crollo del fascismo erano per alcuni solo un ricordo folcloristico, si erano illusi che si voltava pagina subito, e che la guerra era finita, mentre per altri, i parenti di decina di migliaia di vittime dell'8 settembre, questa  data era un ricordo tragico, avevano perso figli, mariti, padri. Dopo la festa di pochi giorni, in quella tragica ambiguità, era seguita la più grande tragedia che l'Italia ricordi.
Ma non era finita.
Alle porte anche in questi giorni c'erano tutti i segnali di un'altra tragedia. Molti si apprestavano a compilare lunghe liste di nomi, pronti a far scattare vendette e rancori di ogni tipo, dal capoufficio, al vicino accanto, alcuni col solo intento di pareggiare i conti con le vittime dell'8 settembre. Nascono i tribunali speciali, con azioni dimostrative il cui tocco terroristico del giustiziere rosso non é molto dissimile da quello  nero (per equità di giudizio) la giustizia sommaria diventa un rito, una consuetudine, una procedura spiccia. (15 mila saranno le vittime. Ma nell'ambiente dei parenti delle vittime, si parla di circa 50 mila giustiziati)

Ciononostante chi allora aveva preso dal fascismo le distanze, il modo palese, ambiguo e obliquo, ora le aveva accorciate con la prudenza, "il nemico ti ascolta" era non solo uno slogan ma una crudele realtà. Molti si dibattono nel dubbio, ma nessuno osa esprimersi, scambiarsi opinioni, ci si defila sia da una parte che dall'altra. La lotta occulta per l'esistenza fa nuovamente capolino. Non ci si sbraccia, ma nemmeno si infierisce. Non si sa mai, cosa può accadere. Meglio attenuare certe intemperanze. Nel mantenere questo atteggiamento con questo agire non agire, nella città lombarda quasi indifferente agli eventi, il clima diventa surreale.
L'inizio della "Valle incantata" di Robert Musil sembra cogliere questo attimo "C'e' nella vita un tempo in cui essa rallenta vistosamente come se esitasse a proseguire o volesse mutar direzione. In tale momento può capitare che ad uno succeda più facilmente una disgrazia".
Alcuni il fascismo lo avevano amato molto, alcuni lo avevano rinnegato, altri seguitavano ad amarlo,  per fede o per aver avuto delle prebende, poi questo amore odio si era incrinato come una pietra in cui penetri l'acqua che la spacca sempre di più. Nel "giorno del giudizio" non si badò molto a certi veri pentimenti, si guardò il pedigree. "E ai veri partigiani, creando non poco danno alla Resistenza, si aggiunsero (il più grave e il disgustoso fenomeno in questo periodo) quelli che si fabbricarono i falsi "brevetti di partigiano", l'esaltazione del doppio gioco" scrive Battaglia.
(anche questo per equità storica!)

Siamo dunque alla manifestazione, dove per la prima volta Mussolini torna a parlare,  scendendo nuovamente in mezzo alla folla, in questo clima surreale, dove è perfino sconcertante l'accoglienza che il Duce vi trova. Ancora entusiastica. Oltre il teatro, sono gremite le strade attorno al Lirico; e in pieno dicembre percorrendo indisturbato tutta la via Dante su una macchina scoperta Mussolini riceve un bagno di folla.

Nel discorso soffermandosi sul suo nuovo programma di Governo, prospetta la Socializzazione, una Costituente, la Libertà d'espressione anche ai partiti dell'opposizione. Poi inizia a ripercorrere tutto il suo cammino, dove ci sono state le conquiste sociali, le sue realizzazioni ma anche i suoi errori, li elenca uno a uno, fornendo delle giustificazioni, accusando di incapacità chi gli era stato accanto, non dimenticando chi lo ha ostacolato lungo il cammino, e chi alla fine lo ha tradito.

Irrealisticamente parlando poi della situazione del Paese, militare economica e politica, crede ancora in un capovolgimento della situazione, crede ancora nella vittoria tedesca, nonostante tanti attriti con i comandi tedeschi, che seguitano come in passato a disprezzare i soldati italiani e a rimproverarlo di circondarsi di uomini inetti oltre che antitedeschi.

Riguardo alla prime accuse i tedeschi non hanno tutti i torti. Mussolini conta il numero ma non la qualità. Ha richiamato con le buone e soprattutto con le cattive (pena di morte ai renitenti ) 400.000 cittadini; é riuscito a formare quattro divisioni, mandare al fronte alcuni reparti con poco più 60.000  uomini. Sono quasi tutti impreparati, demotivati, con nessun spirito combattivo. Caos, inefficienza di strutture (li ha mandati in Germania a fare l'addestramento), assenti ai legami dei fatti che accadono, che fanno di questo esercito solo una massa informe, difficile da impiegare, utilizzare, guidare.

Una certa efficienza e una costituzione di forza, invece la si riscontra sull'iniziativa di piccoli gruppi (il lato buono e cattivo dell'esercito italiano, da sempre) ma dove l'iniziativa é autonoma, dominata da un personaggio carismatico. Infatti l'unico reparto efficiente é quello di Borghese, la X Mas, che si batte (pur nella sua tragicità) con uno spirito accanito che ad alcuni apparve inquietante -  con una sua coerenza di pensiero e con uno spirito di combattività eccezionale.
Ma é nato questo reparto su una base volontaria, che ricordano i Legionari di D'Annunzio a Fiume. Proprio come il Vate, anche lui si prende una autonomia e una indipendenza nelle azioni, e ignora del tutto la gerarchia militare (che invece i volontari non ama nè ha mai amato perchè difficili da gestire) e
ignora lo stesso Mussolini. Tanto che viene accusato di fare una sua guerra privata, una sua crociata, di preparare un golpe, di essere un traditore; viene perfino fatto arrestare da Mussolini, che poi temendo la reazione dei suoi seguaci, lo rilascia.

Gli altri reparti invece hanno fatto flop alle loro prime uscite. In appoggio a Kesselring, un reparto sull'Elba, al primo colpo di fucile, si sono arresi tutti, con nemmeno un ferito. Kesselring dopo questa esperienza non vuole nemmeno più  un uomo dall'esercito di Mussolini.

In questo panorama decisamente non ottimistico sul piano militare, su quello delle relazioni Mussolini (non sapremo mai se per debolezza, perdita di lucidità, diffusa acriticità o dissociazione mentale dagli avvenimenti) la situazione é peggiore,  e lui la peggiora ulteriormente.

Le sue relazioni con WOLF comandante delle SS a Milano,  sono di insofferenza, di diffidenza e di rifiuto alla comprensione di un tipo di realtà che sta circondando entrambi, spingendoli nel precipizio. Così forte questa non volontà di comprensione, che Mussolini non intuisce, non percepisce, e nemmeno sospetta che Wolf (che troviamo sul palco del Lirico anche in questa circostanza) sta contattando americani, cardinali, papi e partigiani per trovare una soluzione e una via d'uscita per una resa onorevole.

Mussolini, pur agendo anche lui all'insaputa dell'altro in questo senso - si dice con gli inglesi - quasi non crederà alle sue orecchie quando verrà a sapere nell'arcivescovado il 25 aprile che Wolf aveva già firmato la resa senza farne parola. "ci hanno sempre trattato come dei servi, e alla fine mi hanno anche tradito!"

Mussolini nel discorso al Lirico, insiste, ritrova la grinta ma non ha pathos, relaziona ma non é convincente, parla ma non crea feeling, fa l'ottimista ma nel farlo si appoggia alle immaginarie arme segrete di Hitler, capaci di cambiare le sorti della guerra; e vi si aggrappa "sono tali da ristabilire l'equilibrio". Crede ancora ai vaneggiamenti hitleriani, pur avendo davanti a se' tutti i segni premonitori della catastrofe. (chissà Wolf che lo ascoltava sul palco, cosa pensava di quest'uomo insussistente).

Il Corriere della Sera del giorno dopo scrisse "Da Milano la nuova riscossa", "Il Duce all'Italia e all'Europa". "Duce, Duce, Duce. Il ritorno dell'invocazione non ha sosta; lo spettacolo non é mutato nel volgere degli anni, nonostante gli eventi rovinosi Duce, Duce, Duce. l'urlo della folla. Il Duce sorride, il Duce é commosso saluta e guarda". E ancora "Le fiere parole suscitano nuove grandiose dimostrazioni di entusiasmo".

I milanesi che leggono cosa mai dovrebbero capire? Nulla! perché tutto il discorso, ora anche scritto sul fazioso quotidiano, portava fuori della realtà oggettiva, quindi solo al Nulla. E il giornale era anch'esso una nullità. Un falso storico.

Ma continuiamo sul contenuto------

Mussolini aveva alle porte gli americani, eppure affermava che non avrebbero mai vinto; che la sua "fede e certezza nella vittoria -disse - non poggiava su motivi di carattere soggettivo o sentimentale".

Questo mentre tre milioni di uomini stavano dilagando in Europa, e sedicimila aerei erano pronti a decollare dalle ormai vicine basi con un potenziale bellico tale da radere al suolo, prima tutta la città di Milano, poi anche tutte le altre (qualcuno lo aveva già deciso - vedi documento del Bomber Command)

Purtroppo non bastava quel Teatro e quei presenti dentro e fuori per arrivare alla vittoria. Ne' bastava questo suo discorso col ritorno alle posizioni originarie della sua militanza politica.

Ora Mussolini dentro il Teatro Lirico nel voler ritornare al 1914, voleva dire non solo che non si rendeva conto che la società in questo 1944 era cambiata (guerra o non guerra, era la seconda rivoluzione industriale che avanzava con un "proletariato" completamente diverso, non sterilizzato come in Russia) ma appariva chiaro che non si rendeva nemmeno conto che a farla mutare questa società era stato proprio lui, e che la nuova, non aveva solo un'altra pelle, ma un'altra testa, e che il segno dell'evoluzione c'era stato. Non aveva subìto la sterilizzazione ma si era da sola autovaccinata. Premunita a destra e a sinistra.

E pensare che un giorno parlando con il giornalista Churchill (il nipote dello statista) era ben cosciente di questa precarietà  "io grande, carismatico, duce? Basta un titolo su un giornale e in 24 ore gli italiani mi buttano nella polvere".
Il 25 luglio era ancora lontano! A Stalin non é che gli andò meglio, anche se in una forma postuma, quando il volto sociale ed economico della Russia era ormai un disastro e la lotta di classe una favola (premonitore proprio lui Mussolini, il 7 dicembre del '22 nel suo preambolo alla Camera).

Mussolini aveva dunque perso contatto negli ultimi anni con la realtà. Il grande giornalista di un tempo, dove giammai gli sfuggivano gli umori della gente (ricordiamoci Forlì, Trento, il mettere alla berlina i rivoluzionari senza avere le masse, scoprire in anticipo di 60 anni il fallimento totale dell'utopistico collettivismo di Lenin, ecc.).
Lui stava parlando a questa gente milanese (proprio la più attenta a questo nuovo processo "evolutivo") e non avvertiva che non era ascoltato, che non potevano più ascoltarlo, che era finito un tempo, e che lui non apparteneva più a questi tempi nuovi.


Ecco cosa disse al Lirico.....> > >
(il discorso integrale è conternuto in questa pagina extra)

Fu il suo ultimo discorso.
Ma nella sua ultima intervista otto giorni prima di essere ucciso farà una considerazioni sugli italiani dove li sottovalutò ingenerosamente, e non si rese conto che stava sottovalutando anche la sua opera visto che era stato lui a farli crescere, sia con le goliardate e pagliacciate di Starace (veri boomerang - quindi una positività di reazione nelle masse, pari a suo tempo a quella di Croce nell'ambiente intellettuale), sia con quelle grandi intuizioni che lui aveva avuto e che in quel periodo erano valide: il corporativismo, il parastato, le bonifiche, le strutture finanziarie e gli enti che sono poi giunti e vegetano ancora bene fra noi (Eni, Iri, Sip, Ina, ecc.) e questo quando negli stessi anni il panorama mondiale era privo di nuove strategie economiche o erano fallite quelle che aveva adottate (dopo il '29 di Wall Street l'assistenzialismo di Keines ecc. ecc.).

Disse in quell'intervista...............

 

Via Dante- Milano- Ultimo discorso di Mussolini

Disse in quell'intervista "Ho sopravvalutato l'intelligenza delle masse. Nei dialoghi che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che le grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di comprensione, di evoluzione. Invece, era isterismo collettivo."

Non era giusta ed era anche ingrata, l'analisi di Mussolini, al Teatro Lirico, c'era un altro tipo di massa molto più evoluta di quanto lui pensasse, e il battere le mani era la nuova moda che stava nascendo, quello di batterle nei funerali dei grandi personaggi. E al Lirico si stava celebrando un funerale. Se poi lui era grande (o fu grande in un certo periodo) questo lo dirà la Storia e il Tempo, quando assisteremo, comparandole, noi o i nostri nipoti, ad altre rivoluzioni, migliori evoluzioni o... involuzioni forse anche peggiori.

A condizione che si abbiano sotto mano i fatti obiettivi, precisi, storici, e si prenda coscienza di quello che é accaduto nella prima parte del novecento e poi dopo, indistintamente nel bene e nel male. Il presente non é  che eco e propagazione di quel periodo, il futuro invece l' eco e la propagazione del presente, e quel periodo passato bisogna conoscerlo. Senza pregiudizi! Altrimenti i ciechi di oggi condurranno molti più ciechi domani dentro il baratro. Ignorare o distruggere tutto ciò che ci ha preceduto non sempre serve per migliorare, ma si rischia di cadere dentro un altro precipizio, che nelle carte della storia sono segnalati con dei paletti.

Affermava Voltaire "i pregiudizi sono i re del volgo", non di meno Diderot "l'ignoranza é meno lontana dalla verità del pregiudizio".

Riguardo poi al giudicare "Se il giudice fosse giusto, forse il criminale non sarebbe nemmeno colpevole"- Dostoevskij"

Quando abbiamo detto sopra "involuzioni anche peggiori",  partiamo da questa ultima considerazione. Molti, ma diciamo quasi tutti, all'improvviso non erano più fascisti. I padri -e i figli che avevano allevato- iniziarono a dire che erano stati plagiati, abbindolati, costretti ad essere fascisti. All'improvviso una mattina si svegliarono tutti saggi, tutti capaci di rivedere le proprie posizioni e prenderne altre, chi al centro chi a sinistra. Sembrava tutto perfetto. Tutti antifascisti dichiarati, strillato da mille pulpiti.
Tutti a recitare la commedia. I democristiani a scandalizzarsi quando apparivano al vertice nomi compromessi (ma intanto loro erano rimasti o si erano insediati in ogni anfratto dell'ex potere fascista - comodo!) e i comunisti (forse perchè non erano riusciti ad entrarci nelle "stanze dei bottoni") a combattere in ogni occasione gli ex fascisti. Sbrigativamente erano tutti fascisti, quelli della Chiesa, i sindacati, chi limitava le libertà di espressione, o contro chi era a favore del liberismo ecc. 

I primi, a volerci far credere di essere legati alle tradizioni cattoliche (intanto si arricchivano con le partecipazioni, con i terremoti, con le crisi del petrolio, con gli enti ecc), i secondi a guardare ancora alle utopistiche lotte di classe, al collettivismo sovietico o a quello di Mao. Ma nel frattempo anche loro, quando potevano si arricchivano, case, ville, barche, cuoco personale, vestiti firmati, edonismo pari agli altri, e intanto andavano dicendo che "combattevano per una società migliore".

Entrambi gli uni e gli altri  a cavalcare le masse strumentalizzate. Così venne il '68, gli anni di piombo, i veri o fantomatici colpi di stato, le brigate rosse, le brigate nere, gli opposti estremisti, gli extraparlamentari, i servizi segreti deviati. Nel frattempo le cifre del debito pubblico salivano alla stratosfera, e i soldi -zitti zitti senza lasciare tracce- solo in certe tasche andavano a finire. Costo della vita altissimo, servizi carenti, dazione ambientale diffusa. Lo abbiamo poi visto poi a tangentopoli. Tutti avevano preso qualcosa. In sostanza noi tutti abbiamo pagato un qualcosa in più del prezzo reale, direttamente o indirettamente, e solo perchè un qualcuno potesse mettersi in tasca un bel malloppo.

In prima fila -in certe messinscene della Sinistra- lotte senza quartiere contro il centro o la destra e spesso anche a contestare una parte della stessa sinistra. 
Sempre in prima fila -in certe messinscene del Centro-  con anche qui lotte senza quartiere contro la destra (che ipocriti!), contro la sinistra e spesso anche lotte intestine micidiali (e forse perfino bagnate di sangue) nelle loro stesse file (chiamate correnti).

Per quarant'anni si sono tenuti dentro la loro vera natura. Poi agli inizi degli anni Novanta, ecco (e quello che è peggio dopo aver plagiato i loro figli, che quell'esperienza la maggior parte non ha vissuto) a rivelarci chi sono pggi veramente costoro e  chi erano quelli di questo 1943-1945. Incorreggibili e ipocriti voltagabbana. Altro che ideologie e tutta quella demagogia strombazzata in quarant'anni.

Troveremo così nei primi anni Novanta, extraparlamentari della sinistra dentro le file di una ambigua destra di un palazzinaro arricchito con sete di potere e di neoliberismo personale, e troveremo fondamentalisti cattolici dentro queste file e pure in quelle della sinistra; ed entrambi a dire che seguono la tradizione di don Sturzo. (Ma quale? ma quella che fa più comodo!)
Uno spettacolo che ha preso inizio con tangentopoli. Uno spettacolo indecente. Qualche vero prete esclamò "state almeno zitti, e lasciateci piangere in pace dalla vergogna")

Verrebbe quasi voglia di ammirare allora quelli che non hanno mai rinnegato nulla. Quelli di Almirante ad esempio, che hanno continuato -in tempi non facili come ora- a sostenere da che parte veramente stavano; anche nella impopolarità (che ipocrita sceneggiata "di innocenza" fu quella dei democristiani al governo Tambroni del 1960): non i socialisti, i comunisti, i repubblicani, i radicali, quelli della Cgil, e la Dc che dichiaravano "la loro fedeltà agli ideali della resistenza" per poi chi poco chi tanto a vederli fare marcia indietro nei vari compromessi per avere una poltrona di sottosegretario, di sindaco e di semplice assessore.
 Patetico poi l'appello dei sessantadue intellettuali (immacolati) contro le tentazioni autoritarie e la collaborazione con i neofascisti (dopo pochi anni eccoli ad appoggiare il nuovo autoritarismo)

Non può non venire in mente all'autore che scrive, quella frase di un famoso generale della Nato, quando verso la fine degli anni Cinquanta, di fronte  a certe mie perplessità, quando per formare alcuni reparti speciali per la lotta all'anticomunismo, vidi reclutare dei veri fascisti (da non confondere con nazisti).
Lui non era proprio per nulla convinto di quella globale conversione all'antifascismo avvenuta all'indomani della liberazione. E se ne venne fuori con questa frase "Chi ha tradito una volta, lo fa anche la seconda volta, e  noi non ci possiamo fidare. Meglio quelli che nella loro intera vita danno una parola sola; non vogliamo "badogliate".
Mi insegnò una cosa: a diffidare da quella gente; ed aveva ragione. La SUCCESSIVA carriera politica di molti sta a dimostrarlo; per le tante capriole e tanti salti mortali si ha l'impressione di stare al circo equestre.

FINE

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