ANNO 1978

CRONOLOGIA DELL'ANNO ( 1a PARTE )

 
ALDO MORO
"...io temo l'emergenza!"

(richiede plug-in
RealAudio® o RealPlayer®)

I COMUNICATI delle BR

  
Pronto?..qui Brigate Rosse

Richiede plug-in
RealAudio® o RealPlayer®)

<<<< BIOGRAFIA DI MORO - LA SUA VOCE

PRIMA UNA SINTESI DELL'INTERO ANNO
POI I SINGOLI MESI CON I FATTI

Il 1978 ! Inizia un anno tenebroso, un anno di tante tragedie  e di tanti  lutti che il terrorismo porta dentro molte famiglie. Fra queste sciagure: la tragedia di ALDO MORO. Inizia in un modo drammatico il 16 marzo, e si conclude con l'uccisione dello statista il 9 maggio; una data storica tristissima e atroce per ogni democratico, che sente e sa di aver perso non solo Moro (che ce ne può importare poco o tanto) ma un punto di riferimento essenziale nel procedere nel faticoso cammino della democrazia italiana. A tutti, indistintamente questa democrazia nel pomeriggio di questo fatidico giorno è apparsa meno vera e anche meno civile.

Le sorprese non mancarono nei mesi successivi. A giugno dopo l'uscita di  un libro di una coraggiosa giornalista, CAMILLA CEDERNA,  venne alla luce lo scandalo "del palazzo", scatenando  una tremenda campagna stampa contro  l'inquilino del Quirinale, cioè contro la massima carica dello Stato. Impietose accuse, escono dal libro La carriera di un Presidente e distruggono veramente la carriera del Presidente LEONE che è "costretto" a dimettersi a pochi mesi dalla fine del suo mandato.

E' anche l'anno il 1978, in cui sulla cattedra di San Pietro, al soglio pontificio,  nell'arco di pochi mesi salgono tre Papi. Muore in agosto PAOLO VI. E' eletto GIOVANNI PAOLO I, Papa LUCIANI, che muore dopo soli trentatré giorni, a Settembre. In ottobre viene eletto GIOVANNI PAOLO II, il Papa "venuto dal freddo". E'  KAROL WOJTYLA, il primo papa polacco nella storia della Chiesa  e il primo papa straniero dopo 455 anni (dal 1523). Un uomo di "chiesa in trincea", e proprio per questo va a  rivoluzionare i rapporti chiesa-fedeli. Pur essendo un anticonformista il suo carisma  in breve tempo é così grande che non rimane confinato in un territorio limitato, ma per la prima volta il termine della Chiesa cristiana, "ecumenismo" rispecchia il suo significato etimologico, "che riguarda tutta la terra abitata, tutti i popoli.".

Nell'anno del "dopo Moro" e del "dopo LEONE",  al Quirinale, in luglio, sale  un socialista. E' SANDRO PERTINI. Con un lungo passato di oppositore al fascismo. Dopo molti anni di carcere e di confino, lo ritroviamo nell'ultimo anno della guerra mondiale a capo dei comitati della Liberazione dell'Alta Italia. Eletto quest'anno Presidente, conquisterà anche lui  "l'affetto" degli italiani con quella sua immagine di nonno burbero ma affettuoso, spartano ma non troppo; giulivo come un ragazzino ai  mondiali di calcio, ma severo e con estemporanee bacchettate ai politici, spesso con tanta retorica e demagogia. (Patetico quando non volle ricevere i parlamentari il cui nome risultava iscritto nelle liste P2, che sapeva benissimo che erano fra quelli che lo avevano eletto.  Uno che era a capo di una commissione parlamentare non riuscì a varcare il portone del Quirinale. Ma restò comunque pervicacemente al suo posto, coperto e difeso dal suo partito. De resto -scrisse Scalfari il 18 giugno su Repubblica- se certi partiti isolassero le mele marce, resterebbero quasi senza dirigenti") 

Ma non dimentichiamo che Pertini ha 82 anni; ed è stato messo a fare il Presidente proprio per questo. Fare un ambiguo maquillage alla politica. Un MORO avrebbe sconvolto la politica. Un FANFANI l'avrebbe stravolta. PERTINI l'ha imbalsamata quel tanto che serviva agli uni e agli altri che per il loro gretto operato si giustificavano nel dire che avevano all'interno dei loro partiti le mele marce; ma spesso lo dicevano con lo scopo di isolare le mele sane.

ECONOMIA 1978 -  Le previsioni all'inizio dell'anno erano quelle di una netta ripresa per l'economia mondiale e per quella italiana. Questa c'era veramente stata nel corso dell'anno, ma molto blanda. In Italia la si chiamò "ripresina". Deludente ma sufficiente per stabilizzare la crisi. L'inflazione non ha avuto altre impennate, e la tendenza registrata a fine anno (il precedente '77 ha chiuso con un 18,11%) dovrebbe farla scendere nel '79, secondo le ottimistiche previsioni a un 13%. (sarà invece del 17,71% e il successivo 1980 addirittura del 21,14%. Altro che "ottimistiche").
E' scattato il "Piano Pandolfi" che mette sotto controllo la spesa pubblica.   Di trentamila miliardi  (15% del GNP) é il deficit del bilancio dello stato.

A fine anno, l'abile  Andreotti, controcorrente e quasi mettendo in crisi la maggioranza è riuscito a far entrare l'Italia nello SME, nel Sistema Monetario Europeo.
Come ci sia riuscito non è un mistero. Davanti ai tedeschi si calò le braghe sulla "fuga" di Kappler. Poi andò in Tv recitando la parte del finto tonto.

La novità più importante, per il momento solo apparente (ma che è l'inizio in sordina di un grande mutamento, formale e sostanziale nell'economia privata italiana, compresi i grandi gruppi) é il cambiamento di rotta che le unità produttive adottano dopo che GUIDO CARLI (passato dall'altra parte della barricata - da uomo di potere del governo a uomo della Confindustria) ha lanciato le sue romanzine ai politici dal pulpito dell'Assemblea degli industriali.  E' una dura requisitoria contro lo Stato assistenziale. Ed è' il rilancio del liberismo davanti a otto ministri che lo ascoltavano, che Carli con la sua filippica, ha letteralmente "schiaffeggiato". (Ma poi lo ritroveremo più avanti, nuovamente accanto a loro, al governo, e farà nuovamente quello che faceva prima, o meglio quello che ora stanno facendo gli altri che ha preso a "schiaffi").

CONTINUA FINO A FONDO PAGINA PER RITORNARE AI FATTI

 (MA NON DIMENTICHIAMO  di dare uno sguardo anche al link LINK CULTURA e al fenomeno "travoltiismo" che c'entra molto poco con i fatti tragici sopra riportati, ma ha un'influenza non indifferente nella società di questo periodo, soprattutto nelle due nuove generazioni: quella fine anni Sessanta (il '68) e fine anni Settanta (il '78) dove il fenomeno non è il "travoltismo" ma il terreno fertile che questa moda trova in questo periodo nella nuova generazione, cioè il totale disimpegno dalla politica; che significa   una dissociazione (attiva e psicologica) dai loro ex compagni, che invece proseguono scelleratamente e senza idee a desiderare una società utopistica, irrealizzabile, non accorgendosi che buona parte della società stessa, ma soprattutto la loro stessa generazione è agnostica.  I loro coetanei - sia di ala proletaria che borghese - non hanno  apprezzato una loro sola azione, spesso mirata a insignificanti obiettivi; che nulla hanno a che vedere i primi, con la fanatica "lotta di classe",   nè i secondi, con la fanatica lotta ai comunisti.

I sociologi di questo periodo (una vera malattia del tempo)  seguitano a cercare le origini sociali dei malesseri giovanili, e ognuno dice la sua per individuare queste spinte estremistiche, o per individuare nel "sistema" le colpe,  mentre davanti a loro scorre una società anormale seguendo regole anormali, con tanta irrequietezza, velleità, egoismo, cinismo, violenza, e tutti indistintamente muovendosi su un terreno dove sta crescendo (e l'esempio viene dall'alto) l'arroganza corporativa; e parallela ad essa l'immunità. Significativa è la ritirata storica della borghesia  (la prima a farla) che ripiega sul "privato" staccandosi dalle responsabilità in generale di ogni tipo, perchè ormai è convinta di non averne nessuna.

(((( Recentemente, gennaio 2014, su Panorama, "Dov'è il fallimento dell BR? hanno chiesto a Giovanni Senzani, capo del BR? Risposta: "Il Marxismo ha dato molto, ma non ha risolto la questione. Le Br sono state una piccola esperienza, non si può dargli troppo importanza. Era scritto che sarebbero state sconfitte; erano partite da un'idea giusta, ma sono finite su una strada sbagliata.
Dove vedo il fallimento? Come si poteva pensare di cambiare il mondo, di portare il proletariato al comando, quando la borghesia ci ha messo secoli per arrivare al potere? Pensavamo di arrivarci da una scorciatoia, ma abbiamo fallito. La rivoluzione ha fallito." "Ma non mi pento di nulla" ha aggiunto..
La violenza, i lutti, il terrore, la follia degli anni di piombo, per Senzani incarna ancora un malconcepito, osceno senso di giustizia. Una ideologia che era diventata una devastante patologia.

""""(((( Con l'assassinio di Guido Rossa, questa devastante patologia era già in atto, Quell'omicidio rappresentò il punto più basso della cecità terroristica, almeno dal punto di vista politico, quanto a efferatezza e insensatezza. Per le BR fu l'inizio della fine, perchè nemmeno il più fanatico delirio ideologico poteva giustificare l'assassinio di un operaio - militante comunista e rappresentante sindacale - in nome della solidarietà operaia. Questa era pura e cieca vendetta. Come detto sopra, una devastante patologia.
GUIDO ROSSA, militante del PCI, delegato del consiglio di fabbrica dell'Italsider, di 44 anni, fu ucciso il 24 gennaio 1979 a colpi di pistola davanti alla sua abitazione. L'attentato fu rivendicato dalla Brigate Rosse con una telefonata ai giornali. Chissà com'era questa telefonata: "abbiamo ucciso Rossa in nome della solidarietà operaia" (!!!!)
Guido Rossa aveva permesso l'arresto, e poi aveva testimoniato al processo che condannò a quattro anni, Francesco Berardi, un capo turno della Italsider, da lui scoperto  a depositare volantini delle BR in fabbrica.
Negli anni 2000, uno dei due brigatisti che spararono a Rossa (l'altro fu ucciso dai carabinieri in una sparatoria nel 1980) condannato all'ergastolo è tornato uomo libero. Questo grazie all'intercessione presso il giudice di Sabina Rossa, la figlia di Guido, educata da suo padre ai valori della Costituzione che prevede giustizia e non vendetta. E' un'altra dimostrazione, se mai ve ne fosse stato bisogno di chi avesse ragione tra Rossa e i suoi assassini"
(i Giovanni Bianconi, Corriere d.S. gen. 2014 """"")))))
Su l'assassinio di Guido Rossa vedi i fatti e la testimonianza di un suo collega > > > > >

Significativa - dopo quella della borghesia - fu anche la ritirata storica perfino degli stessi partecipanti che si erano votati alla filosofia dell'estremismo sfoggiando il materialismo dialettico, con addosso una perenne sindrome dell'infelicità e della frustrazione - più estetizzata che vissuta;  fanno la ritirata e sostituiscono la filosofia della violenza con la filosofia edonistica; c'è il "riflusso", si ritorna al "privato".
Poi, in molti, c'è anche il cedimento ideologico (!?). Per farsi condonare pochi mesi, con la nuova legge dei "pentiti", mandano in galera e all'ergastolo i vecchi amici. Questi "pentiti" subito "cantano", fregandosene di miti, di ideologie e di coloro che  le avevano coltivate, anche se in una forma distorta e fanatica; forse questi ultimi più per ragioni educative, che non come gli altri per tare patologiche genetiche.

Alcuni di questi "eroi" volevano cambiare il mondo ma non sono stati capaci di cambiare se stessi, e quando lo hanno fatto, l'hanno fatto nel modo peggiore, non hanno saputo perdere.
Ma chi era stato molto attento, chi aveva vissuto non lontano da loro o addirittura vicino e dentro nei loro covi, sapeva da molto tempo che erano così. Naturalmente, non tutti, alcuni - ma non molti- assumendosi le responsabilità, si fecero decine di anni di galera; alcuni stanno ancora pagando per questi "amorali" soggetti, che si unirono a "cantare" in coro, a fare la "spia di Stato". Così si sentirono "eroi di Stato".
L'espediente del "pentitismo" fu utile alla giustizia, certo, ma questo modo per ottenere questa giustizia somigliava a quei manifesti che in tempo di guerra civile si affiggevano sui muri in Italia "premio di 10.000 lire a chi ci segnala un fascista" (da freddare sul posto), - "o un partigiano" (da appendere a un albero".
Non un motivo di vanto per chi fece questi proclami, chi li assecondò e peggio ancora fu vergognoso chi per salvarsi si mise a fare questo lavoro sporco per il proprio tornaconto.

ANDIAMO AI FATTI MESE PER MESE

a1978zz.jpg (19496 byte)

Un inizio d'anno pieno di sangue.

4 GENNAIO - L'anno precedente è finito nella violenza, questo inizia con una serie di assassinii.  Una lunga serie. - Il gruppo degli Operai Armati per il Comunismo  uccidono il capo sorvegliante alla FIAT CARMINE DE ROSA. Le Unità Combattenti a Firenze assassinano   l'agente  STEFANO DIONISI. Lotta Armata per il Comunismo uccide il notaio GIANFRANCO SPIGHI. Il 14 le BR rivendicano l'assassinio del giudice RICCARDO PALMA consigliere di Cassazione e dirigente degli istituti di pena. FRANCO BIGONZETTI e FRANCESCO CIAVATTA due ragazzi simpatizzanti di destra sono freddati  a Roma davanti alla sede del MSI da terroristi di estrema sinistra, poi negli scontri   tra studenti e polizia  muore STEFANO RECCHIONI. Infine a Venezia al Gazzettino uccidono FRANCO BATTAGLIN un povero lavoratore con l'unica colpa, di essere  una delle tante guardie giurate messa a fare la sorveglianza davanti agli uffici.
(chissà che conquista nell'ucciderlo !!!
Anche questo ucciso "in nome della solidarietà operaia"?)

12 GENNAIO - Dopo le ultime manifestazioni contro il governo, entra in crisi il Consiglio dei ministri di ANDREOTTI. Sta venendo meno la maggioranza della "non sfiducia", dove troviamo i comunisti insoddisfatti, ma anche ostilità da parte degli altri partiti che hanno finora sostenuto con l'astensione il governo, varato dopo il 20 giugno lo scorso anno da Andreotti con la nuova formula (monocolore e con l'astensione dei maggiori cinque partiti).

a1978z.jpg (6771 byte)

"Andreotti, è lui il protagonista di un anno tenebroso"

L'intera compagine governativa nell'anno 1977 come abbiamo già letto è stata tenuta in piedi dalle promesse, dagli accordi ambigui e da volubili intese solo per prendere   provvedimenti antipopolari, o a far predicare a Berlinguer l'"austerità". 
Interventi e appelli che non hanno soddisfatto nessuno, salvo quelli impegnati a ritagliarsi le solite "fette di potere" locale. Il mondo politico  sembra essere lontano dalle discussioni e dagli incontri programmatici sulle varie riforme e sulle "emergenze". (sembrano gli anni 2010-2014 !!!).

I provvedimenti sono messi in cantiere con tanta buona volontà, ma poi finiscono per essere accantonati. Le opinioni di Berlinguer le abbiamo lette: che i patti sono sistematicamente violati, che lui è solo chiamato ai..... "confronti" - come ha etichettato Moro gli "incontri" - ma poi negli accordi gli uomini della  DC, in particolare un paio, non danno prova di elasticità, hanno il potere di esautorare chiunque, compresi quelli dello stesso partito e gli stessi uomini ai vari dicasteri incaricati di rendere fattibili i vari provvedimenti.

LA MALFA ancora a dicembre per evitare la paralisi nel Paese, in una intervista su Repubblica, ha  chiesto di far entrare il PCI nel governo. Ma anche ANDREOTTI segue la linea di MORO. Quell'ambigua però, cui BERLINGUER si presta. "Con i comunisti sì al dialogo, sì alle intese, ma fuori dal governo". Metà elettorato italiano non conta nulla e nemmeno riesce a capire questi "giochi".

Dagli USA, fra l'altro, arriva proprio nel bel mezzo delle discussioni della crisi, l'ultima doccia fredda dal Dipartimento di Stato americano. Un invito (!) ai leader democristiani "a dimostrare fermezza nel resistere alla tentazione di trovare soluzioni tra le forze non democratiche. Il nostro atteggiamento, ricordatevi,  nei confronti dei comunisti non è mutato per nulla".
(una frase e un intervento che risulterà poi molto utile  dopo la strage di via Fani e la fine di Moro. - Ne riparleremo

16 GENNAIO - E' l'ultima riunione per trovare una via d'uscita alla crisi. Al tavolo PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, e la DC.
La riunione termina in un fallimento. ANDREOTTI è costretto a rimettere il suo mandato al presidente della Repubblica LEONE, che però due giorni dopo, lo riconvoca e gli affida nuovamente l'incarico di formare un nuovo governo.
La cui gestazione come vedremo sarà  lunga e laboriosa, 55 giorni di consultazioni, e che al momento del varo (16 marzo) accadde quello che verrà considerato per anni  il più drammatico  mistero d'Italia: la "Strage di Via Fani", il rapimento di MORO. Che spaccherà in due le forze politiche nei 55 giorni del sequestro e che si concluderà nel modo più drammatico con la (altrettanto misteriosa) immotivata (!?) "esecuzione" dello statista.

A gestire politicamente questo "anno tragico", a essere "il protagonista dell'anno più tenebroso d'Italia" (la frase è di Dino Zannoni nell'annuario storico 1978 di Storia Illustrata) è GIULIO ANDREOTTI.
Uomo onnipresente in ogni governo, ma mai un vero protagonista. La sua connotazione politica anche se cattolica non è semplice per definirla.
"Avere un accredito in qualche sede autorevole, curiale diocesana o romana è la prassi più diffusa dei politici per avere strumenti di acquisizione e mantenimento servile della Chiesa" scriverà il suo biografo Orfei.
E nessuno ha avuto più accrediti di Andreotti da quando De Gasperi lo conobbe come un singolare studente diciannovenne nella Biblioteca Vaticana (stava cercando un libro sulla marina pontificia - e come Colombo, cercando le Indie trovò in quella sede la sua America - appunto De Gasperi "recluso" dentro le mura vaticane).
Uomo di "chiesa", Andreotti pur rimanendo (acquistandosi così fama)  cattolico laico è un antitemporalista. "In Chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete" (se non andiamo errati é una citazione di Montanelli). "Comunque non è esagerato stimarlo aconfessionale e aclericale" dirà Ronchey, che prosegue così nel suo profilo:

"Il 20 giugno al luogo comune che il potere logora egli eccepì subito che "il potere logora chi non ce l'ha". Egli conosce nei dettagli la soffice macchina amministrativa romana, essendo stato ministro in quasi tutti i dicasteri, deputato a ventott'anni, prima di trenta già sottosegretario e ministro diciotto volte. Chi dovrebbe aggiustare una macchina sfasciata, se non chi ne ha maneggiato tutti pezzi? Ha intimità ineguagliabile con la Curia e il clero laziale, legami con l'alta burocrazia e l'alta ufficialità, ingegno acuto, pronto, versatile ma senza slancio e poi freddezza, freddezza e "sangue di ghiaccio". Ma sarà vero? 600.000 persone scrivono con diligenza sulla scheda che mettono nelle urne: Giulio Andreotti. Com'è possibile? Lui risponde  "...perchè ho un ottimo rapporto umano con gli elettori". Altri dicono che "la sua segreteria è la più organizzata centrale di raccomandazioni, in questa... società disorganizzata.
Quale sia la sua connotazione politica è ora la questione essenziale. Fino al governo Malagodi poteva sembrare a certi reazionari intelligenti della storia, profeti dello scetticismo, spiriti acuti, un uomo in conflitto con vano e disastroso ottimismo degli agitatori di folle. Ma nel marzo del '75 improvvisamente accennò a farsi da parte, quando le  elites si stavano accalcando a sinistra; Andreotti stava meditando di trasferirsi a Bruxelles, in polemico esilio. Poi tutto é cambiato.
Dopo le rivelazioni sul SID e la chiassosa intervista (Espresso, ottobre '74) "il classico uomo di destra riuscì in pochi mesi a stravolgere la sua figura". Il fine politico ora di Andreotti è "un ordine  piccolo-borghese intorno a cui far convergere anche i partiti di sinistra". Vorrebbe essere  l'amministratore delegato della stabilità bipartitica DC-PCI. Purchè il quadro sia quieto e stabile, egli si prepara forse a una gelida eternità di atti amministrativi a Palazzo Chigi componendo con arte meticolosi compromessi. Ha fiducia in sè, ha definito se stesso "una persona consapevole  dei suoi limiti, ma anche sicura di non vivere in un mondo di giganti".
"Ammettiamo che vada bene, che fra compromessi e amministrazione, ordine piccolo-borghese, e partiti di sinistra, quel potere che logora chi non ce l'ha  resti nelle sue mani. E dopo? Egli può rispondere che non si propone grandi cose, ma piccole, estranee a ogni solenne "senso dello scopo". E questo é bene, visto che più grandi sono le idee e maggiori le tragedie del nostro tempo.  E dopo? E dopo - risponderà uno come Andreotti - e dopo basta, abbiamo finito." Alberto Ronchey, Corriere della Sera.

Il potere come vedremo logorerà anche lui, e purtroppo logorerà anche il Paese. Il potere fortissimo (più del suo) corromperà la politica e ucciderà la speranza nel cuore di molti onesti. 

24 GENNAIO - LAMA scatena nuovamente polemiche sia nelle masse dei lavoratori, e sia negli stessi sindacati   CISL e  UIL, e perfino all'interno della sua CGIL, con   MARIANETTI che lo critica.
Il suo pensiero controcorrente é in un'intervista su la Repubblica. Oltre che proporre ai lavoratori nello stile berlingueriano "una politica di sacrifici non marginali ma sostanziali" (lo fece anche Mussolini questo discorso, nel presentare il suo Partito ai lavoratori ex socialisti) nello stesso tempo accenna all'idea che "il salario non può essere considerato una variabile indipendente". (addio Marxismo!),

Ma negli ultimi dieci anni tutti i sindacati non  avevano sostenuto questa linea, ed ora hanno difficoltà nel difendere le idee di Lama.  L'incomprensione fra di loro sta nascendo, e ad approfittarne, per riconquistare il terreno perso nei critici ultimi dieci anni è ora la controparte. Mentre il sindacato si sta avviando verso una mezza sconfitta, non già ad opera del padronato, ma dei capi intermedi (i colletti bianchi) che saranno appoggiati (nell'80 - marcia dei 40.000) ) perfino da una larga frangia di operai che contestano proprio i sindacati;  con la conseguenza che entreranno in  crisi di rappresentatività proprio le confederazioni.

Ma all'assemblea del prossimo mese (14 febbraio, a Roma, all' EUR) sembrano rientrare le polemiche dell'intervista di Lama su Repubblica; i consigli generali e i quadri dei tre sindacati approvano la sua linea dura da diffondere ai lavoratori. A cui non sfuggono queste critiche, le manovre e gli  "inciuci" vari. E non sfuggono nemmeno agli estremisti di ogni colore. 
"Arrabbiati" chi per un verso chi per un altro, ci sono i rossi, i bianchi, i neri e anche i neri neri del mondo cattolico.

27 FEBBRAIO - All'assemblea dei gruppi parlamentari della DC, MORO insiste, e si batte   accoratamente per costituire una maggioranza programmatica e non politica con dentro i comunisti. Ricorda a tutti i suoi colleghi democristiani che non ci sono alternative. Si rischierebbe di andare a elezioni con il rischio di far perdere alla DC la maggioranza.
Il consenso a Moro arriva, ma dentro la DC è sofferto, forse anche ambiguo.

28 FEBBRAIO - ANDREOTTI ha aperto la strada alla soluzione della crisi con l'ultimo vertice. Resta  da varare ora materialmente il nuovo governo; un monocolore con immissione di tecnici, sostenuto dal PSI, PRI, PSDI e..... dal PCI. Mentre il PLI ha già dichiarato di schierarsi contro.
L' Unità scrive profeticamente: "La crisi che si avvia alla conclusione é stata forse la più complessa e difficile di questi ultimi anni. La più pericolosa, anche; in un Paese che vive da tempo  al limite della rottura. O riconoscere l'esistenza di uno stato di emergennza oppure andare all'avventura".
(Nè l'Unità né Moro  potevano immaginare quanto pericolosa era questa avventura!)

In America i commenti non sono proprio tanto entusiastici, molti giornali pubblicano con rilievo la notizia. In prima pagina   il Wall Street Journal e il  W. Post scrivono "Per la prima volta il PCI ha un ruolo ufficiale dopo 31 anni. Anche se  sembra che non otterranno ministeri, l'accordo conferisce loro maggior voce. Questo accordo può essere considerato una sconfitta per la politica americana. Nella dichiarazione del dipartimento di Stato non soltamto ci si opponeva a un ingresso dei comunisti nel governo ma si auspicava una riduzione della loro influenza".

 Agli USA, come abbiamo letto, questo nuovo corso della politica italiana, non è affatto gradito e fin dal 12 gennaio il dipartimento di Stato, tramite l'ambasciatore GARDNER ha inviato una nota, dove si afferma "per noi i comunisti non sono affatto mutati, e non sono cambiati i nostri atteggiamenti nei loro confronti. I leader democratici italiani devono dimostrare "FERMEZZA" nel resistere alle tentazioni di trovare soluzioni tra le forze non democratiche".

Ma questo non vuol dire che gli USA sono  interessati a creare un clima di tensione in Italia. Nè di sicuro pensano di rapire un noto politico per chiedere la liberazione di alcuni terroristi rossi. Anzi hanno una bassissima opinione dei terroristi che operano in Italia. REGAN si è perfino stancato di sopportarli, li definisce "quattro straccioni vagabondi".
Anche alla Francia gli Usa manderanno a dire le stesse cose, ma poi Mitterand nel '81, fece quello che voleva, rispondendo perfino con arroganza agli Usa e mettendo quattro comunisti al governo. (altra stoffa!)
Ma in Aprile a molti politici italiani, durante il sequestro Moro, la parola fermezza venne utile e ne abusarono perfino. Era d'importazione, ma andò molto bene in quella circostanza.

 

1 MARZO - Nelle librerie esce il libro di CAMILLA CEDERNA. Sarcastico e conciso, il libro si snoda veloce in 250 pagine, descrivendo l'uomo dal suo affacciarsi alla vita pubblica fino al suo declino. (ma l'intero libro é uno spaccato dell'Italia di questi anni Sessanta e Settanta. Un intreccio vorticoso della politica e affari e dei grandi segreti. Nonostante la grande tiratura, 700.000 copie il libro è sparito dalla circolazione. Perfino nelle biblioteche raro trovarne una copia.

CAMILLA CEDERNA, la giornalista che con le sue inchieste scandalizzo' quella mezza Italia che contava, suscitò clamore con questo libro "La carriera di un Presidente", raccontando senza alcun ossequio alla grande  personalità dello Stato i retroscena poco chiari del sesto presidente della Repubblica Italiana.
Il libro accusato di diffamazione fu sequestrato, condannato al rogo, tolto dalla circolazione. Ma ottenne il suo scopo. Il Presidente si dovette dimettere quando vennero fuori in modo piu' chiaro alcuni interessi privati dei suoi figli in operazioni finanziarie risultate ineccepibili legalmente ma moralmente scorrette.

Leone per il contenuto incandescente del libro, aveva querelato la Cederna e il direttore dell' Espresso ZANETTI, per diffamazione; ma fu un boomerang, alcune rivelazioni su alcune disinvolte operazioni finanziarie causarono nei suoi confronti una feroce campagna di stampa,  che culminerà prima con plateali manifestazioni (Radicali) davanti al Quirinale invocando le sue dimissioni, poi il PCI le chiese formalmente. Avverranno il 15 giugno con un drammatico annuncio alla Tv. (vedi giugno)

Un risvolto inquietante all'interno del libro. Quello di un singolare personaggio allora a livello nazionale ancora del tutto ignoto. NINO PECORELLI. Era un avvocato; 51 anni; un volontario della guerra di liberazione, insignito della più alta decorazione dal generale americano Anders.
Sul singolare foglio d'agenzia che aveva fondato (OP - Osservatorio Politico - Solo più tardi divenne una rivista), iniziò lui a rivelare i particolari scabrosi (anche i minimi) sulla vita privata e sugli affari del presidente della Repubblica Leone e famiglia (fino al punto che ci furono trattative di natura economica per farlo tacere).
Nel famoso libro che scatenò la guerra all'inquilino del Quirinale, Camilla Cederna, su Pecorelli scriveva un capitolo: E' il Sid che spia? "L'agenzia di Pecorelli, da sempre passa per essere un'agenzia del Sid, una emanazione del generale VITO MICELI che ne era il capo dal 1970. Si dice che a Op diano notizie una certa fazione, attenzione, attenzione, alcuni dorotei di RUMOR".
Pecorelli lo ritroveremo poi protagonista di tanti fatti in questo 1978 e nel 1979 ( generale Dalla Chiesa, delitto Moro, Andreotti, Scandalo petroli, Scandalo Italcasse, Soldi a Forlani, Scandalo Ambrosiano, Calvi, Sindona, Ambrosoli, Ior, ecc. - vedi relativi anni e mesi - poi finirà ammazzato per aver osato di andare oltre.)

L'INIZIO DI UN DRAMMA....

9 MARZO -  a Torino inizia il processo ai 50 brigatisti delle BR. 28 a piede libero e 22 detenuti in carcere. Sono ritenuti i capi storici delle BRIGATE ROSSE. (Curcio, Franceschini, Bassi, Gallinari, Ognibene, M. Moretti, N. Mantovani, Semeria, Pisetta, ecc).
Processo molto difficile, rinviato  come abbiamo già letto, fin dal maggio dello scorso anno per la continua defezioni degli avvocati del collegio e dei   giurati minacciati di morte.
Parole non vaghe visto che è già stato assassinato il presidente dell'ordine degli avvocati CROCE.
Mentre per la giuria popolare é stata alla fine nominata d'ufficio, a mezzo sorteggio, ma la metà dei nomi usciti dalle urne é stata colta da una "sindrome depressiva", come hanno riferito i medici che li hanno visitati, dopo che metà di loro non si sono presentati al processo. Tutti malati !!!.

Si apre dunque il processo alle ore 10,40 del 9 marzo. All'entrata dei brigatisti CURCIO consegna il suo proclama al presidente che rinuncia a leggerlo, ma incarica uno di loro a farlo. Legge FERRARI con voce tonante. Minacce contro i giudici togati e quelli popolari, contro i difensori e lo Stato, e contro la radicale Aglietta che si è offerta coraggiosamente di far parte della giuria transfuga. 
Infine il suo grido di guerra: "Questo non è un processo ma un momento della guerra di classe, un episodio dello scontro più generale".
L'atteggiamento dei cronisti nel riportare la cronaca di queste ore è ambigua. Perfino sullo stesso giornale (come quello riportato sotto, l'Unità del 10.3) Ibio Paolucci scrive in un modo "truculenti minacce, voce di Ferrari tonante e precisa, gridi di guerra", mentre a fianco Massimo Cavallini ne fa un resoconto macchiettistico: per lui sono "chiassosi brigatisti, il processo è una caotica normalità, la voce di Ferrari è stentorea e confusa, e il proclama di scarso interesse con nessuna minaccia clamorosa".
"Non ha turbato!!!) - E nell'occhiello "stavolta la paura non ha vinto".

L'11 MARZO dopo 55 giorni di crisi ANDREOTTI vara il suo (il IV) contrastato e molto discusso governo  monocolore (+ SVP) con l'intenzione di farsi appoggiare dal PCI, non senza forti polemiche con i parlamentari democristiani, e di altri partiti come il MSI e il PLI
Del resto Moro nella DC, dal 28 febbraio al 1° marzo, all'assemblea dei gruppi parlamentari democristiani, ha perorato la costituzione di una maggioranza programmatica e non politica dei comunisti. Non un accordo, ma un confronto col PCI su cosa fare per il bene del Paese.

Il dibattito interno, ha confermato che la grande maggioranza della DC non vuole l'accordo politico con i comunisti, ma Moro ha insistito accoratamente e perfino drammaticamente, nel sostenere la necessità e l'utilità di un'intesa con il PCI. "Perché siamo in una emergenza". (il suo discorso, all'inizio di queste pagine)
In poche parole esplicitamente ha chiesto "un po' di aiuto" a BERLINGUER per superare i seri contrasti sui problemi di economia, dell'ordine pubblico e della riforma della Polizia. E proprio queste ultime hanno provocato le più serie preoccupazioni ai parlamentari democristiani.

MORO ha ammesso che le elezioni potrebbero rendersi inevitabili   solo "se venissero messe in gioco le ragioni vitali della democrazia italiana e del ruolo altrettanto vitale, della DC" ma ha anche definito "suicida" la linea di quanti preferiscono il ricorso agli elettori piuttosto che la maggioranza politica con il PCI.
Suicida perché le elezioni anticipate potrebbero essere gestite da un governo non democristiano. "E' possibile "andare avanti in modo lineare" con le trattative "senza menomare l'identità della DC" ma adottando flessibilità costruttiva per "salvare non tanto il nostro potere quanto la democrazia italiana".

Il discorso come quello dello scorso anno alla Camera per il processo Gui-Tanassi, è anche questa volta duro e accorato, con la variante che  non sono i comunisti i destinatari, ma è indirizzato a quelli dello stesso suo partito, in cui molti, i maggiori esponenti tacciono, altri invece attaccano, e forse qualcuno complotta. (con chi? Forse con i comunisti, ma non del PC Italiano, forse -afferma malignamente qualcuno - addirittura con i Russi, che non hanno proprio intenzione di sconvolgere i Patti di Yalta, mai come ora loro hanno bisogno degli Usa..

Gli interventi critici e fortemente polemici nei  confronti di Moro non sono infatti mancati, in particolare quelli di GAVA, MAZZOTTA, DONAT CATTIN, FERRARI, CICCARDINI, PEZZATO, MORA, CAVALIERE, CACCHIOLI, BOFFARDI, MEUCCI, VINCENZI, GRASSINI, DE GIUSEPPE, FRACASSI, BARBI, AMADEO, AZZARO, DE CINQUE, BERTOLANI. Preannunciati altri interventi critici di SCALFARO, SEGNI, DE CAROLIS, ROSSI DI MONTELERA. Insomma quasi tutti gli sono contro !!!

Gli unici che hanno parlato a favore sono: DE MITA, POMICINO, MASTELLA, LUCCHESI, SILVESTRI, SANZA, ROSINI, REBECCHINI, TRIFOGLI E TASSONE. (ma sono i poco influenti).
Dibattiti molto sostenuti negli stati maggiori del partito di Moro, fino a notte alta per approvare alla fine quattro documenti: due critici e due a favore, che proprio perché molto diversi, come posizioni, i vertici hanno dovuto riassumerli con molte difficoltà in un solo documento. E non è stato facile.

16 MARZO - ANDREOTTI (di destra ma stranamente con alle spalle MORO, l'ispiratore di questa "linea del Piave")  è alle sue ultime battute. Deve recarsi alla Camera esporre il suo programma di governo ed avere la fiducia per costituire il suo IV governo  sostenuto dal PCI-PSI-PSDI-PRI. Ma la stessa mattina del ...

....16-MARZO, con un blitz fulmineo, le BRIGATE ROSSE uccidono tutti gli uomini della scorta in Via Fani, e rapiscono MORO mentre si sta recando alla Camera.
Con vari ultimatum, pena la vita dello statista, le BR chiedono un riconoscimento politico del loro movimento e la liberazione dei brigatisti sotto processo a Torino.
PCI-DC sono per la "fermezza", "rifiutare ogni compromesso", il PSI è invece per la trattativa. Passano 53 giorni di lacerazioni politiche, fino a quando il 9-Maggio viene ritrovato il corpo di Moro assassinato dentro il bagagliaio di un auto, quasi nella stessa via dove ha sede la Democrazia Cristiana e la sede del Partito Comunista.

Ai funerali sono presenti tutti i partiti, ma è assente la famiglia, che polemizza (e polimezzerà sempre) "la fermezza"; di aver escluso degli spiragli per trattare la vita del loro congiunto e di avere abbandonato al suo destino e con cinismo, lo statista.

Tutte (ma non tutte - anni dopo nel 1990, in un vecchio covo delle BR furono trovate altre lettere di Moro, terribili, contro i suoi "amici" politici. E non si capisce perchè non furono inoltrate visto che erano infamanti sulla classe politica che "non operava certo per la salvezza") le lettere inviate da Moro durante la sua prigionia che riportavano alcune riflessioni sulla politica italiana oltre a molte critiche su alcuni suoi colleghi di partito. Ma non vengono prese in considerazione perché si ritengono - tali missive e i contenuti - estorti dai suoi carcerieri. "Scritti, - si dirà -  umanamente comprensibili (!!!) ma politicamente non credibili, ne' accettabili".

Una lunga storia questa, di cui dopo venti anni non si è mai ancora saputo nulla, nonostante siano stati catturati e condannati gli esecutori dell'omicidio e i fiancheggiatori del sequestro.

Rimangono molti fatti sconcertanti: la gestione del sequestro e gli interrogatori fatti a Moro. Da lui, i sequestratori che si erano militarizzati in bande, affermando che lottavano per  l'impellente bisogno di comunismo in Italia, vennero a sapere che c'era in  forma clandestina nel Paese l'organizzazione GLADIO. Non strana, visto che in ogni Paese dell'Alleanza c'era qualcosa di simile. Ma molti autorevoli politici democristiani (oltre gli italiani) non ne sapevano nulla. E Fanfani (pur uomo potente) era uno di questi.
Dunque, se i carcerieri di Moro erano "rossi", bastava già solo questa rivelazione esplosiva all'opinione pubblica italiana per mettere in difficoltà tutta la DC, e far crollare la linea della fermezza dei democristiani.
Con la rivelazione di Gladio assieme ad altre lettere in cui Moro accusava i politici (vennero alla luce solo dodici anno dopo) le Br potevano distruggere l'immagine dello Stato che era quello che poi volevano i brigatisti; e forse avrebbero fatto anche "svegliare" Berlinguer.
Ma non lo fecero!

Se erano "neri" o "bianchi", altrettanto una buona "arma" per eliminare le potenti correnti antagoniste nel rivelare a molti che non sapevano nulla di Gladio, e nulla sapevano del fantomatico golpe del Piano Solo (nella lista dei "enucleandi" non c'erano solo "rossi" ma a quanto sembra pure alcuni democristiani inaffidabili - si erano accorti che qualcuno faceva il doppio gioco?).
Ma non lo fecero! Il mistero del "Caso Moro", che non verrà mai risolto, sta proprio in questa riflessione. La sua uccisione é quanto meno azzardato inquadrarla nella situazione politica italiana di questo periodo. Cioè, il famoso compromesso e l'appoggio dei comunisti al governo, anche se non gradito agli americani e nemmeno ai russi (!).
Se nell'ipotesi gli americani avessero voluto far fallire questa intesa, non c'era bisogno di rapirlo, l'avrebbero fatto assassinare subito e basta. Morto lui "le tentazioni di trovare soluzioni tra le forze antidemocratiche" più nessuno le avrebbe avute. E la colpa andava implicitamente al terrorismo "rosso", ed esplicitamente ai comunisti. 

Anzi, gli americani perfino si attivarono, e inviarono in Italia uno dei maggiori esperti del terrorismo mondiale: STEVE   PIECZENIK. Giunto a Roma in mezzo a gente che sembrava non sapere cosa fare, si ritrovò invece  scomodo  quando suggeriva la strategia e le tattiche da seguire per portare a termine con successo il negoziato con le BR.
In seguito scriverà: "Troppe scuse furono addotte per giustificare il perchè  i miei suggerimenti non potevano essere seguiti. Presto ho avuto la sensazione che non vi fosse la volonta' politica di salvare Aldo Moro, e ho intuito che la mia presenza in veste di esperto serviva solo a legittimare le indagini del governo italiano; per questo me ne sono andato prima del previsto". (sembra il suo racconto, quello di Taylor a Roma con Badoglio, pochi giorni prima dell'8 settembre '43).

Mai più Piecznik immaginava che sarebbero stati accusati gli americani della Cia. Infatti l'8 agosto fu pubblicato sul periodico Panorama, un articolo dal titolo "Moro come Kennedy" a firma di Filippo Ceccarelli.
Il punto chiave di questo articolo era la tesi secondo cui l'eliminazione fisica di Moro dalla scena politica era molto probabilmente opera degli americani dato che gli americani avevano motivo di essere delusi da Moro (qui venne comodo la nota di Gardner - che abbiamo citato il 28 febbraio scorso)   a causa sia della sua linea politica interna, come ministro degli affari esteri, sia della sua politica interna, in particolare per quanto riguardava l'apertura ai comunisti nella maggioranza di governo.

Una linea questa che verrà decisa al Consiglio della DC  del successivo 29-31 giugno, quando ZACCAGNINI tenne effettivamente un simile discorso al meeting, e subito dopo   FRACANZANI propose di istituire una commissione per far luce sul coinvolgimento dei servizi speciali stranieri.

29 MARZO - Nel teso clima della "strage di via Fani" e con Moro in mano alle BR, si apre a Torino il congresso del PSI. Si confrontano due correnti, quella di CRAXI-SIGNORILE che ha la meglio con il 63% su quella di MARTINO-MANCA che poi si scioglierà. Nel congresso l'argomento dominante é naturalmente il rapimento di Moro, e  quale atteggiamento assumere, quale strategia da adottare.
La posizione sembra netta, ed è quella di prendere le distanze dalla DC e dal PCI  e dalla loro "linea della fermezza". Il PSI si attiva dunque per condurre delle autonome trattative trovando canali privilegiati per entrare in contatto con esponenti di Autonomia.

MA ANDIAMO ORA NEL MESE PIU' OSCURO E DRAMMATICO
DEGLI ULTIMI ANNI DELLA POLITICA ITALIANA: IN APRILE

 

a1978u.jpg (20168 byte)

Nelle redazioni dei quotidiani si dibatte l'opportunità di accettare l'invito - avanzato da certi settori politici - alla "cautela", e a  non fare da cassa di risonanza ad eventuali comunicati delle BR. Ci sono vibrate proteste di principio ma quasi tutti gli organi informativi esercitano inizialmente una certa autocensura.
Ma a cominciare da oggi, 1 aprile,  tutti i giornali riporteranno d'ora in avanti in prima pagina sia le lettere di Moro sia i  messaggi delle BR, che iniziano a far trovare i comunicati contemporaneamente in luoghi e giornali diversi .
E i giornali non sono scelti a caso!

29-30 MARZO - Ore 18,15, Viminale.- LA PRIMA LETTERA DI MORO - Agli inquirenti la lettera che giunge sembra proprio autentica, e forse prelude a una richiesta di scambio. Cinque fogli di quaderno che passano alla storia. E' il primo appello "riservato" di ALDO MORO al mondo politico italiano. La veglia, l'attesa, era durata 14 giorni, 14 lunghe notti dentro i palazzi degli uomini di governo che cercavano uno piccolo spiraglio in una..... (si é poi scritto) "indagine difficile". (ma non proprio tanto impegnata).

Prima ancora del 3° Comunicato delle BR (fatto poi  trovare successivamente alle 20,45 al Messaggero, assieme alla copia inviata al Viminale, così resa pubblica) questa volta c'è questa novità: un documento dove le BR hanno anche "fatto parlare" il prigioniero.
E' uno scritto a mano di  Moro, che molti (!) subito non riconoscono essere la sua calligrafia  e nemmeno il suo stile come sintassi(*) e come pensiero (anni dopo Forlani a Tangentopoli, per molto molto meno, davanti a Di Pietro non conservò né lo stile nè il suo forbito pensiero, fece tanti bla bla con la bava alla bocca).

La lettera di Moro é indirizzata personalmente al "Caro Francesco (COSSIGA, allora ministro degli Interni, Ndr).... sono indotto da difficili circostanze a svolgere dinanzi a te avendo presenti le tue responsabilità alcune lucide e realistiche considerazioni......Sono considerato un prigioniero politico, e sottoposto, come presidente della DC, ad un processo diretto ad accertare le mie trentennali responsabilità.....l'addebito si rivolge a me in quanto esponente qualificato della DC nel suo insieme nella gestione della sua linea politica. In verità siamo tutti noi del gruppo dirigente che siamo chiamati in causa; è il nostro operato collettivo che è sotto accusa e di cui devo rispondere.....Riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato (*), sottoposto a un processo popolare che può essere opportunamente graduato....(*), (Moro prosegue analizzando la sua situazione e comparando casi simili al suo, avvenuti in tutti gli Stati del mondo, risoltisi poi con uno scambio di prigionieri, ) "..... e non si dica che lo Stato perda la faccia perchè non ha saputo o potuto impedire il rapimento di un alta personalità che significa qualcosa nella vita dello Stato.....Un atteggiamento di ostilità sarebbe un'astrattezza e un errore. Che Iddio vi illumini per il meglio evitando che siate impantanati in un doloroso episodio dal quale potrebbero dipendere molte cose".

(*) La sintassi era errata, ma Moro voleva forse mandare dei segnali dove si trovava sequestrato, e come fare per trovarlo, cioè  in un con - dominio pieno e incontrollato, popolare....che se opportunamente graduato (cioè se ispezionato a tappeto poteva essere scoperto).

5 APRILE - Le BR rendono pubblico inviandolo alla Repubblica, il Comunicato N. 4 e una lettera di Moro a  ZACCAGNINI intendendo lui rivolgersi anche a Piccoli, Cossiga, Fanfani, Andreotti, Gaspari Galloni...  "....Assumetevi le responsabilità che sono individuali e collettive. Innanzitutto della DC alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare.......Dare alla mia questione l'unica soluzione possibile, prospettando la liberazione di prigionieri da ambo le parti..... Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la DC.... Gli altri... parlo innanzi tutto del PCI che va affermando l'esigenza della fermezza...." e Moro ricorda a loro che quel mattino a via Fani stava recandosi alla Camera  per consacrare un governo  con il loro appoggio.
Ma poi nuovamente rivolgendosi alla DC..."In verità mi sento anche un po' abbandonato da voi".

Al plico è accluso un opuscolo. Si tratta della Risoluzione della direzione strategica  delle BR, che solo perchè composto da una settantina di pagine i quotidiani pubblicano solo alcuni stralci.
Nello stesso tempo la famiglia segue una linea autonoma - dissociandosi così dalla DC di Zaccagnini - nel rispondere ad alcuni messaggi che gli giungono attraverso postini vari. La moglie lo fa  pubblicamente sul Giorno scrivendo una lettera rivolgendosi al marito.
Stranamente alcune lettere inviate alla famiglia, sono pubblicate su una nuova rivista settimanale, OP (prima era un foglio d'informazione) da un giornalista che diventerà presto uno dei protagonisti dell'"anno oscuro": MINO PECORELLI

10  APRILE - A molti giornali (Repubblica, Messaggero, Gazzetta de Popolo, Stampa, Secolo XIX, e all'Ansa di Genova) arriva il Comunicato N. 5 delle BR. All'indomani subito pubblicato. "L'interrogatorio del prigioniero prosegue e, ci aiuta validamente a chiarire le linee antiproletarie, le trame sanguinarie e terroristiche che si sono dipanate nel nostro Paese (che Moro ha sempre coperto), ad individuare con esattezza le responsabilità dei vari boss democristiani, le loro complicità, i loro protettori internazionali, gli equilibri di potere di trent'anni di regime DC. L'informazione e la memoria di Aldo Moro non fanno certo difetto...."
Assieme al comunicato, una lettera  di Moro, dove contesta polemicamente un Taviani (che ha letto sui giornali) irrispettoso e provocatorio nei suoi confronti, rivelando così dispute trentennali  con questo personaggio  che ha nella sua carriera politica delle virate brusche in tutte le correnti, a sinistra e a destra. E' un atto di accusa. Infine, Moro conclude,  ricordando che Taviani ha sempre avuto contatti diretti e fiduciari con gli americani, e si chiede chiudendo la lettera " Vi è forse, nel tener duro contro di me , un'indicazione americana e tedesca?"

15 APRILE - A Repubblica giunge il Comunicato N. 6. Inizia così: "L'interrogatorio al prigioniero è terminato...... Non ci sono clamorose rivelazioni da fare...Certo l'interrogatorio ad Aldo Moro  ha rivelato le turpi complicità del regime, ha additato con fatti e nomi i veri e nascosti responsabili delle pagine più sanguinose della storia degli ultimi anni, ha messo a nudo gli intrighi di potere, le omertà che hanno coperto gli assassini di Stato, ha indicato l'intreccio degli interessi personali, delle corruzioni, delle clientele....." e termina.... "Aldo Moro è colpevole e viene pertanto condannato a morte". (ma se sapevano tutte queste cose che affermavano erano più destabilizzanti queste che non lo stesso assassinio di Moro - Con il suo cadavere non avrebbero risolto nulla. Come del resto poi avvenne).

18 APRILE - Al Messaggero giunge il Comunicato N. 7 (ma si sospetta della sua autenticità) in cui si annuncia   l'evvenuta esecuzione di Moro, indicando il luogo ove giace il suo cadavere: al Lago Duchessa in provincia di Rieti. Risulta questo un comunicato falso (si dirà in seguito)  per sviare le indagini in via Gradoli dove c'era la centrale operativa delle BR che gestiva il sequestro Moro e che accidentalmente (per una (sembra non proprio casuale)  infiltrazione d'acqua) fu scoperto (ma quando non c'era dentro più nessuno.

20 APRILE  - E' smentito il comunicato falso N. 7,  le BR inviano quello vero con la fotografia di Moro con in mano La Repubblica. Questa volta i brigatisti vogliono trattare la liberazione di Moro con i prigionieri comunisti rinchiusi nelle carceri; fissando il termine per una risposta "chiara e definitiva":  le ore 15 del 22 aprile.

21 APRILE - La DC appare sempre più decisa a non trattare. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro, che contiene  rimproveri per il suo atteggiamento ma anche  un disperato messaggio. Moro "...mi sento sul punto di morire, per aver detto di Sì a quell'equivoca Presidenza del Partito (in quel famoso giorno che accettò e che abbiamo già ricordato, con la sua stessa voce) e aver detto di Sì alla DC. Tu hai dunque una responsabilità personalissima. Il tuo NO e il tuo SI sono decisivi"
Ma la linea della DC e di Zaccagnini è quella della fermezza. "Non si tratta con i brigatisti".

22 APRILE - Interviene Papa PAOLO VI con un accorato appello ai brigatisti perchè restituiscono Moro alla sua famiglia "senza condizioni" (una frase questa che sembra gli sia stata imposta, e che toglie ogni illusione a Moro di uscirne vivo).
Sono stati preceduti da appelli della Caritas. Amnesty International si è offerta come interlocutrice delle BR. Scopriremo in seguito che anche la mafia siciliana (Buscetta, Bontade, Badalamenti) si era attivata, ma il loro contributo fu sdegnosamente rifiutato "e poi dopo cosa vorranno?" disse qualcuno nel "Palazzo".
(Ma con il prossimo sequestro di Cirillo lo Stato trattò proprio con la Mafia).

24 APRILE - Dall'ONU giunge un appello del presidente YOUNG per liberare Moro. Panama offre  ai terroristi   in cambio di Moro liberato, asilo politico. Intanto la stampa riceve il Comunicato N. 8 con i nomi dei prigionieri da liberare in cambio della vita di Moro.
Una terza accorata lettera di Moro la riceve  ancora Zaccagnini. Una lettera dura, dove Moro è già cosciente  che non gli sarà risparmiata la vita, "chiedo che ai miei funerali non partecipino nè autorità dello Stato nè uomini del partito. Chiedo di essere seguito dai pochi  che mi hanno veramente voluto bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore".

25 APRILE - Appello del segretario generale dell'ONU per la liberazione dello statista, che però suscita polemiche perchè usa un termine che suona come un riconoscimento al terrorismo delle BR. Si appella al rilascio indicando che "l'angoscia che provoca alla sua famiglia, e nel mondo intero che segue la vicenda, può soltanto danneggiare il vostro "obiettivo" (purposes- interpretato come  causa, scopi).  Una eresia si disse, e a Roma a qualcuno non fu  proprio gradita. Come non era gradito PIECZENIK. Insomma non si volevano intrusi.

26 APRILE - Lettera della famiglia ad Aldo Moro pubblicata dal Giorno. E' il bisogno dei figli e della moglie di far giungere al padre e sposo il loro affetto e di far sapere che almeno loro  sono vicini.

27 APRILE - Dissociandosi dalla linea di fermezza, CRAXI chiede che lo Stato compia atti di clemenza verso i detenuti, magari con un brigatista malato. Della mediazione di Craxi ormai si parla in giro con insistenza, si sono trovati dei canali di contatto per condurre trattative. Fra l'altro non è il solo.
La dissociazione è anche avvenuta dentro le BR, tra chi vuole andare fino in fondo subito radicalmente, e chi invece attende segnali di aperture, perchè affermano questi ultimi, la morte di Moro non gioverebbe certo alla causa; ci si caccerebbe in un vicolo cieco. (qualcuno è realista!!)

Ma la linea dura del governo, soprattutto della DC che non vuole intraprendere trattative (nemmeno umanitarie come quelle che sono state avanzate da Craxi e da altri) sono ribadite la sera stessa da ANDREOTTI al TG, che ribadisce il NO del governo a OGNI trattativa. Quindi nessun spiraglio, da qualsiasi parte esso provenga.

29 APRILE - La famiglia per canali diversi riceve altre  lettere dal loro congiunto (anche se alcune mancano all'appello - come dirà in seguito il fratello e il figlio), ma quella di oggi a loro indirizzata e resa pubblica, ed è diretta palesemente alla DC.  C'è molta tristezza di essere stato abbandonato. Moro segue sui giornali dalla sua prigionia le dichiarazioni che i suoi colleghi vanno rilasciando alla stampa, e ne è indignato; angosciato soprattutto per " non avere il coraggio civile di aprire la DC un dibattito all'interno sul tema proposto che è quello della mia vita..... E' possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale?... Possibile  che non vi siamo coraggiosi che la chiedano? Chiedo al mio partito se questo è ammissibile? "... Moro appare  profondamente deluso
"Ma questo bagno di sangue non andrà bene nè a ZACCAGNINI, né per ANDREOTTI, né per la DEMOCRAZIA CRISTIANA, nè per il Paese; ciascuno porterà le sue responsabilità". (Sono, i primi tre, presagi che poi colpiranno nel segno).

30 APRILE - Moro ha seguito sulla stampa dalla sua prigionia  anche CRAXI. A lui con una lettera si rivolge. "Caro Craxi, ho colto, pur tra le notizie frammentarie che mi pervengono, una forte sensibilità umanitaria del tuo partito in questa dolorosa vicenda, sono qui a scongiurarti di continuare  ed anzi accentuare la tua importante iniziativa....La Dc sembra non capire....Ti sarei grato se glielo spiegassi tu....".

Moro invierà altre lettere ai "suoi amici", Piccoli, Fanfani, Misasi, Andreotti, e perfino a Ingrao. I destinatari   non le metteranno mai a disposizione. Verrà invece resa nota - pubblicata il 4 maggio -   quella di poche righe inviata a LEONE, nella quale Moro si appella a lui come presidente della Repubblica di "rendere possibile un'equa e umana trattativa  per scambio di prigionieri che mi consenta di essere restituito alla mia famiglia"

a1978za.jpg (16650 byte)

 

1 MAGGIO - Appello della famiglia MORO ai dirigenti DC. E' un accusa d'immobilismo ai sedicenti   "amici";  un invito a non considerare pazzo il loro congiunto, ma ad assumersi responsabilità,  convocando il Consiglio nazionale della DC come ha indicato lui, l'uomo che ne è ancora il suo Presidente; scrivendo "non serve negare la dura realtà, occorre invece affrontarla con lucido coraggio".

3 MAGGIO - La vicenda Moro passa dai partiti al governo, e dal governo al Parlamento. La direzione della DC, infatti,  ha deciso di lavarsene le mani del "caso Moro" e d'investire  il governo.
Una mossa che annulla così il successo tattico ottenuto due sere prima da CRAXI alla sede della DC, quando una piccola ma autorevole parte democristiana sembrava  impegnata a dare un giudizio positivo sulle proposte indicate dai socialisti.
Troviamo, infatti, FANFANI - l'unico della vecchia guardia - a difendere il suo storico "nemico" e a schierarsi con i socialisti per la rottura  del fronte della fermezza pur di salvare Moro, anche a costo di spaccare (ed è prevedibile che questo accada)  il suo partito, la DC (Vedi giorno 8).

ANDREOTTI ora svincolatosi da Piazza del Gesù, a nome quindi del governo che presiede,   in Parlamento, ai giornali e direttamente in Tv,  ribadisce un secco NO a qualsiasi trattativa.
CRAXI per la vita di Moro aveva chiesto alla DC; "ma almeno liberatene uno di brigatista, che non ha reati gravi di sangue, magari uno malato". Ma la DC non cede. NO! e poi NO!
Nell' "occhiello" sopra di Repubblica MIRIAM MAFAI racconta questa "notte drammatica"  alla sede della DC, che  però i democristiani   negano essere stata tale. "L'attacco di Craxi é stato molto duro, "spietato", "allucinante", diretto personalmente a Zaccagnini, il duro".

5 MAGGIO - Giunge alla stampa il Comunicato N.9. "Moro è stato condannato a morte. Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza". - Altre convulse trattative. Polemiche tra PSI e il PCI e gli altri partiti che insistono sulla necessità della fermezza.
Il comportamento del PCI - secondo alcuni - fu negativo, secondo altri  "nell'aver scelto  Berlinguer questa linea  contribuì a salvare l'Italia dallo sfacelo sia pure a prezzo della vita di Moro" (Montanelli).

Ma forse la ragione principale era che se il PCI si schierava dalla parte dei brigatisti  si sarebbe detto che c'era connessione tra loro e l'area dei combattenti. Ed era l'ultima cosa che voleva fare Berlinguer dopo aver preso da tempo le distanze dai "figli ribelli".
Dunque, il suo appoggio al NO non fu  una scelta volontaria ma una necessità.
(forse anche "imposta" dai dirigenti sovietici che da tempo non gradivano che si stringessero rapporti con organizzazioni della lotta armata in Italia. E mentre circolavano in Italia voci secondo cui alcune basi delle BR erano ubicata in Cecoslovacchia, nello stesso tempo circolavano voci che c'erano forti pressioni dei sovietici sul PCI a non sollevare questa questione.

6-7 MAGGIO - Due giorni di stallo. L'attesa é plumbea. Ma quel gerundio dei brigatisti (eseguendo) lascia però aperta la speranza. Chi si è attivato nel cercare una soluzione non demorde. Spiragli di ottimismo ci sono. Nelle stesse BR la linea dura è cambiata. CURCIO ha trovato con GUISO (suo avvocato,  che così inizia a fare la spola Torino- Roma per il PSI) la soluzione per far uscire fuori dal vicolo cieco le due parti: "basta che liberano un uomo solo, facendo intervenire magari la Caritas per salvare la faccia. Se non lo fanno vuol dire che Moro lo vogliono morto".

8 MAGGIO - Tarda serata, notte fonda. Viene deciso in poche ore il destino di Moro. FANFANI incontra a Palazzo Giustiniani i socialisti che hanno in mano la soluzione "Curcio-Guiso"  Nell'estremo tentativo di salvare la vita al collega, Fanfani ha deciso e si appresta a parlare e a leggere il mattino dopo, giorno 9 maggio, alla riunione della Direzione della DC, una dichiarazione con un riconoscimento delle BR come "formazione politica", e come tale l'eventuale scambio di due prigionieri di uguale valore politico.
Leone aveva già la penna in mano per firmare la grazia alla terrorista in carcere, Paola Besuschio. SIGNORILE che guida la delegazione socialista dice che non basta solo Fanfani, ci vuole una dichiarazione ufficiale del Segretario politico del partito, Zaccagnini.
E qui siamo al punto critico. Al punto del non ritorno. Ancora poche ore e si assisterà o alla spaccatura della DC o al proseguimento della  la linea della fermezza, che significa..... firmare la definitiva sentenza di morte di Moro. Se c'era un perverso gioco politico - come aveva immaginato Moro - non poteva che finire così.

Sulla capitale, nella notte, in un certo ambiente, non vennero evocati i portatori di saggi consigli, ma si sollecitò la "signora" a intervenire con la falce in mano. Infatti, il mattino del 9, le BR, non attesero l'esito dell'intervento di Fanfani alla riunione della direzione DC. Alle ore 9 le BR uccisero Moro. E uccisero anche la speranza di un riconoscimento politico. (un boomerang).
Ora in caso di cattura non  potevano più appellarsi per questo e altri delitti alla convenzione di Ginevra come soggetti politici. All'orizzonte solo ergastoli. Addio sogno di diventare un partito rivoluzionario. Tutto finito. Con tanti errori. Con i protagonisti che li hanno commessi. E questo è ancora un mistero!

 

PROSEGUI CON I SUCCESSIVI FATTI > > >

OPPURE RITORNA CON IL BACK
ALLE TABELLE

< < alla HOME PAGE DI STORIOLOGIA