ANNI 1343 - 1352

REGNO DI NAPOLI - LA REGINA GIOVANNA

 
 MORTE DI FEDERICO III DI SICILIA E DI ROBERTO D'ANGIÒ - GIOVANNA I REGINA DI NAPOLI - PAPA CLEMENTE VI - CONGIURA CONTRO ANDREA D' UNGHERIA, MARITO DI GIOVANNA - ASSASSINIO DI ANDREA - PROCESSI E CONDANNE - LUIGI D' UNGHERIA SI PREPARA A VENDICARE LA MORTE DI ANDREA - ASSEDIO DI ZARA - II RE D'UNGHERIA IN ITALIA - FUGA DELLA REGINA GIOVANNA - UCCISIONE DI CARLO DI DURAZZO - AVIGNONE VENDUTA AL PONTEFICE - LA PESTE DEL 1348 - RITORNO DI GIOVANNA A NAPOLI E GUERRA CON IL RE LUIGI DI UNGHERIA - PROCESSO E ASSOLUZIONE DELLA REGINA GIOVANNA - INCORONAZIONE DELLA REGINA GIOVANNA E DI LUIGI DI TARANTO

GIOVANNA I DI NAPOLI
ASSASSINIO DI ANDREA D' UNGHERIA
PRIMA DISCESA IN ITALIA DEL RÈ LUIGI D' UNGHERIA


II 16 gennaio del 1343 cessava di vivere in Napoli ROBERTO d'ANGIÒ. 
Sei anni prima, il 24 giugno del 1334. era morto il suo accanito rivale, Federico III di Sicilia, lasciando la corona al figlio Pietro, e Roberto aveva cercato di trarre profitto dalla debolezza del nuovo sovrano e dalle discordie che erano sorte nell' isola per impadronirsi del regno dal quale il suo avo era stato cacciato. 
Una nuova guerra era perciò nata tra Angioini e gli Aragonesi che -senza alcun risultato dei primi-  era durata per tutto il regno di Pietro, il quale s'era spento l' 8 agosto del 1342, lasciando lo scettro al primogenito Luigi, che per essere di tenera età era stato affidato alle cure di Giovanni, duca di Randazzo, fratello del defunto sovrano. 
Roberto d'Angiò moriva senza prole. Dell'unico figlio, Carlo di Calabria, morto nel 1328, rimanevano due figliuole, Giovanna e Maria. Quest'ultima era andata sposa a Carlo di Durazzo, figlio del principe Giovanni di Morea, fratello di re Roberto; la prima era stata nel 1333 maritata in età di cinque anni al settenne Andrea, secondogenito del re Cariberto di Ungheria. 

Con questo matrimonio la corona del reame di Napoli era destinata a ritornare al ramo di Carlo Martello cui Roberto, nel 1309, favorito da Clemente V, l'aveva tolta. Ma questo matrimonio tra cugini  non era stato felice.
 Andrea nei suoi dieci anni di soggiorno (1333-1343) non aveva smesso di comportarsi rozzo com'era fin da fanciullo e questo non poteva renderlo accetto alla moglie, bella, elegante, colta, nata e cresciuta tra le finezze e le galanterie della più corrotta corte di Europa. 
Una vivissima antipatia divideva i due giovanissimi coniugi che, alla morte di Roberto, si mutò in aperta ostilità, fomentata dai parenti e cortigiani di Giovanna e dai consiglieri ungheresi del principe consorte. 

Siccome il reame di Napoli era vassallo della Chiesa, papa CLEMENTE VI, succeduto nel 1342 a Benedetto XII, mandò un legato che investì Giovanna I del regno e ne ricevette il giuramento di fedeltà. Anche Andrea avrebbe voluto essere incoronato, ma il suo desiderio fu vivamente contrastato dai congiunti della regina ed egli dovette accontentarsi del titolo di duca di Calabria. 
Questo fatto inasprì maggiormente il dissidio tra i due coniugi e, secondo quel che ne scrivono i cronisti, sovente l'ira di Andrea si sfogava sui principi di sangue reale, sui cortigiani, sui baroni, minacciati di terribili vendette, e molto spesso sulla stessa regina, la quale si consolava dell'odio coniugale con l'amore che nutriva per Luigi principe di Taranto, suo congiunto anche questo ma favorita in questa illecita relazione dalla madre di quest'ultimo, CATERINA di VALOIS, imperatrice nominale di Costantinopoli. 

Frivola ed inesperta, Giovanna era completamente in balia dei parenti e dei cortigiani, specialmente di Caterina, la quale, ambiziosissima, forse vagheggiava pel figlio Luigi la corona di Napoli e vedeva in Andrea l'unico ostacolo alla realizzazione dei suoi sogni. Parenti e cortigiani, mossi dal desiderio di giovare a se stessi o spinti dalla notizia che il Pontefice avrebbe mandato un legato per incoronare Andrea, di cui temevano le vendette, decisero di sopprimere il principe ed ordirono una congiura, della quale non è certo se Giovanna fosse consapevole e, come alcuni vogliono, partecipe. 

Facevano parte della congiura un bastardo di Roberto, il conte d'Artusio col figlio Bertrando, Caraffello Caraffa, i conti di Tralizzo e di Eboli, i conti della Stella, Pace di Turpia,  Nicola di Merizzano, il gran maresciallo Giacomo Capanno, Filippina la Catanese, ancella fidatissima della regina, e Tommaso e Massolo della Lionessa, camerieri del principe. 
I congiurati stabilirono di sbarazzarsi del re fuori della capitale. 
Il 18 settembre del 1345 fu organizzata una caccia nelle campagne d'A versa, cui presero parte Andrea e Giovanna I col loro seguito. La sera di quel giorno i due augusti sposi presero alloggio nel convento del Murrone. Durante la notte un cameriere andò ad avvertire Andrea che da Napoli era giunto un corriere con notizie importantissime e che i ministri aspettavano il principe per consigliarsi con lui. Andrea uscì dalla camera, ma giunto in un corridoio vicino, fu assalito da alcuni uomini armati e, dopo una sua opposta energica resistenza, fu strangolato. Il suo cadavere venne buttato da una finestra nel giardino e dai congiurati sarebbe stato certamente fatto sparire se la nutrice Isolda, attratta dal rumore della colluttazione, non avesse scoperto ciò che era avvenuto.

 La corte, dopo il delitto, se ne tornò a Napoli e la salma di Andrea venne sepolta nella chiesa di San Luigi. La notizia di un sì orrendo misfatto commosse tutta l' Europa, e Clemente VI ordinò a Beltramo del Balzo, gran giustiziere del reame di Napoli, di scoprire e punire senza pietà gli assassini. Gli autori materiali del delitto non tardarono ad essere individuati e, dopo atroci torture, vennero giustiziati; ma la voce pubblica accusava come istigatrice del misfatto la stessa regina, che intanto aveva dato alla luce un figlio cui era stato posto il nome di Carlo. 
Nel medesimo tempo i principali baroni del regno, amici o nemici del morto principe, temendo delle sorprese o volendo approfittare dell'anarchia in cui era caduto il reame, si armavano; assoldavano mercenari Roberto e Luigi di Taranto, alcuni armati predisponeva la regina e lo stesso faceva Carlo di Durazzo, il quale, essendo sposo di Maria d'Angiò, sperava di salire sul trono di Napoli. 

Più di tutti la notizia dell'assassinio aveva commosso Luigi re d'Ungheria, fratello del morto, il quale prestava fede alle accuse di complicità che si facevano alla cognata e alle lettere che lei gli scriveva per scolparsi rispondeva: « Giovanna, i disordini della tua vita passata, l'ambizione che ti fece ritenere la potestà regia, la vendetta trascurata e le scuse addotte mi fanno ritenere che tu sia stata consapevole e complice dell'uccisione di tuo marito ».
 Nel maggio del 1346 Luigi d' Ungheria spedì ambasciatori al Pontefice chiedendo che Giovanna fosse deposta, che il figlio Carlo fosse affidato alle cure della nonna paterna Elisabetta e infine che durante la minorità dell'erede il reame fosse governato da un consiglio di reggenza. 

Non soddisfatto della risposta di Clemente VI, Luigi armò un esercito, deciso di vendicare l'assassinio del fratello. Sperava egli d' imbarcarsi con le truppe a Zara, ma questa città ancora una volta si era ribellata ai Veneziani e si trovava allora bloccata da una flotta della repubblica. Il re d'Ungheria tentò di liberare Zara, ma non vi riuscì: la città anzi, non potendo più sostenere gli assalti e la fame, nel dicembre del 1346 tornò sotto l'obbedienza di Venezia e il sovrano ungherese, falliti i suoi sforzi di aprirsi una via verso il mare, si era ritirato, rimandò la spedizione nel reame di Napoli, e impiegò parte dell'anno seguente a procurarsi libero passaggio attraverso l'Italia per mezzo di un vescovo suo fratello che gli guadagnò l'amicizia di quasi tutte le terre d'Abruzzo. 

Il re d' Ungheria si mosse da Buda il 3 novembre del 1347; proprio quando la regina Giovanna, che il 20 agosto di quell'anno aveva sposato il cugino Luigi di Taranto, per non attirarsi addosso un altro nemico faceva pace con la Sicilia, rinunziando ai suoi diritti sull'isola e riconoscendone l'indipendenza. 
Re Luigi prese la via di terra, facendo sapere che non voleva turbar la pace degli Stati che attraversava, ma che si recava a punire i colpevoli di un atroce misfatto. E così non solo ebbe la via libera, ma dovunque ebbe onorevole  accoglienze, e durante il cammino vide ingrossare il suo esercito con turbe di avventurieri che accorrevano a mettersi sotto le sue insegne. 
A Udine lo ricevette il patriarca di Aquileia; a Cittadella fu colmato di onori da Jacopo da Carrara, il quale nell'aprile del 1345 si era insignorito di Padova uccidendo il cugino Marsilietto, succeduto ad Ubertino quaranta giorni prima; a Verona fu ospite di Mastino II della Scala e a Modena ricevette liete accoglenze dal marchese Obizzo d'Este. Qui venne a trovarlo Filippino Gonzaga, capitano di buona reputazione, figlio del vecchio Luigi signore di Mantova e Reggio, il quale si offrì di accompagnarlo con centocinquanta cavalieri nell'impresa di Napoli. A Bologna con onori lo accolse il Pepoli, ma Imola e Faenza, che ubbidivano al Papa, non vollero riceverlo entro le loro mura; invece generosa ospitalità gli accordò Forlì di cui era si-gnore Francesco Ordelaffi che si unì al sovrano nella spedizione. 

A Forlì il re d' Ungheria ricevette gli ambasciatori di Firenze venuti a portargli i saluti della repubblica, poi andò a Rimini dove i Malatesta non gli fecero minori accoglienze degli altri signori. 
A Foligno, dove fu ospite di Ugolino dei Trinci, gli si presentò un legato pontificio, il quale lo invitò a rinunziare all'impresa, superflua perché i colpevoli del delitto erano già stati puniti, e illegale perché il reame di Napoli apparteneva alla Chiesa, al cui Capo il re doveva fare ricorso se voleva far valere i suoi diritti. 
Abbiamo dal Villani la risposta che Luigi d' Ungheria diede al legato: « Andate a dire al nostro Santo Padre che più di duecento colpevoli rimangono ancora impuniti in quel regno che mi è dovuto per diritto ereditario. Penso che con l'aiuto di Dio di farvi la miglior giustizia, e quando mi sarò posta la corona in capo, non rifiuterò alla Chiesa l'omaggio e il tributo dovutole. Se voi frattanto mi scomunicate, mi appellerò a Dio della vostra sentenza; egli è più grande del Papa, e conosce la giustizia della mia causa ». 

Da Foligno il re d' Ungheria proseguì il suo cammino e prima che l'anno terminasse giunse ai confini del reame senza incontrare nessuna resistenza per l'opera che in questi luoghi era stata fatta dal fratello. 
Aquila gli aprì festosamente le porte, e al sovrano si presentarono i principali baroni abruzzesi. Di là passò a Sulmona e, avendo ricevuto notizia che Luigi di Tarante era andato a Capua con un esercito per chiudere il passo del Volturno al nemico, prese la via di Benevento, dove giunse l' 11  gennaio del 1348 alla testa di seimila cavalieri, che erano comandati dal duca Guarnieri d' Urslingen. 

La regina Giovanna intanto se ne stava in Napoli, dubbiosa sul partito da prendere. Però quando seppe che molti baroni del regno erano andati ad ingrossare le schiere del sovrano d' Ungheria e che l'esercito del nuovo marito si andava assottigliando per le continue defezioni, non sentendosi più sicura nella stessa capitale del reame che con un'ambasceria aveva sollecitata la venuta del re, stabilì di fuggire. Partì, infatti, con una nave il 15 gennaio alla volta della Provenza. L'esempio della moglie fu imitato dal principe Luigi di Taranto. Non essendo troppo sicuro della fedeltà delle sue truppe, lasciò Capua e insieme con il gran siniscalco Nicola Acciaiuoli fece ritorno a Napoli; qua si mise in mare e navigando lungo la costa tirrena raggiunse la consorte in Provenza. 
Allora tutte le città del reame mandarono ambasciatori a Luigi per rendergli omaggio e fare atto di sottomissione. Da Benevento il re d' Ungheria mosse verso Napoli, ricevendo per via l'omaggio di altri baroni e dei principi del sangue tra i quali era Carlo di Durazzo; ma prima però di entrare nella capitale volle fermarsi ad Aversa a visitare il Convento del Murrone, dove era stato assassinato suo fratello. Accecato dal dolore alla vista dei luoghi dove Andrea era caduto vittima del più nero tradimento o volendo mettere in esecuzione un piano da parecchio tempo meditato, il 24 gennaio del 1348, Luigi d' Ungheria, trovandosi nel corridoio, che era stato teatro del delitto, investì con atroci ingiurie Carlo di Durazzo, dicendolo complice del misfatto e meritevole di morte. 

A quelle parole un Ungaro colpì nel petto il Duca, altri lo afferrarono e lo precipitarono da quella stessa finestra dalla quale era stato gettato Andrea. Morto Carlo di Durazzo, il re d' Ungheria entrò a Napoli, e primo suo pensiero fu quello di ordinare che si rifacessero i processi per l'assassinio del fratello. 
L'opera iniziata da Beltramo del Balzo fu così seguita dai ministri del nuovo sovrano ed altre teste caddero. Il re, credendosi oramai sicuro, congedò gran parte delle truppe mercenarie che teneva al suo soldo e con esse il duca Guarnieri. Questi non rimase lungo tempo disoccupato. Sapendo per esperienza quali e quanti vantaggi si potessero conseguire con una numerosa banda di ventura, riunì sotto di sé i mercenari licenziati e formato una nuova grande compagnia si gettò nello stato della Chiesa, annunziando con i saccheggi e con le violenze ai pacifici abitanti di quelle terre la ricomparsa del terribile flagello che dopo cinque anni, tornava ad imperversare nelle contrade italiane.

Ma già un altro flagello, più terribile della compagnia del duca d' Urslingen, imperversava allora in Italia. Preceduta da anni di grande carestia e portata dall'Oriente da navi genovesi, la peste bubbonica mieteva vittime nella penisola, oltre che in tutte le contrade d' Europa. 
Era la grande peste che lasciò Trapani senza abitanti; quarantamila ne uccise in Genova; sessantamila a Napoli; centomila a Firenze. Riempì di lutto e di desolazione tutta l'Italia e che il Boccaccio magistralmente descrisse nell'introduzione al suo Decamerone.


LA PESTE (NERA) 


Nel mese di ottobre 12 navi mercantili genovesi giunsero nel porto di Messina, con a bordo alcuni marinai morti ed altri in fin di vita. Le navi provenivano dalla città di Caffa, in Crimea, dove i genovesi avevano costituito una base commerciale.
La città era assediata da quasi tre anni dai tartari guidati da Khan Djanisberg, anche se alcune navi riescirono ad entrare ed uscire dal porto, consentendo agli assediati di resistere per lungo tempo.

Alla fine del mese di settembre si diffuse improvvisamente tra l'esercito tartaro un morbo letale che faceva strage di soldati, allentando notevolmente la morsa dell'assedio.
Ben presto, però, la malattia raggiunse anche i cittadini di Caffa che morirono a migliaia.
I marinai genovesi, che riuscirono a partire dalla città, avevano già contratto il morbo, ma comunque portarono le loro navi fino alle coste del Mediterraneo e toccarono terra nel porto siciliano.
I malati presentavano degli strani rigonfiamenti all'inguine e sotto le ascelle, di colore nero, trasudanti sangue e pus.
Anche il resto del corpo era pieno di macchie nere, causate dall'emorragie interne che provocavano dolori lancinanti e portavano alla morte nell'arco di 5 giorni.
In altri casi la febbre molto alta e l'emorragia polmonare provocavano il decesso in sole 24 ore.

E' la peste bubbonica che mette piede sul continente europeo dopo essersi diffusa nel medio e nell'estremo oriente.
La malattia si presenta in due forme: una che inquina il sangue e viene trasmessa per contatto, con i sintomi dei bubboni e delle macchie nere, l'altra, più violenta, che interessa le vie respiratorie, quindi si trasmette più facilmente per via aerea.
Quando gli abitanti di Messina si accorgono che gli improvvisi casi di morte sono da ricollegarsi all'arrivo delle galee genovesi, le cacciano immediatamente dal porto e dalla città, spingendole verso altri lidi con il loro carico di morte.
In tutta Europa si diffonderà il contagio mortale per campagne, paesi e città e molti piccoli centri verranno completamente spopolati, rimanendo deserti.
La peste provoca dei cambiamenti nella stessa compagine sociale. Perfino nei rapporti d'affari.
Gli uomini, incontrandosi, provano paura e sfiducia reciproca.
Vengono messe in pericolo non solo le attività economiche e sociali ma anche le amicizie e i legami parentali e famigliari. Tutti prendono delle distanze nell'incontrarsi, ma più spesso evitano di farlo..
Si affievoliscono sensibilmente la solidarietà, la compassione ed il rispetto verso il prossimo.
Il terrore di contrarre il morbo tocca anche sacerdoti e religiosi, dopo che alcuni di essi muoiono rapidamente per essersi accostati ai malati assolvendo al loro compito spirituale.
Quindi molte abitazioni rimangono piene di cadaveri senza che neppure i più stretti famigliari abbiano il coraggio di dar loro sepoltura.
Fino al 1350 sulla popolazione di tutta Europa si poserà un'oscura ombra di morte, che riempirà la vita di una paura continua, in un agghiacciante sospetto reciproco.
Gli uomini più acculturati o più intraprendenti tenteranno di reagire con i metodi di prevenzione e cure più impensate e, talvolta, scatenando una caccia crudele ai presunti colpevoli.
Alla fine -passata la grande tragedia- la società medievale riuscirà a risorgere anche se un po' diversa.


LA FUGA DEL RE D' UNGHERIA
GIOVANNA I E LUIGI DI TARANTO SOVRANI DEL REAME DI NAPOLI


Il re d' Ungheria, vedendo l'epidemia fare strage fra le sue milizie e fra gli abitanti di Napoli, decise di evitare il morbo allontanandosi. Lasciato il comando delle sue soldatesche e il governo del reame a due baroni tedeschi, Corrado ed Ulrico Wolfart, e sotto pretesto di visitare le province del regno, nel maggio del 1348 si recò a Barletta e di là, si imbarcò e attraversato l'Adriatico e la Schiavonia, fece ritorno in Ungheria dove aveva già mandato il piccolo Carlo figlio di Andrea, che di lì a poco morì.
 
La partenza del re non fu appresa con dispiacere dai sudditi. I Napoletani erano malcontenti del severo governo ungherese, e le famiglie dei processati sapevano con molta abilità accrescere il malcontento; inoltre i molti amici della regina esule lavoravano per lei ricordando al popolo con nostalgia le magnifiche feste quando c'era la tantoamata regina Giovanna.
Dei sentimenti dei suoi antichi sudditi non era ignara la regina. Essa viveva in Provenza, nel superbo palazzo di Villeneuve, fatto costruire dal cardinale Napoleone Orsini e messo a sua disposizione dal Pontefice, e lì aspettava l'occasione propizia per tornare in possesso del suo reame. 

Saputa la partenza di Luigi, credeva che era giunto il momento di agire; ma le mancavano i mezzi per una spedizione. Se ne procurò vendendo al Pontefice nel giugno del 1348 i suoi diritti su Avignone per ottantamila fiorini d'oro. Con questa cospicua somma e con altre ricavate impegnando i gioielli e chiedendo sussidi alla sua Provenza, Giovanna si preparò all' impresa che non le sembrava difficile dati gli umori della popolazione e le scarse milizie di cui disponevano i fratelli Wolfart. 

Giovanna I si fece precedere in Italia dal siniscalco NICOLA ACCIAIUOLI, che aveva il compito di assoldare la compagnia del duca GUARNIERI, poi, nell'agosto, insieme col marito e dieci galee genovesi lasciò la Provenza e verso la fine del mese prese terra a Santa Maria del Carmine, presso Napoli. 
L' impresa creduta facile si presentò invece difficilissima. La regina entrò in Napoli e le tre fortezze che dominavano la città furono strappate agli Ungheresi; ma nella Puglia, Luigi di Taranto e il duca d'Urslingen si trovarono di fronte ad Ulrico di Wolfart il quale con le ingenti somme ricevute dal suo sovrano aveva messo insieme un esercito numeroso, inoltre con promesse di paghe maggiori e di liberi saccheggi provocava nel campo avversario considerevoli diserzioni. 
Chi fece le spese di questa guerra furono le popolazioni, che videro le campagne devastate dai mercenari dell'una e dell'altra parte, e buona parte dei loro averi rapinati. Foggia fu orribilmente saccheggiata, gli stessi abitanti sottoposti a crudeli torture e imprigionati per rivelare pretesi nascondigli ove erano riposti i tesori, o per pagare grosse somme per il riscatto. 
Non era una vera guerra, ma un susseguirsi di scaramucce seguite da rapine e distruzioni. 
In una di queste, presso Corneto, il duca Guarnieri con la sua compagnia di ventura non proprio sconfitta dal nemico, lo troviamo arruolato sotto le bandiere d' Ungheria. Inutile dire che chi lo accusava di tradimento aveva ragione; ma una compagnia di ventura guarda ai soldi prima di tutto, ed è quello che faceva Guarnieri. Si schierava con chi pagava di più.

Venutagli a mancare la compagnia di ventura, la regina Giovanna si rivolse al Pontefice. Un legato papale conferì coi capitani dell'esercito nemico radunati ad Aversa per la divisione del bottino e (in concorrenza con Wolfart)  promise loro in nome dei reali di Napoli una grossa somma. 
Le trattative ebbero esito felice. 

Il Guarnieri coi suoi mercenari abbandonò il reame dirigendosi verso l'Italia settentrionale in cerca di altro servizio e altri mercede. Corrado di Wolfart senza di lui cessò le ostilità, ma si rifiutò di uscire dalla Puglia senza il permesso del suo sovrano. Questi dal canto suo non aveva rinunziato al regno di Napoli, ma preparava in Ungheria un'altra e più poderosa spedizione, che doveva aver luogo nel 1350. 

Infatti in quest'anno, re Luigi, attraversato l'Adriatico su navi da trasporto, sbarcò a Manfredonia con diecimila cavalieri e si diede a riconquistare i territori perduti. L'esito della guerra sarebbe stato senza dubbio favorevole al sovrano se le sue truppe feudali, finito il termine del loro servizio, non avessero chiesto di tornare in Ungheria proprio quando Aversa, assediata, veniva espugnata. 
Questo fatto e la stanchezza per la lunga durata della campagna indussero Luigi a prestare ascolto ad un legato pontificio venuto a proporgli la cessazione delle ostilità. 

Nell'ottobre stesso del 1350 fu conclusa una tregua che doveva avere termine il 1° aprile dell'anno successivo. Secondo i patti ciascuno dei contendenti avrebbe conservato i territori occupati; la regina Giovanna, Luigi di Taranto e il re d' Ungheria si sarebbero allontanati dal reame di Napoli e nel frattempo il Pontefice avrebbe fatto un nuovo processo sull'assassinio di Andrea. 

L'esito del processo avrebbe deciso le sorti del regno: se cioè Giovanna fosse stata riconosciuta innocente, a lei il re d' Ungheria avrebbe restituite le conquiste fatte dietro il pagamento di una indennità di guerra, viceversa avrebbe abbandonato il reame al sovrano ungherese che lo avrebbe ricevuto in feudo dalla Chiesa. 

Conclusa la tregua re Luigi si recò a Roma per il secondo giubileo e di là se ne tornò in Ungheria.
 Il processo fu fatto in Avignone e, dato il favore che la casa angioina godeva presso la Curia, non poteva finire con la condanna di Giovanna, la quale infatti fu prosciolta dalle accuse e dichiarata innocente. La sentenza fu seguita da due atti che ne erano la naturale conseguenza: il riconoscimento papale del titolo di re di Napoli a Luigi di Taranto e la pace tra Giovanna e Luigi. 
Il primo avvenne alla fine del 1351, la seconda fu fatta ad Avignone in un pubblico concistoro riunito nel gennaio del 1352, presenti, quali plenipotenziari del re d'Ungheria, il fratello vescovo del sovrano e Corrado di Wolfart. 
Nel maggio dello stesso anno, Giovanna e Luigi furono con grande pompa coronati a Napoli.


Terminata la storia di Napoli di questo periodo
dobbiamo ritornare nella Roma dell'anno 1343 al 1354 
All'assenza di papi e  ALLA RIVOLUZIONE ROMANA

periodo meglio definito come quello di COLA DI RIENZO > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia

GREGORIUVUS - Storia di Roma nel Medioevo - 1855

L.A. MURATORI - Annali d'Italia
MAALOUF, Le crociate viste dagli arabi, SEI, Torino 1989
J.LEHMANN, I Crociati,- Edizioni Garzanti, Milano 1996
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
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STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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