ANNI 1447 - 1455

LA REPUBBLICA AMBROSIANA - DA SFORZA ALLA PACE DI LODI

MILANO DOPO LA MORTE DI FILIPPO MARIA VISCONTI - LA REPUBBLICA AMBROSIANA - GUERRA TRA MILANO E VENEZIA - FRANCESCO SFORZA CAPITANO GENERALE DEI MILANESI - ASSEDIO DI S. COLOMBANO - LO SFORZA SIGNORE DI PAVIA E TORTONA - BATTAGLIA DEL BOSCO - ASSEDIO, PRESA E SACCHEGGIO DI PIACENZA - DIFFIDENZE DEI MILANESI VERSO LO SFORZA E TRATTATIVE VENEZIANE - VITTORIE DI FRANCESCO SFORZA A CASALMAGGIORE E CARAVAGGIO - LO SFORZA SI ALLEA CON VENEZIA CONTRO MILANO - VICENDE DELLA GUERRA - INTERVENTO DI LUDOVICO DI SAVOIA - ASSEDIO DI VIGEVANO - VENEZIA E LA REPUBBLICA AMBROSIANA FANNO LA PACE E SI ALLEANO CONTRO LO SFORZA - FINE DELLA REPUBBLICA AMBROSIANA - FRANCESCO SFORZA DUCA DI MILANO - ALFONSO D'ARAGONA E VENEZIA CONTRO LO SFORZA - LEGA DEL DUCA DI MILANO CON FIRENZE - FEDERICO III IN ITALIA: SUA INCORONAZIONE IMPERIALE - IL FIGLIO D'ALFONSO IN TOSCANA - VICENDE DELLA GUERRA IN ALTA ITALIA - RENATO D'ANGIÒ SCENDE IN ITALIA IN AIUTO DELLO SFORZA - DESIDERIO DI PACE - TRATTATIVE ROMANE - TRATTATO DI LODI - LEGA ITALIANA

LA REPUBBLICA AMBROSIANA
 FRANCESCO SFORZA DUCA DI MILANO

Con la morte di FILIPPO MARIA avvenuta il 13 agosto del 1447, si estingueva la discendenza maschile dei VISCONTI.
Non lasciando quindi eredi diretti, scoppia subito la guerra di successione.

 Alcuni condottieri del defunto duca, appartenenti alla scuola braccesca e perciò nemici dello Sforza - fra questi erano FRANCESCO LANDRIANO e BROCCARDO PERSICO -, producendo un testamento che sarebbe stato scritto dal Visconti prima di morire e con il quale costituiva suo erede l'Aragonese, consegnarono il castello di Porta Giovia e la Rocchetta di Porta Romana a RAIMONDO BOILE che poco prima era giunto in soccorso del duca con un piccolo esercito napoletano. Ma il popolo milanese non volle saperne di passare sotto il dominio del re di Napoli e spinto da ANTONIO TRIVULZIO, TEODORO BOSSI, GIORGIO LAMPUGNANI, INNOCENZO COTTA e BARTOLOMEO MORONE, proclamò la "Repubblica", che venne detta "AMBROSIANA", creando un consiglio di ventiquattro cittadini i quali presero il titolo di capitani e difensori dell' illustre ed eccelsa comunità di Milano
Al governo repubblicano aderirono quasi tutti i condottieri viscontei, Guido Antonio Manfredi, Carlo Gonzaga, Ludovico Dal Verme, Guido Torello e i Fratelli Sanseverino; i Napoletani, non sperando per il loro esiguo numero di poter tenere la città per il loro sovrano, uscirono dalle fortezze dopo  essersi appropriati di diciassettemila fiorini del tesoro di Filippo Maria, e i due castelli vennero rasi al suolo.

Ma non tutte le città del ducato vollero riconoscere la Repubblica ambrosiana. A questa soltanto Como, Crema, Novara ed Alessandria, si mantennero fedeli; le altre si resero indipendenti da Milano e caddero in preda ai partiti, ai Veneziani o a i nuovi signori. I Pavesi, pur essendovi tra loro molti che parteggiavano o per il marchese del Monferrato o per il Duca di Savoia o per il re di Francia o per Venezia, si diedero un governo repubblicano e intrapresero l'assedio del castello in cui si era chiuso il governatore MATTEO BOLOGNINI; Lodi, cacciati i fratelli PICCININO e costretti ad andarsene a Pizzighettone, il 16 agosto accolse un presidio Veneziano, imitata dal castello di San Colombarro; Piacenza il 20 agosto cadde in potere di Venezia che vi mandò TADDEO d' ESTE con millecinquecento cavalli; Parma e Tortona istituirono il regime repubblicano, Asti infine aprì le porte a RINALDO di DRESNAY che ne prese possesso in nome di Carlo d'Orléans, erede di Valentina Visconti.

Il primo pensiero dei rettori della repubblica ambrosiana fu di proporre la pace a Venezia; ma questa, lusingandosi di poter mettere facilmente le mani sopra Milano, si rifiutò di trattare. Allora i Milanesi costretti a difendersi con le armi, pensarono di affidare il comando delle loro milizie a FRANCESCO SFORZA e gli inviarono a Cremona, dove era giunto, prima SCARAMUCCIO BALBO, poi ANTONIO TRIVULZIO per invitarlo ad entrare al servizio della nuova repubblica alle medesime condizioni pattuite col Visconti. In più Milano si impegnava a cedere allo Sforza, Brescia o Verona se a lui fosse riuscito di recuperare l'una o l'altra di queste città.

Francesco Sforza avrebbe preferito  occupare per conto suo il ducato del suocero, ma, non essendo troppo forte per lottare nello steso tempo contro i Milanesi e contro i Veneziani, accettò le condizioni e divenne il capitano generale di quella repubblica che sperava di potere un giorno dominare. Senza porre tempo in mezzo raccolse quante milizie possibili. Trasse dalla sua parte ORLANDO èALLAVICINO, fece entrare al servizio della repubblica un prode condottiero bergamasco, BARTOLOMEO COLLEONI, si pacificò con FRANCESCO e GIACOMO PICCININO invano adescati dai Veneziani, e nei primi di settembre andò ad assediare il castello di San Colombano.

Si trovava sotto le mura di questo castello ed aveva da poco respinto un assalto di MICHELETTO ATTENDOLO quando giunsero al suo campo ambasciatori da Pavia, che gli offrirono la signoria della città col titolo di conte a condizioni che egli lasciasse gli statuti e i privilegi.  E' superfluo dire che lo Sforza accettò e si recò subito a Pavia per prenderne possesso. Anche la fortezza, per le pressioni di Agnese Del Mayno, madre di Bianca Visconti, gli venne consegnata da Matteo Bolognino.

I Milanesi non videro di buon occhio questo acquisto temendo a ragione che l'accrescersi della potenza dello Sforza minacciasse la loro libertà; ma il condottiero si scusò dicendo che se egli non avesse accettata l'offerta di Pavia questa città sarebbe caduta nelle mani di un altro signore o dei Veneziani; d'altra parte per mostrare alla repubblica che non mirarla al proprio interesse le cedette San Colombaro conquistato in quei giorni.

Milano non poteva che accettar per buone le scuse dello Sforza date le deplorevoli condizioni in cui si trovava ed essendo da ogni parte circondata da nemici che badavano a strapparle lembi del territorio dell'antico ducato. 
Infatti Lionello d' Este si era impadronito di Castelnuovo e di Cupriaco e prendeva contatti con i Sanvitale per entrare in possesso di Parma; i Correggeschi avevano occupato Bresello; Giano Fregoso doge di Genova, prendeva Voltaggio e Novi; il duca Ludovico di Savoia cercava di insignorirsi dei castelli dei territori di Alessandria, Novara e Pavia; lo stesso faceva il marchese Giovanni di Monferrato, e il duca d'Orléans, occupata Asti, era penetrato nell'Alessandrino ed aveva posto l'assedio al castello di Bosco.

Nel frattempo Tortona, minacciata dai Francesi, si diede in signoria allo Sforza; il che irritò e preoccupò i Milanesi, i quali temendo che in quelle contrade il prestigio di Francesco Sforza crescesse a danno della repubblica, mandarono in difesa di Bosco, Bartolomeo Colleoni ed Astorre Manfredi. Una sanguinosa battaglia fu combattuta l' 11 ottobre tra le milizie di questi capitani e quelle del Dresnay, la quale finì con la vittoria degli Italiani, che penetrarono a viva forza nei trinceramenti nemici e fecero prigionieri quasi tutto l'esercito francese.

Quando il Colleoni e il Manfredi sconfiggevano il Dresnay, Francesco Sforza era andato ad assediare Piacenza. Questa città dove comandava Taddeo d' Este, condottiero dei Veneziani, fece una vigorosa difesa, ma il 16 novembre del 1447, assalita impetuosamente dalle milizie sforzesche, dopo un aspro e lungo combattimento, venne occupata e sottoposta ad un saccheggio che durò più d'un mese. Con la presa di Piacenza lo Sforza aveva voluto dissipare le diffidenze della repubblica, mostrandole che combatteva non per acquistar domini ma per ridurre all'obbedienza di Milano quelle terre che aveva perdute. 
Tuttavia le diffidenze dei Milanesi non cessarono; essi anzi ordinarono al Colleoni di cacciare da Tortona il presidio sforzesco, quindi iniziarono trattative di pace coi Veneziani.

Le trattative si svolsero a Bergamo e si convenne che ciascuno dei belligeranti avrebbe conservato le conquiste fatte durante la guerra. Il trattato doveva essere ratificato dal consiglio dei novecento della repubblica ambrosiana; ma quando se ne seppe il contenuto, molti si mostrarono scontenti dei patti, in virtù dei quali si sarebbero lasciati in mano al nemico Lodi, parecchi castelli alla destra dell'Adda e, l'importante testa di ponte di Cassano e Milano sarebbe rimasta esposta alle minacce dei Veneziani il cui confine veniva a trovarsi a meno di venti miglia. Istigato da Teodoro Bossi e da Giorgio Lampugnani, fautori dello Sforza, il popolo si levò a tumulto e il consiglio rifiutò la ratifica.

Così furono riprese le ostilità. Nel maggio del 1448 Francesco Sforza riprese ai Veneziani Treviglio, Cassano, Melzi, Rivalta e parecchi castelli presso l'Adda, quindi si avviò verso Casalmaggiore per operare, d'accordo con la squadra navale milanese comandata da Biagio Assereto, contro la flotta veneziana che era agli ordini di Andrea Querini. Nello stesso punto in cui due anni prima i Veneziani avevano sconfitto le navi di Filippo Maria Visconti, il 16 luglio la flotta del Querini, composta di settanta vascelli tra grandi e piccoli, venne quasi completamente distrutta.
Dopo un successo così clamoroso lo Sforza avrebbe voluto correre su Brescia, premendogli di espugnare questa città che, secondo i patti con la repubblica ambrosiana, doveva toccare a lui; ma il governo di Milano, non desiderando che si aumentasse la potenza del condottiero, gli ordinò di assediare Caravaggio. Sebbene a malincuore Francesco Sforza obbedì e il 29 luglio cinse d'assedio Caravaggio. A soccorrere la terra corse Michele Attendolo con cinquemila fanti e dodicimila e cinquecento cavalieri. 

Quantunque minacciato dai Veneziani, lo Sforza continuò l'assedio e la cittadina battuta dalle artiglierie era in procinto di arrendersi quando l'Attendolo volle tentare di liberarla assalendo lo Sforza. La battaglia ebbe luogo il 14 settembre e da una parte e dall'altra fu combattuto con grande accanimento. Ma la vittoria rimase allo Sforza e fu davvero splendida: difatti solo millecinquecento cavalieri dell'Attendolo riuscirono a salvarsi; tutti gli altri caddero prigionieri e fra questi si contarono molti capitani e i due procuratori di Venezia. 
Quello stesso giorno Caravaggio s'arrese con tutta la guarnigione.

Francesco Sforza voleva trarre profitto da questa vittoria per marciare su Brescia; ma il governo milanese, che non aveva cessato dal diffidare del suo condottiero ed era aizzato contro di lui dai due fratelli Piccinino, nuovamente si oppose e da una parte glo ingiunse di andare su Lodi, e dall'altra aprì trattative con Venezia. Lo Sforza però fu più svelto e più abile dei Milanesi: per mezzo del suo segretario Angelo Simonetta e di Pasquale Malipiero avviò alla sua volta pratiche coi Veneziani e il 18 ottobre del 1448 stipulò con loro un trattato d'alleanza. 
Secondo i patti lo Sforza avrebbe posto in libertà tutti i prigionieri, avrebbe sgombrato tutti i luoghi conquistati nel Bergamasco e nel Bresciano e rinunziato a Crema in favore di Venezia, la quale dal canto suo si obbligava ad aiutare lo Sforza a conquistare tutto ciò che Filippo Maria Visconti possedeva al momento della sua morte, di fornirgli quattromila cavalli e duemila fanti e di pagargli tredicimila fiorini al mese per tutto il tempo della guerra.

Dei capitani dello Sforza soltanto i due Piccinino lo abbandonarono e Carlo Gonzaga che si recò a Milano con milleduecento cavalli e cinquecento fanti; tutti gli altri, tra cui i tre fratelli Sanseverino, Ludovico Dal Verme e Guglielmo di Monferrato, rimasero con lui. 
I Milanesi, persuasi del grande pericolo che li minacciava, cercarono di riconciliarsi con lo Sforza, ma non vi riuscirono; allora decisero di difendersi strenuamente; affidarono la difesa di Milano a CARLO GONZAGA, rinforzarono le guarnigioni di Monza, Abbiategrasso, Busto Arsizio, Cantù, Como e Lodi, che nell'ottobre si era arresa, assoldarono quante milizie possibili e si rivolsero per aiuti all'imperatore Federico III, ad Alfonso d'Aragona, a Carlo VII di Francia e a Ludovico di Savoia, la cui sorella - vedova di Filippo Maria - abitava in Milano. Ma i soccorsi chiesti non vennero. Solo più tardi il duca di Savoia si mosse, però così lentamente e con truppe così scarse che invece di procurar vantaggio agli alleati procurò solo danno a se stesso.

Intanto lo Sforza iniziava le ostilità contro Milano e prima che si chiudesse l'anno occupava Rosate e Binasco, costringeva alla resa Abbiategrasso, si impadroniva di molte terre intorno al Lago Maggiore e di Como e il 10 dicembre entrava a Novara. Nel principio del 1449 Romagnano veniva occupata da Ludovico Dal Verme, Tortona dallo Sforza ed Alessandria da Guglielmo di Monferrato.

Di fronte a questi successi del nemico, i Milanesi rimanevano inoperosi. Solo i due Piccinino facevano qualche cosa: Francesco era andato a saccheggiare il Pavese e Giacomo si era recato a Parma, minacciata da Alessandro Sforza. Il Gonzaga invece se ne stava a Milano, e pareva che volesse farsi signore; si liberava dei partigiani dello Sforza, mandando perfino al patibolo Giorgio Lampugnani, alla tortura Teodoro Bossi e in prigione molti altri.

Le ambiziose mire del Gonzaga non potevano non suscitare malcontento fra i capitani al servizio di Milano e provocare defezioni: il conte di Ventimiglia che presidiava Monza passò nel campo nemico con mezzo migliaio di cavalieri ed altrettanti pedoni, Francesco Piccinino ne seguì l'esempio e Giacomo usci da Parma e si unì ad Alessandro Sforza, il quale nel febbraio del 1449 si rendeva padrone di quella città.
Pareva che la guerra presto si dovesse risolvere in favore dello Sforza, che già stringeva Milano da vicino, quando la fortuna cominciò ad arridere ai Milanesi. Un esercito sforzesco comandato dal Dal Verme, dal Ventimiglia e dal Dolce mentre assediava Monza venne colto alle spalle da Carlo Gonzaga e sbaragliato; i due Piccinino disertarono dallo Sforza, costrinsero un esercito veneziano ad allontanarsi da Crema e si impadronirono del Castello di Melzo ; Ludovico di Savoia mandò nella Lomellina e nel Novarese seimila cavalli comandati da Giovanni di Compeys che si diede solo a saccheggiare quei territori, mentre Vigevano, ribellatasi, cacciò la guarnigione sforzesca.

Ma il favore della fortuna non rimase a lungo dalla parte dei Milanesi: ben presto Francesco Sforza tornò alla riscossa; Marignano, assediata, si arrese, i Savoiardi il 20 aprile furono gravemente sconfitti a Borgo Mainero dal Colleoni e sul finire di marzo lo Sforza cinse d'assedio Vigevano. 
Celebre è rimasta la difesa che gli abitanti fecero di questa città sotto la direzione di Giacomo da Rieti, Enrico del Carretto e Ruggero Galli. Il loro valore rifulse specialmente nel combattimento del 3 giugno. Assaliti dall'esercito numerosissimo di Francesco, essi resistettero per un intero giorno all'impeto dei nemici, difendendo con accanimento le brecce aperte dalle bombarde e ributtando i furiosi e ripetuti assalti. Le donne si mostrarono degne degli uomini, incoraggiandoli, apprestando loro le armi e partecipando eroicamente alla battaglia. Sfiniti dopo una giornata di terribile lotta, essi infine si decisero alla resa ma vollero ed ottennero che la città fosse risparmiata dal saccheggio.

La capitolazione di Vigevano fece cadere in mano dello Sforza altre terre che gli si erano ribellate e questo non solo atterrì i Milanesi che si vedevano stretti da ogni parte e minacciati dalla fame, ma allarmò gli stessi Veneziani, i quali già cominciavano a pentirsi di avere appoggiato quell'ambizioso condottiero. Essi speravano che la guerra avrebbe logorato sia la repubblica ambrosiana che lo Sforza e invece constatarono che soltanto la prima ne usciva danneggiata, mentre l'altro si faceva sempre più baldanzoso: estendeva i suoi domini conquistando Lodi e Pizzighettone e si procurava nuove forze guadagnando alla sua causa Carlo Gonzaga (settembre del 1449).

Persuasi che Milano non avrebbe potuto resistere a lungo e che lo Sforza sarebbe stato un pericolosissimo vicino se fosse riuscito a rendersi signore di tutto lo stato del suocero, i Veneziani decisero di troncare i progressi del loro alleato pacificandosi coi Milanesi ed avviarono segrete trattative che portarono alla pace di Brescia del 27 settembre del 1449. 
Secondo il trattato, il territorio della repubblica ambrosiana doveva esser limitato dall'Adda, dal Ticino e dal Po; lo Sforza doveva restituire Lodi e rinunciare ad ogni pretesa su Milano e Como; gli veniva invece riconosciuta la signoria di Cremona, Piacenza, Parma, Pavia, Alessandria, Tortona e Novara. A lui venivano concessi venti giorni di tempo per accettare il trattato.

Francesco Sforza non fu certo contento di quella pace conclusa a sua insaputa, ma non volendo compromettersi subito coi Veneziani cercò di guadagnar tempo e mandò a Venezia il fratello Alessandro perchè portasse la sua adesione al trattato e cercasse di tirare in lungo le cose. Il senato veneziano, accortosi delle intenzioni dello Sforza, obbligò il fratello a sottoscrivere il trattato; ma il condottiero, saputa questa notizia dichiarò che non intendeva ratificare la pace e ricominciò le ostilità contro Milano, spinto oltre che dal suo interesse, dai consigli di Cosimo de' Medici, il quale come fiorentino desiderava che nell'Alta Italia ci fosse una forte signoria capace di frenare Venezia.

I Veneziani cercarono allora di forzar con le armi lo Sforza ad accettare la pace firmata dal fratello ed ordinarono a Sigismondo Malatesta, loro capitano generale, di aprirsi il passo verso Milano e vettovagliare la città. Sigismondo passò l'Adda ed entrò nella Brianza dove doveva raggiungerlo Giacomo Piccinino (Francesco era morto il 16 ottobre), comandante delle milizie milanesi.
 Francesco Sforza impedì però l'unione dei due eserciti: con rapida mossa attaccò e sconfisse il 28 dicembre il Piccinino costringendolo a ritornare in Milano, poi assali il Malatesta, che dovette ripassare l'Adda.

Ottenuti questi successi, lo Sforza, allo scopo di liberarsi di un potente nemico e ritirar le truppe che teneva in Piemonte, stipulò il 20 gennaio del 1450 un trattato di pace con Ludovico di Savoia, rinunciando a parecchi castelli del territorio di Novara e di Alessandria; ingrossato così l'esercito, riuscì a opporsi a tutti i tentativi fatti dal Malatesta, dal Colleoni e dal Piccinino di vettovagliare Milano.
Questa città era travagliata dalla fame; i cavalli, i muli, e i cani erano stati già mangiati e il popolo si nutriva di erbe e di radici; chi tentava di fuggire era ricacciato dentro dalle milizie sforzesche; la fame e le malattie mietevano fra gli abitanti numerose vittime. In tali condizioni disperate non fu difficile all'ambasciatore veneziano LEONARDO VENIER di indurre i capi del governo a dare la città alla repubblica di Venezia, ma il 25 febbraio del 1450, mentre i rettori ambrosiani stavano discutendo, numerosi cittadini capeggiati da' Pietro COTTA e da Gaspare VIMERCATE assalirono il palazzo del governo, uccisero il Venier, misero in fuga i magistrati, e si impadronirono della città. 
Il giorno dopo un'assemblea generale del popolo si tenne in Santa Maria della Scala per deliberare sul da farsi. Vari furono i pareri: chi voleva darsi ad Alfonso d'Aragona, chi al re di Francia, chi al duca di Savoia; ma Gaspare Vimercate seppe convincer tutti che nessuno di questi principi avrebbe potuto salvare in tempo dalla fame la città e che l'unico che avesse potuto dar subito pace e pane era Francesco Sforza.

Il popolo approvò e subito fu eletta una giunta di 24 cittadini con l' incarico di prender provvisoriamente le redini del governo e pattuire la resa. Questa giunta scelse sei deputati, uno per sestiere, e con Gaspare Vimercate li mandò al campo dello Sforza, il quale, accettate con poche correzioni le condizioni proposte, alla testa di un forte nerbo di cavalleria marciò il 26 febbraio su Milano. Alla folla venutagli incontro egli fece con saggia avvedutezza distribuire pane, poi entrò in città per Porta Nuova e si recò in Duomo a rendere grazie a Dio. 
Lo stesso giorno, lasciata una forte guarnigione, ritornò al campo per disporre che la città venisse abbondantemente approvvigionata.
 Poco dopo Como, Monza e Bellinzona, fino allora rimaste fedeli a Milano, si davano allo Sforza, che il 3 marzo riceveva dai deputati il giuramento di fedeltà. La repubblica ambrosiana era finita dopo soli due anni e mezzo di vita e risorgeva, sebbene mutilato e sotto una nuova casa, l'antico ducato visconteo. 
Il 25 marzo FRANCESCO SFORZA, accompagnato dalla moglie, dal figlio GALEAZZO MARIA e dagli ambasciatori di tutti gli stati italiani, eccetto Venezia e il reame di Napoli, entrava solennemente a Milano, dove poco dopo veniva ricostruito il castello di Porta Giovia, abbattuto due anni prima dalla rivoluzione.

GUERRA DI FRANCESCO SFORZA 
FIRENZE CONTRO VENEZIA E ALFONSO DI NAPOLI
TRATTATO DI LODI

Oltre Venezia e Napoli, neppure l'imperatore Federico III e Carlo VII di Francia avevano riconosciuto Francesco Sforza come duca di Milano; il primo perché diceva che spettava a lui l' investitura del ducato; mentre il secondo sosteneva che il ducato medesimo spettava alla casa d'Orléans. Ma più che questi lontani nemici lo Sforza aveva da temere Alfonso d'Aragona e i vicini Veneziani.

L'Aragonese accampava diritti al ducato per il testamento di Filippo Maria Visconti; cacciate le sue milizie da Milano dopo la morte del duca e fallito il tentativo d'impadronirsi della città, Alfonso aveva cercato di aprirsi il passo verso l'Italia settentrionale attraverso la Toscana, e occupando prima il castello di Cennina in Valdarno, si era spinto nel settembre del 1447 con un ragguardevole esercito fino a Montepulciano, poi nel territorio di Volterra e di Pisa infine assediando a dicembre Campiglia.

Nel 1448 l'Aragonese aveva posto per terra e per mare l'assedio di Piombino; ma questa piccola terra si era difesa con grandissimo valore, ricacciando ogni assalto, e, spalleggiata dai Fiorentini ed aiutata dal clima malsano del suo contado, aveva costretto il re di Napoli ad allontanarsi.

I Veneziani avevano cercato, durante la guerra, di indurre i Fiorentini a schierarsi contro lo Sforza, ma non vi erano riusciti per l'amicizia che legava Cosimo de' Medici a Francesco Sforza e per l' interesse che Firenze aveva di impedire l'accrescimento territoriale di Venezia. 
Caduta Milano, i Veneziani, per mezzo di Lionello d' Este genero dell'Aragonese, conclusero un trattato d'alleanza con Alfonso di Napoli (2 luglio del 1450), tentarono d'allearsi con Siena e di rimettere in Bologna il partito dei Canedoli, e rinnovarono pressanti istanze ai Fiorentini di prendere le armi contro lo Sforza. Riuscito infruttuoso questo secondo tentativo, i veneziani il 20 giugno del 1451 cacciarono dai loro stati tutti i sudditi di Firenze ed indussero il re di Napoli a fare lo stesso, indi si diedero a cercare alleati e li trovarono nel duca Ludovico di Savoia (che aveva appena ereditato il ducato dal padre Amedeo) e nel marchese Giovanni di Monferrato.

Allora i Fiorentini fecero lega con lo Sforza, elessero i Dieci della Guerra in cui inclusero COSIMO de' MEDICI e NERI CAPPONI, presero al loro soldo Simonetta di Camposampiero e trassero nell'alleanza Genova e il marchese Luigi III Gonzaga. 
Dal canto suo lo Sforza, sospettando dei suoi capitani Guglielmo di Monferrato e di Carlo Gonzaga, li fece arrestare, ma sia l'uno che l'altro, recuperata la libertà, passarono al servizio di Venezia, la quale, avendo perduto il Colleoni, che era andato sotto le insegne del duca di Milano, elesse capitano generale delle sue milizie Gentile da Lionessa.

Mentre le due leghe si preparavano alla guerra, ecco scendere in Italia l'imperatore Federico III. Egli veniva nella penisola per incontrarvi la sua sposa Eleonora di Portogallo (figlia del re Odoardo e sorella di Alfonso V) e per cingere a Roma la corona imperiale. Seguito da circa duemila persone ed evitando gli stati dello Sforza che non aveva voluto riconoscere come duca di Milano. 
Federico attraverso il Friuli giunse, nel gennaio del 1452, a Ferrara, dove Borso d'Este, successo al fratello Lionello il 10 ottobre del 1450, lo ricevette con grandissima pompa. Da Ferrara l' imperatore si recò a Bologna ricevuto dal dotto cardinale Bessarione, legato pontificio, e di là il 30 gennaio passò a Firenze, che gli fece magnifiche accoglienze.

Quattro giorni dopo, il 3 febbraio, sbarcava a Porto Pisano la promessa sposa Eleonora, accompagnata dal cappellano imperiale Niccolò Lankmann di Falkenstein, la quale proseguì per Siena, dove il 19 febbraio si incontrò con Federico. 
Da Siena i due augusti personaggi si avviarono alla volta di Roma dove entrarono il 9 marzo. Il 16 il Papa Niccolò V benedisse le loro nozze e il 19 incoronò l'imperatore. 
Il 25 la coppia imperiale parti per Napoli, dove il re Alfonso, zio dell' imperatore, tenne in onore degli ospiti splendide feste, tra cui rimase famosa una caccia notturna al lume di fanali.

Il 20 aprile gli sposi si separarono: Eleonora si imbarcò a Manfredonia per Venezia in cui giunse il 18 maggio; mentre Federico prese la via di terra e per Roma, Firenze Bologna e Ferrara andò a raggiungere l' imperatrice. Durante il viaggio l' imperatore vendette diplomi di nobiltà e titoli dottorali e in quell'occasione Borso d' Este, obbligandosi a pagare quattromila fiorini all'anno, ottenne il titolo di duca di Modena e Reggio. Nel giugno Federico ed Eleonora facevano ritorno in Germania.

Il 16 maggio, giorno in cui partito da Ferrara l' imperatore poneva piede nel territorio veneziano, la repubblica di Venezia dichiarava la guerra al duca Francesco Sforza e l'11 giugno il re Alfonso la dichiarava a Firenze. Il figlio del re di Napoli, Ferdinando, insieme con Federico da Montefeltro entrò alla testa di un esercito di parecchie migliaia di cavalli in Toscana e cominciò col porre l'assedio al castello di Foiano in Val di Chiana; ma da quei terrazzani fu inchiodato sotto le mura per ben trentasei giorni. Altri quarantaquattro giorni li spese inutilmente intorno a Castellina nel Chianti, infine, scornato, il 5 novembre tolse l'assedio e se ne tornò nel suo reame.

Migliore risultato non ebbero le operazioni dei collegati contro Francesco Sforza. Sul fronte occidentale Corrado Sforza, fratello di Francesco, e Sagramoro da Parma attaccarono il 26 luglio sotto Canina Guglielmo di Monferrato, lo sconfissero e lo costrinsero a sgombrare l'Alessandrino che aveva già invaso. Sul fronte orientale e meridionale Gentile da Lionessa, condottiero veneziano, riuscì a occupare Soncino, e Carlo Fortebraccio a penetrare nel Lodigiano, ma non ebbero luogo combattimenti notevoli e l'anno terminò senza che nessuno dei belligeranti conseguisse vantaggi sull'altro.

Più movimentata fu la guerra nell'anno seguente (1452). In Toscana le milizie dell'Aragonese, combattute da Sigismondo Malatesta, che si era messo al soldo di Firenze, e di Alessandro Sforza, dovettero abbandonare i pochi castelli conquistati; nell' Italia settentrionale alterne furono le vicende: Giacomo Piccinino, successo nel comando supremo delle truppe veneziane a Gentile Lionessa, che era morto il 15 aprile, occupò Pontevico e fece alcune scorrerie nel Cremonese; Carlo Gonzaga, che era al soldo di Venezia, penetrò nel Mantovano, saccheggiandone le campagne; più tardi però il suo erede Ludovico Gonzaga insieme col Brandolin (che era passato al servizio dello Sforza) assalì e sconfisse a Goito (15 giugno) Carlo Fortebraccio, Francesco Sforza invase il territorio di Brescia e il suo capitano Sagramoro da Parma sconfisse (15 agosto) presso Lodi il Piccinino.

Al principio di quell'anno lo Sforza e i Fiorentini avevano ottenuto che il re Carlo VII di Francia intervenisse nella guerra in loro favore promettendo di aiutare Renato di Angiò a togliere il reame di Napoli ad Alfonso e di corrispondergli centoventimila fiorini annui per tutto il tempo che duravano le ostilità contro Venezia. Renato cercò di passare le Alpi con tremila cinquecento cavalli, ma il duca, di Savoia e il marchese di Monferrato si opposero al suo passaggio, cosicché Renato con pochi dei suoi venne in Italia per mare; solo nel settembre il piccolo esercito francese, per le pressioni di Carlo VII, potè passare in Lombardia.
 L' intervento di Renato tolse allo Sforza due pericolosi nemici, Ludovico di Savoia e Giovanni di Monferrato, che indotti dall'Angioino, si pacificarono il 15 settembre col duca di Milano. 
Questi potè ritirare le milizie dalla fronte occidentale e rivolgere tutte le sue forze contro i Veneziani: Pontevico fu ripreso d'assalto il 19 ottobre e tutto il Bresciano e il Bergamasco fu conquistato, eccettuate le città di Brescia e di Bergamo.

Furono queste le ultime operazioni di quella guerra. Stanchi  e desiderosi di pace lo erano tutti e questo desiderio era stato accresciuto dalle notizie giunte dall'Oriente, che non solo avevano atterrito Venezia ma tutta la Cristianità: il 23 maggio del 1453 Costantinopoli, dopo cinquantatrè giorni di assedio, era caduta in mano di Maometto II; Costantino Paleologo, ultimo imperatore bizantino, era stato ucciso con quarantamila cristiani; molti mercanti italiani e in particolare veneziani avevano perso nel saccheggio tutti i loro averi ed erano stati imprigionati; quindi gravissima si faceva per l'Europa la minaccia dei Turchi.

Bramoso di spingere l' Europa ad una crociata contro i Turchi, papa NICOLÒ V si fece mediatore di pace. La sua iniziativa trovava il terreno favorevole: i Veneziani vedevano la guerra volgere a loro svantaggio e volevano porre un rimedio al grave colpo ricevuto dal loro commercio in Oriente; dal canto suo lo Sforza era stato abbandonato da Renato d'Angiò, che se ne era tornato in Francia; inoltre trovava grandi difficoltà nel procurarsi danari e temeva che qualcuno dei suoi capitani passasse al soldo del nemico. Non fu perciò difficile al Pontefice di indurre i belligeranti a mandare ambasciatori a Roma per trattare la pace.

Ma fin dalle prime sedute, che si tennero sul finire del 1453, Nicolò V si accorse che non era una cosa agevole mettere d'accordo i contendenti: Alfonso voleva che Firenze pagasse le spese della guerra, i Fiorentini reclamavano dall'Aragonese la restituzione di alcune terre della Maremma, i Veneziani volevano che lo Sforza ritirasse le milizie dal Bresciano e dal Bergamasco e cedesse Cremona, mentre il duca di Milano infine non voleva di certo rinunciare a Crema, Bergamo e Brescia.

Vedendo che le trattative romane non portavano ad alcuna conclusione, i Veneziani pensarono di trattare direttamente con lo Sforza e gli inviarono fra SIMONETTO da CAMERINO. I negoziati furono coronate da successo e il 9 aprile del 1454, con grande sorpresa degli altri, si seppe che la pace era stata conclusa a Lodi. 
A FRANCESCO SFORZA fu riconosciuta da tutti la signoria di Milano.

In virtù della pace, lo Sforza conservava la Ghiara d'Adda ma cedeva ai Veneziani Crema e restituiva le conquiste fatte nel Bergamasco e nel Bresciano, riservandosi piena libertà di riconquistare con le armi le terre che il duca di Savoia e il marchese del Monferrato gli avevano tolte nel Pavese, nel Novarese e nell'Alessandrino. I Correggeschi e i Veneziani dovevano restituire a Luigi Gonzaga i luoghi occupati nel Mantovano, ed Alfonso d'Aragona ritirare le truppe dalla Toscana conservando il possesso di Castiglione in Maremma.

Questo trattato di pace indispettì gli altri belligeranti, i quali si rifiutarono di riconoscere le condizioni di questi patti che erano stati conclusi senza di essi; e si dovettero impiegare le armi per costringere i Correggeschi a sgombrare il Mantovano e il duca di Savoia e il marchese di Monferrato a restituire al duca di Milano le terre occupate. E solo più tardi questi signori ratificarono il trattato che venne poi anche accettato da Firenze. 
Soltanto Alfonso d'Aragona rifiutò la ratifica, ma circa un anno dopo, avendo saputo che i Veneziani, Firenze e lo Sforza avevano stretta una lega per venticinque anni (la "Santissima Lega") ratificò il trattato di Lodi (26 gennaio 1455) ed insieme col Pontefice entrò in questa grande alleanza italiana che, dando alla penisola l'equilibrio politico, pareva che dovesse assicurarle un lungo periodo di pace.

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Ma prima della Pace di Lodi, nel 1451 era morto Amedeo VIII di Savoia;
il ducato mentre era in corso la guerra tra Veneziani e Sforza iniziava un periodo di decadenza con il debole Ludovico; 
nella prossima puntata quindi oltre che le vicende dei Savoia, e i fatti collaterali, le une e gli altri ci offrono un quadro generale
dell'Italia a metà del secolo XV.


Passiamo dunque al periodo che va dal 1451 al 1466 > > >

 

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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