ANNI 1545 - 1563

IL CONCILIO DI TRENTO - LA RIFORMA - L'INQUISIZIONE
 

LA RIFORMA RELIGIOSA E I SUOI PROSELITI IN ITALIA - I PRINCIPALI CENTRI DELL'ATTIVITÀ DEI NOVATORI: FERRARA, MODENA, BOLOGNA, GENOVA, VENEZIA, PADOVA, UDINE, ROVIGO, VICENZA, FIRENZE, LUCCA, SIENA, NAPOLI - L'OPERA DEL SANT' UFFICIO - L'AZIONE DEL PAPATO - TENTATIVI FALLITI DI CONCILIAZIONE - RIFORME INTERNE DI PAOLO III - I COLLABORATORI DI PAOLO III - L'INQUISIZIONE: GIAN PIETRO CARAFFA E 1' ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE INQUISITORIO; 1' INDICE DEI LIBRI PROIBITI - GLI ORDINI MONASTICI RIFORMATI E NUOVI - I GESUITI - VICENDE DEL CONCILIO TRIDENTINO - I " DECRETA TRIDENTINA" - EFFETTI DEL CONCILIO DI TRENTO
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LA RIFORMA RELIGIOSA E I SUOI PROSELITI IN ITALIA


Più volte, nei precedenti riassunti, abbiamo avuto occasione di accennare alla rivoluzione religiosa che staccò molta parte dell' Europa dalla Chiesa di Roma; ora è necessario, non farne qui sia pure in breve la storia -perchè andremmo fuori da nostri fatti politici e quindi dal nostro tema (vedi invece altre pagine in "Tematica") - ma vogliamo parlare degli influssi che essa ebbe in Italia e di quel grande fatto storico che ne fu la conseguenza e che, sotto il nome di Controriforma, rappresenta la reazione della Chiesa.

In Italia la riforma ebbe numerosissimi seguaci e non solo fra i laici d'ogni ceto, ma anche tra gli ecclesiastici e tra gli stessi inquisitori. I principali focolai d' "eresia" erano a Firenze, a Ferrara, a Bologna, a Venezia, a Padova, a Vicenza, a Mantova, a Lucca, a Siena e a Napoli. Vi si leggevano libri importati dalla Germania, vi si discuteva intorno ad argomenti concernenti i dogmi e l'autorità della Chiesa, e si diffondevano, dai circoli privati, dalle cattedre, dalle accademie e perfino dal pergamo, le idee luterane e calviniste.
E se c'erano queste particolari attenzioni anche nella penisola è perchè vari ambienti avevano percepito i sommovimenti d'oltr'alpe e non solo in Germania.

Uno dei centri più importanti dell'attività degli eretici era Ferrara, dove la duchessa RENATA di Francia (d'Angiò), moglie di ERCOLE II d' ESTE, notoriamente professava le dottrine calviniste. Essa amava circondarsi di persone che professavano più o meno i nuovi principi religiosi ed ospitava e favoriva tutti coloro che, perseguitati nella loro patria per avere abbracciato le dottrine della riforma, cercavano asilo nella sua corte o nel suo ducato. Maestri dei suoi figli erano i fratelli GIOVANNI e CHILIAN SINAPi amici di LUTERO e professori di greco all'ateneo ferrarese, e avevano dimestichezza con lei Olimpia Morot, Leone Jamet, Aonio Paleario, Francesco Porto, il Flaminio, il Vermiglio, Fannio, Celio Secondo Curione e lo stesso CALVINO, che sotto falso nome, era stato ospite alla sua corte.

L'attività degli eretici a Ferrara prese proporzioni così allarmanti che PAOLO III invitò, il duca a prendere energici provvedimenti. Da questi non si salvò neppure Renata d'Angiò, la quale, riusciti infruttuosi i tentativi fatti dal marito per convertirla, fu chiusa con le figlie nel castello di Consandolo. Divisa dalle figlie, ch'essa amava moltissimo, per poterle rivedere essa si piegò alle pratiche del Cattolicesimo, ricevendo perciò i rimproveri di Calvino, ma alla morte del marito Ercole II ritornò al culto calvinistico e dal figlio Alfonso II fu bandita dallo Stato.

Centro non meno attivo era Modena, che apparteneva agli Estensi, dove era salita in gran fama un'accademia di dotti frequentata dal Sadoleto, dal Castelvetro, dal Sigonio, dal Cortese, dal Molza e dal Grillenzone. Gli accademici, sospettati di eresia, rischiarono di essere scomunicati dal Pontefice; sorvegliati attentamente dal duca finirono con lo sciogliere le loro adunanze e un frate siciliano, Paolo Ricci, che, aiutato da essi, aveva acquistato gran credito presso il popolo con le sue ardenti prediche, fu arrestato e condotto a Ferrara per sottoporlo all'abiura.

Anche Genova e Bologna ebbero liberi pensatori e propagatori delle nuove dottrine, contro i quali si fecero sentire i rigori del S. Ufficio, che nella prima mandò a morte un BARTOLOMEO BARTOCCIO e nella seconda GIOVANNI MOLLIO, lettore all'università, perché si erano rifiutati di abbandonare le idee professate.
""...Venezia - al dire del Cantù-  fu severissima e perfino atroce nel perseguitare le eresie tanto è vero che nel solo secolo XVI vennero processati per dottrine eterodosse millecinquecento sessantacinque persone. La medesima severità veniva esercitata nelle città della terraferma; a Padova, dove diffuse erano le dottrine luterane per il ragguardevole numero di studenti tedeschi che vi abitavano, si giunse perfino a proibire il conferimento delle lauree a chi non avesse prima fatto professione di fede. Fra coloro che a Padova abbracciarono l'eresia sono degni di menzione PIETRO VERGERIO, che, perseguitato dagli inquisitori, dovette fuggire in Svizzera, BERNARDO TOMITANO, che venne processato dall' inquisizione e POMPONIO AGERIO de Nolano, che dal S. Ufficio in Roma fu condannato e messo ad abbrustolire sul rogo..""

In Rovigo venne sciolta l'Accademia degli Addormentati perché divenuto focolaio di eresie; il S.Ufficio di Udine dal 1551 al 1599 pronunciò quattrocentoquattro sentenze e molto più numerose furono quelle pronunziate dagli inquisitori di Vicenza, dove le nuove dottrine, portatevi dal mantovano FULVIO PELLEGRINO MORATO, avevano messo salde radici nell'Accademia, e nella metà del secolo XVI sorse una setta di Anabattisti.

Non pochi proseliti della riforma si trovavano nelle città della Toscana. A Firenze la prima vittima dell'inquisizione fu GIROLOMA BUONAGRAZIA; a Lucca, dove il BURLAMACCHI aveva propugnato oltre alla libertà politica anche quella religiosa, fu istituito un Ufficio della Religione che esercitò un grande rigore contro i sospetti di eresia; a Siena ebbero molto da fare gli inquisitori nel perseguitare la setta dei socciniani, così chiamati dal loro fondatore LELIO SOCCINI.

Anche nell' Italia meridionale le dottrine luterane erano diffuse, specialmente a Napoli, dove diedero origine ad una setta, che poi prese il suo nome, GIOVANNI VALDES (teologo 1490-1541), segretario del vicerè, che ebbe molti discepoli, fra i quali Giovanni Francesco Caserta, Benedetto Cusano di Vercelli, Lorenzo Romano di Sicilia, Jacopo Bonfadio, Giulio da Milano, Marcantonio Flaminio, Pier Martire Vermigli di Ferrara, Bernardino Tommasini detto Ochino, il toscano Pietro Carnesecchi, Galeazzo Caracciolo, il Mollio, Giulia Gonzaga e l'illustre poetessa Vittoria Colonna. 
Fu appunto per il diffondersi delle dottrine dei valdesiani ( movimento che prende il nome appunto da Giovanni Valdes, da non confondersi con i "valdesi" di Pietro Valdo (1146-1217) che pur essendo del XII sec. si riorganizzarono in comunità ecclesiastica dopo la loro adesione alla Riforma - Sinodo di Chanforan, Angrogna 1532) che don PEDRO de TOLEDO, dopo aver fatto bruciare una grande quantità di libri e ordinato la chiusura di tutte le accademie, tentò di istituire l'INQUISIZIONE "alla spagnola"  provocando l'insurrezione del 1547, di cui altrove abbiamo parlato.

Quel poco che abbiamo detto sulla diffusione delle nuove dottrine nella nostra penisola è sufficiente per dimostrare come non risponda a verità quello che fu scritto dagli scrittori cattolici, che cioè il protestantesimo in Italia abbia avuto pochi seguaci. Esso invece ne ebbe moltissimi ed è lecito supporre che anche in Italia, malgrado il terreno poco propizio, la riforma religiosa avrebbe col tempo trionfato se il Papato, accortosi del pericolo, non avesse reagito vigorosamente.

L'AZIONE DEL PAPATO CONTRO LA RIFORMA 
L' INQUISIZIONE - GLI ORDINI RELIGIOSI 
 IL CONCILIO DI TRENTO :  VICENDE,  DECISIONI, EFFETTI

L'azione del Papato verso la riforma fu dapprima molto incerta, irresoluta; a volte imprudente e contraddittoria. Quando il dissidio con MARTIN LUTERO poteva esser facilmente sanato, fu invece irreparabilmente aggravato dai colloqui del cardinale di Gaeta e del dottor ECK; poi venne la scomunica lanciata da LEONE X, che fece precipitare gli avvenimenti. 
Tuttavia una via di accomodamento rimaneva ancora aperta: convocare un concilio e riformare la Chiesa. Ma LEONE X non ne volle sapere; ADRIANO VI pontificò troppo brevemente per giovare con la sua buona volontà alla causa della Chiesa; CLEMENTE VII, decisamente avverso al concilio, sollecitato insistentemente da Carlo V, finì col prometterlo, ma con il proposito di non mantenere la promessa.

Salito al soglio pontificio PAOLO III, malgrado la sua liberalità, la sua intelligenza e la sua energia, era troppo tardi per rimediare completamente ai danni prodotti dalla precedente politica papale, che fino allora era rimasta trincerata in una difesa debole e passiva; ciononostante egli tentò di fare quello che i suoi predecessori avrebbero dovuto fare e non avevano fatto: tentò una riforma interna e convocò finalmente il concilio; ma quella non fu sufficiente né del resto venne creduta sincera, inoltre questo fu fatto senza la partecipazione dei protestanti e non portò quindi -ovviamente- proprio a nessuna conciliazione.

Paolo III ebbe il gran merito di circondarsi di uomini efficienti e di altissimo sentire, dando la porpora a persone di grande ingegno e pietà quali il CONTARINI, il SADOLETO, il POLO, il CARAFFA, il GILBERTI, il FREGOSO e a parecchi altri che onorarono la Curia romana. Questi ecclesiastici di mente aperta sapevano dove stava il male e quali erano i rimedi e non ebbero paura di manifestare le loro opinioni le quali in certi punti erano così pervase da spirito di modernità da potere esser condivise dagli stessi protestanti. Il Contarini, ad esempio, scriveva al Pontefice che tutto il male era derivato dall'aver voluto i Papi rendere assoluta la loro potestà, che invece  "" dovrebbe essere una dominazione della ragione, fondata cioè sulle regole della ragione, dei precetti divini e della carità, non sull'arbitrio e la volontà di un solo ""

Con l'aiuto di questi porporati, Paolo III attuò parecchie riforme; riformò la Camera Apostolica, la Sacra Rota, la Cancelleria e la Penitenzieria, e tentò di venire ad una conciliazione con i protestanti, prima servendosi del Vergerio, poi del cardinal Morone, infine del Contarini, che, per ordine del Pontefice, partecipò nel 1541 al famoso colloquio di Ratisbona, dove poco mancò che non si giungesse alla sospirata conciliazione.
Fallita questa, il Papato iniziò la sua reazione, deciso a reprimere ad ogni costo i progressi che le dottrine luterane facevano nell' Europa latina. In quest'opera, tre furono lo armi di cui il Papato si servì: la prima, repressiva e consistette nell' inquisizione; la seconda, ricostruttrice e fu rappresentata dal concilio; la terza, fiancheggiatrice, fu la riforma di ordini monastici esistenti e la costituzione di nuovi.

L' inquisizione non fu una istituzione nuova. Essa già esisteva come strumento in mano ai vescovi, ma veniva adoperata senza vigore e perciò era sempre riuscita inefficace. « La S. Sede, allo scopo di valersene per l' interesse della Chiesa, volle avocarne a sé il reggimento. Fu allora che ai Domenicani venne affidato l'ufficio di giudici dell'eresia; non deposero però il proprio i vescovi, e così vi fu una duplice polizia contro gli eretici, l'una episcopale o locale, l'altra generale sotto l' immediata influenza della S. Sede". 

Certo quest'ultima rese grandi benefici al Papato romano, ma fallì al proprio scopo, poiché non seppe colpire la simonia, né combattere i corrotti costumi del clero, e quindi non le fu possibile impedire lo scoppio della riforma. Era dunque necessario, perché la Chiesa potesse ricavare da questa istituzione i maggiori vantaggi possibili di fronte alle necessità del momento, che essa venisse organizzata in modo da diventare un'arma formidabile nelle mani del Papato, e tale che non potesse sottrarre alcuno dalla propria giurisdizione.
GIAN PIETRO CARAFFA concepì l' idea di stabilire a Roma un grande Tribunale inquisitorio, destinato a stendere la sua azione su tutta l' Italia. Suo intendimento era quello di istituire una inquisizione universale, come quella che esisteva in Spagna, ma interamente sottomessa ed obbediente al papato. 
Essa doveva essere organizzata con regole uniformi e inviolabili; doveva avere la forza di procedere contro ogni dignitario della Chiesa, qualunque fosse il suo grado e la sua condizione, anzi doveva rivolgersi e combattere e a togliere di mezzo gli uomini più eminenti, qualora costituissero un pericolo per la S. Sede. Lo aiutava in questo suo progetto GIOVANNI di TOLEDO, domenicano spagnolo, arcivescovo di Burgos. Gettate dai due le basi della nuova istituzione, questa fu poco dopo riconosciuta dalla corte di Roma con la bolla licet ab initio.

Sei cardinali, a capo dei quali stava il Caraffa in qualità di grande inquisitore, dovevano comporre l'inquisizione suprema del Santo Ufficio, alla quale erano concessi poteri illimitati per ricercare i colpevoli contro la religione e per punirli, sia pure col supplizio e la confisca dei beni. In Italia questa istituzione, guidata da una mano così energica e vigorosa come quella del Caraffa, doveva facilmente conseguire il proprio fine, perché l'eresia non aveva fatto larghi progressi e molti di quelli che vi avevano aderito, erano ancora incerti fra le nuove e le vecchie dottrine, e con la paura e con la minaccia di una persecuzione fatta senza tregua e senza pietà era facile spaventarli e ricondurli in grembo alla Chiesa (seppur esteriormente).

Bisognava inoltre distruggere tutti i capi del movimento, i cosiddetti  portatori di cambiamenti, per togliere ai deboli le loro guide spirituali, che avrebbero potuto associarsi nelle opinioni eterodosse, in modo che questi spaventati potessero più facilmente essere ricondotti in seno alla Chiesa Cattolica. Le basi su cui poggiava l' Inquisizione erano queste: che non si avesse riguardo alcuno per le dignità secolari o ecclesiastiche, delle quali fosse investito l'accusato; che si castigassero principalmente quelli che tentassero appoggiarsi ai potenti; si punisse chiunque fosse sospetto di eresia, e si perseguitassero gli eretici con ogni rigore. La severità adottata anche verso uomini autorevoli ed illustri produsse in tutta Italia una profonda impressione, che il CONTE CARLO MAFFEI, parlando delle condizioni di Mantova annichilita sotto il peso di questo famigerato tribunale, aveva potuto scrivere: ""questa è una Inquisizione di Spagna, tanto la città è spaventata per tanto terrore "" (Callegari) ».
 Ma oltre il terrore , con l' Inquisizione l'Italia sprofondò subito nell'ultimo posto fra le nazioni civili d'Europa perché decaddero le università e tutti gli altri centri di studio, furono tarpate le ali alla scienza, vennero imposti limiti ristrettissimi al pensiero e il genio italico non riuscì più e solo raramente a produrre importanti opere in ogni campo del sapere.

Infatti l'Inquisizione non si limitava a mandare al supplizio tutti coloro che avevano abbracciate le nuove dottrine, ma proibiva la diffusione di libri senza l'autorizzazione del Tribunale inquisitorio e dava una caccia spietata ai libri sospetti. 
Nel 1543 il Caraffa con un editto proibì a tutti i librai d' Italia di vendere libri eretici o anonimi e non approvati, sotto pena di scomunica, della confisca dei volumi, di mille ducati d'ammenda, dell'esilio perpetuo e di altre punizioni ancora che si estendevano anche ai lettori, e, per togliere i gravi inconvenienti del decreto, nel 1559 fu pubblicato l' Index librorum prohibitorum che il 18 gennaio del 1562 fu stabilito di rivedere e completare.

Arma potentissima senza la quale il Papato non avrebbe potuto combattere le nuove dottrine, sostenere l'edificio della Chiesa e rinvigorire efficacemente la fede, furono poi gli ordini monastici, tanto i riformati (Camaldolesi e Francescani) quanto quelli di nuova istituzione.
GIOVANNI di DIO, portoghese, istituì i Fratelli della Carità, GAETANO da THIENE i Teatini (1519), ANTONIO MARIA ZACCARIA di Cremona i Barnabiti (1530), cui seguì undici anni dopo l'ordine dei Somaschi e nel 1548 la Trinità dei Pellegrini di FILIPPO dei NERI.

Ma l'ordine religioso che, più di ogni altro, contribuì alla restaurazione cattolica fu quello dei Gesuiti, fondato da IGNAZIO LOPEZ di LOYOLA con lo scopo di propagare la fede ciecamente obbedendo all'autorità pontificia. L'ordine fu istituito il 15 agosto del 1534 e cominciò la predicazione nel giugno del 1537; la sua regola, fissata in cinque capitoli, fu presentata, per mezzo del cardinale Contarini, a Paolo III, che, il 27 settembre del 1540, con la bolla Regimini militantis Ecclesiae, autorizzò l' istituzione dell'ordine, il quale si proponeva di combattere l'eresia a tutta oltranza e con tutti i mezzi possibili.

I Gesuiti si svilupparono straordinariamente, specie in Italia e nella penisola iberica; essi furono una vera e propria milizia messa al servizio della Fede e del Papato, che lottò con la predicazione, con l'insegnamento, con gli scritti, con l'astuzia, con la forza, con l' intrigo, un'organizzazione che in breve divenne temibilissima e che dovette tutta la sua potenza alla ubbidienza cieca ai capi, all'annientamento dell' individualità e, in modo speciale, alle arti, improntate all'ipocrisia, di cui si servirono nella loro lotta e che formarono la caratteristica di tutto l'ordine.
L'Inquisizione arrestò tutti i progressi delle dottrine luterane nell'Europa latina; gli ordini religiosi le combatterono vigorosamente con la parola, con la penna e con l'esempio; il concilio tridentino, con le sue decisioni, riconsolidò le basi pericolanti dell'edificio cattolico.

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Nel breviario Romano approvato dal Concìlio di Trento a pagina 498 sez. IV. Notturno II. (edizione di Venezia anno 1740) viene riportata una lettera di S. Domenico di Guzman, patrono di Torquemada e di Arbuez, diretta a Papa Onorio III, nella quale, con un cinismo spaventevole, con una crudeltà tanto freddamente calcolata da far inorridire, egli traccia di sé medesimo un ritratto ributtante ed orribile.
"Beatissimo Padre. Linguadoca, 7 Aprile 1217
Con l'aiuto del Signore, io e miei compagni non cesseremo mai dallo sbarbicare dal campo della chiesa, quest'erba velenosa che merita il fuoco, prima in questa vita poi nell'altra. E per consolare la santità vostra dalle cure gravissime dell'Apostolato le accennerò quel poco di bene che con l'aiuto di Dio (Tieni ben conto lettore di quell' aiuto di Dio ed aiuto del Signore che questi sacrilegi invocano ad ogni momento, facendo complice loro l'Onnipotente e l'infinito!) abbiamo operato in queste infelici provincie tanto desolate dall'eresia. Affrancati dal duca di Monfort già trentasettemila di questi nemici della religione cattolica stanno a bruciare nelle fiamme dell'inferno, e così diradate le nuvole pare che il sole della retta fede cominci a risplendere in queste contrade.
"Il piissimo duca è tanto infervorato dallo zelo cattolico che, dovunque ha sentore si annidino di queste fiere, accorre colle sue truppe e dà loro la caccia. Essi o resistano o fuggano son sempre raggiunti e puniti. Non si usa pietà ai corpi di gente che non ne usò alle anime fedeli, cui uccise col mortifero veleno dell'errore.
Egli li sottopone prima a tormenti per costringere la loro ostinazione a manifestare gli aderenti. È impossibile immaginare quanto lo spirito satanico s'impossessi di loro, e li renda fermi nella infernale impenitenza. Non si lasciano fuggire un accento dalla sacrilega bocca che il demonio chiude con una mano di ferro (Che coraggio! Che costanza! Povere vittime infelici!). Un vecchio, posto alla tortura, e quasi stritolato sotto ad una macina, rideva ed insultava i santi ministri, i quali gli ricordavano l'obbligo della fede.
"Un'altra giovinetta di Belial, alla quale i soldati del Duca in punizione di aver alimentato le carni di un eretico strapparono dall'ossa con una tenaglia quelle carni maledette, sorrideva, metteva dentro le mani alle proprie piaghe e diceva di sentirne refrigerio; sicché i soldati a meglio refrigerarla seguirono per un'ora a rinnovarle quella consolazione senza poterla indurre a manifestare, dove fosse l'iniquo, che essa aveva albergato ed alimentato.
"I poveri soldati sono instancabili nell'opera della fede (Ed anche ciò si chiama disciplina negli eserciti di tutte le età) e la sera dopo la preghiera e dopo innumerevoli meriti acquistati, sono da me benedetti con la papale benedizione che V. S. mi concedette di largire nel suo nome santissimo (Che depravazione! Che sacrilegi!).
Io crederei, Beatissimo Padre, che a rimunerare in qualche modo la fede ardente del sig. Duca, V. S. dovesse avere la benignità di conferire o a lui, o a suo fratello Don Rodrigo canonico della cattedrale di Tolosa, la sacra porpora la quale egli si ha già acquistato con le sue escursioni tingendola nel sangue maledetto di quegli sciagurati.
"Basta che in questi paesi si senta il suo nome perché gli eretici Albigesi tremino da capo a piedi. Il suo costume è di andare per le corte spacciando in un sol colpo i più arrabbiati. Quanti gliene capitano nelle mani costrìnge a professare la nostra fede con la formola ingiunta da V. S. Se ricusano, li fa battere ben bene mentre che si accende il rogo. Quindi interrogati se si sien pentiti ed ascoltato che no, conchiude: O credi o muori. Li mettono ad ardere a fuoco lento per dare loro tempo di pentirsi, e di meritare l'eterno perdono.
"Alcuno di questi miserabili, benché assai raramente, sullo spirare ha dato segni di ritrattazione e di orrore della morte che meritamente subiva; ed io mi consolavo nel Signore osservando quegli atti che potevano essere indizio di pentimento. Quando più essi si dibattevano tanto più noi godevamo nella speranza che quelle brevi pene fruttassero loro il gaudio eterno, dove speriamo di trovarli salvi nel santo paradiso quando al Signore piacerà di chiamarci agli eterni riposi.
"Intorno poi agli altri che furono sedotti, e perciò meno rei, non si costuma di condannarli subito ma per esercitare con essi quella carità, che il nostro Salvatore comanda, da principio si risparmia loro la vita ed invece si adoprano alcuni tormenti i quali per quanto siano gravi alla carne sono infinitamente più lievi degli altri riserbati allo spirito nelle fiamme eterne.
Si adoprano rotelle, eculei, letti di ferro, stirature, tanaglie ed altre simili mortificazioni del corpo che secondo la legge del nostro Signor G. Cristo dev'essere macerato in terra per averlo glorioso nella vita eterna.
In altra mia mi farò un dovere di rallegrare il cuore della Santità Vostra, con più minuta narrazione di questa opera che il Signore si compiace di fare per nostro mezzo (È veramente il Carnefice, il Dio dei preti).
"Intanto prostrato al sacro piede della S. V. imploro per me e per questi miei collaboratori e compagni, l'apostolica benedizione e mi dichiaro"

Dalla S.V.
Re dei Re e Pastore dei Pastori
l'ultimo dei servi e figli
DOMENICO GUSMAN
(Documento tolto alla "Favilla" giornale di Mantova.)
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Il concilio era stato convocato a Mantova, da PAOLO III nel 1537, ma date le condizioni politiche d'Europa non si era riunito; fu riconvocato per l'anno seguente, ma l'opposizione sorta in Germania contro di esso e le lotte tra la Francia e la Spagna fecero sì che la convocazione venisse rimandata a tempo indeterminato. Fu ancora una volta convocato a Trento per il 2 novembre del 1542, ma per lo scarsissimo concorso di prelati fu sospeso il 6 luglio del 1543, riconvocato l'anno dopo e finalmente aperto il 13 dicembre del 1545, sotto la presidenza dei cardinali Giovanni Maria Dal Monte, Marcello Cervino e Reginaldo Polo.

I protestanti, a Worms nel 1545 e a Ratisbona nel 1546, rifiutarono di partecipare al concilio, il quale divenne così un concilio prettamente cattolico, quindi unilaterale e la parola "concilio" perdeva ogni significato.
 Tuttavia pur "unilaterale", fin dall' inizio si manifestò un dissidio tra i partigiani dell'imperatore e quelli del Pontefice circa l'ordine dei lavori: quelli volevano che si cominciasse con le riforme, questi invece volevano dare la precedenza ai dogmi. Per consiglio del vescovo di Feltre si stabilì che si trattassero contemporaneamente in due commissioni diverse l'una e l'altra questione. Che crearono altre divisioni nella divisione.

Uno dei primi decreti conciliari fu quello che dichiarava indispensabili alla dottrina cattolica tutti i libri della Bibbia e tutta la tradizione ecclesiastica. Questo decreto fu di capitale importanza perché, accettando la tradizione, i fedeli venivano costretti a riconoscere le decisioni dei precedenti concili e ad accettare tutte le dottrine della Chiesa e la gerarchia romana.

A un tratto ci fu un colpo di scena: PAOLO III, accortosi che Carlo V ispirava il clero tedesco per influire a suo vantaggio sulle decisioni, col pretesto che a Trento era scoppiata un'epidemia fece votare il trasferimento del concilio in una città dello Stato pontificio (11 marzo del 1547), che poi fu Bologna. Ma l' ira di Carlo V che proibì ai vescovi suoi partigiani di partecipare al concilio nella nuova sede; le provvisorie concessioni fatte dall' Imperatore ai protestanti di Germania; la morte di Francesco I che privava il Pontefice di un forte alleato; costrinsero il Papa, dopo trenta mesi, (17 settembre 1549) a sospendere il concilio.

Morto PAOLO III, GIULIO III lo riconvocò a Trento per il 1551 sotto la presidenza, del cardinale MARCELLO CRESCIENZO ROMANO, ma, continuando i dissidi con l' Imperatore e persistendo i protestanti nel rifiuto di prendervi parte, il concilio fu nuovamente sospeso nel 1552 e solo dieci anni dopo, da PAOLO IV, fu convocato per la terza volta, di nuovo a Trento. Dopo parecchi mesi di inutili dispute, per merito dell'opera accorta del cardinale MORONE fu vinta l'opposizione del partito imperiale, e il Papa, affrettati i lavori con la nomina di tre commissioni contemporanee, riuscì a chiudere il concilio nel 1553.

I processi verbali vennero firmati da duecentotrentaquattro tra cardinali, vescovi, generali di ordini, abati e procuratori e i decreti (Decreta Tridentina) furono approvati e promulgati dal Pontefice.
Grandissimi furono i benefici che le decisioni del concilio di Trento apportarono alla Chiesa e al Papato. Esse diedero una saldissima costituzione al Cattolicesimo, precisarono i dogmi, diedero norme perché cessasse la corruzione del clero, consacrarono l' invocazione dei santi e il culto delle immagini e delle reliquie, diedero libertà alla Chiesa di distribuire le indulgenze e infine, per non parlar d'altro, accrebbero straordinariamente l'autorità del Pontefice.

«L'edificio cattolico, - osserva il Callegari - che era sul punto di crollare del tutto, venne sapientemente ricostruito; non fu più possibile perciò che le nuove idee ne scalzassero le credenze; anzi il protestantesimo venne ricacciato dal mezzogiorno dell' Europa verso la parte settentrionale. La dottrina della Chiesa di Roma fu decisa, nella forma più completa, e piuttosto che lasciare qualche incertezza negli spiriti religiosi, si stabili di non fare alcuna concessione al protestantesimo; sacrificare una parte della società cristiana, per non lasciare qualche dubbio insoluto e non dar così motivo, alle nuove idee di infiltrarsi ancora nel seno cattolico » .


Lasciamo ora la questione religiosa e ritorniamo all'Italia politica.
Questa volta facendo una panoramica sulla
"irrequieta" dinastia dei Medici a Firenze

un lungo periodo da riassumere che va  dall'anno 1560 al 1605 > > >

< < sull'Inquisizione vedi anche "Gli Spagnoli in Italia")

FINE

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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