ANNI 1550 - 1559

STORIA DELLA GUERRA DI SIENA

 (la Battaglia di Scannagallo)

Per gentile concessione dell'Assoc. Cult. di SCANNAGALLO
( e chi meglio di loro per una fedele ricostruzione storica ! )
riportiamo l'esatta cronologia degli eventi in queste pagine dedicate



Folla di visitatori, quando a Scannagallo viene rievocata e ripetuta la famosa battaglia
Vedi immagini della manifestazione nel sito (esterno) di
http://www.scannagallo.com

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La battaglia di Scannagallo o di Marciano, fu l'episodio culmine di una movimentata campagna militare, manovrata e combattuta, nella quale il grande capitano fiorentino Piero Strozzi cercò disperatamente di rompere il blocco dell'esercito mediceo-imperiale che assediava Siena.

Per leggere con un minimo di chiarezza lo scontro campale nel quale la Repubblica di Siena e gli oppositori di Cosimo dei Medici si giocarono le sorti stesse della guerra, occorre dunque cercare di analizzare la campagna condotta dallo Strozzi nei mesi precedenti attraverso mezza Toscana. La nostra rassegna, dato lo spazio concesso in questa sede, sarà perciò breve e compendiata al massimo, al fine di delineare con sufficiente chiarezza i principali antefatti che portarono, in quel nefasto 2 di agosto del 1554, l'esercito franco-senese comandato da Piero Strozzi ad accettare battaglia con l'esercito fiorentino-imperiale guidato da Gian Giacomo dei Medici, marchese di Marignano.

La campagna per la conquista di Siena condotta dal Marignano
nel gennaio-marzo 1554.

Nel gennaio del 1554 Piero Strozzi aveva assunto il comando della difesa di Siena mentre, sul fronte opposto, Gian Giacomo dei Medici, marchese di Marignano, si stava portando da Firenze a Poggibonsi per guidare la campagna intrapresa dal duca di Firenze per assoggettare definitivamente la città e lo stato di Siena. Per cercare di aver ragione in breve tempo della repubblica di Siena, il Marignano aveva concepito un piano di attacco abbastanza complesso ma in teoria efficace: si trattava cioè di attaccare il territorio dello stato senese da tre direzioni per isolare Siena e, a questo proposito, l'esercito mediceo-imperiale era stato diviso in tre corpi.
Il primo corpo dell'esercito, assegnato al conte Federico Barbolani di Montauto, era costituito da circa 800 buoni soldati di fanteria stanziati a Pisa; costoro dovevano imbarcarsi a Livorno, navigare fino all'Elba scortati da una squadra di galere, fare a scalo a Portoferraio dove si sarebbero uniti alla locale guarnigione che avrebbe provveduto a imbarcare materiale da assedio e artiglieria. Il conte di Montauto avrebbe quindi preso terra con questa gente alla foce dell'Ombrone per agire contro Grosseto e Castiglione della Pescaia. In parallelo con questa azione di sbarco, un secondo contingente formato dalle Bande raccolte nel territorio di Campiglia avrebbe dovuto marciare dalla costa verso le colline e conquistare Massa Marittima.

Il secondo corpo dell'esercito venne affidato al comando di Rodolfo Baglioni, come il primo era composta da un'aliquota di 600 fanti assoldati, acquartierati a Montepulciano, integrati da 2.400 uomini levati sul territorio e inquadrati nelle Bande ducali. Questa forza avrebbe marciato dalla Valdichiana cercando di conquistare prima Chiusi e poi, inoltrandosi verso il territorio senese, prendere Pienza e Montalcino. L'azione del corpo comandato da Rodolfo Baglioni si sarebbe conclusa congiungendosi alle restanti forze del terzo corpo. A Poggibonsi si concentrava infatti il grosso dell'esercito, destinato a investire frontalmente Siena: 4.500 soldati di fanteria, seguiti da almeno 20 cannoni e 1.200 fanti armati di vanghe e zappe, addetti alle opere di trinceramento e approccio alle mura di Siena; come per i primi due corpi anche quest'ultimo doveva essere accompagnato dalle Bande, levate stavolta dalla Valdelsa e dal Volterrano, con il compito di dare il guasto alle campagne della repubblica di Siena per fiaccare la resistenza della città assediata.

L'integrazione dei pochi soldati professionisti con un gran numero di contadini inquadrati nelle Bande, faceva sì che la maggioranza dell'esercito mediceo-imperiale fosse composta di soldati improvvisati, contadini armati alla meglio e inquadrati nelle Bande da pochi soldati esperti e notabili di provata fede medicea. Commissario generale dell'esercito fu nominato Girolamo degli Albizi e a questa figura di ufficiale, importantissima, spettava il compito di garantire l'approvvigionamento di tutto l'esercito; non era impresa da poco rifornire di vettovaglie così tanta gente ma, come vedremo meglio, durante la campagna estiva che culminò nella battaglia di Scannagallo, il compito nel campo mediceo-imperiale fu assolto egregiamente, a differenza di quanto accadde nel campo di Piero Strozzi, le cui truppe ebbero a patire la scarsità di rifornimenti alimentari.

Iniziata la marcia da Poggibonsi, in breve l'esercito mediceo-imperiale fu davanti a Porta Camollia che, la notte del 26 gennaio, sotto gli scrosci d'acqua di un violento temporale, fu assaltata dalle fanterie medicee al lume incerto dei fanali, portati dai soldati su lunghe pertiche. La mischia fu violenta ma i medicei riuscirono solo a conquistare il bastione di Santa Petronilla; gli uomini del Marignano tentarono quindi di entrare in città ma la resistenza senese, pur disorganizzata, riuscì a fermare con una sortita di 300 archibugieri a Porta Camollìa le truppe medicee. Fallito sostanzialmente il primo assalto il Marignano dette ordine di iniziare le operazioni di assedio contro Siena; cominciò così il blocco della città, parziale in quanto il Marignano disponeva di un esercito scarso, insufficiente a circondare completamente Siena.
Gli altri due corpi nei quali era stato diviso l'esercito non ottennero risultati di rilievo: Rodolfo Baglioni dalla Val di Chiana aveva tentato di conquistare invano Pienza e si era ricongiunto al grosso dell'esercito nel campo di Santa Petronilla, molestato da una sortita di archibugieri senesi. Federico di Montauto, sbarcato sulla costa in condizioni critiche a causa di una tempesta, fallì l'espugnazione di Grosseto mentre navi francesi battevano il canale di Piombino conducendo una efficace guerra corsara; il Montauto cercò pertanto di ricongiungersi presto a Siena con il grosso dell'esercito guidato dal Marignano mentre bande fiorentine agli ordini del colonnello Lucantonio Coppi, detto Cuppano, antico soldato delle Bande Nere, continuavano a molestare le maremme impegnando i franco-senesi intorno all'importante piazzaforte di Piombino. Nel frattempo Cosimo I, in attesa dell'arrivo dei rinforzi imperiali, si adoperava per ingrossare le fila del suo esercito, assoldando Ascanio della Cornia con 6.000 fanti e 300 cavalli.

Tra febbraio e marzo di quell'anno 1554 i comandanti dei due eserciti contrapposti ordinarono ai loro capitani di condurre azioni di guerriglia, condotte peraltro con ferocia dalle genti del Marignano. Sul fronte della Valdichiana, già nel marzo, Rodolfo Baglioni e Ascanio della Cornia, partiti da Montepulciano con 3.000 fanti e 400 lance, occupata Torrita, si erano accampati al ponte a Valiano. Da qui si erano lanciati in scorrerie per le campagne, toccando Lucignano che però era fortificata e presidiata da fanterie senesi. La sola resistenza di un borgo fortificato vanificava il piano programmata dal Marignano che avrebbe avuto bisogno, per essere attuato, di reparti molto più addestrati e meglio collegati di quelli che si trovava a comandare.
Il 23 marzo del 1554, le truppe medicee operanti in Valdichiana tentarono di entrare in Chiusi dopo aver trattato con Santuccio da Pistoia, capitano della piazza; l'accordo prevedeva che Ascanio della Cornia e Rodolfo Baglioni sarebbero entrati in città con soli 600 fanti e pochi cavalli attraverso una porta aperta. Il sagace Santuccio da Pistoia circondò però i medicei mentre, fiduciosi, erano in fase di avvicinamento, l'imboscata ebbe pieno successo e nella mischia i senesi riuscirono ad uccidere Rodolfo Baglioni e almeno 400 soldati, Ascanio della Cornia fu ferito e catturato insieme al resto dei soldati medicei. L'insuccesso per i medicei fu bruciante: un intero corpo dei tre in cui era diviso l'esercito era stato quasi annientato dal nemico, tuttavia Ascanio della Cornia venne presto sostituito sul teatro di operazioni in Valdichiana da Vincenzo de' Nobili che seguitò la guerriglia ai danni delle comunicazioni e vie di rifornimento senesi.

La prima sortita da Siena di Piero Strozzi

L'11 di giugno del 1554 Piero Strozzi lasciava Siena con una forza di 30 insegne di fanti di cui 6 senesi: circa 6000 uomini divisi in 200 uomini per bandiera e 7 guidoni di cavalleria, in totale circa 500 cavalli. Le truppe erano seguite da 400 contadini armati di picconi e zappe e numerose salmerie, circa 100 bestie da soma cariche di polvere, funi, scale, legname per costruire ponti, trombe da fuoco e relative munizioni. Nella città alleata restava un debole presidio francese che però il giorno seguente all'uscita di Piero Strozzi veniva integrato dall'atteso arrivo dei volontari fiorentini dell'Altoviti, circa cinque compagnie di fanteria e due di cavalleria. Questi reparti erano distinti dalle celebri insegne verdi, decorate con varie scritte; quelle donate da re Enrico II di Francia portavano cucita una H d'oro; altre la sigla "SPQF" (Senatus Popolusque Florentinus), la scritta "LIBERTAS" con lo scudo d'argento alla croce di rosso dell'antico Popolo fiorentino, oppure il motto dantesco "Libertà vo cercando ch'è sì cara".
La sortita dello Strozzi era destinata ad alleggerire la pressione dell'assedio in quanto difficilmente le truppe Fiorentino-Spagnole impegnate nel blocco della città sarebbero rimaste immobili mentre la spedizione dirigeva a marce forzate da Siena a Volterra in direzione di Pisa. Dopo due soli giorni le avanguardie della cavalleria franco-senese erano a Pontedera, costringendo il Marignano a lasciare l'assedio per cercare di intercettare, marciando per linee interne, l'esercito senese. Dal 15 al 19 giugno il Marignano e Vincenzo de' Nobili mossero via San Casciano fino ad Empoli ma già il 17 Piero Strozzi, entrato nel territorio della repubblica di Lucca, si era ricongiunto sul Serchio a Ponte a Moriano con i 3.500 fanti, 700 cavalli e 4 cannoni condotti dal capitano francese Forquevaulx che li aveva condotti dalla Mirandola attraverso i valichi dell'Appennino fino in Toscana. Riunite le forze, Piero Strozzi si buttò decisamente verso la Valdinievole, costringendo il Marignano, le cui avanguardie avevano incontrato il nemico a Pescia, a battere in ritirata verso Pistoia.

Nei giorni del 20 e 21 giugno lo Strozzi conquistò Montecarlo e Montecatini ma il successo della brillante manovra di congiungimento con i rinforzi francesi era riuscito solo a metà: le ulteriori forze francesi attese nel porto di Viareggio non si decidevano ad arrivare e Piero Strozzi non si arrischiò a battersi con il Marignano che pure seguiva i suoi spostamenti per mezza Toscana, contromanovrando e tallonando i franco-senesi. Il 24 giugno l'esercito mediceo-imperiale era a Fucecchio sull'Arno con una forza di 2.000 spagnoli, 3.000 tedeschi, 6.000 italiani e 600 cavalli mentre Piero Strozzi faceva passare l'Arno con ponti volanti ai suoi franco-senesi per marciare verso Pontedera; nello stesso giorno, a Bocca d'Arno, sbarcavano 800 soldati spagnoli e un certo numero di reclute corse provenienti dalla Corsica al comando di don Lorenzo Juarez de Figueroa. La situazione dei franco-senesi stava precipitando: complessivamente Piero Strozzi disponeva di circa 9.500 fanti e forse 1.200 cavalli con i quali avrebbe potuto affrontare una battaglia campale in condizioni però di inferiorità numerica e, inoltre, i suoi uomini dovevano essere terribilmente affaticati dopo dodici giorni di marce e contromarce ininterrotte che li avevano portati da Siena fino a Ponte a Moriano ben oltre Lucca, da qui a Pescia e Montecatini e infine a Pontedera.

La ritirata verso Siena diventò una mossa obbligata, passato l'Arno i due eserciti si trovarono schierati a vista nei pressi di San Vivaldo, tra Castelfiorentino e Volterra ma Piero Strozzi riuscì a condurre i suoi uomini fino a Siena a marce forzate.
Nella città assediata la situazione era drammatica: il presidio lasciatovi a guardia non era riuscito a rifornire la città di scorte alimentari, quelle poche accumulate stavano finendo inesorabilmente, inoltre la siccità non dava tregua e quel poco che poteva esser stato seminato negli orti cresceva a stento. Il rientro di Piero Strozzi con i soldati stanchi e affamati avrà contribuito a peggiorare ulteriormente la situazione alimentare e deprimere gli animi, per cui agli assediati non restava da seguire altra strategia che quella delle sortite, già intrapresa peraltro con successo.
La flotta francese cercava nel frattempo di alleggerire la pressione dei Fiorentino-Spagnoli su Siena operando per l'assedio di Pombino, nelle maremme la guerra imperversava tra Suvereto, Scarlino e Buriano, condotta con efficacia per i fiorentino-spagnoli dal capitano Cuppano, governatore indomito di Piombino. In questa dura guerra maremmana, parallela a quella condotta sul fronte collinare di Siena, trovò la morte nel giugno Leone Strozzi, fratello di Piero, ucciso da un colpo di archibugio sotto Scarlino. Siena assediata aveva assoluta necessità di mantenere i contatti con l'esterno grazie al controllo dei porti maremmani, unica via attraverso la quale potevano affluire i rinforzi francesi; il 27 dello stesso mese Forquevaulx partiva da Casole con 65 insegne diretto verso la maremma piombinese dove una flotta francese avrebbe dovuto prendere terra con rinforzo di truppa; la spedizione aveva l'intento di conquistare Piombino e anche Piero Strozzi vi partecipò ma senza conseguire il risultato più importante, cioè la presa di Piombino. Finalmente l'8 di luglio una flotta francese sbarcava a Scarlino il comandante Blaise de Montluc, con 10 compagnie di Francesi e una di Tedeschi comandata da Georg Reckenrot. Con le truppe congiunte del Montluc e Forquevaulx, Piero Strozzi, vista l'impossibilità di conquistare Piombino, muoveva così da Scarlino rientrando verso Siena.

La seconda sortita da Siena di Piero Strozzi

Il 17 luglio 1554 Piero Strozzi decideva di lasciare Siena per tentare una manovra di alleggerimento verso la Val di Chiana, al fine di impegnare ancora una volta il nemico con la sua collaudata strategia di movimento. La difesa di Siena era seriamente compromessa a causa della critica situazione alimentare e solo una vittoria decisiva in campo aperto avrebbe potuto consentire la rottura del blocco. Piero Strozzi ripeteva su maggiore scala la strategia seguita 24 anni prima da Francesco Ferrucci quando questi, alla testa di pochi uomini, era riuscito a conquistare Volterra stornando le forze imperiali dall'assedio di Firenze. Anche stavolta comunque le forze imperiali avevano, oltre il favore del numero, l'innegabile vantaggio di poter manovrare per linee interne.
Alla difesa di Siena restava Blaise de Montluc con 2.000 fanti e 100 cavalli. L'uscita da Siena dell'esercito franco-senese fu come una grande parata fuori dalla porta a Ovile: Piero Strozzi conduceva con se, bandiere al vento, un migliaio di cavalli e qualcosa come 14.000 uomini, seguiti da 5 cannoni, 10 carri di palle e 10 carri di polvere, 7 some di scale, molti altri muli carichi di zappe e pale e 4 compagnie di guastatori. Era una forza militare considerevole che lo Strozzi intendeva portare rapidamente verso la Val di Chiana con l'intento principale di fare bottino e rifornimento di granaglie per sfamare la città assediata. La marcia delle truppe seguì la strada che da Siena porta verso Asciano, parte delle truppe procedette invece per la via di Rapolano, in direzione della Chiana fiorentina. Durante la marcia l'esercito franco-senese attraversò tutta una serie di borghi e luoghi forti scarsamente presidiati dai medicei: Poggio Santa Cecilia, le Serre di Rapolano e Pozzuolo furono conquistati senza fatica. La resistenza opposta dalle sparute guarnigioni fu quasi nulla e anche il soccorso di un centinaio di archibugieri medicei, spediti in soccorso da Arezzo sulla via di Monte San Savino furono fermati a Ciggiano dai Francesi.

In breve l'esercito franco-senese fu sotto Lucignano e il giovedì 19 luglio Piero Strozzi muoveva da Lucignano verso Alberoro e Tegoleto, in direzione di Arezzo, sempre devastando la campagna, mentre alcuni dei suoi reparti avanzati ingaggiavano combattimento contro Marciano e occupavano Monte San Savino. La sortita stava avendo successo: un forte esercito stava avanzando depredando le campagne in pieno dominio mediceo, suscitando lo sdegno e la rabbia di Cosimo dei Medici che da Firenze tempestava di corrieri il Marignano, sollecitandolo a muoversi e ad agire contro una scorreria che pareva crescere ogni giorno più minacciosa.
Il venerdì 20 di luglio Piero Strozzi era davanti alle porte di Arezzo con un'avanguardia di 400 cavalli e 200 archibugieri; verso le undici del mattino i senesi attaccavano il ponte Murato sulla Chiana, peraltro quasi asciutta a causa della siccità che imperversava quell'estate. Il ponte era presidiato da 25 archibugieri che si difesero gagliardamente per un paio d'ore fino all'esaurimento delle munizioni. Arezzo era difesa da una vecchia conoscenza di Piero Strozzi: Girolamo Accorsi detto il Bombaglino, un capitano aretino che nel 1537, dopo la battaglia di Montemurlo, aveva preso prigioniero il vecchio Filippo Strozzi, padre di Piero; alla difesa di Arezzo con il Bombaglino era il capitano Ventura da Castello e una piccola guarnigione di 200 fanti e pochi altri uomini a cavallo. Verso l'una del pomeriggio soldati francesi apparvero davanti a porta Santo Spirito, parte venivano da Maccagnolo altri scendevano giù dalla collina del Duomo Vecchio. Fuori della porta si accese un breve combattimento tra i francesi e i difensori nel quale cadde ferito Clemente della Cervara, ma dalla strada di Cortona stava arrivando una colonna di rinforzo condotta da Camillo Colonna, circa 3.000 soldati reclutati di fresco nella zona di Roma, soldati poco efficienti che avevano alla loro testa un uomo talmente sofferente di gotta da dover essere trasportato in portantina; nonostante l'aiuto arrivato ai difensori di Arezzo apparisse così vago pure il numero degli uomini fu sufficiente a rianimare i difensori. Al tramonto i Francesi si ritiravano per accamparsi a Tegoleto, poco oltre Pieve al Toppo.

Il giorno seguente, sabato 21 luglio 1554, Piero Strozzi lanciò scorrerie verso Laterina e Castel Fiorentino e, allo stesso tempo, ordinava ai suoi di assaltare Marciano della Chiana, difesa da Lattanzio Pichi dal Borgo con 30 soldati medicei e, naturalmente, dagli abitanti. Nonostante il presidio tentasse qualche resistenza il paese fu conquistato dei senesi e saccheggiato. Piero Strozzi, per assicurarsi un punto forte, lasciò nel castello di Marciano una guarnigione di 12 compagnie di Senesi e fuorusciti fiorentini al comando dei capitani Niccolò Forteguerri, Marcello Palmieri e Mario Sforza. Un piccolo distaccamento salì ad occupare il castello di Oliveto che sorge nel luogo dove si erano accampati i franco-senesi, le piane giacenti fra Tegoleto, Alberoro e Battifolle, nella vasta piana antistante Arezzo. L'intento dello Strozzi era di consolidare la presa sul territorio conquistato e di approfittare della situazione per cercare di fare quanto più bottino fosse possibile, battendo le campagne in cerca di viveri; a questo scopo il 22 luglio, domenica, Piero Strozzi concesse a 25 uomini per compagnia di saccheggiare i dintorni. Circa 3.000 uomini si lanciarono in scorrerie nei dintorni: un forte contingente di soldati svizzeri dei Grigioni fu mandato a Lucignano per requisire il grano che vi avessero potuto trovare.

Se la sortita da Siena e la conseguente marcia fino alle porte di Arezzo di Piero Strozzi non aveva incontrato grossa resistenza si doveva agli indugi nel campo fiorentino-spagnolo; ma all'alba di domenica 22 luglio le truppe comandate dal Marignano cominciarono a lasciare i campi trincerati intorno a Siena per muoversi lentamente verso ponte a Bozzone e arrivare il lunedì successivo, 23 luglio, a San Gusmè, località posta tra Castelnuovo Berardenga e Brolio. A San Gusmè il Marignano si congiunse con Juan Manrique che portava al grosso dell'esercito 2.000 fanti e 200 cavalieri, oltre a Marcantonio Colonna a capo di 50 uomini d'arme. L'esercito del Marignano contava ora circa 15.000 fanti, 1.000 cavalleggeri e 300 uomini d'arme; una massa d'urto notevole che avrebbe permesso di affrontare in battaglia lo Strozzi con buone probabilità di successo.

Rispetto alla velocità impressa dallo Strozzi ai suoi la marcia dei fiorentino-spagnoli era lenta, probabilmente circospetta in quanto si trattava di avanzare verso zone occupate dal nemico dove, soprattutto, erano da temere le iniziative improvvise del comandante nemico; Piero Strozzi tuttavia aveva il suo da fare nel mantenere la calma tra i propri uomini se nello stesso giorno di lunedì, nel campo franco-senese, scoppiò una rissa furibonda tra soldati di fanteria e cavalleria italiana contro alcuni fanti stranieri, rissa che causò la morte di svariati soldati. Nonostante questi accidenti disciplinari al campo lo Strozzi proseguiva imperterrito nella sua opera di rafforzamento delle posizioni, dette infatti ordine di muovere contro Civitella a 2 cannoni, reparti di fanteria franco-senese e 200 cavalli comandati dai due fratelli Mario Sforza di Santa Fiora e Carlo Sforza. Il martedì 24 lo Strozzi intimava anche la resa a Castiglion Fiorentino, vari erano infatti i luoghi forti dell'Aretino ancora tenuti dai fiorentino-imperiali: Anghiari difesa dal conte di Montedoglio, San Sepolcro da Brizio della Pieve, Civitella da Paolo da Castello.

Le avanguardie del Marignano, provenienti da San Gusmè erano però già in vista di Civitella, 50 archibugieri stavano avanzando a dar man forte a Paolo da Castello e le truppe franco-senesi dei due fratelli Sforza si ritrovarono, nei pressi di Badia al Pino, a circondare un reparto di cavalleria leggera fiorentino-spagnola; qui ebbe luogo una scaramuccia dove i due Sforza rimasero prigionieri dei cavalleggeri medicei. Civitella era salva e nella notte tra il 24 e il 25 luglio il grosso delle forze del Marignano sostava nei pressi dell'antico castello del vescovo di Arezzo.
La situazione tattica di Piero Strozzi cominciava a complicarsi, si stava ripetendo quanto era successo solo un mese prima nel Valdarno pisano: il Marignano tallonava Piero Strozzi con un forte esercito e al comandante dei franco-senesi non restava altro che tentare di disimpegnare le proprie forze cercando di evitare la battaglia campale che avrebbe potuto avere esito disastroso. Il 25 luglio, mercoledì, Piero Strozzi spostava il suo quartier generale ad Alberoro e ordinava al suo esercito sparso tra il Ponte sulla Chiana, Tegoleto e dintorni di avanzare tra Monte San Savino e Lucignano, lasciando 13 compagnie di presidio a Marciano.

Il Marignano vedeva che Piero Strozzi stava muovendosi lungo la Chiana verso sud, tenendosi però saldamente attestato sulle colline a occidente della vallata; il comandante milanese decise quindi di accamparsi ad Oliveto, poco oltre Civitella, in attesa degli sviluppi della situazione. Allo Strozzi, per consolidare la propria posizione verso sud, restava da conquistare Foiano della Chiana, presidiata validamente dal trentaduenne Carlotto Orsini; il giovedì 26 luglio Aurelio Fregoso era già intorno a Foiano con 13 insegne di fanteria italiana e 200 cavalli e il giorno seguente anche Piero Strozzi si recava personalmente sotto le mura di Foiano con due cannoni "rinforzati", due sagri e un altro cannone catturato nei combattimenti davanti Arezzo.
Il 27 luglio, verso le 10 del mattino, iniziava il bombardamento di Foiano: i pezzi messi in batteria spararono circa 150 colpi fino alle 11 di notte, dopo una decina d'ore di bombardamento le palle avevano aperto nelle mura di Foiano una breccia lunga 50 braccia, circa 25 metri, nella cortina muraria che guarda verso Lucignano. La mattina dopo le fanterie francesi e italiane guidate dallo stesso Strozzi si lanciavano all'assalto di Foiano passando per la breccia aperta dalle artiglierie, in breve tempo Foiano si riempì di soldati che mossero contro la rocca e la torre della chiesa dove si era asserragliato Carlotto Orsini insieme a una cinquantina di archibugieri per l'ultima difesa. Le fanterie franco-senesi si erano già date al saccheggio della terra, facendo scempio della popolazione, alla fine cadde anche Carlotto Orsini trucidato da fanti Tedeschi ma la resistenza di Foiano fu strenua poiché i superstiti riuscirono a dar fuoco alle polveri conservate nella polveriera che saltò in aria, causando la morte di Scipione Ballati e di 50 soldati Francesi.

La conquista di Foiano assicurò ai franco-senesi la preda di 10.000 sacche di grano nuovo, frutto dell'ultimo raccolto, che vennero subito spedite con scorta francese e immagazzinate a Lucignano come luogo più sicuro e vicino alla strada di Siena.
Alla vista del fumo e delle fiamme che si levavano da Foiano conquistata, il Marignano si decise finalmente a lasciare il campo di Oliveto per avvicinare l'esercito alle truppe nemiche che stavano imperversando ai danni della Val di Chiana; Marciano era però sempre presidiata dalle compagnie di fanteria senese lasciatevi pochi giorni prima. Il giorno seguente, domenica 29 luglio 1554, Piero Strozzi ordinò dapprima al conte Collatino di Collato di recarsi a Marciano come avanguardia per rinvigorire la resistenza della piazza, quindi, verso le 9 del mattino, il grosso dell'esercito franco-senese cominciò a giungere a Marciano. L'ordine di marcia dei franco-senesi era stato ordinato in tre grosse formazioni: nella prima era compreso il grosso della cavalleria comandata dal conte della Mirandola, insieme a soldati senesi e 2.000 archibugieri francesi con i capitani Fourquevaulx e Lansac; nella seconda formazione avanzavano fanti senesi e i soldati tedeschi di Reckenrot; nella terza ancora senesi e i Grigioni del Valleron.
Sotto Marciano le avanguardie dei due eserciti cominciarono a ingaggiarsi in sparatorie e combattimenti: il Marignano nell'intento di conquistare la piazza, Piero Strozzi fermo nel proposito di difenderla; un attacco delle truppe Francesi fu respinto dai fiorentino-spagnoli con la perdita di circa 500 uomini. Il combattimento di Marciano durò fino al tramonto per cessare con la prima oscurità, nel frattempo i due eserciti, ormai a contatto, cercarono di accamparsi sulle colline: Piero Strozzi fece sistemare i suoi sulle cime delle colline che da Marciano digradano verso la Chiana mentre il marchese di Marignano sistemò le sue truppe sulle colline di fronte, poste a nord del paese, a un tiro di schioppo dal nemico.

Verso la battaglia

Nei giorni che andarono dal lunedì 30 luglio al mercoledì primo di agosto la situazione tattica dei due schieramenti restò come bloccata, entrambi i contendenti lavorarono alacremente al rafforzamento dei campi, scavando e fortificando le posizioni occupate per garantirsi solide postazioni in previsione dell'attacco nemico. Nel campo fiorentino-spagnolo la situazione era leggermente migliore, l'esercito guidato dal Marignano operava, tutto sommato, in territorio amico; da Arezzo per esempio arrivarono il 31 luglio 70 muli carichi di pane già confezionato. Scaramucce si accendevano tra i reparti avanzati, impegnati nell'impedire all'avversario il movimento e, cosa fondamentale, l'andata all'abbeverata di uomini e cavalli.
La stagione era secca, non pioveva da 40 giorni, il caldo torrido e il problema maggiore era quello di garantire ogni giorno acqua da bere per le migliaia di uomini accampati sulle colline riarse; a lungo andare la situazione generale volgeva a sfavore dei franco-senesi: Piero Strozzi lamentava la scarsità di zappatori di cui invece avrebbe avuto estremo bisogno per i necessari lavori di sterro e fortificazione, inoltre l'organizzazione logistica era affidata al caso e alla buona volontà dei sottoposti con la conseguente penuria di rifornimenti alimentari: il grano ammassato nei giorni precedenti a Lucignano non poteva essere macinato perché nella guerra di scorreria intrapresa dai senesi questi si erano accaniti nella distruzione dei mulini di Val di Chiana e ora, costretti all'immobilità sotto Marciano, purper sfamare la gente in armi.

La distanza da Siena complicava ulteriormente il servizio di spola tra il comando di Piero Strozzi e la città per cui anche il denaro necessario alle paghe dei soldati scarseggiava e le soldatesche, in gran parte composte di mercenari irrequieti, cominciavano a ribollire di rabbia reclamando i denari arretrati. I soldati più esasperati tentavano la diserzione passando da un campo all'altro.
Questa situazione ormai insostenibile e la cronica mancanza d'acqua costrinsero Piero Strozzi alla ritirata verso Lucignano, la decisione era improvvida: ritirare un esercito in vista del nemico, in pieno giorno, era un azzardo pazzesco dal punto di vista militare, comunque, alla mezzanotte tra il primo e il 2 di agosto, fra le tende dell'accampamento franco-senese, giunse l'ordine di ritirata di Piero Strozzi; il campo franco-senese era mezzo addormentato o, almeno, gli uomini cercavano di riposare nelle poche ore di frescura concesse dal clima torrido di quei giorni. Una volta giunto l'ordine i capitani delle compagnie mandarono i loro subalterni a svegliare gli uomini, facendoli armare, levare le tende, fare insomma i bagagli e tutti quei preparativi che, febbrilmente, facevano i soldati impegnati ora a togliere il campo. Il capitano senese Cornelio Bentivoglio ebbe da Piero Strozzi un po' di uomini per distrarre l'attenzione del nemico durante la manovra di ripiegamento, sempre ardua con gli eserciti schierati a poca distanza uno dall'altro: probabilmente lo Strozzi riteneva che il Marignano non avrebbe osato sfidarlo a battaglia, così come era già successo un mese prima a Pescia e a San Vivaldo.

Sul fronte opposto, nel campo fiorentino-spagnolo, Gian Giacomo Medici tenne i suoi soldati in stato di allarme per tutta la notte. Certamente si vedevano muovere fuochi nel campo nemico e, le orecchie più acute, avranno udito le voci dei soldati e gli ordini dati in francese, tedesco e italiano dai capitani impegnati a zittire gli uomini, i versi delle bestie caricate dei bagagli: muggiti di buoi, nitriti di cavalli e infine ragli, dei muli, asini e somari mossi a furia di bastonate dai loro conducenti. I soldati del campo fiorentino, una volta allertati, furono fatti armare e schierati per compagnie, pronti a marciare ed affrontare il nemico se questi avesse dato segno di attaccare. Un combattimento notturno era sempre temuto nonostante la prassi guerresca dell'epoca vi ricorresse spesso. La frescura notturna divenne per qualche tempo più pungente e la notte cominciò impercettibile a schiarire, il buio della notte trascolorò lentamente in quell'incerto chiarore dove l'ombra svanisce e gli uomini poterono vedere il viso di chi avevano accanto, riconoscendo il compagno non più solo dalla voce. Seduti sulla terra, appoggiati alle picche, le armi al piede e le micce finalmente accese senza il timore di essere rimbrottati dai caporali, gli uomini cominciarono a discernere nella prima luce del giorno le colline davanti al loro sguardo. Sulle colline di fronte l'esercito nemico era in movimento, le picche delle compagnie ondeggiavano al passo dei soldati che marciavano spediti lasciando le posizioni dove erano schierati la sera prima. Lungo il crinale delle colline l'esercito franco-sense stava marciando verso Villa del Pozzo, Foiano e Lucignano. Visto l'evolversi inaspettato della situazione il Marignano decise di mandare i cavalli all'abbeverata nella Chiana e ordinò ai fanti di riposare un poco nelle tende, lasciando all'erta le sentinelle.

La giornata del 2 agosto: Scannagallo

Alle 10 del mattino,con il sole già alto sulla Val di Chiana, l'esercito di Piero Strozzi stava ritirandosi di collina in collina: in testa, ormai verso Foiano, erano i carriaggi con artiglieria e salmerie; all'avanguardia sventolavano le bandiere di soldati italiani e senesi, seguiti dai francesi; venivano poi le formazioni schierate a battaglia dei tedeschi e quella dei Grigioni, la cavalleria accompagnava la fanteria sul lato sinistro di questa, avanzando nella pianura tra le colline e il corso della Chiana, in terreno adatto per la manovra della cavalleria.
Alla stessa ora, fatti levare i fanti, Il Marignano dette ordine di battere l'allarme sui tamburi a tutte le compagnie e, per primi, mandò avanti Lorenzo de Figueroa con 2.000 archibugieri spagnoli incaricati di infastidire la retroguardia dei franco-senesi, marciando con il grosso in attesa che la cavalleria tornasse dall'abbeverata sulla Chiana. I fiorentino-imperiali marciarono per circa un'ora seguendo i franco-senesi, dietro gli archibugieri venivano altri spagnoli agli ordini di Francisco de Haro, dietro la battaglia di fanti Tedeschi; la retroguardia era composta dai fanti italiani comandati del conte di Popoli, circa 4.000 toscani, Napoletani, e i 3.000 inesperti Romani di Camillo Colonna, chiudevano la marcia 3 sagri. La cavalleria leggera fiorentino-imperiale seguiva le orme di quella franco-senese nella Chiana mentre gli uomini d'arme, la cavalleria pesante, avanzava tra quella leggera e le fanterie.

Alla luce piena del giorno apparve chiaro che la manovra di sganciamento di Piero Strozzi non era riuscita, il suo esercito si trovava in un situazione critica che lo costringeva ad accettare battaglia, decise pertanto di fermare i suoi sul Poggio delle Donne, vicino alla Villa del Pozzo, e ordinare le truppe in formazione di combattimento sulle colline circostanti, schierando le fanterie in buona posizione rialzata oltre il fosso di Scannagallo. Da destra a sinistra stava schierata la cavalleria franco-senese, circa un migliaio di cavalli, comandati dal giovane Lodovico Pio conte della Mirandola, portabandiera e capitano della cavalleria, e da Lodovico Borgonovo detto Righetto del Campana, alfiere maggiore, posti sulla destra delle fanterie, in posizione leggermente rialzata. Sul pendio oltre il fosso di Scannagallo stavano, armi al piede, Georg Reckenrot, luogotenente generale dei tedeschi e Johann Torech, colonnello di 3.000 lanzichenecchi schierati contro gli spagnoli di Francisco De Haro. Dietro i lanzi era la formazione dei 3.000 fanti dei Grigioni; al loro fianco, al centro dello schieramento, stavano i 1.500 fanti guasconi comandati da Valleron, e altri 1.500 francesi del barone di Fourquevaux. Sul lato sinistro 5.000 fanti italiani sotto il comando di Paolo Orsini, il conte di Caiazzo e dei due fratelli Bentivoglio.

Lo schieramento era forte, solidi quadrati di picchieri con sui fianchi archibugieri e fanti armati di rotella e spada. Anche il Marignano fece fermare i suoi e schierò le sue truppe in ordine di battaglia. Sull'ala sinistra, al margine delle colline dove il letto della Chiana si allargava nella pianura, erano schierati i 600 uomini della cavalleria leggera sotto il comando del conte Sforza di Santafiora, luogotenente del Marignano, insieme ad altri 600 cavalleggeri del conte di Nuvolara, capitano della cavalleria leggera imperiale; Marcantonio Colonna guidava invece lo squadrone di 300 uomini d'arme, uomini protetti da armatura completa armati di lancia: la cavalleria pesante.
Il Marignano dispose le fanterie in formazione di battaglia sulla linea Anasciano-Poggio al Vento, un po' arretrate sulla sponda sinistra del fosso di Scannagallo: la fanteria spagnola di Francisco de Haro, circa 2.000 uomini, veterani di Sicilia e di Napoli tenevano il fianco sinistro, insieme ai soldati spagnoli e le reclute corse di don Lorenzo Juarez de Figueroa. La formazione di centro, a una distanza di 60 passi dagli spagnoli di Figueroa e de Haro, era costituita dalla battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandati dal colonnello Niccolò Mandruzzo, colonnello imperiale.
Sul lato destro dello schieramento, comandato dal conte di Popoli, stavano 4.000 fanti toscani, seguiti alle loro spalle da altri 2.000 fanti di Juan Manrique, in terza fila i 3.000 romani di Camillo Colonna. Come riserva, dietro le fanterie italiane, era una compagnia di 200 soldati spagnoli reduci dalle guerrre d'Ungheria e una compagnia di archibugieri a cavallo napoletani. La poca artiglieria schierata dal Marignano fu piazzata in batteria dietro le fanterie, più in alto di queste sulla collina e leggermente spostata verso il lato sinistro dello schieramento mediceo-imperiale: in tutto due mezzi cannoni e due sagri, pronti a scaricare i loro proiettili sulla massa dei fanti nemici.

Verso le undici del mattino il marchese di Marignano decise di saggiare la resistenza della cavalleria nemica: la cavalleria leggera mediceo-imperiale posta nella pianura cominciò a muovere al trotto, passò il fosso di Scannagallo e caricò decisamente al galoppo le squadre di cavalleria franco-senesi, subito seguite dal trotto della massa dei 300 uomini d'arme di Marcantonio Colonna; la cavalleria franco-senese fu travolta da questa ondata di cavalleria pesante, le squadre si aprirono sotto l'urto massiccio degli uomini d'arme e Righetto del Campana, portabandiera della cavalleria franco-senese, volse il cavallo verso Foiano; i cavalieri francesi, vedendo fuggire la loro insegna principale, scompigliarono le righe e furono presto travolti dalla cavalleria mediceo-imperiale che, probabilmente, non si aspettava una fuga così improvvisa e disordinata dell'avversario per le vigne e i campi della pianura. Il successo imprevisto della cavalleria fu salutato da una salva delle batterie fiorentino-imperiali poste sulle alture alle spalle delle battaglie di fanteria, le prime palle caddero in mezzo alle fanterie franco-senesi mentre la cavalleria vittoriosa si lanciava all'inseguimento dei cavalieri francesi che galoppavano verso Foiano.

Piero Strozzi considerò preoccupato la piega negativa presa dalla battaglia: alla prima mossa del nemico aveva già perso tutta la cavalleria sull'ala destra, cosa che fece pensare seriamente al tradimento di Righetto del Campana; decise pertanto di riprendere in mano l'iniziativa, forzando la manovra e attaccando decisamente su tutto il fronte con le sue battaglie di fanteria. Verso mezzogiorno del 2 agosto le fanterie tedesche sull'ala destra di Piero Strozzi cominciarono a scendere dalle colline lungo le piagge che portavano al fosso di Scannagallo, oltre il quale, immobili e assorti, gli spagnoli al comando di Francisco de Haro pregavano con fervore la Vergine e tutti i Santi verso cui ogni soldato era personalmente devoto. La discesa dalla collina di quella massa urlante di fanteria, le picche puntate contro i petti di ferro degli spagnoli, morioni e cabacetes al sole, fu travolgente: il fosso quasi asciutto di Scannagallo fu passato di corsa dai 3.000 lanzi che iniziarono a risalire correndo la cinquantina di metri oltre la sponda che li separava dal muro della fanteria spagnola.
La polvere levata dallo scalpiccìo degli uomini si confuse a quella delle armi da fuoco che scaricarono finché fu possibile contro i tedeschi guidati da Johann Torech e Georg Reckenrot, quindi si venne all'urto e la mischia si fece feroce. Gli spagnoli delle prime file furono scavalcati e travolti in un urlìo feroce di voci che gridavano in lingua castigliana e tedesca, azzuffandosi e massacrandosi sul fianco della collina.

A questo punto, dal fianco destro degli spagnoli così duramente attaccati, entrò in combattimento il centro dello schieramento mediceo-imperiale: la battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandati da Niccolò Mandruzzo, questi caricarono a loro volta contro i tedeschi al soldo di Siena che ingaggiarono una mischia violenta a colpi di picca. In mezzo al tumulto l'artiglieria imperiale continuava imperterrita a sparare sulle fanterie nemiche e questo fuoco continuo di artiglieria bene indirizzato contro il centro dello schieramento franco-senese riuscì in parte a scompigliare le file dei soldati svizzeri dei Grigioni che, come tutta la linea dell'esercito di Piero Strozzi stava scendendo nel vallone, passando qua e là il greto riarso del fosso di Scannagallo. Lo slancio iniziale dell'attacco franco-senese stava venendo meno, colpi di artiglieria continuavano a piovere tra le file avanzanti al passo, sulla destra la mischia era già fitta e la confusione grande.

Quando i capitani mediceo-imperiali videro che il fosso era stato passato dalle prime sette/otto file dei franco-senesi poterono discernere in viso le prime file di fanti che marciavano al passo veloce, le picche serrate fra i pugni, gli sguardi fissi verso di loro e le bocche aperte a gridare urla di guerra e improperi; allora dalle file della fanteria mediceo-imperiale si levò il grido di guerra: "Duca! Duca! Palle! Palle!"
Il Marignano aveva dato l'ordine di attacco generale alle sue fanterie e queste cominciarono a scendere il declivio, marciando al passo, quasi correndo incontro al nemico che si faceva sempre più vicino, nel frastuono sordo e crescente di scalpiccii, tintinnio di armi, urto di legni e di metalli sempre più accelerato; gli uomini gridavano, per incitare i compagni, per terrorizzare il nemico, per dare coraggio a se stessi, per stordire infine la mente in quella corsa contro le picche acuminate, le spade, il fuoco e il fumo degli schioppi. I fanti dei Grigioni che già erano stati martirizzati dall'artiglieria del Marignano cominciarono a sbandare; l'urto dei picchieri fiorentini e l'assalto a rotella e spada dei fanti mercenari napoletani di Manrique cominciò a produrre il panico tra le fila dei franco-senesi.

A un certo punto, con strepito grandissimo, dal lato della Chiana apparvero caricando dalla polvere i 300 uomini d'arme di Marcantonio Colonna che, dopo aver inseguito per un tratto la cavalleria franco-senese di Righetto del Campana, erano tornati indietro per caricare alle spalle e di fianco i fanti dello Strozzi, ormai discesi completamente nel vallone e seriamente impegnati a difendersi dalle fanterie avversarie.
L'ordine di battaglia dello schieramento franco-senese era rotto: la cavalleria leggera franco-senese ormai lontana della mischia, era inseguita da quella mediceo-imperiale e, grazie alla fuga, si era salvata quasi al completo riparando dopo una corsa di svariati chilometri fino a Montalcino. I lanzi di Reckenrot e Torech erano stati presi di fianco dai tedeschi del Mandruzzo, i fanti svizzeri dei Grigioni schierati inizialmente dietro Torech e Reckenrot, erano facile preda della cavalleria pesante sbucata al loro fianco destro e venivano sbandati presi dal panico; restavano i francesi e guasconi di Valleron e Forquevaulx i soli a reggere l'urto del grosso delle fanterie mediceo-imperiali. Intrappolati sul greto del fosso di Scannagallo si batterono da prodi contro un nemico sempre maggiore e ormai soverchiante, le insegne cadevano una ad una, i francesi si rinserrarono in gruppi intorno ai loro capitani che levavano in pugno le bandiere, bersagliati dal tiro della moschetteria.

Nel polverone sollevato dal movimento convulso di migliaia di uomini non era più possibile fare manovre o comprendere ordini: lo stesso Piero Strozzi aveva perso il cavallo e combatteva a piedi finché, dopo esser stato ferito tre volte da colpi di arma da fuoco, dovette cedere il comando a Clemente della Cervara, e fu portato via a braccia dai suoi fidi lontano dal campo di battaglia.
La battaglia era durata un paio d'ore, dalle 11 del mattino fino all'una, l'inseguimento invece durò fino al tramonto, chi non si era salvato con la fuga dopo la carica degli uomini d'arme resisté in gruppi isolati, Clemente della Cervara cadde al suo posto di comando colpito da 18 ferite e a notte, 4.000 uomini giacevano morti sul campo mentre altri 4.000 lamentavano ferite o erano stati fatti prigionieri dai fiorentino-imperiali. 500 Grigioni, 400 Francesi e 800 Tedeschi furono catturati insieme a Georg Reckenrot, Paolo Orsini, il conte di Caiazzo, un fratello di Cornelio Bentivoglio, Clemente della Cervara che morirà per le gravi ferite riportate.

Gli uomini di Cosimo dei Medici raccolsero più di cento bandiere nemiche nel vallone di Scannagallo, comprese le verdi bandiere, ormai lacerate, con sopra scritto il nome della libertà fiorentina. I soldati di Cosimo dei Medici lamentavano perdite irrisorie rispetto al numero dei caduti di Piero Strozzi, solo tre ufficiali caduti e un massimo di 200 morti, caduti senz'altro nella prima mischia tra lanzi e spagnoli sull'ala destra verso la Chiana.
La battaglia di Marciano era vinta, il nome del fosso dove erano caduti combattendo i soldati francesi, chiamato dai contadini della zona Scannagallo, fu subito interpretato dai fiorentini quale nome profetico e con feroce sarcasmo accostato alla strage consumata da poche ore, così che la battaglia di Val di Chiana divenne per i fiorentini combattenti nelle file di Cosimo dei Medici la giornata di Scannagallo.

In quel giorno i "Galli" erano stati scannati davvero ma con loro era caduta la speranza di sconfiggere i mediceo-imperiali e liberare Siena dall'assedio; la guerra si restrinse intorno a Siena e nelle piazzeforti ancora tenute in Maremma ma ogni capacità di azione offensiva da parte degli eroici senesi era stata infranta in Val di Chiana quella terribile giornata di agosto. Una futile curiosità, cara ai cabalisti, vuole che si noti la coincidenza casuale delle date: la Repubblica fiorentina era caduta dopo la battaglia di Gavinana il 2 agosto 1530 e sempre il 2 agosto, ma del 1537, gli esuli fiorentini guidati da Filippo e Piero Strozzi avevano patito la sconfitta di Montemurlo; il 2 agosto infine del 1554 fu Scannagallo.


STORIOLOGIA ringrazia l'Associazione Culturale Scannagallo
http://www.scannagallo.com



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Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
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