ANNI 1580 - 1601

CARLO EMANUELE I DI SAVOIA
 


(la seconda puntata vedi  periodo 1601-1630 > > )

POLITICA DI CARLO EMANUELE I - TENTATIVI DEL DUCA DI SAVOIA PER RIPRENDERSI GINEVRA - MATRIMONIO CON CATERINA D'AUSTRIA - IMPRESA DI SALUZZO: OCCUPAZIONE DEL MARCHESATO; TRATTATIVE COL RE DI FRANCIA; GUERRA TRA I FRANCO-SVIZZERI; ACCORDO DI NOYON.- SPEDIZIONE SABAUDA NELLA PROVENZA - RIPRESA DELLE OSTILITÀ CONTRO GINEVRA - OFFENSIVA DEL LESDIGUIÈRES - VIAGGIO IN SPAGNA - VICENDE DELLA GUERRA CONTRO LA FRANCIA - TREGUA DEL 1595 - ACCORDO DI VERVINS - LA QUESTIONE DI SALUZZO ALL'ARBITRATO DI CLEMENTE VIII - TRATTATIVE TRA CARLO EMANUELE I ED ENRICO IV - IL DUCA DI SAVOIA IN FRANCIA - RIPRESA DELLA GUERRA CONTRO LA FRANCIA - MEDIAZIONE DEL PONTEFICE - PACE DI LIONE

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PRIME IMPRESE CONTRO GINEVRA
MATRIMONIO CON CATERINA D' AUSTRIA


EMANUELE FILIBERTO, morendo, lasciava il trono al figlio Carlo Emanuele I, non ancora diciannovenne, e gli metteva al fianco due fidati ed abili consiglieri, il conte BERNARDINO RACCONIGI e ANDREA PROVANA di LEYNI. 

Quando il giovane erede  salì al trono due erano le correnti politiche che tenevano il campo nello Stato Sabaudo: una con a capo il conte di Racconigi che sosteneva l'amicizia con ENRICO III di Francia, l'altra, diretta dal Provana, sosteneva l'utilità di una intesa più stretta con FILIPPO II re di Spagna. C'era inoltre chi voleva che lo Stato si estendesse territorialmente al di là delle Alpi e c'erano altri che pensavano - e non a torto - che era meglio rivolgere le mire ingrandendo il ducato sul territorio italiano.

Carlo Emanuele I, educato alla scuola del padre, non voleva mostrare di appoggiarsi troppo alla Francia o alla Spagna e mantenne dapprima un certo riserbo, con il proposito di regolarsi  a seconda delle opportunità e di favorire quella potenza dalla quale avrebbe potuto ricavare maggiori vantaggi; quanto alla politica di ingrandimento territoriale, fin dal principio del suo regno mostrò di non volere abbracciare esclusivamente quella dei savoiardi o quella dei piemontesi e si lasciò soltanto guidare dalla sua grande ambizione e dalla brama smodata di conquiste.

Tre questioni, morendo, aveva lasciato insolute Emanuele, Filiberto: quelle di Saluzzo, del Monferrato e di Ginevra. Più importante di tutte sembrava - e in realtà lo era - quella di Saluzzo, perchè questo marchesato in mano alla Francia costituiva (per i francesi al di qua delle Alpi era una base) il grave pericolo per la sicurezza del Piemonte; ma Carlo Emanuele aveva, malgrado la sua giovinezza, tanto acume e buon senso da capire che non era giunto il momento opportuno di rivendicare i suoi diritti su quel territorio e di sostenerli con le armi, perché da un canto non si riteneva forte abbastanza da competere con Enrico III, dall'altro non era sicuro di poter contare sull'aiuto di Filippo II. 

Stando così le cose, sebbene ritenesse che la questione di Saluzzo dovesse essere risolta prima delle altre, il giovane duca stimò opportuno di temporeggiare, anzi, quando il re di Francia, appena morto Emanuele Filiberto, gli inviò come ambasciatore il maresciallo di Retz per definire quella questione, egli si affrettò a restituire Carmagnola e le altre terre del marchesato che, come si è detto, erano presidiate da truppe piemontesi.

Rimandata a miglior tempo la soluzione della questione di Saluzzo, Carlo Emanuele rivolse il pensiero al riacquisto di Ginevra. 

""... La contesa tra la città ribelle e Carlo Emanuele - scrive il Bergadoni in un suo riuscito profilo del duca - non si restringeva ad un duello, in cui questi avrebbe potuto trionfare, ma assumeva carattere di questione internazionale, confondendosi nel vario e continuamente mutabile urto tra le molteplici forze che agivano nell' Europa occidentale e centrale, prima il padre, tanto superiore per animo ed intelligenza alla maggior parte dei principi del tempo, ora il figlio, non costituiva che una minuscola pedina nell'immenso scacchiere. 
Un primo tentativo di sorprendere la città impreparata ed indifesa, quantunque condotto con la maggior segretezza, per la difficoltà di radunare di nascosto le milizie destinate al colpo di mano e per il tradimento di alcuni soldati protestanti, che rivelarono la congiura, andò a vuoto (aprile 1582). Tuttavia Carlo Emanuele non mutò pensiero e, sebbene la sorpresa fosse venuta meno, riunì molti soldati per l'acquisto con la forza. Tentò di indurre alla neutralità Enrico III, di legare maggiormente a sè i cantoni cattolici, già alleati della sua casa fin dal tempo di Emanuele Filiberto, di staccare dalla Francia quelli protestanti, compromettendo ai loro occhi il re, di cui pretendeva essere l'alleato segreto e compiacente, di scandagliare, ma inutilmente, il mutismo ambiguo di Filippo II, di guadagnare l'acquiescenza dell' Imperatore e di avere aiuti dal pontefice. 

"Furono mesi di infaticabile attività diplomatica, di cui solo Carlo Emanuele teneva collegati i fili, affidando ai suoi ambasciatori solo determinati punti da trattare, in modo che a loro sfuggisse il piano generale della sua politica. Negoziava intanto con agenti esteri e svolgeva un'attivitá laterale e talvolta opposta a quella dei suoi collaboratori, dando corpo ad una politica personale molto pericolosa al suo Stato per l'inesperienza ma anche per  l'avventatezza e l'ambiguità nel suo agire.

"Alla fine l'opposizione aperta di Enrico III, che era risoluto di rompere con il duca piuttosto che autorizzarlo a rendersi padrone di Ginevra,  "...quantunque - così scriveva il re ad un ambasciatore - fosse a desiderarsi che questa città già da lungo tempo fosse stata ridotta in cenere per quella semenza di malvagia dottrina che essa ha sparso in parecchi luoghi della cristianità..."", la freddezza del papa Gregorio XIII, la riluttanza dei cantoni cattolici e l'ostilità di quelli protestanti, consigliati dalla corte di Francia a tenersi su una difensiva ferma, ma prudente, le strida dei principi italiani, il tenace e perciò significativo silenzio di Filippo II, l' impossibilità della sorpresa, l' isolamento diplomatico, insomma, che faceva il vuoto intorno a lui, indussero Carlo Emanuele a cedere senza utile e senza danno e ad accettare la proposta del re cristianissimo e dei cantoni svizzeri di un ampio esame delle sue ragioni su Ginevra (luglio 1582). La disputa presso la dieta elvetica, durò a lungo, molto cavillosa, finché, non volendo giungere a nessuna decisione, rimandò ogni deliberazione a tempi migliori.

"Così finì la prima azione politica del Duca di Savoia, messosi dentro un ginepraio senza la coscienza della realtà e dell' insormontabile opposizione europea ai suoi disegni, che il glorioso padre aveva in tempo riconosciuto. Ma l' insuccesso non diminuì il suo prestigio, anzi sul giovane principe si volsero gli sguardi ansiosi di quanti, italiani ed oltremontani, riconoscevano come nelle future competizioni internazionali l' energia del signore subalpino pesasse sulla bilancia comune...""

Fu appunto per il prestigio del duca che non pochi tra principi e monarchi ambivano di stringere con lui vincoli di parentela. Gli vennero offerte in matrimonio la figlia del duca di Mantova, quella del granduca di Toscana, la sorella di Enrico IV di Navarra, Cristina di Lorena nipote del re Enrico III di Francia e Caterina secondogenita di re Filippo II di Spagna.

A tutte le altre Carlo Emanuele preferì quest'ultima, perché con tale matrimonio il duca sperava di aver l'appoggio del futuro suocero per tradurre in realtà i suoi disegni su Ginevra, Saluzzo e il Monferrato. Il 26 agosto del 1584 fu dato ufficialmente a Torino l'annuncio del fidanzamento. Nel gennaio dell'anno seguente Carlo Emanuele lasciò la sua capitale e con un magnifico seguito di paggi e gentiluomini si recò in Spagna per impalmare la sposa.
Il matrimonio ebbe luogo a Saragozza, 1' 11 marzo. Dopo la cerimonia delle nozze e le feste che seguirono, la coppia ducale, per Barcellona, Nizza e Savona, giunse negli stati sabaudi e il 10 agosto fece il suo solenne ingresso a Torino, dove altre feste vennero celebrate.

Questo matrimonio rappresentò una breve parentesi nell'attività politica del duca, il quale, terminati i festeggiamenti, tornò subito a pensare all'acquisizione di Ginevra. Il momento era propizio, date le discordie politiche e religiose da cui era dilaniata la Francia, il contegno favorevole di Filippo II all'impresa e gli aiuti di uomini e denari che papa SISTO V gli prometteva.

Carlo Emanuele si diede febbrilmente ai preparativi. Tutto era pronto per la Pasqua del 1586 e mancava soltanto che il re di Spagna si decidesse all'invio di milizie; ma, quando, nel luglio di quell'anno, finalmente Filippo si decise a mandar le truppe promesse, il momento favorevole era già  passato. 
Tuttavia si poteva ancora tentare l' impresa con una certa probabilità di successo; ma Filippo, irresoluto com'era, tentennò per qualche tempo, poi nel settembre ordinò che le truppe spagnole radunate intorno a Ginevra partissero per la Fiandra, e così ancora una volta Carlo Emanuele vide svanire la speranza di una prossima conquista della città agognata e fu suo malgrado costretto a rimandare ad altri tempi l' impresa che tanto gli stava a cuore. Il giovane duca inizia ad essere inquieto, spregiudicato, ambiguo.

CARLO EMANUELE OCCUPA IL MARCHESATO DI SALUZZO
GUERRA DEL DUCA Dl SAVOIA CONTRO I FRANCESI E GLI SVIZZERI
ACCORDO DI NOYON

Carlo Emanuele I, spirito inquieto come nessun altro, non abbandonava un'impresa che per tentarne un'altra, e stava sempre con l'occhio fisso alle cose di fuori per approfittare a suo vantaggio delle difficoltà altrui.
Nel 1587 infieriva in Francia la guerra civile; Enrico III era stato sconfitto dall'esercito di Enrico di Navarra; a Parigi erano state erette le barricate; il contegno dei Guisa, dei nobili e delle città rendevano ancora più disastrosa la situazione.
Da questo stato di cose non poteva non cercare di trarre profitto il duca di Savoia. Questa volta pensò che era giunto per lui il momento di togliere alla Francia il marchesato di Saluzzo.

Innegabili erano i diritti della casa di Savoia sul Marchesato. Torniamo a molti anni prima. Nel 1216 i marchesi di Saluzzo con il consenso dell' imperatore erano diventati vassalli della casa Sabauda; nel 1305 MANFREDI IV aveva reso omaggio ad AMEDEO V, nel 1375 una sentenza imperiale aveva dichiarato il marchesato vassallo dei Savoia, il cui diritto inoltre era stato sanzionato con diplomi imperiali negli anni 1365, e ribaditi nel 1372, 1554 e 1555.

Contro questi diritti la Francia non vantava che un omaggio, quello fatto da TOMMASO II nel 1345 al Delfino di Vienne. Nel 1548, essendo stato violentemente tolto di mezzo il marchese GABRIELE per opera di Giovanni Caracciolo e di Piero Strozzi capitano delle milizie assoldate da Enrico II, spinta da ragioni militari, la Francia aveva improvvisamente troncata la controversia con i Savoia occupando il marchesato.
Prima di ricorrere alle armi, con il pretesto che una schiera di ugonotti capitanata dal Lesdiguières si preparava ad invadere Saluzzo, Carlo Emanuele I chiese a Enrico Il che gli concedesse il governo del marchesato, sperando che il re di Francia per le difficoltà in cui si trovava non avrebbe osato opporgli un rifiuto attirandosi un nuovo nemico.

Ma Enrico II non volle acconsentire alle richieste del duca di Savoia, il quale allora ruppe gli indugi e alla testa delle sue milizie, uscito la sera del 28 settembre del 1588 da Torino, occupò di sorpresa Carmagnola. La guarnigione, chiusasi nel castello, vi fece qualche resistenza, ma pochi giorni dopo si arrese. 
Resistenza maggiore fecero i presidi di Centallo, Saluzzo e Revello, ma alla fine queste terre vennero occupate dall'esercito sabaudo guidato da Andrea Provana di Leynì e dal conte Francesco Martinengo.

Impadronitosi del marchesato, Carlo Emanuele I si affrettò a far sapere al re di Francia che lo aveva occupato per impedire una invasione degli ugonotti, ma che intendeva amministrarlo a nome della corte di Parigi. Queste dichiarazioni furono ripetute agli ambasciatori francesi e spagnoli e furono divulgate in tutte le corti europee e italiane, ma non furono né potevano esser credute e l'occupazione fu da non pochi ritenuta un'usurpazione.

 Enrico III meno degli altri credeva alle dichiarazioni del duca; ma poco poteva fare nelle condizioni in cui si trovava; tuttavia ci fu un momento in cui parve che di fronte alla cosiddetta usurpazione del principe sabaudo, i dissensi interni della Francia cedettero il posto allo sdegno e gli animi si unirono per punire il duca. 
Il pericolo di una reazione francese però durò pochissimo; tornarono le discordie interne ad avere il sopravvento sull'indignazione e il re di Francia, impotente a muovere guerra a Carlo Emanuele per ripigliarsi il marchesato, entrò in trattative con lui e, fingendo di credere che l'occupazione era stata provocata dalla minaccia degli ugonotti, lo invitò a cedere Saluzzo al duca di Nemours, che era suo cugino e cattolico.
Il duca di Savoia non aveva nessuna intenzione di sgombrare il marchesato e tirò le trattative in lungo. Intanto un fatto nuovo veniva ad inasprire la crisi francese, l'assassinio del duca di Guisa. La situazione della Francia, caduta nell'anarchia, assicurava al principe Sabaudo il possesso di Saluzzo e gli metteva nell'animo nuove ambizioni.

 Carlo Emanuele I sognava di cingere, alla morte di Enrico III, essendo figlio di Margherita di Valois (sorella del precedente re Enrico II)  la corona di Francia e, spinto anche da Sisto V, pensava di trarre profitto dalla situazione francese impadronendosi del Delfinato e della Provenza e, mentre il suocero (il re di Spagna, Filippo II)  lo dissuadeva dal tentare una impresa superiore alle sue forze, offriva la sua alleanza al duca di MAYENNE, il quale, dopo la morte del fratello ENRICO di GUISA era stato eletto capo del governo provvisorio di Parigi. (questo voleva dire che Enrico III o spodestato o finanche ucciso in qualche congiura, il duca sabaudo avrebbe avanzato le sue pretese alla corona).

I disegni del duca dovevano però essere improvvisamente turbati da Enrico III che, malgrado le difficoltà in cui si trovava, non aveva mai smesso il pensiero di punire colui che gli aveva tolto il marchesato di Saluzzo. Il re di Francia, che di fronte alla rivolta della sua capitale e all'opposizione della Lega Cattolica, si era alleato con ENRICO di NAVARRA, aveva tirato dalla sua pure Berna, Ginevra e gli altri cantoni svizzeri protestanti e, forte del denaro e delle milizie di questi ultimi, aveva disegnato di assalire gli stati sabaudi. Tre spedizioni vennero preparate e nell'aprile del 1589 si effettuarono simultaneamente tre attacchi in tre punti diversi della frontiera sabauda: uno verso il contado del Fancigny, un altro verso la Savoia e un terzo contro il forte della Chiusa. I primi due attacchi furono coronati dal successo; il terzo però si infranse di fronte alla valorosa resistenza del comandante della fortezza, capitano Vivalda, che permise ai rinforzi piemontesi di giungere in tempo e di respingere il nemico.

Incoraggiato da questo successo, Carlo Emanuele si accinse ad arginare l' invasione sugli altri punti; e in qualche fatto d'armi fu anche vittorioso dei nemici, ma, a Crest, sopraffatto dalle numerose forze dei collegati, le truppe del duca vennero sconfitte e la fortezza di Ripaglia perduta.
Questi rovesci non sgomentarono Carlo Emanuele: sollecitati aiuti dei suoi alleati e ricevuti mille fanti francesi dal duca di NEMOURS, mille fanti borgognoni dal duca REVEL e alcune schiere spagnole dalla Lombardia, con queste truppe, gli unì un forte contingente di cavalleria savoiarda, la fanteria valdostana capitanata, da CLAUDIO di CHALLANT e il reggimento di GASPARE CORPORATO sostenuto da quattordici pezzi d'artiglieria tratti dal forte di Monmeliano, mandò alla riscossa il suo miglior generale, il conte FRANCESCO MARTINENGO, il quale, cogliendo anche l'occasione della partenza del comandante francese Niccolò Harlay de Sancy richiamato da Enrico III con diecimila Svizzeri, assalì vigorosamente il nemico e riportò su di esso tali successi da riprendergli parte dei territori invasi e da minacciar da vicino Ginevra.
Nei pressi di questa città ebbero luogo alcuni fatti d'arme; il più importante di questi avvenne sotto le mura di Bonne, difesa dal capitano ginevrino JEAN AUBERT: le truppe del duca rimasero vittoriose e la piazza fu costretta alla resa (giugno del 1589).

Due mesi dopo, sotto le mura di Parigi cadeva assassinato, per mano del frate domenicano GIACOMO CLEMENT, Enrico III, ed il vecchio cardinale di Borbone col nome di CARLO X veniva eletto re dai parigini, mentre il partito degli ugonotti acclamava come sovrano ENRICO IV di NAVARRA. 
Questi erano avvenimenti che non potevano lasciare indifferente Carlo Emanuele I, il quale - lo abbiamo detto sopra- aspirava alla corona di Francia; però nel momento in cui la sua attività doveva essere rivolta alle cose francesi egli si trovava impegnato in una critica guerra con i cantoni svizzeri.

Deciso ad aver libere le mani da questa parte, il duca di Savoia fece un supremo sforzo contro il nemico e, riacquistato il resto dei territori perduti al principio della campagna nell'ottobre del 1589 a Noyon costrinse Berna ad un accordo. In virtù di questo i Bernesi rinnovavano col duca la lega difensiva stipulata nel 1564 con il padre, gli cedevano i baliaggi occupati a patto che fosse tollerato il culto protestante in alcuni villaggi, e si obbligavano di non soccorrere Ginevra né con armi né con denari.

SPEDIZIONE SABAUDA IN PROVENGA
RIPRESA DELLE OSTILITA' CONTRO GINEVRA
VICENDE DELLA GUERRA CONTRO LA FRANCIA - TREGUA DEL 1595

Fatta la pace con gli Svizzeri. Carlo Emanuele I poteva nuovamente volgere il pensiero alla progettata impresa del Delfinato e della Provenza. Non era certo facile l' impresa e Filippo II, questa volta giustamente ancora più prudente di prima, la sconsigliava al genero. Questi, prima di prendere le armi avrebbe desiderato il consenso incondizionato del Pontefice e la promessa di aiuto dal re di Spagna; il contegno, contrario a quella pericolosa avventura, dell'uno e dell'altro fecero rimanere perplesso per qualche tempo il duca di Savoia e a lasciarlo in questa perplessità contribuirono da un canto i Ginevrini, che avevano riprese le armi contro di lui, dall'altro il Lesdiguières che, spintosi fino all'Argentera, minacciava d'invadere il marchesato di Saluzzo.

""...Tra queste perplessità - sono parole del Bergadoni - giunse a Torino un consiglio piuttosto brusco, che era poi un ordine, di Filippo II di «non voler abbracciare quello che poi non sarebbe bastante a conservare » ma anche  il voto del parlamento di Aix, portato da una deputazione di provenzali, i quali invitavano il Duca «come padre e loro signore a prenderli in protezione e passare in persona in Provenza per conservare quello Stato alla corona di Francia..."".

 ""...Il consiglio del suocero re cattolico e il voto di Aix erano ampiamente tra loro discordi, ma Carlo Emanuele pensava, che una nuova vittoria di Enrico IV sulle forze cattoliche avrebbe potuto indurre l'Escuriale ad un atto di audacia, apparentemente in difesa della religione e in sostanza contro la fortuna  del re di Francia, e che una marcia di ALESSANDRO FARNESE dalla Fiandra su Parigi assediata, contemporanea alla spedizione in Provenza sotto gli auspici della Spagna, avrebbe messo a repentaglio le sorti del detestato ugonotto. Risoluto ad agire, il Duca ebbe dal suocero nuovo avvetimenti di essere prudente e di non spingersi troppo nella Francia meridionale, mentre SISTO V, mandandogli la sua adesione, prima gli raccomandava di "cedere al futuro re cattolico della nazione le terre che avrebbe conquistato e più tardi, pentitosi, lo pregava di indugiare ancora"..."" (Bergadoni)

Ma Carlo Emanuele credeva di avere indugiato troppo. Nel luglio del 1590 dava l'ordine al conte Francesco Martinengo di penetrare con l'avanguardia dell'esercito in Provenza; e si riservava di raggiungerlo con il grosso dell'esercito. Gli inizi della spedizione furono felici: parecchie terre della Provenza aprirono le porte alle numerose forze ducali, altre invece (non tuti quindi parteggiavano per il duca) dovettero essere espugnate; tuttavia il 17 novembre Carlo Emanuele entrava in Aix e il 23 dello stesso mese assumeva il governo della Provenza di cui il parlamento della città lo aveva nominato conte protettore; pochi mesi dopo il duca entrava a Marsiglia. 
Presto però il Sabaudo doveva accorgersi con quanta imprudenza si era accinto ad un'impresa difficilissima. 
I Provenzali si erano già pentiti di aver fatto ricorso a lui per un aiuto; i denari per continuare la guerra cominciavano a mancare; a Marsiglia gli abitanti tumultuavano; il prode Lesdiguières si era impadronito di Grenoble, capitale del Delfinato e si preparava ad attaccare nella primavera del 1591 la Provenza, la  Savoia e il Piemonte.
Occorreva prevenire l'offensiva nemica e ottenere dal re di Spagna soccorsi di uomini e di denaro; ma Filippo Il, sollecitato, dava risposte evasive; allora (marzo del 1591) Carlo Emanuele decise -sfidando l'imprudenza- di recarsi in Spagna per cercare di vincere la riluttanza del suocero; ma era in viaggio alla volta di Barcellona quando l'offensiva nemica si scatenò furiosa.

I ginevrini furono i primi ad attaccare: anzi assalirono tutto e distrussero le opere di guerra costruite nel 1589 dal duca intorno alla città, poi mossero all'attacco del forte di Susa e riuscirono ad impadronirsene, ma poco don AMEDEO di SAVOIA intervenuto li ributtava furiosamente indietro e li costringeva a una fuga precipitosa. Ginevra si trovò così nuovamente esposta alle offese dei ducali né valse l'aiuto recato alla città per ordine di Enrico IV da Nicolò Harlay de Sancy, che battuto prima a Mouthon, fu poi richiamato in Francia dal suo sovrano, costringendo i Ginevrini, rimasti soli, a scendere a umilianti patti con i sabaudi

Diversamente procedeva l'offensiva nemica sugli altri fronti: il Lesdiguières, sconfitto il Martinengo a Saint-Martin dopo una battaglia combattuta da ambo le parti furiosamente, piombava improvvisamente sul Delfinato, sulla Provenza, sulla Savoia, e si affacciava alle valli piemontesi; la duchessa Caterina, che nell'assenza di Carlo governava, il ducato, con le poche forze di cui poteva disporre, teneva testa molto efficacemente ai continui assalti del generale nemico.

Mentre la guerra ardeva nella Provenza, nel Delfinato, nella Savoia e nel Piemonte, il duca giungeva a Madrid e riusciva a strappare al suocero aiuti di uomini e denari. Il 6 luglio era di ritorno a Marsiglia. Ma oramai la guerra si stava volgendo male per lui.

Lontano dalle sue basi, fra popolazioni che, prima favorevoli, ora gli si mostravano ostili, esausto di denari, egli vedeva, di non potere continuare a sostenersi contro il nemico che con successo gli faceva una guerriglia senza quartiere. Tuttavia Carlo Emanuele non voleva rinunziare al suo sogno di conquiste e si ostinava ad inseguire ancora il fantasma della corona di Francia che di giorno in giorno sempre più gli sfuggiva, ma quando seppe che il Lesdiguières nel settembre del 1593 aveva valicato il Monginevro e marciava su Pinerolo e su Susa, sebbene a malincuore, decise di abbandonare la Provenza e di correre a difendere il Piemonte che gli stavano ormai invadendo.

Bricherasio e Cavour erano già cadute in mano al nemico. Carlo Emanuele, approfittando della stagione avanzata, iniziò febbrili preparativi per riprendere la campagna nella primavera ventura, deciso di liberare il Piemonte portando la guerra nel Delfinato e intanto trattava un accordo col Lesdiguières per influire sull'animo di Filippo II. Ma che al suocero dovette sembrargli ambiguo.

Infatti temendo che il genero volesse staccarsi dalla Spagna ed accostarsi ad Enrico IV, mise sotto i suoi ordini diecimila Spagnoli e il duca, nel maggio del 1593, riuscì a riaprire la campagna. La quale però non diede i risultati che lui si aspettava, perché le milizie di Spagna, pur messe sotto il comando del principe sabaudo, si mostrarono più disposte a saccheggiare il paese che non a tenere testa alle truppe di Enrico IV ed anche perchè questi, abiurando il protestantesimo stava rafforzando sempre più la sua posizione in Francia.

Così si giunse all' inverno e dopo una tregua, d'armi di tre mesi, si riaprì la campagna. Questa però non ebbe a registrare nessuna attività e solo nell'autunno del 1591 ebbero luogo delle importanti operazioni: Bricherasio venne assediata dal duca di Savoia e dopo una accanita lotta sottratta  al nemico. Anche Cavour più tardi venne liberata; dal canto suo il Lesdiguières occupò Exilles.

Carlo Emanuele era stanco della lunga ed impari guerra e capiva benissimo che prolungando le ostilità avrebbe finito con il non potersi più sostenere contro un nemico che politicamente si affermava sempre più. Difatti Enrico IV, riconosciuto re da tutta, la nazione, era entrato a Parigi, e la Lega Santa si era sciolta. Malgrado l'opposizione della duchessa Caterina e dall'ambasciatore spagnolo presso la corte di Torino, il duca di Savoia iniziò trattative con il nemico e nell'agosto del 1595 concluse una tregua d'armi fino al novembre.


ACCORDO DI VERVINS
LA QUESTIONE DI SALUZZO E L'ARBITRATO DI CLEMENTE VIII
TRATTATIVE TRA CARLO EMANUELE I ED ENRICO IV 
RIPRESA DELLA GUERRA CONTRO LA FRANCIA - PACE DI LIONE

Nello Stato in cui si trovavano le cose una sola speranza rimaneva a Carlo Emanuele di uscir bene dalla lotta, speranza che era riposta nel Pontefice. Ma questa ben presto svanì, prima, ancora che spirasse la tregua, CLEMENTE VIII era stato sollecitato dal duca di Savoia che includesse nelle condizioni dell'assoluzione di Enrico IV il riconoscimento del possesso di Saluzzo e la, restituzione di Ginevra al duca; ma il 17 settembre del 1595 il Papa, pronunciò la sentenza di assoluzione senza far parola delle pretese del principe.
Questi, vedendosi abbandonato da tutti, cominciò a trattare con Enrico IV e le trattative sarebbero state felicemente condotte a  termine se il re di Francia non si fosse ostinato nel pretendere che Carlo Emanuele  riconoscesse il marchesato di Saluzzo come feudo francese e non solo ma che prestasse a lui il giuramento di fedeltà.

Erano condizioni che il duca non volle accettare e perciò nel giugno del 1597 la guerra fu ripresa. Il Lesdiguières attaccò la Savoia ed occupò la Moriana. Carlo Emanuele che era corso incontro al nemico, vinto dalle fatiche e dai disagi della campagna si ammalava a Chambery. In quello stesso tempo (7 novembre) la duchessa Caterina, allarmata per la mancanza di notizie del marito, cessava di vivere per aborto.

Si parlava intanto di trattative più o meno segrete di pace tra Filippo II ed Enrico IV, iniziate in Fiandra per opera di Clemente VIII. II duca di Savoia desiderava di prendervi parte e si diede da fare perché i suoi plenipotenziari fossero ammessi a trattare; non volendo però trovarsi con il nemico dentro i suoi stati, fatto questo che avrebbe avuto molto peso contro di lui nell'eventuale trattato, nel cuore dell' inverno (febbraio del 1598) entrò in campagna per rioccupare la Moriana ai Francesi e con un abilissima mossa riuscì a fare prigioniero il Crequi, luogotenente del Lesdiguières, con un intero corpo d'esercito.

Intanto le trattative fra i due grandi andavano avanti. e due mesi dopo, il 2 maggio del 1598, veniva firmato a Vervins il trattato di pace tra Francia e Spagna per il quale i confini dei due Stati ritornavano ad esser quelli che erano stati stabiliti nel 1559 a Cateau-Cambrésis. 
Nell'accordo di Vervins fu anche incluso il duca di Savoia che dovette cedere le conquiste fatte, eccezion fatta per il marchesato di Saluzzo che tenne per sé malgrado le proteste francesi.

Comincia da ora un nuovo indirizzo nella politica di Carlo Emanuele. Egli ha capito che dall'alleanza della Spagna ha tratto tutti quei vantaggi che ha potuto e che altri non ne può più sperare, pensa perciò di rivolgersi verso la Francia, la cui amicizia potrebbe essergli di valido sostegno nelle pretese che lui ha su Ginevra e il Monferrato. Ma quest'amicizia non può essere stretta se prima non si è trovata una soluzione alla spinosa questione di Saluzzo.

Dopo lunghe discussioni il re e il duca decisero di sottoporre la questione all'arbitrato di Clemente VIII che avrebbe dovuto pronunciarsi entro un anno. Il Pontefice fu lieto dell'incarico ricevuto, ma ben presto comprese tutta la difficoltà del compito assunto e capì anche che non sarebbe riuscito ad accontentare nessuno dei due contendenti perché il francese voleva ad ogni costo riavere il marchesato e il duca non intendeva cederglielo. Sarebbe stato quindi meglio che l'uno e l'altro si accordassero direttamente. 

A questo pensava anche Carlo Emanuele I, il quale, non prestando orecchio alle esortazioni di Filippo III, succeduto da poco al trono di Spagna, di non venire a nessun accordo con il re di Francia, aveva deciso di incontrarsi con Enrico IV in territorio francese sperando di piegare il sovrano con la sua eloquenza e scaltrezza. Ottenuto un salvacondotto, il 1° dicembre del 1599 il duca di Savoia parti da Chambéry alla volta di Fontainebleau. Qui venne accolto molto onorevolmente e siccome era molto affabile, amante dei piaceri e della buona compagnia e non fu sobrio di doni, in breve guadagnò alla sua causa ministri e cortigiani, la contessa di BELFORTE favorita del re e le stesse persone che. questi aveva delegato per trattare in suo nome la questione di Saluzzo.

Ma tutto ciò non valse a piegare Enrico IV, il quale, consigliato anche dai Veneziani, fu irremovibile. Vedendo il duca che con i negoziati non riusciva a far cedere il sovrano francese, ricorse ad arti riprovevoli partecipando ad una congiura ordita dal maresciallo BIRON contro Enrico IV, ma neppure questa riuscì e allora Carlo Emanuele per togliersi dalla situazione in cui si trovava si impegnò di restituire entro tre mesi il marchesato di Saluzzo o di cedere in cambio la Bressa, Barcellonetta, Pinciolo ed altre terre al di qua delle Alpi, e se ne tornò in Piemonte deciso, come dichiarò al suo ambasciatore BELLI, "di non mantenere la parola data".

Giunto nei suoi Stati, il duca nella primavera del 1600, sicuro che la guerra tra lui e la Francia sarebbe presto scoppiata, cominciò a far preparativi per resistere al nemico; passato il termine stabilito nell'obbligazione stipulata a Fontainebleau, per prender tempo, chiese una proroga; ma Enrico IV, sdegnato per il procedere sleale del Duca, ordinò al Lesdiguières di invadere la Savoia, al Crillon di assalire il territorio di Chambéry e al Nerestang quello del Bugey.

Così ricominciò la guerra, la quale, data la sproporzione delle forze messe di fronte, non poteva certamente riuscir favorevole a Carlo Emanuele I. La Savoia fu invasa, le sue fortezze dovettero una dopo l'altra arrendersi, il forte importantissimo di Monmeliano fu investito dai Francesi, e quando il duca giunse alla testa di ventimila uomini per liberarlo dalla stretta nemica, era troppo tardi, pee il tradimento del conte di BRANDIZZO, che ne aveva il comando, la fortezza era già caduta nelle mani dei Francesi e questi - asserragliandosi- si rifiutarono di venire a battaglia con i Piemontesi.

L'andamento delle operazioni. militari faceva prevedere, che fra non molto l'esercito di Enrico IV avrebbe invaso tutto il Piemonte. Questo fatto minacciava di far nascere una nuova guerra tra la Spagna e la Francia; infatti Filippo III dichiarava che non avrebbe mai permesso la totale rovina del cognato. Impensierito dalla piega che prendevano gli avvenimenti, sollecitato dagli Stati italiani ad intervenire per metter la pace, toccato nell' amor proprio di arbitro trascurato, Clemente VIII stabilì di offrire la sua mediazione per un componimento pacifico della contesa e, approfittando delle nozze di Enrico IV con Maria dei Medici, mandò in Francia, il cardinale PIETRO ALDOBRANDINI suo nipote per benedire gli sposi ed iniziare i negoziati di pace.

L'opera del legato pontificio non fu facile; questo dovette lottare contro le difficoltà opposte da tutti coloro che avevano interesse a non far concludere l'accordo e specialmente contro l'ostinazione di Carlo Emanuele, che non voleva a nessun costo cedere il marchesato di Saluzzo e voleva uscire con nessuna o poca perdita di territorio e contro quella di Enrico IV, al quale premeva di togliere alla Spagna le comunicazioni tra la Lombardia da una parte e i suoi possessi transalpini (Franca contea, Borgogna e Paesi Bassi) dall'altra.

Finalmente però l'opera del cardinale Aldobrandini fu coronata dal successo e il 17 gennaio del 1601 fu firmato il TRATTATO DI LIONE. Il duca di Savoia cedeva al re di Francia la Bressa, il Bugey, il Valromay, Chàteau-Dauphin ed altri luoghi minori sulla riva del Rodano; Enrico IV cedeva al principe sabaudo il marchesato di Saluzzo, le piazze di Cental, De Monts, Roque-Esparvière e il ponte di Gresin per cui la Spagna poteva mandar soldati nella Borgogna; infine il re e il duca si restituivano le fortezze e i territori occupati durante la guerra e si obbligavano di mantenere rapporti di amicizia e di buon vicinato.
Il trattato di Lione fu molto vantaggioso a Carlo Emanuele I; aveva sì, dovuto cedere alcuni territori, ma questi, perché situati oltre le Alpi, molto difficilmente avrebbe in seguito potuto conservare; in cambio conservava Saluzzo, allontanava definitivamente i Francesi dall' Italia e manteneva le comunicazioni tra l' Italia e i possessi transalpini della Spagna.

Lo stesso duca fu tanto persuaso dei vantaggi ottenuti che nel suo Testamento politico scritto nel 1605 lasciò dettò al figlio: 
« Il cambio è così sicuro per questi Stati e così dannoso per i Francesi, che ogni volta che si volesse ricambiare, sempre i Francesi lo fariano a man baciata; e ciò si vedrà dalle molte volte che il Principe ne sarà ricercato; ma in niuna maniera conviene farlo, perchè si mette il nimico nel cuore e nelle viscere di qua in Piemonte e per conseguenza con la loro potenza se ne rendono padroni né si assicura perciò la Savoia come nell'esperienza s' è visto per tante volte. E poi è molto meglio avere uno Stato unito tutto, come è questo di qua da monti, che due, tutti due mal sicuri, tanto più, che ritenendo il marchesato di Saluzzo si difficoltà assai ai Francesi la calata in Italia, si continua più facilmente la pace, levandoli dai pensieri d'Italia; e per il contrario è difficile poterla conservare, poichè tutto il giuoco non si può evitare, che non si faccia sopra il nostro Tavoliere, come si dice comunemente, sìcché punto principale mi pare il tener il Marchesato per la conservazione della pace oltre che la sicurezza dello Stato ».

Delle guerre di Carlo Emanuele I ce ne occuperemo poi
in una prossimo riassunto

quello del periodo che va dal 1601 fino alla sua morte, anno 1630 > > >

Ma se lo desideriamo,
lasciamo ora le due quasi  biografie dei due Sabaudi (
padre nel precedente riassunto, e il figlio in questo e nel prossimo),
e facciamo una panoramica
nei piccoli stati italiani alla fine di questo XVI secolo


è il periodo che inizia il XVII secolo, il 1600 > > >  

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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