ANNI 1733 - 1739

GUERRA SUCCESSIONE POLACCA e L'ITALIA

CARLO VI E LA PRAMMATICA SANZIONE - TRATTATIVE PER UN'ALLEANZA TRA IL RE DI SARDEGNA E L' IMPERATORE - AVVENIMENTI DI POLONIA - TRATTATO DI TORINO TRA LA FRANCIA E CARLO EMANUELE III - TRATTATO DELL' ESCURIALE TRA LA FRANCIA E LA SPAGNA - I FRANCO-PIEMONTESI INVADONO LA LOMBARDIA - INGRESSO DEL RE DI SARDEGNA A MILANO - BATTAGLIA PRESSO PARMA - CARLO EMANUELE III SCONFIGGE GLI AUSTRIACI A GUASTALLA - CARLO DI BORBONE CONQUISTA I REGNI DI NAPOLI E DI SICILIA - TRATTATIVE DI PACE - ULTIME OPERAZIONI DI GUERRA - TRATTATO DI VIENNA

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CARLO VI E LA PRAMMATICA SANZIONE
TRATTATIVE TRA CARLO VI E IL RE DI SARDEGNA
AVVENIMENTI DI POLONIA - TRATTATI DI TORINO E DELL' ESCURIALE


CARLO VI, cui il trattato di Londra aveva confermato il predominio sull'Italia, non avendo figli maschi, fin dal 1724 aveva emanato una prammatica sanzione con la quale stabiliva che la monarchia absburgese doveva passare alla figlia maggiore MARIA TERESA che intendeva sposare a Francesco di Lorena.

Per evitare contese alla sua morte, occorreva però che le maggiori potenze europee riconoscessero l'ordine di successione stabilito dalla prammatica sanzione. La Russia e la Prussia la riconobbero senza alcuna difficoltà; l'Inghilterra pose come condizione che l'arciduchessa Maria Teresa non andasse sposa ad un principe della casa Borbone; la Spagna voleva che la mano della figlia di Carlo VI fosse data all' infante don Carlo; la Francia infine desiderava avere la Lorena nel caso che il duca Francesco sposasse l'erede del trono d'Absburgo.

In sostanza i vecchi alleati di Carlo VI non vedevano di buon occhio la troppa potenza dell'Austria, e la Francia e la Spagna aspettavano per la rivincita un'occasione propizia, che poteva esser proprio quella dalla successione absburghese. In previsione di una guerra, queste due potenze si erano segretamente accordate ed avevano cercato di trarre nella loro lega il re di Sardegna.

CARLO EMANUELE III, che aspirava al possesso della Lombardia e non era in buoni rapporti con Vienna a causa della incompleta esecuzione del trattato del 1703, avrebbe aderito volentieri all'alleanza franco-ispana; ma egli temeva da una parte di non conseguire ciò che bramava schierandosi con la Spagna, la quale voleva riacquistare i possessi perduti d'Italia; d'altra parte le proposte della Francia fattagli a mezzo del cardinale di FLEURY, di cederle la Savoia in cambio d'una parte della Lombardia, non potevano essere da lui accolte.
Pensò quindi che era più conveniente affiancarsi all'Austria e fece sapere a Carlo VI che si sarebbe alleato con lui ed avrebbe riconosciuta la prammatica sanzione se gli fossero stati concessi il Novarese, il Tortonese e il Vigevanese e gli avesse permesso di occupare il ducato di Parma e Piacenza qualora l' infante don Carlo avesse dovuto lasciarlo.
Erano a questo punto le trattative tra il re di Sardegna e l' imperatore quando l'Europa fu di nuovo in armi per la successione polacca.

Dopo la dinastia degli JAGELLONI, la Polonia era stata retta da sovrani elettivi, quali Enrico di Valois (1573-74), Stefano Bathori (1587-1607) e poi dai Wasa fino al 1667. Nel 1697 era stato eletto Federico Augusto II, Elettore di Sassonia, il quale cessò di vivere nel 1733.
Due erano i pretendenti al trono polacco: FEDERICO AUGUSTO III, figlio del morto re, il quale godeva dell'appoggio dell'imperatore e della Russia, e STANISLAO LECHZYNSKI, suocero di Luigi XV e favorito dal partito nazionale che vantava come capo il PONIATOWSKI, reggente della Corona. Il Leschzynski, recatosi a Varsavia mentre si apriva la dieta, vi fu proclamato re di Polonia.

Poco dopo, l'Austria, la Russia e la Prussia fecero eleggere re l' Elettore di Sassonia da un'altra assemblea, e fra i due contendenti si venne alle armi. Danzica, assediata da un esercito russo, fu facilmente presa (giugno); Stanislao, che vi si trovava chiuso, per non cader prigioniero, fuggì lasciando il paese in balia dell'avversario che nel novembre fece il suo ingresso in Varsavia.

La lotta per la successione polacca, com'era da prevedersi, non rimasti circoscritta in Polonia, ma provocò un grave conflitto europeo. Carlo Emanuele III, non essendo riuscito ad accordarsi con l'Austria, il 26 settembre del 1733 sottoscrisse a Torino un trattato con la Francia, con cui concluse una lega difensiva ed offensiva alle seguenti condizioni: i regni di Francia e di Sardegna s'impegnavano a muovere guerra a Carlo VI e a conquistare il Milanese che sarebbe toccato alla casa di Savoia; la Francia: avrebbe impiegato per l' impresa quarantamila uomini, Carlo Emanuele in un primo tempo dodicimila, in un secondo tempo ventiquattromila soldati; il re di Sardegna avrebbe avuto il comando supremo dei due eserciti riuniti, e, dietro il pagamento da parte dell'alleata di un milione di lire; avrebbe prestato l'artiglieria grossa; infine, i due contraenti si obbligavano a non trattare separatamente con il nemico e a non attaccare i Paesi Bassi.

Con alcuni articoli segreti, aggiunti al trattato di Torino, i due alleati convenivano d' invitare il re di Spagna e l'infante DON CARLO ad entrare nell'alleanza a muover guerra all' imperatore, e stabilivano che i regni di Napoli e Sicilia e lo Stato dei Presidii sarebbero appartenuti all' infante e ai suoi discendenti e, in mancanza di questi, ai figli della regina Elisabetta.
Il re di Sardegna non era obbligato ad aiutare con uomini e denari la conquista di questi stati, mentre al re di Spagna si dava un mese di tempo per aderire al trattato.

Un mese dopo, il 25 ottobre del 17 33, la Francia stringeva alleanza con la Spagna, sottoscrivendo un trattato che prendeva il nome di TRATTATO DELL' ESCURIALE o primo patto di famiglia, ed aveva per scopo di unire le due case borboniche per la comune difesa dei loro stati e dei loro diritti. Con questo trattato la Francia assicurava all'infante il ducato di Parma e Piacenza e la successione al granducato di Toscana; garantiva alla regina Elisabetta " "…tutti i diritti e le azioni che potessero competere a lei, o ai suoi discendenti senza alcuna diminuzione, nulla importando che se ne trovasse orco in possesso o no.." " si impegnava a sostener la Spagna con tutte le sue forze di terra e di mare se contro Filippo V, l'Inghilterra avesse commesso atti d'ostilità e infine si obbligava di procurare dall'Inghilterra, anche con la forza, la restituzione di Gibilterra alla Spagna.

Il trattato dell'Escuriale veniva a modificare non poco quello di Torino, perché non più contro l'mperatore soltanto gli alleati intendevano rivolgere la loro azione, ma anche contro l' Inghilterra con la quale era e voleva rimanere in buoni rapporti la corte di Sardegna, e perché la Francia aveva segretamente promesso di dare alla Spagna il ducato di Mantova, il che era contrario agli interessi del Piemonte. Protestò Carlo Emanuele III; ma oramai era troppo tardi: i preparativi di guerra erano quasi ultimati, dalle Alpi erano già calati gli eserciti francesi e bisognava sospendere i maneggi diplomatici e dare più solo la parola al cannone.

I FRANCO-PIEMONTESI INVADONO LA LOMBARDIA
INGRESSO DEL RE DI SARDEGNA IN MILANO
BATTAGLIA PRESSO PARMA
CARLO EMANUELE III SCONFIGGE GLI AUSTRIACI A GUASTALLA

I preparativi erano stati fatti con tanta segretezza che l'Austria ne ebbe notizia solo quando erano già compiuti. Il generale Daun, governatore di Milano, non aveva a sua disposizione che dodicimila uomini, cifra troppo esigua per poterla contrapporre ai quarantamila soldati francesi e ai diciottomila che aveva messo in campo il Piemonte; decise quindi di lasciar grossi presidi nei castelli di Milano, Novara, Tortona e Pizzighettone e di andare a chiudersi col resto delle sue milizie in Mantova.

Le operazioni di guerra degli alleati tennero immediatamente dietro alla dichiarazione di guerra. Caddero in potere dei franco-piemontesi Vigevano, Pavia, Tortona, Novara, Pizzighettone, Sabbioneta, Cremona; cadde anche la città di Milano, ma il castello si rifiutò di arrendersi.

L' 11 dicembre del 1733 Carlo Emanuele III fece il suo solenne ingresso nella capitale lombarda. Seguito dal reggimento a cavallo delle sue guardie, e da porta Romana al Duomo passò tra le truppe franco-piemontesi e quelle della milizia urbana schierate, poi andò al palazzo ducale ricevuto dal Senato e da tutti gli alti magistrati.

Le operazioni d'assedio del castello furono condotte vigorosamente: aperta una breccia nelle mura, smantellata la mezzaluna, ridotti, a causa del bombardamento, delle diserzioni e delle malattie, a meno di un migliaio i difensori, questi chiesero di arrendersi, ed essendo stato loro accordato che uscissero con l'onore delle armi, il 29 dicembre aprirono le porte ai vincitori.

Appena venuto in possesso del Milanese, Carlo Emanuele III cercò di porre un riparo ai mali che il malgoverno austriaco vi aveva apportato, togliendo gli abusi, i disordini e le ingiustizie della passata amministrazione; nominò i governatori delle città e delle fortezze; creò una giunta di sette reggenti con un gran cancelliere, cui affidò il governo dello stato e l'amministrazione della giustizia; emanò provvedimenti in favore dei poveri e degli oppressi e contro i facinorosi e i magistrati incapaci o tristi.

Ma la buona volontà del re di Sardegna non valse a risanare le piaghe del nuovo dominio e a cattivargli l'affetto dei nuovi sudditi, forse perché i rimedi danneggiavano un gran numero di persone che dal disordine e dalle ingiustizie prima traevano illeciti guadagni, forse per l'avidità e le prepotenze dei soldati francesi. Si pensi che la sola Milano, in cui grandissimo era il disagio economico, doveva provvedere all'alloggio e al mantenimento di ben ventiquattromila soldati e di numerosissimi cavalli.

Vittoriosi come in Italia i Francesi lo erano anche sul Reno. Comandati dal Berwick, prima occuparono la Lorena, poi investirono la piazzaforte di Philippsburg. Morto, ucciso da una palla nemica, il generale francese, gli successe nel comando il Noailles, che riuscì ad espugnare la città.
Di fronte a tanti successi dei nemici, l' imperatore raccolse due eserciti: uno fu mandato sul Reno, al comando di Eugenio di Savoia, il quale seppe contenere l' impeto dei Francesi; l'altro, forte di trentacinquemila fanti e dodicimila cavalli fu spedito in Italia al comando del maresciallo di MERCEY che aveva con sé il principe di Wurtemberg.

Quando gli alleati seppero che un esercito austriaco si preparava a passare le Alpi, stabilirono di chiudergli il passo del Po e dell'Oglio per coprire Milano e il ducato di Parma e Piacenza, imbottigliare il nemico nel Mantovano e costringerlo alla pace. La destra dello schieramento degli alleati guardava la linea del Po; essa era composta di due corpi francesi: il primo agli ordini di Maillebois stava tra Revere e Sermide, il secondo sotto Coigny stanziava a Mirasole; due battaglioni presidiavano Guastalla. Il centro, composto anch'esso di truppe francesi, teneva la linea da Castelfranco a Viadana ed era comandato dal conte di Broglio. La sinistra, tutta di milizie piemontesi comandate dal conte della Perosa e dal marchese di Caraglio, si stendeva sulla destra dell'Oglio da Soncino a Castagnino e da Bardolano a Gabioneda.

Il quartier generale del re di Sardegna, il quale era partito da Torino il 17 aprile del 1734, si trovava a Bozzolo: quello del maresciallo di Villars, comandante supremo delle truppe francesi, a Calorno. Il Villars però non potè vedere lo svolgimento della operazioni perché, colpito da grave malattia, si fece trasportare a Torino, dove morì il 17 giugno in età di ottantaquattro anni.
L'esercito austriaco, forte di sessantamila uomini, si era spinto verso il Po, con il proposito di penetrare nei territori di Modena e di Parma per prendere i Franco-piemontesi alle spalle e costringerli alla ritirata. Il principe di Wurtemberg, trovandosi assente Mercey, ne aveva il comando, occupò di sorpresa Colorno, ma poco dopo fu costretto a ritirarsi dal sopraggiungere di Carlo Emanuele II.

Essendo caduta ammalata la moglie Polissena, il re di Sardegna fece di lì a poco ritorno a Torino, lasciando il comando dell'esercito alleato ai marescialli di Broglio e Coigny. Il 29 giugno del 1734, a pochi chilometri da Parma si combattè una sanguinosa battaglia, che durò fino a sera. Gli alleati persero quattromila uomini; gli Austriaci ebbero più di diecimila tra feriti e morti; fra questi ultimi, sei generali e il comandante supremo Mercey. Il Vurtemberg, durante la notte, si ritirò nel territorio di Reggio.
A succedere al MERCEY fu chiamato il conte di KONIGSECK, che a settembre mandò il principe di Wurtemberg ad assalire Gardella il conte di Broglio. Questi, sorpreso di notte, venne sbaragliato e a stento riuscì a riparare con la fuga presso il campo del Coigny, lasciando in mano al nemico i bagagli e quattromila prigionieri.

Il 19 di quello stesso mese il Kònigseck assalì don decisione gli alleati presso Guastalla. Fu una giornata sanguinosa. Malgrado il loro valore i Francesi sarebbero stati sopraffatti se a ravvivare la battaglia non fosse venuto Carlo Emanuele III, il quale si comportò da abilissimo capitano e da prode soldato, correndo dove maggiore era il pericolo, incitando con l'esempio le schiere vacillanti alla resistenza, rialzando dovunque andava le sorti del combattimento. Narrasi che, incontrato, mentre accorreva in un punto della linea sfondato dagli Austriaci, un buon numero di soldati alleati che fuggivano, gridasse loro: " Che fate, camerati? Voi vi ingannate; il nemico è dall'altra parte " . Il fuggitivi, pieni di vergogna alle parole del re, rivolsero la faccia ai nemici e, tornati nella mischia, respinsero gli austriaci.

Grazie anche a questi atti coraggiosi, Carlo Emanuele III la battaglia la fece terminare con la vittoria degli alleati. Gli Austriaci lasciarono sul terreno circa diecimila tra morti e feriti, parecchi cannoni ed alcune bandiere e dovettero ritirarsi; tra i feriti gravi ci fu lo stesso principe di Wurtemberg.

La vittoria degli alleati non fu però, come poteva essere, sfruttata. La causa va ricercata nell'irresolutezza dei marescialli francesi Coigny e Broglio, che diedero tempo al nemico di fortificarsi presso Luzzara, e nel poco interesse che aveva il re di Sardegna di continuare a fondo le operazioni contro Mantova, che non doveva esser sua. Inoltre la vita del campo in terreni paludosi ed umidi aveva fatto sviluppare tra le file degli eserciti non poche malattie e i generali credettero opportuno chiuder la campagna e condurre le truppe ai quartieri d'inverno.


CARLO DI BORBONE CONQUISTA I REGNI DI NAPOLI E DI SICILIA
TRATTATO DI VIENNA

Mentre questi fatti avvenivano nell'Alta Italia, la Spagna faceva sbarcare sulle coste della Toscana un buon nerbo di milizie destinate, sotto il comando del conte di Montemar, alla conquista del regno di Napoli. Si unì ad esse don CARLO DI BORBONE che, spentosi il Farnese, era già entrato in possesso del ducato di Parma e Piacenza.
L' impresa dei due regni di Napoli e Sicilia non presentava grandi difficoltà, sia per le scarse truppe che l'Austria vi teneva e che non avevano speranza di ricevere rinforzi, sia per l'odio che verso gli Absburghesi nutrivano le popolazioni, tra cui gli Spagnoli stessi che da tempo avevano saputo crearsi un forte partito.
Vicerè di Napoli era GIULIO VISCONTI, il quale, sapendo di non potere affrontare il nemico in campo aperto con le esigue forze di cui disponeva, stabilì di far perder tempo agli invasori nell'assediare le piazze di confine e a tale scopo fortificò di presidii le fortezze e mandò il grosso delle sue truppe, al comando del conte Traun, a trincerarsi presso Mignano.

Mentre una flotta spagnola si presentava nelle acque napoletane per incoraggiare alla rivolta i sostenitori del Borbone, don Carlo inviava un proclama ai Napoletani, nel quale diceva che andava a liberarli dall' insopportabile giogo austriaco e li assicurava che li avrebbe governati con equità e giustizia; quindi, impadronitosi di una fortezza nella Lunigiana per tenere aperte le comunicazioni con gli alleati Franco-piemontesi, attraverso la Toscana e lo Stato pontificio, si diresse verso il regno di Napoli.
Evitando le fortezze, gli Spagnoli penetrarono nel regno e, divisi in due corpi, assalirono il Traun a Mignano, il quale, colto alla sprovvista, fuggì precipitosamente a Capua, lasciando il nemico padrone del campo trincerato.

Allora Carlo di Borbone potè senz'alcuna difficoltà marciare verso la capitale e pervenire a Maddaloni, che si arrese. Appena a Napoli, dove il Visconti si era ritirato nelle Puglie, giunse la notizia che don Carlo era arrivato alle porte della capitale, gli Eletti e i Deputati del buon governo gli andarono incontro. L' infante ricevette le chiavi della città e sul Vangelo giurò di confermare ed osservare tutti i privilegi del regno.
Cessate le feste date in suo onore, Carlo pose mano alla riorganizzazione dello stato. Costituì la sua corte e il consiglio, in cui chiamò i migliori elementi del paese, ordinò che si riformassero gli ordinamenti giudiziario ed amministrativo ed emanò disposizioni affinché tornassero a rifiorire l'esercito e la marina e fosse dato impulso agli studi mediante un opportuno riordinamento delle scuole e la fondazione d'una pubblica biblioteca.

Mentre Carlo di Borbone iniziava il suo governo, le truppe austriache, incalzate dal Montemar si ritiravano verso Bari sotto il comando del principe di BELMONTE. Questi sapeva di non potere scontrarsi in battaglia contro il nemico, superiore per numero e per armamento, e sarebbe rimasto volentieri a Bari che gli offriva la possibilità di resistere vantaggiosamente ad un assalto, ma, pressato dagli ordini dell'imperatore, il 24 maggio si trasferì col suo magro esercito a Bitonto.
Il giorno dopo, in vicinanza di questa piazza, gli Austriaci ingaggiarono battaglia con gli Spagnoli. Il combattimento fu duro e lungo; infine il principe di Belmonto vedendo che le sorti volgevano contrarie ai suoi, si ritirò nel campo, dopo aver consegnato al nemico la piazza di Bitonto con tutta la fanteria che vi si trovava.

Il 26 maggio il Montemar ricevette la resa della città e del castello di Bari con i resti dell'esercito austriaco. Rimanevano da conquistare l'Abruzzo, la Calabria e Gaeta. Contro Gaeta mandò il duca di Liria, contro Pescara il duca di Castropignano, contro Reggio il conte di Mazzeda, poi se ne tornò a Napoli, dove per la vittoria del 25 maggio ricevette il titolo di duca di Bitonto.
Terminata la conquista del regno di Napoli, Carlo di Borbone rivolse il pensiero all'acquisto della Sicilia. L' isola era governata dal vicerè marchese Rubbi, il quale disponeva di circa seimila soldati austriaci, forze assolutamente insufficienti a resistere all'esercito approntato dal Borbone.
Questo assommava difatti a quattordicimila uomini ed era fornito di numerose artiglierie. La spedizione spagnola salpò da Napoli nell'agosto del 1734; parte, al comando del MARSILLAC, fece vela per Messina, il grosso, sotto gli ordini del MONTEMAR, si diresse verso Palermo.

II vicerè RUBBI, anziché prepararsi a resistere, fuggì a Malta, lasciando i forti di Messina al comando del Labkowitz, quello di Trapani sotto il Carrera e quello di Siracusa sotto il marchese Orsini. Dopo la partenza del viceré il presidio di Palermo si chiuse nel castello, e il popolo tumultuante accolse con gioia gli Spagnoli. All'avvicinarsi del Marsillac, anche il Labkowitz abbandonò le fortezze poste al suo comando e così anche Messina cadde subito in potere degli invasori, i quali in breve tempo, vinta la debole resistenza degli altri forti, s'impadronirono di tutta l'isola.

Con la perdita dei regni di Napoli e Sicilia, dello Stato dei Presidii e del Milanese all'imperatore in Italia non rimaneva che Mantova. La guerra per lui era stata veramente disastrosa, non solo per la perdita di tanto territorio e per le disfatte subite sul fronte italiano e sul Reno, ma perché era stato ridotto a corto di soldati e denari, senza i quali non potevano certo essere continuate le operazioni militari. Malgrado le critiche condizioni in cui versava, Carlo VI non voleva sentir parlare di abbandonare l'Italia e di concentrare tutti i suoi sforzi sul Reno.

A salvarlo dalla difficile situazione in cui si trovava vennero in buon punto l' Inghilterra e l'Olanda, che offrirono la loro mediazione per la pace alle seguenti condizioni: Stanislao Leschzynski doveva rinunciare alla corona di Polonia conservando il titolo regio: l' infante don Carlo doveva tenere Napoli, la Sicilia e lo Stato dei Presidii; Carlo Emanuele III avrebbe conservato il Tortonese, il Novarese e il Vigevanasco; l' imperatore avrebbe ricevuto Parma e Piacenza con il diritto di prelazione della Toscana, eccettuata Livorno che sarebbe stata dichiarata città libera; la Francia e il re di Sardegna dovevano riconoscere la Prammatica sanzione; infine si doveva subito stipulare un armistizio per condurre a termine le trattative.

Carlo VI accettò la mediazione e le condizioni propostegli; ma il re di Sardegna chiese che, oltre le tre province offertegli, gli fossero ceduti i feudi delle Langhe, il marchesato del Finale e la provincia di Pavia; la Francia, dal suo canto, fece capire che era suo desiderio di conservare la Lorena e di dare al Leschzynski la Toscana.
La guerra pertanto continuò, sebbene fiaccamente, tanto in Italia che in Germania. A rinforzare i franco-piemontesi giunse dal Napoletano il Montemar con venticinquemila uomini, che occupò Mirandola e costrinse gli austriaci comandati dal Kónigseck a ripassar l'Adige e a ritirarsi nel Trentino prima che gli fosse tagliata la via delle Alpi.
Mentre in tal modo procedevano le operazioni guerresche, senza che il re di Spagna e quello di Sardegna ne sapessero nulla, Luigi XV e Carlo VI conclusero un armistizio, svolsero trattative per mezzo dei loro ministri, il Fleury e il Sizendorf, indi sottoscrissero il 3 ottobre del 1735 i preliminari della pace.

I patti erano i seguenti: don Carlo avrebbe avuto i regni di Napoli e Sicilia e lo Stato dei Presidii; Carlo Emanuele III le province di Novara e di Tortona o quelle di Tortona e di Vigevano, in più i feudi delle Langhe, le terre di S. Fedele, Torre di Torti, Gravedo e Campomaggiore, con facoltà di erigervi fortificazioni; Carlo VI avrebbe tenuto il ducato di Mantova e il Milanese, eccetto le due province cedute al re di Sardegna e sarebbe entrato in possesso di Parma e Piacenza. Il re Stanislao avrebbe conservato il titolo regio, rinunciato al regno di Polonia e goduto i ducati di Lorena e Bar, i quali sarebbero alla morte di lui passati alla Francia; il duca di Lorena in cambio dei suoi ducati ceduti a Stanislao sarebbe successo a Gian Gastone de' Medici, granduca di Toscana; Luigi XV avrebbe infine riconosciuto la Prammatica sanzione.

Carlo Emanuele III, sebbene a malincuore, accettò le condizioni, scegliendo le province di Novara e Tortona, ma chiese ed ottenne il Ticino come confine del Novarese, la cessione assoluta delle Langhe e che la fortezza di Serravalle fosse compresa nel territorio tortonese, quindi nell'agosto del 1736, sottoscrisse i preliminari.

Essendo sorti vari incidenti, il trattato di pace tra la Francia e l'Austria fu sottoscritto a Vienna soltanto il 18 novembre del 1738, al quale accedette il re di Sardegna il 3 febbraio del 1739. Così terminò la lunga guerra, originata dalla successione polacca, che ebbe per effetto d'ingrandire lo stato di Carlo Emanuele III, di ridurre il dominio austriaco in Italia a parte del Milanese e al Mantovano e di costituire in governo autonomo, sotto la casa di Borbone, il regno delle Due Sicilie.


La pace accennata sopra durò pochissimo,
il 20 ottobre del 1740 moriva Carlo.

La salita sul trono di Maria Teresa,
causa l'inizio di una nuova guerra di successione

ed è il periodo che va dal 1740 al 1748 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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