ROMA

"ORDINAMENTO DEL GOVERNO REPUBBLICANO"
e "L'ESERCITO"

da Polibio, Storie, VI, 10-16

In Roma i consoli sono arbitri di tutti i pubblici affari, perché tutti gli altri magistrati, all'infuori dei tribuni della plebe, sono loro subordinati e a loro ubbidiscono. Sono loro che introducono gli ambasciatori nel Senato, che riferiscono nelle deliberazioni urgenti ed hanno tutto il maneggio delle leggi e degli affari di pertinenza del popolo; a loro spetta convocare i Comizi ed attuarne le deliberazioni. Nelle cose di guerra poi e nella condotta delle operazioni campali hanno autorità quasi assoluta, a loro spetta imporre ai soci il contributo che giudichino conveniente, nominare i tribuni, arruolare i soldati, e scegliere fra questi i migliori. Inoltre in campagna hanno piena facoltà di punire chiunque faccia parte dell'esercito (di cui parleremo più avanti), nonché di spendere del denaro pubblico quanto e quando ritengano opportuno; li accompagna, infatti, sempre un questore, che esegue quanto loro ordinano.

Il Senato ha innanzi tutto l'amministrazione dell'erario, essendo sottoposte alla sua giurisdizione così le entrate come le spese, dal momento che i questori non possono fare nessun impiego di denaro, per nessuna ragione, senza una deliberazione del Senato, se non per ordine dei consoli. Anche la maggiore e più ragguardevole spesa, che fanno i censori ogni cinque anni, per erigere e restaurare edifici pubblici, è ordinata dal Senato, che autorizza i censori.

Inoltre il Senato si occupa di tutti i reati commessi in Italia, che richiedono giudizio pubblico, cioè i tradimenti, le congiure, gli avvelenamenti, gli assassinii; e provvede a qualsiasi individuo o città d'Italia che abbia a comporre una lite, o meriti castigo, od abbisogni di soccorso o presidio. Il Senato dispone pure per le ambascerie che si debbano mandare fuori d'Italia, sia per far pace, sia per comunicare esortazioni o imposizioni, sia per stipulare patti od accogliere sottomissioni di popoli o dichiarare guerra. Ed il Senato si occupa altresì del modo come debbono essere ricevute in Roma ambascerie estere e di rispondere ad esse.

Ma anche al popolo rimane una parte assai importante nel governo
Della repubblica; perché i premi e i castighi che sono forza indispensabile di ogni stato e società umana, sono soltanto nelle mani del popolo. Esso giudica sopratutto coloro che hanno ricoperto qualche a magistratura; ed esso solo può pronunziare sentenze di morte. A questo proposito è da ricordare e lodare come presso i Romani vige la consuetudine che, quando un cittadino sia stato condannato morte da tutte le tribù tranne una sola che non abbia votato, possa andarsene dalla città in spontaneo esilio a Napoli, Preneste, Tivoli od altre città, che, per convenzione con la repubblica, possono accoglierlo liberamente.

Inoltre il popolo elegge i magistrati, scegliendoli fra i più benemeriti cittadini, essendo in una repubblica il potere il più bel premio della virtù. Ancora dipende dal popolo l'approvazione delle leggi; e ciò che è della più alta importanza, esso delibera intorno alla pace ed alla guerra. Infine è il popolo che conferma e ratifica quanto concerne le alleanze, la cessazione delle ostilità e le convenzioni con altri popoli.

Così dunque l'autorità è ripartita fra consoli, senato e popolo. Ora diremo come ciascuno dei tre poteri debba agire in accordo con gli altri due.
Il console, quando è in campagna con l'esercito, è investito d'autorità assoluta, ma in realtà non può concludere nulla senza il beneplacito del Senato e del popolo. Al primo dei quali spetta autorizzare le spese per i viveri, le vesti, i salari dei soldati, nonché di confermare o no il comando militare al console, quando questo l'abbia tenuto per un anno, ed infine autorizzare il trionfo, per mezzo del quale si dà a vedere ai cittadini che cosa sia stato compiuto dal generale investito del comando supremo. D' altra parte il consenso del popolo è assolutamente necessario ai consoli per la cessazione delle ostilità, perché soltanto al popolo spetta ratificare i trattati con gli altri popoli. Ma, ciò che più conta, i consoli debbono, deponendo il loro potere, render conto al popolo del loro operato. Donde si vede che nulla vale l'autorità dei consoli senza il consentimento del Senato e del popolo.

Ed anche il Senato, che pure è così potente, è soggetto all'autorità del popolo; perché esso non può nei processi per delitti di stato pronunciare sentenza di morte, senza l'approvazione dei Comizi. Inoltre il popolo è arbitro di approvare o no proposte di leggi dirette a diminuire l'autorità che la consuetudine accorda al Senato, od a togliergli qualche prerogativa ed onore; e ciò che è più grave ancora, il popolo può, per mezzo di un tribuno della plebe che opponga il suo veto, impedire non solo le deliberazioni del Senato, ma perfino le sue adunanze. Di modo che il Senato teme il popolo e si studia li compiacerlo.

Ma il popolo pure è a sua volta soggetto al Senato; perché ad esso spetta la sovraintendenza su tutti i lavori pubblici che vengono lati in appalto dai Censori, quali restauri ed erezioni di edifici, e tutti i lavori da farsi nei fiumi, nei ponti, nelle miniere, nell'agro pubblico, insomma ovunque si estenda la proprietà dello stato romano; dai quali lavori ognuno può trarre vantaggio. Inoltre, essendo di nomina senatoria i giudici per la maggior parte delle controversie finanziarie più importanti, tutti i cittadini, temendo di potere un giorno avere a che fare con tali giudici, hanno interesse a non contrastare il Senato nelle sue deliberazioni. Ed allo stesso modo difficilmente i cittadini si oppongono alle proposte dei consoli, in quanto sanno di dovere in caso di guerra sottostare alla loro autorità.

Così essendo equilibrata l'autorità di ciascuno dei tre poteri non sarebbe possibile trovare una repubblica meglio costituita di questa, in guerra come in pace. Quando un pericolo esterno imminente costringe tutti a sentire ed operare d'accordo, tale e tanta diviene la potenza di quel governo, che nessuna cosa opportuna è omessa, perché tutti a gara rivolgono concordi il loro pensiero alla difesa dello stato, cosicché nessuno ritarda l'esecuzione delle opportune deliberazioni e tutti, in pubblico e in privato, cooperano alla buona riuscita della faccenda. Per tal modo la repubblica romana risulta invincibile e riesce a tutto ciò che ha deciso di conseguire. Ed anche quando, liberati dai pericoli del di fuori, i Romani vivono nell'abbondanza, fruttata dalle vittorie, e, godendo della loro prosperità, sono inclini, come di solito succede, all'insolenza ed alla superbia, allora sopratutto si può vedere come la repubblica tragga da sé stessa i rimedi ai suoi mali; perché ognuno dei tre organi dello stato vigila ad impedire la prepotenza degli altri due; cosicché nessuno di essi può sopraffare gli altri; ma tutti e tre rimangono al proprio posto, o perché frenati, o perché non hanno osato, per rispetto di quelli, sconfinare dai propri poteri.

Da POLYBIO, Storie, VI, 10.16 (Traduzione - Ed. Paravia).


L'ESERCITO ROMANO

Dopo aver nominato i consoli, i Comizi eleggono i tribuni militari, scegliendone 14 fra coloro che sono sotto le armi da cinque anni e 10 fra quelli che servono già da dieci anni. Dei cittadini romani i cavalieri debbono prestare servizio militare per dieci anni, i fanti per sedici, prima di aver compiuto i quarantasei anni. Soltanto coloro che sono censiti per meno di quattrocento dracme non servono nell'esercito, ma costituiscono la riserva per la marina.
A Roma a nessuno è concesso assumere un impiego civile prima, di avere militato nell'esercito per dieci anni.
Per fare la leva dei soldati i consoli fissano ogni anno un giorno in cui tutti i Romani di età adatta alle armi debbono presentarsi sul Capitolino. Qui i 14 tribuni più giovani sono ripartiti fra 4 legioni; 4 sono assegnati alla prima, 3 alla seconda, 4 alla terza e 3 alla quarta. Poi i 10 tribuni più anziani sono distribuiti in numero di 2 alla prima e terza legione, di 3 alla terza e quarta.

Ciò fatto, i tribuni sorteggiano le tribù che debbono fornire gli uomini per le quattro legioni. Poi, chiamati i cittadini della tribù tratta a sorte, ne scelgono 4 giovani, tutti simili per corporatura ed età, e ne assegnano uno a ciascuna legione, dando la precedenza nella scelta ai tribuni della prima legione; in seguito ne fanno avanzare altri 4, facendo scegliere per primi i tribuni della seconda; poi ne designano altri 4 ancora e scelgono il proprio soldato per primi i tribuni della terza; infine scelgono fra 4 altri soldati, quelli della quarta. Indi si ricomincia da capo e si prosegue allo stesso modo, finché in ogni legione si sia raggiunto il numero prefisso di 4200 soldati, o di 5000 quando si tratti di una guerra molto grave. Un tempo vi era l'uso di scegliere, dopo i fanti, anche i cavalieri; ma ora questi sono nominati, a seconda del censo, dal censore, in ragione di 300 ogni legione.

Fatta la coscrizione, i tribuni ricevono da ogni soldato il giuramento, secondo questa formula: "Ubbidirò ai miei superiori ed eseguirò tutti i loro ordini, per quanto mi sia possibile". Nello stesso tempo i consoli fissano ai magistrati delle città socie di Roma il numero dei soldati che ciascheduna città deve fornire ed il giorno ed il luogo in cui quelli debbono presentarsi, accompagnati da un comandante e da un cassiere.
Quanto ai cittadini romani coscritti, in un giorno stabilito devono
presentarsi senz'armi; allora i più giovani e più poveri sono creati VELITI; quelli che seguono ad essi per età e censo ASTATI; gli uomini più forti PRINCIPI; i più vecchi TRIARII; perché tali e tante sono presso
Romani le differenze nei nomi, nell'età e nell'armatura in ogni legione, la quale ha 600 Triari, 1200 Principi, 1200 Astati, ed il rimanente di Veliti.

I VELITI sono armati di spada, dardi, ed uno scudo leggero detto "parma" solidamente costruito e di grandezza sufficiente a riparare la persona, essendo rotondo, con un diametro di tre piedi. Inoltre essi portano un elmo senza cresta o cimiero, coperto talvolta da una pelle di lupo o di altra cosa simile, sia per difesa che per distintivo.
Il loro dardo è normalmente in legno lungo due cubiti e grosso un dito, con una punta [metallica] lunga un palmo, tanto sottile che, una volta lanciata, si piega, così da non poter servire più; perché altrimenti potrebbe essere rimandata indietro dai loro nemici.

Gli ASTATI usano armatura completa, alla quale spetta uno "scudo" oblungo, a superficie convessa, largo due piedi e mezzo, lungo quattro, fatto di legno rivestito di cuoio, rinforzato da lamine di ferro in alto e in basso, così che può appoggiarsi per terra senza sciuparsi; nonché [nel mezzo] da una specie di conchiglia in ferro, che lo ripara dai colpi violenti di pietre, di lance e di altri proiettili. Oltre allo scudo, gli astati hanno la spada detta "spagnola", che portano al fianco destro, costituita da una lama forte e solida, appuntita e tagliente da ambedue le parti; due pili lunghi tre cubiti, a ciascuno dei quali è saldamente fissato un lungo dardo di ferro uncinato; un elmo di bronzo, ornato di tre piume diritte, rosse o nere, lunghe un cubito, e gambali. La maggior parte portano sul petto una lamina di bronzo di dodici dita di diametro, detta "guardacuore". Quelli poi che sono censiti per oltre 10.000 dracme usano, in luogo di questa, una corazza guarnita di uncini.

La stessa armatura usano anche i PRINCIPI ed i TRIARII; senonché, in luogo dei pili, portano lance.
[Divisa poi la legione in 30 manipoli, ciascheduno dei quali si suddivide in due centurie, i tribuni assegnano ad ogni centuria un centurione, avendo cura che i centurioni siano, non tanto audaci ed avidi di azzuffarsi, quanto buoni ed imperturbabili condottieri, di forte animo, non per assaltare il nemico ed accendere il combattimento, ma perché, anche se vinti e soccombenti, non cedano, loro muoiano sul luogo.
Quanto alla cavalleria si divide in 10 turme, a ciascuna delle quali possiedono tre decurioni. L'armatura dei cavalieri è ora simile a quella dei Greci. [in passato essi erano armati in modo diverso, ma, venuti a conoscenza delle armi usate dai cavalieri greci, i Ronani] presero subito ad imitarle, perché essi sono fra tutte le nazioni i più facili a cambiare abitudini, imitando quando conoscono quelle migliori.

Giunto il giorno in cui tutti hanno giurato di trovarsi nel luogo stabilito dai consoli, i coscritti si presentano sempre tutti immancabilmente, non ammettendosi nessuna scusa per mancare all'appello, se non auspici contrari o forza maggiore. Insieme con i Romani si raccolgono anche le milizie dei soci, i cui comandanti, designati dai consoli su proposta delle città alleate, detti prefetti, in numero di dodici, si occupano dell'amministrazione e del maneggio delle milizie alleate. Costoro dapprima propongono ai consoli la scelta dei cavalieri e fanti migliori, che sono detti "straordinari", cioè scelti, in numero pari a circa un terzo della cavalleria alleata, e ad un quinto della fanteria, che è all'incirca uguale a quella delle legioni romane. Il rimanente delle milizie alleate viene diviso in due parti, che costituiscono le due ali destra e sinistra della legione.

Compiuto l'inquadramento della legione, si pone il campo. Siccome circa l'ordine e l'acquartieramento degli eserciti esiste presso i Romani un costante sistema, a cui si attengono in ogni tempo ed ogni luogo, così mi sembra valga la pena di cercare, per quanto sia possibile con parole, di mettere i lettori al corrente della maniera dei loro accampamenti.

Scelto il luogo per l'accampamento, nel punto più adatto per il comando, si piantano gli alloggiamenti del console, a cui si assegna uno spazio quadrato ["pretorio"] di 200 piedi di lato. [Lungo un lato di tale quadrato sono poi allineate le tende dei 12 tribuni delle legioni che dipendono da ciascun console. Alla distanza di 100 piedi da tali tende sono collocate le tende dei soldati, quelle di una legione a destra, quelle dell'altra a sinistra di una specie di via larga 50 piedi, perpendicolare al pretorio, essendo le tende disposte in isolati rettangolari, separati da due vie minori parallele alla principale e da una a quella perpendicolare. A destra ed a sinistra delle due legioni, sono accampati nello stesso modo gli alleati].

Lo spazio che sta dietro alle tende dei tribuni, di qua e di là del pretorio, serve parte quale foro e parte all'alloggiamento del questore e di tutte le cose necessarie all'esercito che egli porta con sè: più indietro ancora sono accampati i cavalieri scelti (straordinari) ed i volontari, i quali non solo sono alloggiati presso il console, ma anche nelle marce ed in altre circostanze stanno agli ordini del console e del questore, e si tengono presso di loro. Dopo questi, rivolti allo steccato, stanno i fanti che prestano la stessa opera come i cavalieri scelti e i volontari.

Tutto il campo risulta di forma quadrata con strade che si intersecano [ad angoli retti], le quali lo rendono simile ad una città. Da tutti i quattro lati il campo è chiuso da uno steccato, distante dalle tende duecento piedi. Tale spazio vuoto è molto utile, sia per il passaggio delle schiere dei soldati, sia per raccogliere bestiame e bottino, sia infine perché le tende dei soldati si trovino al riparo dai proiettili in eventuali assalti notturni.
Da POLYBIO, Storie, VI, 17-30 (1) (Traduzione riassuntiva - Ed. Paravia).

 

proseguiamo con il prossimo capitolo.....
PRIMI ANNI DELLA REPUBBLICA

periodo dall'anno 510 al 495 a.C. > > >

 

Fonti, Bibliografia, Testi, Citazioni:
POLIBIO - Storie 
TITO LIVIO - STORIE (ab Urbe condita)
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
DIONE CASSIO - STORIA ROMANA 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
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