29 a.C. - 13 d.C.

POLITICA - LEGGI - PACE E GUERRE DI AUGUSTO
* ROMA - L'ITALIA - L'EUROPA

( PARTE 1 )    * POLITICA DI AUGUSTO - IL CENSIMENTO - REVISIONE DEL SENATO -
OTTAVIANO "AUGUSTO" -  * LE GALLIE E LA SPAGNA - * L'ESERCITO E LA FLOTTA

 ( PARTE 2 )   * LEGGI DI AUGUSTO  -  RELIGIONI  -  COSTUMI
* GUERRE AI PARTI  -  GUERRE AI LIGURI
* DRUSO IN GERMANIA - * TIBERIO IN PANNONIA
* RIVOLTE IN PANNONIA - * DISFATTA DI VARO

( PARTE 3 )  *  LA FAMIGLIA DI CESARE  AUGUSTO
* RITRATTO DI OTTAVIANO - AGRIPPA
* LE MOGLI DI AUGUSTO - TIBERIO E DRUSO
MORTE E TESTAMENTO DI AUGUSTO


( PARTE 4 )  *  LA LETTERATURA DELL'ETA' AUGUSTEA
I PROTETTORI DELLE ARTI - GLI ERUDITI - GLI ORATORI
* I DECLAMATORI - * GLI STORICI - LA POESIA
OVIDIO - ORAZIO - VIRGILIO -PROPERZIO


 Roma dopo sessant'anni di lotte, dopo la vittoria di Ottaviano nella battaglia di Azio che concludeva la lunga vicenda del contrasto dei triumviri; che poneva fine al contrasto tra Oriente e Occidente e a quello tra la Romanità e il resto dell'Impero; che insomma chiudeva definitivamente le lotte civili, l'alba della pace prometteva di essere illuminata e anche duratura.
Celebrando a Roma il trionfo, Ottaviano chiudeva pure le porte del tempio di Giano da oltre due secoli rimaste aperte e scioglieva anche l'esercito.

In Egitto per tutto l'inverno del 30 a.C. e la primavera del 29 a.C. Ottaviano rivolse la sua attività all'assetto dell'Oriente, poi fece ritorno a Roma e il 13, 14 e il 15 agosto di quest'anno celebra tre magnifici trionfi per le vittorie riportate in Dalmazia, ad Azio e in Egitto.
A renderli più solenni questi trionfi contribuiscono i ricchi donativi fatti ai veterani e ai cittadini poveri: ai primi che sono circa centoventimila, Ottaviano distribuisce mille sesterzi a testa; quattrocento ne dà a ciascuno dei poveri che erano la bella cifra di duecentocinquantamila. Adoperando i tesori di Cleopatra, egli può superare in generosità lo stesso Cesare, cui tre giorni dopo la celebrazione dei trionfi, consacra il tempio decretato in precedenza dai triumviri.

Ora comincia per lui la fatica più ardua, quella con la quale dovrà mantenere la posizione acquistata, aumentare anzi il suo prestigio e la sua potenza. Ma Ottaviano si è da tempo tracciata la via che dovrà condurlo al principato e non gli rimane che percorrerla con prudenza per raggiungere i suoi scopi.

Egli ha con sé l'esercito e la flotta, il favore del popolo e i tesori d'Egitto e potrebbe dichiararsi monarca; ma egli sa che il regime monarchico è inviso ai Romani, che la Repubblica è un'istituzione intangibile, che instabile è quel potere  basato soltanto sulla forza delle armi; egli sa che è riuscito pervenire al posto in cui si trova merito di una accortissima politica, facendo i propri interessi ha saputo far credere di avere legalmente operato in nome di Roma e nell'interesse dello Stato; egli sa infine che può essere signore di fatto salvando le apparenze perché allo stato attuale delle cose il vastissimo corpo della repubblica ha bisogno di essere ordinato, amministrato, retto da una sola mente e da una sola mano.
Gli è necessario perciò mostrare che non è mosso da ambizioni o da brama di tirannide e che se il governo della cosa pubblica rimarrà nelle sue mani ciò si dovrà ascrivere alla necessità in cui si trova lo stato di accentrare in lui il potere.
Pertanto Ottaviano mostrò di volere rimanere nella legalità e di lasciare intatte le forme repubblicane; rinunziò ai ventiquattro littori assegnatigli come triumviro e mantenne soltanto quei dodici che gli spettavano in qualità di console; ma al consolato restituì la potestà censoria e la lectio senatus,  il diritto cioè di redigere la lista dei senatori.

Console con Agrippa, nel 28 e 27 a.C., Ottaviano procedette al censimento dei cittadini ed alla revisione del Senato. Il censo diede una cifra di 4.063.000 cittadini; dei senatori, fra cui durante le guerre civili erano entrati elementi indegni, circa sessanta consigliò a dimettersi e un numero triplo li espulse. Egli fu dal collega console nominato princeps senatus.
Dai mille che erano i membri del Senato negli ultimi anni, fu portato in breve a circa 800, scendendo poi a circa 600 nel 18 a.C.

Il 13 GENNAIO del 27 a.C. (727 anno di Roma) Ottaviano si presentò alla Curia e dichiarò di volere deporre nella mani del Senato tutti i poteri straordinari che gli erano stati conferiti. Era una commedia da tempo preparata e che ora recitava insieme ai suoi fidi. Allora fu fatta una legge con la quale veniva concesso ad Ottaviano, col titolo di  imperator,  il comando supremo delle forze di terra e di mare e l'impero proconsolare su tutte le province.
Il Senato gli avrebbe voluto conferire questa carica a vita; Ottaviano però la volle per dieci anni soltanto, e tra le province da governare scelse le Gallie, la Spagna Citeriore, la Siria, la Cilicia con Cipro e l'Egitto. Le altre province le lasciò al Senato, ma anche su queste egli esercitava l'imperium maius che lo metteva al di sopra degli stessi governatori. L' imperium  gli fu poi rinnovato nel 736 anno di Roma (18 a.C.) , nel 741 (12 a.C.) nel 746 (7 a.C.) e  nel 2 e nel 13 d.C.

Nella seduta del 16 gennaio del 27 a.C., dietro proposta di Munazio Planco, il Senato gli conferì il titolo di Augusto, nome che significava degno di venerazione  e che nello stesso anno su proposta del tribuno Pacuvio, venne dato anche il suo nome al mese (Augusto= Agosto) per ricordare che Ottaviano aveva accresciuto con l'Egitto il territorio della Repubblica

Nel giugno del 731 (22 a.C.) Ottaviano rinunziò al consolato e in cambio ebbe dal Senato la potestas tribunicia  a vita; nel 742 ( 11 a.C.) essendo morto Lepido, fu eletto Pontefice Massimo.

Così Ottaviano diventava il capo della religione, aveva nelle sue mani il potere militare che gli conferiva il diritto di far leve, di congedare le truppe, di ricevere il giuramento delle milizie, di nominare gli ufficiali, di dichiarare guerra, concludere pace e stipulare trattati di alleanza, era rivestito della potestà tribunizia, che gli dava l'inviolabilità personale e un ampio potere politico, ed infine era augusto, cioè venerabile come gli dèi e le cose sante.

Egli non era dittatore come erano stati Silla e Cesare, ma il suo potere era pari a quello di un monarca. Aveva il comando militare supremo ed assoluto, aveva la direzione incontrollata e incontrollabile della politica estera, aveva sotto di sé, direttamente e indirettamente, tutte le province, poteva opporsi come tribuno ai magistrati senza che altri potesse limitare la sua potestà, era principe del Senato e rappresentante del popolo, aveva cioè in sua mano tutti i poteri come avrebbe potuto averli un re o un dittatore.

La repubblica viveva ancora con le sue istituzioni e i suoi magistrati, ma viveva di nome; essa aveva dato tutti i poteri ad Ottaviano e di fatto era diventata un  principato.
 Della sua potenza però Ottaviano non abusò: fece anzi di tutto quello che poté per non far pesare la sua potenza. Tutto pieno dal desiderio di ridar la pace alla travagliata repubblica, egli cercò di far dimenticare gli odi che le lotte civili avevano suscitato e si mostrò indulgente e clemente, indennizzando i partigiani di Antonio, i cui beni erano stati confiscati perché fossero distribuiti ai veterani; facendo distruggere i registri dei debitori dello stato; proibendo che venissero ricercati gli autori dei non pochi libelli scritti contro di lui.
Nonostante questa sua opera conciliatrice non mancarono i nemici, e più di uno tentò di organizzare una congiura per sopprimerlo.
Perdonare ai cospiratori, mossi da rancori personali anziché da ideali politici, non si poteva, ed Ottaviano fu inesorabile. Fu ucciso nel 29 Marco Lepido, figlio dell'ex triumviro e nipote di M. Bruto che cercava di trucidare Augusto; nel 22 vennero dati a morte Fannio Cepione e Terenzio Murena, autori di una cospirazione; accusato di congiura nel 25 Cornelio Gallo si tolse la vita: Ma a Gneo Cornelio Cinna, che congiurava contro di lui, Augusto usò grande clemenza: gli concesse il perdono e gli fece poi conseguire alte cariche.

Se si tolgono però questi pochi (malvagi, forsennati?) e un esiguo numero di irriducibili oppositori, Augusto seppe guadagnarsi le generali simpatie e procurarsi i consensi di Roma e delle province, che gli manifestavano la loro riconoscenza e la loro stima colmandolo di onori. Nel 24 il Senato gli decretò la corona civica e, virtutis, clementiae, justitiae, pietates causa,  gli fece omaggio di uno scudo d'oro che fu posto nella Curia Giulia. Più tardi al titolo di Augusto aggiunse quello di padre della patria  e decretò che il suo giorno natalizio venisse festeggiato coi ludi circensi e che per la salute di lui i collegi sacerdotali facessero voti di giuochi. 

Né ciò fu tutto. Il nome di Augusto fu introdotto nel carme Saliare, al Genio di lui furono decretati sacrifizi e due altari vennero eretti in suo onore che, con evidente allusione, furono dedicati alla Fortuna Reduce e alla Pace Augusta. Più grandi che a Roma furono gli onori che gli vennero tributati in Oriente dove assunsero l'aspetto di glorificazione; a Pergamo nel 28 a.C. a lui e a Roma dedicarono un tempio, templi ed altari gli vennero eretti in Efeso, a Nicea e in molte altre città dell'Asia, dell'Egitto, della Spagna, della Gallia e per il nuovo culto furono istituiti speciali collegi sacerdotali tra cui primeggiò quello degli Augustali.
(Onori divini consentiti non a Roma ma solo nelle altre Province soprattutto Orientali, perché  gli abitanti in questi luoghi erano abituati a vedere nel re il discendente di un dio)

Questi onori civili e religiosi non furono effetto di servile adulazione, ma testimonianza spontanea di profonda riconoscenza per l'uomo che aveva ridato alla Repubblica la pace e il benessere e le aveva restituito l'ordine e il prestigio e che, lasciando intatte le tradizioni, di un informe aggregato di paesi e di popoli aveva saputo fare un organismo compatto e solidissimo.

RIORDINAMENTO POLITICO ED AMMINISTRATIVO DELL'IMPERO

L'indirizzo unitario dato da Ottaviano all'Impero con l'unità politica, raggiunse una unità sociale e morale del mondo mediterraneo mai raggiunta prima, per la crescente uniformità delle leggi, del costume, della lingua (latina e greca), della religione, della finanza, per la progressiva estensione del diritto di cittadinanza ai provinciali.
L'assetto  che allo stato diede Ottaviano costituisce un capolavoro che non ha riscontri nell'antichità. Molte riforme, in verità, egli fece e molte misure adottò con l'unico scopo di accrescere il proprio potere e di renderlo indispensabile alla repubblica, ma è innegabile che gran parte della sua opera legislativa e della sua attività egli dedicò all'interesse dello Stato.

Per non avere limitazioni nel potere, Ottaviano svuotò di ogni importanza la funzione dei comizi, cui tolse le attribuzioni giudiziarie, che assegnò in parte al Senato, in parte a un tribunale di giurati, in parte prese egli stesso amministrando la giustizia in appello e sovente in prima istanza; ridusse inoltre il consolato ad una carica onorifica e il Senato ad un corpo meramente consultivo, togliendo a quest'assemblea, che tanta importanza aveva avuto nel passato, le attribuzioni, assegnandole a due consigli, composto l'uno di un esiguo numero di senatori e cavalieri, l'altro di quindici senatori e di alcuni magistrati in carica.
Ma se al Senato tolse, con accorta politica, le redini dello Stato, di esso e dell'ordine equestre si servì per creare una classe dirigente che gli fosse d'aiuto nel governo dell'Impero. Nel ceto senatoriale Ottaviano pertanto scelse i legati per il comando militare e per il governo delle province e il prefetto delle città, nell'ordine equestre scelse i procuratori che riscuotevano le imposte nelle province, i funzionari della vasta amministrazione statale e i prefetti dei pretoriani, dell'Egitto, dell'Annona e dei Vigili.
L'impero tutto, dalla capitale agli estremi confini delle province, risentì i benefici della politica e dell'amministrazione di Augusto.

Nel 7-8 a.C. Roma venne divisa in quattordici regioni con duecentossessantacinque quartieri. A ciascuna regione furono preposti un pretore un curatore e un denunziatore, a ciascun quartiere quattro  magistri vicorum  assistiti da quattro ministri. Per l'estinzione degli incendi e la vigilanza notturna della città vennero istituite sette coorti di vigili. Ciascuna di esse formata da circa mille uomini e comandata da ufficiali dell'esercito, aveva la sorveglianza di due quartieri della città.

Come Roma così l'Italia ebbe la sua divisione in regioni, che furono dodici (11 se escludiamo Roma). La 1a comprendeva la Campania, la 2a l'Apulia/Calabria, la 3a la Lucania/Bruzio, la 4a il Sannio,  la 5a il Piceno, la 6a l'Umbria, la 7a l'Etruria, la 8a l'Emilia, la 9a la Liguria, la 10ma la Venezia/Istria, la 11ma la Transpadana.

Maggiore importanza ebbe l'assetto politico ed amministrativo delle province.
Prima di Augusto queste erano sfruttate vergognosamente dai governatori che vi commettevano ogni sorta di soprusi. Ottaviano pose fine molto opportunamente a questo odioso stato di cose stipendiando i governatori che furono messi alle dipendenza e sotto il controllo del governo centrale. Le province vennero divise in due categorie: senatoriali o proconsolari e imperiali.  Le prime erano quelle in cui perfetta regnava la calma e venivano governate da un proconsole designato dal Senato fra i suoi membri, le altre, in cui per la loro turbolenza era necessario un governo militare, erano affidate all'imperatore che vi mandava un suo luogotenente. Un trattamento diverso ebbe l'Egitto il quale, pur facendo parte dell'Impero, costituiva una proprietà privata di Augusto che lo faceva governare da un prefetto. Più tardi anche il Norico costituì un demanio imperiale e rimase tale fino al tempo in cui Claudio lo mutò in provincia.
In un primo tempo -come si è detto- Ottaviano lasciò al Senato la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, la Betica, la Dalmazia, la Macedonia, l'Epiro, l'Acaja, l'Asia, la Bitinia e il Ponto, l'Africa e la Numidia e tenne per sé le Gallie, la Siria, la Cilicia con Cipro, la Lusitania e la Spagna Tarraconese; alcuni anni dopo, Cipro e la Provincia Narbonese furono cedute al Senato, il quale, a sua volta, più tardi diede ad Augusto l'Illiria, la Corsiva e la Sardegna.

Per farsi un concetto esatto delle condizioni delle province, Ottaviano le visitò personalmente tutte e in alcune di esse si recò più di una volta. Nel 26 andò in Gallia, nel 25 in Spagna, nel 21 in Sicilia, donde passò in Asia in cui rimase fino al 18, dal  15 al 13 fu di nuovo in Gallia in cui tornò quattro e sei anni dopo.
Furono la Gallia e la Spagna le province che più delle altre diedero da fare ad Ottaviano.

La Gallia Narbonese quasi completamente romanizzata e tranquilla fu da Augusto - come abbiamo visto- ceduta al Senato e da Frejus venne tolta la squadra navale, ma le altre regioni della Transalpina furono agitate da parecchie sommosse
Si erano ribellati gli Equitani che erano poi stati domati da Vipsanio Agrippa; poi insorsero i Morini e i Treviri contro i quali furono mandati Cajo Carvinate e Marco Nonio Gallo; due anni dopo tornarono a ribellarsi gli Aquitani che vennero ricondotti all'obbedienza da Valerio Messalla Corvino. 

Sedate le sommosse, Ottaviano procedette al riordinamento della Gallia, la quale venne divisa in tre province: l'Aquitania, la Lugdunense e la Belgica. Queste, finchè visse Augusto, rimasero sotto un unico comando militare. Tutta la Gallia inoltre fu divisa in sessantaquattro distretti che comprendevano i territori delle antiche tribù, i quali facevano capo amministrativamente ad un centro.
Centro principale dell'intera Gallia divenne la città di Lugdunum (Lione) che fu sede dell'annuale assemblea dei Galli e nel 9 a.C.  eresse un magnifico tempio a Roma ed Augusto. 
Per poter meglio affermare il dominio sulle tre province, Ottaviano svolse una intensa sapiente attività contro i nobili e i Druidi promuovendo il culto della divinità pagane e disponendo che nessuno potesse acquistare la cittadinanza romana se prima non si fosse allontanato dall'organizzazione druidica.

La Spagna era - come sappiamo- divisa in due province, la Citeriore e l'Ulteriore, ma la parte nord-est della penisola iberica era pressoché indipendente e le sue fierissime popolazioni, Cantabri, Asturi, e Vaccei, favorite dalla natura dei luoghi tenevano impegnate in una guerriglia senza tregua le armi romane, le quali invano avevano tentato di espugnare la città di Segisamo. Ma nel 25 a.C. riuscì a Cajo Antistio, luogotenente di Ottaviano, di sconfiggere a Vellica in una battaglia campale, i Cantabri, i quali, perduta la piazzaforte di Lance (Cerro di Lance) si ridussero sul monte Vidio, dove, dopo una breve ma accanita resistenza, si arresero l'anno dopo. 
Altre ribellioni scoppiarono però negli anni successivi ed Augusto dovette mandare in Spagna Vipsiano Agrippa. Il compito del grande generale non fu facile ma riuscì alla fine pacificare la regione, vendette come schiavi i prigionieri, obbligò gli abitanti a scendere dai monti e stabilirsi nelle pianure e fece costruire numerosi e forti colonie militari tra cui Casarea Augusta (Saragozza), Bracara Augusta (Braga), Lucus Augusta (Lugo) e Augusta Asturica (Astorga).
Quando le operazioni militari furono terminate, Ottaviano divise la Spagna Ulteriore in due province: la Lusitania comprendente il Duero e la Guadiana, e la Betica con Corduba (Cordoba) per capitale. La Citeriore cambiò nome in quello di Tarraconese.

Oltre che alle province Ottaviano pensò anche ai regni tributari di Roma nei quali però stimò opportuno di non recare grandi mutamenti. Mise sul trono della Mauritania (Marocco) Juba II che era vissuto ed era stato educato a Roma; morto Aminta nel 24 a.C, costituì la Galazia in provincia dove mandò come governatore M. Lollio; alla morte del re Asandro riunì il reame del Bosforo Cimmerio al regno del Ponto (13 d.C.) il cui re Polemore I sposò la vedova del morto re; ingrandì la Cappadocia aggregandole la Cilicia Aspra e l'Armenia Minore; ridusse nel 24  a provincia romana la Pamfilia e confermò sul trono della Palestina Erode il Grande  i cui due figli  Ottaviano teneva a Roma in ostaggio.
Erode fu fedelissimo all'impero e ad Augusto; riedificata la distrutta Turris Stratonis le diede il nome di Cesarea poi in onore di Roma e di Ottaviano eresse un tempio che adornò con la statua dell'imperatore;  mentre a Gerusalemme fece scolpire un'aquila grandissima  sulla porta del maggior tempio. Archelao però, figlio e successore di Erode, non ben visto dai sudditi, fu deposto nel 6 d.C. e la Palestina (comprendente la Giudea, Samatia e Idumea) fu dichiarata provincia ed unita alla Siria e affidata a P. Sulpicio Quirino con la capitale collocata a Cesarea.

L'ESERCITO E LA FLOTTA

Al principio dell'impero augusteo, l'esercito aveva ancora la struttura datagli da Mario, un esercito quasi tutto di mercenari che venivano licenziati alla fine di ogni campagna; come del resto abbiamo visto fare dopo Azio anche da Ottaviano;  ma ora le dimensioni territoriali dell'impero richiedevano delle riforme anche in questo campo. Prima le forze di terra avevano una prevalenza su quelle di mare perché proteggevano i vicini confini di terra, mentre la flotta piuttosto modesta esercitava una funzione di polizia nelle acque soprattutto tirreniche, un po' meno in quelle adriatiche, pur essendo anche queste infestate da pirati. Ma ora il mare di Roma era l'intero Mediterraneo, e quindi anche la flotta bisognava oltre che riorganizzarla anche incrementarla. 

Nell' ESERCITO il numero delle coorti pretorie fu portato a nove, di mille uomini ciascuna, reclutati fra le popolazioni italiche e soltanto tre risiedevano a Roma. Accanto ad esse vennero istituite quattro coorti urbane (dei vigili). 
I pretoriani avevano una paga annua di settecentotrenta dinari che venivano utilizzati anche per le spese del proprio equipaggiamento, si obbligavano ad una ferma di sedici anni e all'atto del congedo ricevevano un premio di ventimila sesterzi. Eccettuato questo contingente di pretoriani (che era volontario), l'Italia venne esentata dal reclutamento militare che, con Ottaviano, fu fatto esclusivamente nelle province. Era questo un privilegio che si accordava all'Italia, la quale fu anche sgravata dalla maggior parte dei tributi. Essa infatti andò soggetta soltanto all'imposta dell'uno per cento sulle vendite al  pubblico incanto, a quella del cinque per cento sulle successioni e alla tassa del quattro per cento sulla vendita degli schiavi, imposizioni tributarie queste che colpivano solamente i ricchi. L'esenzione dal servizio militare però se fu un sollievo per le popolazioni italiche, costituì anche un gravissimo errore perché affido sempre di più la difesa dell'impero agli stranieri e agli italiani tolse la disciplina, l'esercizio, l'amore delle armi per mezzo di cui avevano saputo e potuto conquistare il mondo.
Gli altri legionari erano reclutati fra gli uomini liberi delle province, ricevevano una paga annua di duecentoventotto dinari e al termine della ferma, che durava dai venti ai venticinque anni, un premio di congedo di dodicimila sesterzi.

Al numero di ciascuna legione venne aggiunto un nome (Legio III Augusta, Legio VI Ferrata ecc) e da diciotto quante erano prima, le legioni furono portate a venticinque e dislocate nei punti più lontani dell'Impero: 3 in Spagna, 8 in Gallia, 6 nella regione del Danubio, 4 nella penisola dei Balcani e in Asia, 3 in Egitto e 1 in Africa, in campi permanenti che furono il primo nucleo di nuove città.

L'antica disciplina fu ripristinata tra i soldati, i quali non furono chiamati più da Ottaviano commilitoni;  ai luogotenenti fu vietato di allontanarsi dai campi e venne solo concessa una breve licenza nei mesi invernali. Isolate, sottoposte a dura disciplina, costrette a condurre una vita faticosa e pericolosa nei posti di confine, le truppe acquistarono una fisionomia propria e diventarono un elemento estraneo alla vita dell'impero, alla cui sicurezza dovevano però provvedere.

La FLOTTA venne divisa in due squadre, quella dell'Adriatico e quella del Tirreno, le cui principali stazioni furono i porti di Ravenna e di Miseno. Era composta da circa 500 navi da guerra e da circa 30.000 uomini, al comando di due ammiragli.

Per mantenere le coorti pretorie e dei vigili, Ottaviano destinò il ricavato dell'imposta sulla vendita degli schiavi, per il pagamento dei premi di congedo creò una cassa militare la quale fu costituita da un capitale di centosettanta milioni di sesterzi versato dall'imperatore e venne alimentato dal gettito delle tasse sulle vendite e sulle successioni.
Accanto a questa cassa un'altra ne venne creata, che prese il nome di Fiscus Caesaria.
Essa riceveva i redditi dell'Egitto, delle province imperiali, in parte delle senatoriali e i tributi dei regni annessi all'impero e serviva per il pagamento delle truppe, per le spese di guerra e per le amministrazioni dipendenti dall'imperatore, quali il governo delle province e la direzione dell'annona e delle opere pubbliche. Così due vennero ad essere sotto Ottaviano, le casse in cui affluivano tutte le entrate dello Stato e con le quali si provvedeva ai bisogni dell'amministrazione civile e militare: l'antico  erario che rimase al Senato e il fisco dell'imperatore  che comprendeva la cassa militare.
Più ricco dell'erario era senza dubbio il fisco ma questo aveva anche maggiori spese da sopportare ed appunto perciò rappresentava uno strumento importantissimo di forza nelle mani di Augusto.

Fonti: 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
CASSIO DIONE - STORIA ROMANA 
PLUTARCO - VITA DI BRUTO 
SVETONIO - VITE DEI CESARI 
SPINOSA - GIULIO CESARE
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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