ANNI 193 - 211 d.C.

SETTIMIO SEVERO - SEVERO IN ORIENTE - P.NIGRO - GUERRA CONTRO CLODIO ALBINO 
LA GIORNATA DELL'IMPERATORE - IL GOVERNO DI SEVERO
GUERRA E MORTE DI SEVERO IN BRITANNIA
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SETTIMIO SEVERO


 Settimio Severo era nato a Leptis  in Africa (Leptis Magna, che Severo rese splendida con insigni monumenti) da ricca famiglia equestre; aveva studiato greco e latino, si era perfezionato ad Atene e, a Roma si era dato agli studi giuridici sotto Q. Scevola. Parlava latino ma aveva il classico accento punico della sua terra
Messosi nella carriera politica, nel 172 era stato questore in Sardegna; di là era passato in Africa come legato del proconsole, poi a Roma con la carica di tribuno della plebe; dalla metropoli, dopo avere ottenuto la pretura, era stato mandato nella Spagna Tarraconense come legato del governatore e nel 179 aveva ottenuto il governo della Siria. Ritiratosi a vita privata al tempo di Perenne, nel  187 era stato nominato governatore della Gallia Lugdunense ed aveva sposato una donna di Emesa, nella Siria, Giulia Domna, che alle grazie affascinanti della persona univa rare doti di intelletto. 
A Lione, il 4 aprile del 188, la moglie lo aveva fatto padre di Bassiano che doveva, col nome di CARACALLA, succedere a Settimio Severo nell' impero.

Assassinato Didio Giuliano- come abbiamo letto nel precedente capitolo-  una commissione di cento senatori andò incontro al nuovo imperatore ad Interamna (Terni), sulla via Flaminia. Ricevuti gli omaggi della Curia, Settimio Severo fece mettere a morte gli assassini di Pertinace, poi ordinò che i pretoriani, in abito di parata e senz'armi, gli andassero incontro e proseguì il cammino alla volta di Roma.
Il suo ordine fu immediatamente eseguito. Ignari della sorte che era loro riservata, i pretoriani andarono ad incontrare il principe, ma, quando si trovarono davanti a lui, vennero improvvisamente circondati dalle legioni e appresero che il loro corpo veniva disciolto e che ad essi si proibiva, sotto pena della vita, di risiedere a meno di cento miglia da Roma. Mentre i pretoriani si disperdevano, un forte gruppo di truppe imperiali andava ad occupare il loro campo alle porte di Roma.

Settimio Severo entrò a Roma avendo a fianco la moglie bellissima, seguito dai senatori e dalle truppe, accolto dalla popolazione festante che si accalcava nelle vie inghirlandate di fiori e di alloro. La città si riempì di truppe barbariche e templi e portici diedero asilo per un mese a tante migliaia di soldati i quali però non provocarono disordini né non commisero saccheggi.

Sebbene sapesse Severo che il Senato avrebbe preferito vedere al principato il governatore della Siria, il nuovo imperatore, che era sotto la minaccia di Pescennio Nigro, cercò di amicarsi la Curia. Punì i seguaci di Didio Giuliano, concesse che il cadavere del suo predecessore ricevesse degna sepoltura, fece l'apoteosi di Pertinace, del quale egli stesso tessè l'elogio e diede l'annuncio che avrebbe in suo onore innalzato un tempio; giurò che non avrebbe condannato alla pena capitale nessun senatore, e anzi fece decretare dal Senato che fosse dichiarato pubblico nemico quell' imperatore che senza il giudizio della Curia avesse condannato a morte un membro dell'alta assemblea; e promise infine che avrebbe ristabilito l'autorità del Senato ed avrebbe governato seguendo l'esempio di Marco Aurelio e di Pertinace.

LE GUERRE IN ORIENTE 

Settimio Severo si fermò pochissimo in Roma. Le notizie che giungevano dall'Oriente erano di una certa gravità: l'Egitto e l'Asia si erano dichiarate per Pescennio e molti principi dell'Asia gli avevano offerto il loro aiuto. Severo disponeva di nove legioni e di numerose truppe ausiliarie, godeva un grande prestigio presso i soldati e molte simpatie nel Senato per l'austerità dei suoi costumi e per il suo talento militare; ma Pescennio non era rimasto inoperoso, passato in Europa, aveva occupato Bisanzio e, spintosi su Perinto, l'aveva cinta d'assedio.
Severo non voleva che si ripetessero i casi occorsi a Vitellio e che il suo rivale, come Vespasiano, portasse le armi in Italia. Per indebolire il suo potenziale avversario, prese prima in ostaggio le famiglie dei pretori e dei legati d'Asia, poi si mosse col suo esercito verso l'Oriente.

La marcia delle sue legioni fu così rapida e la resistenza di Perinto così accanita che l'esercito di Pescennio, lasciato l'assedio (193), si ritirò oltre il Bosforo e l'Ellesponto, da dove poteva facilmente impedire alle truppe nemiche il passaggio in Asia.
Settimio Severo, temendo forse che, nella sua assenza, Clodio Albino tentasse un colpo di mano sull'Italia, rimase a Perinto ed affidò le operazioni guerresche a Tiberio Claudio Candido, comandante delle legioni dell' Illirico. Questi, anziché affrontare la linea nemica del Bosforo e dell' Ellesponto, riuscì ad attraversare la Propontide e sbarcò il suo esercito a Cizico, nella Frigia, dove gli venne incontro una parte dell'esercito di Pescennio Nigro comandata dal proconsole d'Asia Asellio Emiliano. Nella battaglia che ne seguì le legioni d'Oriente vennero sconfitte ed Emiliano perdette la vita. I superstiti della disfatta si ritirarono verso l'interno e si unirono all'esercito di Pescennio Nigro che nel frattempo  avanzava verso Nicea. Nelle vicinanze di questa città i due eserciti nemici si incontrarono: la battaglia così riprese e fu accanita per l'intera giornata, ma alla fine le truppe di Severo ebbero la vittoria. Dell'esercito vinto una parte riparò in Armenia, l'altra, guidata dallo stesso Pescennio Nigro, attraverso la Galazia e la Cappadocia, si ritirò sul Tauro.
Tutto ancora non era perduto per Pescennio, ma i rovesci subiti avevano diminuito in Asia il suo prestigio; le leve ordinate davano scarsi contingenti, gli aiuti promessi dai principi venivano a mancare e alcune città si schieravano in favore di Severo: tra queste Laodicea e Tiro. Contro di esse Pescennio Nigro mandò alcune sue schiere di Mauri che le saccheggiarono e le devastarono.

L' inverno mise una tregua alle ostilità, ma nella primavera del 194 queste ricominciarono. Pescennio Nigro con un numeroso esercito in gran parte improvvisato, nelle cui file militavano i famosi arcieri di Bardemio, re della città di Atra, si era accampato nella pianura di Isso, celebre per la battaglia combattuta da Dario ed Alessandro. Qui si presentarono le truppe di Severo, comandate da P. Cornelio Anullino e sebbene inferiori di numero, dopo una lotta accanita, sconfissero pienamente il nemico, il quale lasciò sul campo circa ventimila morti.
Perduta ogni speranza, Pescennio Nigro, accompagnato da alcuni cavalieri, fuggì verso l'Eufrate per trovare asilo nel regno partico, ma, raggiunto, venne catturato ed ucciso: il suo capo mozzato su una picca fu inviato, a Severo (194).

Morto Pescennio, Settimio Severo rimaneva arbitro dell'Oriente: dei seguaci di Nigro alcuni fuggirono nella Parzia sotto le cui bandiere si arruolarono, altri fecero atto di sottomissione a Severo, che, lasciata Perinto, passò in Asia per dare assetto all'Oriente, punire le città che avevano appoggiato il rivale e premiare invece quelle che si erano schierate in suo favore. Antiochia fu messa sotto la giurisdizione di Laodicea e i suoi principali cittadini uccisi, Neapoli di Palestina perdette il diritto italico, altre città che avevano prese le parti di Nigro furono condannate a pagare forti somme. Laodicea e Tiro invece furono innalzate al grado di colonie romane e la prima prese il nome di Settimia. La moglie e i figli di Nigro, che si trovavano in mano di Severo, assieme ai più illustri partigiani del rivale morto, vennero mandati in esilio, mentre altri si ebbero la confisca totale o parziale dei beni, gli ufficiali di Pescennio furono perdonati.

La guerra però non era del tutto finita. Bisanzio non aveva voluto sottomettersi neppure dopo la morte di Pescennio, e Settimio Severo l'aveva fatta assediare dalle legioni della Mesia comandate da L. Marcio Massimo; i confini orientali non erano sicuri; l'Osroene si era ribellato e il re dei Parti teneva un contegno minaccioso. D'altro canto Severo temeva sempre  Clodio Albino e non nutriva eccessiva fiducia nel Senato. 
Per legittimare maggiormente il suo governo e metter le mani sull'ingente patrimonio di Commodo, nel 195 si dichiarava per postuma ed arbitraria adozione figlio di Marco Aurelio, e per fiaccare i principati al margine orientale dell' impero e tenere a segno i Parti passava l'Eufrate e si recava a Nisibi donde a più riprese mosse contro la Parzia e l'Adiabene, recando gravissimi danni alle regioni invase ma assicurando all'impero la parte settentrionale della Mesopotamia. Nisibi ed altre città divennero colonie romane, forti guarnigioni furono poste nei territori tra l'Eufrate e il Tigri e Severo prese il titolo di Adiabenico.

Si trovava nella Mesopotamia, quando, nella primavera del 196, gli giunse la notizia che Bisanzio si era arresa. Tre anni aveva resistito l'eroica città, validamente protetta dalle potenti mura che la cingevano e difesa da una numerosa flotta e dall'ingegno e dal patriottismo di un ingegnere micene di nome Prisco che aveva frustrati con poderose macchine gli assalti dei legionari. Ma la fame aveva avuto ragione del valore e della costanza. Dopo la capitolazione, i magistrati e quanti avevano impugnate le armi erano stati messi a morte, la città era stata saccheggiata e messa sotto lagiurisdizione di Perinto, buona parte delle mura erano state smantellate; a Prisco gli era stata lasciata la vita per i servizi che il suo ingegno poteva rendere a Severo.

GUERRA CONTRO CLODIO ALBINO 

Dopo le buone notizie da Bisanzio altre, ma non liete, gliene giunsero dalla Britannia: ed era proprio quello che temeva Severo. Infatti Clodio Albino aveva inalberato il vessillo della rivolta e favorito da una parte del Senato aveva assunto il titolo di Augusto e con tre legioni era passato in Gallia ingrossando il suo esercito che a poco a poco avevano raggiunto il numero di centocinquantamila soldati.
Settimio Severo non indugiò di fronte al nuovo pericolo; al prefetto del pretorio  che si trovava a Roma diede ordine di occupare i valichi delle Alpi, dal Senato fece dichiarare nemico pubblico Clodio Albino, poi lasciò l'Asia e mosse alla volta dell'Occidente con un esercito pari di forze a quello avversario. Suo figlio Settimio Bassiano fu nominato Cesare e prese il nome di M. Aurelio Antonino (il futuro Caracalla)

L'inizio della nuova guerra fu favorevole a Clodio Albino: le sue truppe, scontratesi più volte nella Gallia meridionale con le avanguardie di Settimio comandate da Virio Lupo, le sconfissero. Il Senato, già credendo prossima la vittoria finale del generale di Britannia, non faceva mistero del suo contegno favorevole a quest'ultimo e batteva moneta con l'immagine di Albino. Ma quando giunse Settimio Severo col grosso delle sue forze, la situazione cambiò.
La battaglia decisiva fu combattuta nella valle della Saóne, tra Lugdunum e Tivurtium (Trévoux) il 19 febbraio del 197.
Severo guidò personalmente all'attacco le sue legioni coadiuvato dai suoi migliori generali, Mario Massimo, Claudio Candido e Flavio Plauziano.
La lotta fu lunga, accanita e per parecchio tempo di esito incerto. Fu così attiva la parte presa da Severo al combattimento che, urtato violentemente da un nemico, cadde da cavallo.
Pari erano le forze e pari l'accanimento: mentre la battaglia volgeva nell'ala destra a favore dell'esercito di Settimio, la sua ala sinistra perdeva terreno di fronte all'impeto nemico. Chi decise le sorti della giornata fu Lete, comandante della cavalleria imperiale, il quale, entrato in azione dopo avere a lungo temporeggiato, sbaragliò le legioni avversarie.
Clodio Albino, tramontata la sua fortuna, non volle sopravvivere alla sconfitta e si trafisse con la spada. Settimio Severo gli fece tagliare il capo e lo spedì al Senato.

Il vincitore rimase di là dalle Alpi fino al maggio e impiegò questo tempo nel distribuire premi e castighi. Le città che si erano schierate per Albino vennero sottoposte a gravissimi tributi; le persone più compromesse furono punite con la morte; ad altre furono mandate in esilio e i loro beni confiscati.
Nel giugno dello stesso anno Settimio Severo fece ritorno a Roma. Riunito il Senato, dichiarò in un suo discorso all'assemblea che preferiva la severità di Silla, di Mario e di Augusto che alla clemenza di Pompeo e di Cesare, tessè quindi l'elogio di Commodo rimproverando il Senato di averne fatto la damnatio memoriae, ed ordinò che gli venisse fatta l'apoteosi e gli fossero erette statue: da ultimo mise sotto processo sessantaquattro senatori sotto l'accusa di avere parteggiato per Albino. Trentacinque di essi risultarono innocenti e vennero assolti, ventinove furono condannati alla pena capitale e giustiziati; fra questi quel Sulpiciano che aveva gareggiato con Didio Giuliano quando l'im pero era stato posto all' incanto. L'atleta Narcisso che aveva soffocato Commodo fu dato in pasto ai leoni.
Nonostante la storia, qualcuno che aveva apprezzato Commodo insomma c'era; e Severo non era uno qualsiasi!

GUERRA CONTRO I PARTI 
GOVERNO DI SEVERO — FULVIO PLAUZIANO
 SPEDIZIONE IN BRITANNIA E MORTE DI SEVERO 

Mentre Severo combatteva in Gallia contro Clodio Albino, nuove brutte notizie e rumori di armi giungevano dall'Oriente: Vologese IV, re dei Parti approfittando della ribellione del governatore della Britannia e dell'assenza dell'imperatore, aveva invaso la Mesopotamia e stringeva d'assedio Nisibi, la quale, validamente difesa dalla guarnigione romana, resisteva eroicamente.

Settimio Severo decise di recarsi sul teatro della guerra; prima però volle ricostituire le milizie pretoriane con l'intento di lasciare a Roma, durante la sua assenza, un presidio sicuro. 
Le coorti pretorie erano prima e da sempre formate da elementi solo italici, il che rappresentava un alto privilegio per la penisola. Severo abolì questo privilegio, forse spintovi dalla sua origine straniera, forse anche per dare fine al dualismo (pericoloso) tra la guardia pretoriana e le legioni. Coi migliori soldati dell'esercito vennero ricostituite le coorti pretorie e l'Italia per la prima volta si trovò ad essere presidiata da truppe barbariche.

Rifatta la guardia, Severo partì per l'Oriente e nell'estate del 197 giunse in Mesopotamia. L'autunno e l'inverno furono impiegati nei preparativi; l'Armenia e l'Osroene s'impegnarono a fornire aiuti; tre nuove legioni che presero il nome di partiche furono costituite ed addestrate sul posto; poi nella primavera del 198 fu iniziata l'offensiva.
Alla testa del suo esercito, costeggiando il corso dell' Eufrate, Settimio pervenne a Babilonia; di là si spinse fino a Seleucia che venne occupata, poi mosse su Ctesifonte e la cinse d'assedio. La capitale dell' impero partico, abbandonata già da Vologeso, non oppose che una fiacca resistenza: capitolò dopo poco tempo e venne orribilmente saccheggiata dai vincitori, che tra soldati della guarnigione e ed abitanti fecero circa centomila prigionieri.

L'imperatore stimò prudente di non avventurarsi oltre Ctesifonte all'inseguimento di Vologeso e prese la via del ritorno lungo la valle del Tigri. Nel viaggio di ritorno si fermò davanti ad Atra (El-Hadr), la famosa città che aveva respirito gli assalti di Traiano e fornito un corpo di arcieri a Pescennio Nigro. Severo l'assediò ma non ebbe fortuna: gli abitanti si difesero valorosamente cagionando numerose perdite all'esercito imperiale. Settimio fu costretto a ritirarsi, ma più tardi, con nuove e più numerose forze, ritentò l'impresa. Ma neppure questa volta i suoi sforzi ebbero esito felice. Riuscì, è vero, ad aprire una breccia nelle mura ed aspettò che i difensori si arrendessero, ma, quando, dopo una  inutile attesa, mandò le legioni di Siria all'attacco, la breccia era stata chiusa e i soldati furono sanguinosamente ributtati all'indietro perdendo nel molte macchine guerresche.
Venti giorni durò l'assedio di Atra (199) alla fine dei quali Settimio lasciò l'impresa.

Nel frattempo una ribellione di Giudei era scoppiata in Palestina. Severo vi mandò un esercito capitanato dal figlio Bassiano Antonino, che non trovò grande difficoltà a ridurre all'obbedienza gli insorti. Più tardi anche Settimio Severo si recò in Palestina e pubblicò un editto contro gli Ebrei e i Cristiani. Poco o nulla però noi sappiamo della persecuzione dei Cristiani sotto l'impero di Severo, il quale forse intese coi suoi provvedimenti di impedire che la nuova religione nuocesse allo stato. Se l'editto imperiale fu seguito da martirii, tra cui degno di menzione è quello di Ireneo di Lione, ciò non dimostra che Severo fosse un accanito persecutore dei Cristiani. Tertulliano, difatti, il grande apologista del Cristianesimo, non venne toccato, anzi riusci nel 199 a scrivere il suo famoso Apologetico e a testimoniare, più tardi, che Severo anziché infierire nei suoi primi anni di regno contro i Cristiani, li trattò con clemenza e ne onorò della sua stima i più ragguardevoli.

Finita la guerra partica, Severo non tornò subito in Occidente, ma si trattenne in Oriente fino al 202 forse per consiglio della moglie che della Siria era nativa, forse — come vogliono alcuni — per mostrare che egli era l'imperatore delle province, forse ancora — e questa sembra il motivo più plausibile- perché riteneva necessaria la sua presenza nelle province orientali che avevano bisogno di un sovrano sul posto e di un assetto migliore.
Con Vologeso fu conclusa la pace che fruttò l'ampliamento del dominio romano della Mesopotamia romana; qui furono istituite colonie, tra cui Nisibi, Eesena e Zaita, e furono lasciate a presidio due delle tre legioni partiche; i confini vennero sistemati a difesa; nuove vie militari furono costruite; la Siria venne divisa in due province, la Celesiria e la Fenicia, cui vennero dati governatori propri.

 Dalla Palestina Settimio passò in Egitto e si spinse fino alle frontiere dell' Etiopia. Durante il suo soggiorno in Egitto fu restaurato per suo ordine il colosso di Memnone e l'imperatore venne iniziato al culto di Serapide; quindi ritornò in Siria e per la penisola balcanica e la valle del Danubio rientrò in Italia.
Il 18 marzo del 202 era a Sirmio e nell'estate dello stesso anno faceva il suo ingresso trionfale a Roma, dove ricompensò il popolo della fedeltà durante questi anni con feste e generose elargizioni.
Il figlio Bassiano Antonino, che durante il saccheggio di Ctesifonte era stato proclamato Augusto, celebrò con grande solennità il trionfo giudaico; più tardi l'erede si unì in matrimonio con Plautilla, figlia di Flavio Pauziano, prefetto del pretorio, e le nozze vennero celebrate con grandissima pompa; nel 203 Severo commemorò con feste splendide il decimo anniversario del suo avvento all' impero, e il Senato decretò che ai piedi del Campidoglio fosse innalzato un superbo arco trionfale all'imperatore «per avere ricostituito lo stato ed ingrandito l'impero del popolo romano» (ob rempu blicam restitutam-imperiumque populi Romani propagatum).

IL GOVERNO DI SEVERO

Severo ricusò il trionfo e molti degli onori che il Senato gli offriva, e si diede tutto all'amministrazione dello Stato, che, in verità aveva bisogno di grandissime cure.
Con se stesso Severo era "severo" e attivissimo. DIONE CASSIO così descrive la giornata dell'imperatore: 
« Prima dell'alba egli era in piedi al lavoro: poi, passeggiando, trattava con i suoi consiglieri gli affari dello Stato. All'ora delle sedute, se non era giorno di festa, si recava al suo tribunale e attendeva con grande scrupolo al suo ufficio, accordando ai difensori tutto il tempo necessario e a noi senatori, che giudicavamo con lui, ampia libertà di giudizio. Rimaneva in tribunale fino al mezzogiorno, poi montava a cavallo, restandovi fin che poteva, indi si recava al bagno. Faceva un pasto abbondante solo o in compagnia dei figli; dopo il pranzo aveva l'usanza di riposare; dopo s'intratteneva passeggiando con dei letterati greci e latini. La sera prendeva un altro bagno e si sedeva poi a cena con i familiari o con gli amici ».

Da questa breve descrizione di Cassio, risulta chiaramente come Settimio Severo fosse amante degli studi. Egli fu uno spirito fine colto e la sua corte un cenacolo di dotti, tra cui erano i più illustri giureconsulti del tempo, Paolo Ulpiano e Papiniano, che si raccoglievano intorno alla bellissima imperatrice Giulia Domna, con la sorella Giulia Mesa e alle nipoti Soemide e Mammea. Ma fu anche Severo un rigido uomo di governo che seppe con la severità del soldato metter l'ordine nello stato e costruire la sua fortuna. La sua politica fu rivolta tutta ad abbassare l'autorità del Se- nato, a rendere tortissimo il potere imperiale e ad innalzare l'ordine equestre e l'esercito.
Sotto Settimio il Senato perde quasi tutta la sua autorità ed ha pochissima parte nell'amministrazione dello stato. Questa invece si concentra in un gruppo di amici e compagni dell' imperatore, scelti fra i cavalieri, fra i militari e tra i più famosi giuristi. Ai funzionari, scelti tra i cavalieri, è affidato il censo riservato prima ai senatori, ai cavalieri vengono date le cariche che per diritto e per tradizione erano prima ricoperte da mèmbri dell'ordine senatorio, e ai cavalieri più meritevoli sono concessi i titoli onorifici di vir egregius e di vir perfectissimus

Anche l'autorità dei governatori delle province viene limitata: ad essi fu tolto il diritto di istituire imposte e accanto a loro, per controllarne l'opera, furono posti dei legati imperiali. 
L'esercito con Severo acquista una posizione privilegiata nell'impero. Settimio Severo è un soldato, egli sa che deve tutto ai soldati, è e vuole perciò essere l'imperatore delle milizie. Aumenta ai legionari il soldo; concede loro il diritto di contrarre matrimoni legittimi; accorda ai migliori come premio, il passaggio nelle coorti pretorie; dispensa i veterani da ogni pubblico incarico; dà regali ricchissimi ai generali; agli ufficiali in congedo conferisce titoli onorifici e impieghi civili; ai centurioni apre la via agli uffici superiori nella carriera militare e in quella amministrativa. 
Settimio mira a rendersi devoto l'esercito, ma per preservarsi dalle sorprese che i pretoriani potevano procurargli conduce in Italia la II Legione partica e l'acquartiera ad Albano, nelle vicinanze di Roma. Per la prima volta con Severo il Prefetto del Pretorio, pur rimanendo in carica, è ammesso nel Senato, diventa il capo dei funzionari imperiali e acquista la giurisdizione penale per tutto il territorio a cento miglia da Roma.
Il primo prefetto del pretorio che entrò a far parte della Curia fu Fulvio Plauziano.
Questi, come l'imperatore, era di origine africana ed aveva reso preziosi servizi a Severo. Aveva preso in ostaggio la moglie e i figli di Nigro, aveva seguito il principe in Oriente, e aveva combattuto con lui valorosamente nella valle della Saóne contro Albino. 
Settimio aveva riposto in lui tutta la sua fiducia, lo aveva nominato, insieme con Giovenale, prefetto dei pretoriani e innalzato al consolato. Plauziano divenne potentissimo, più potente dello stesso imperatore ed accumulò in poco tempo, certo con arti tutt'altro che oneste, ricchezze favolose.

La sua potenza crebbe quando nel 202 — come abbiamo detto — sposò la figlia Plautilla con Bassiano. Questo matrimonio però fu la causa della sua rovina. Bassiano (Cracalla) non amava la moglie e ben presto tra i due coniugi nacquero dissapori, che ebbero una forte ripercussione nei rapporti tra il figlio di Severo e il suocero, il quale, a sua volta non era ben visto da Giulia Domna.
L'odio di Bassiano per Plauziano crebbe a tal punto da indurlo a sbarazzarsi del potente prefetto. Spinti da Bassiano, tre centurioni dichiararono a Settimio che Plauziano aveva loro dato l'ordine di uccidere l'imperatore. Questi chiamò il prefetto a scolparsi: ma nel gabinetto imperiale era anche Bassiano, il quale, mentre il suocero protestava la sua innocenza, gli si scagliò addosso con la spada in pugno. Il padre lo trattenne, ma Bassiano gridò ad un littore di uccidere il prefetto e questi, subito dopo, cadde trafitto (22 gennaio del 205). 

Il cadavere di Plauziano venne gettato nella via, indi sepolto per volere dell' imperatore. Gli amici del morto caddero in disgrazia e la stessa sorte subì la famiglia: Plautilla e il fratello Plauto vennero relegati a Lipari. Nella carica di prefetto del Pretorio a Plauziano successe il famoso giureconsulto Fulvio Papiniano.

Sei anni Settimio Severo rimase a Roma, durante i quali seppe acquistarsi la simpatia del popolo con feste ed elargizioni; abbellì la città di due nuovi templi, quelli di Bacco e di Ercole; fece riparare il portico di Ottavia, il Panteon e i templi di Saturno e di Vespasiano; e restaurò il bilancio dello stato, sebbene anche lui ricorresse all'espediente di adulterare le monete. 
Ma più che alle finanze pubbliche Settimio pensò alla sua cassa privata, che col patrimonio di Commodo e il ricavato delle confische, accrebbe enormemente ed era destinata a rafforzare la posizione dell' imperatore. 

 Nel 208 Settimio partì per la Britannia, molestata dalle continue incursioni dei Meati e dei Caledoni, Lo accompagnarono Papiniano, Giulia e i due figli Bassiano e Gota.
Settimio aveva in animo di debellare completamente i barbari vicini e fare forse della Scozia una nuova provincia; ma l'impresa non era facile. Quei montanari evitavano di misurarsi in campo aperto coi Romani e dalle loro montagne e dai loro boschi iniziarono una guerriglia feroce che causò in tre anni alle legioni la perdita di cinquantamila uomini. Pur tuttavia l'estremità settentrionale dell' isola fu raggiunta, ma il possesso della Scozia non venne mantenuto e Settimio richiamò le legioni al vallo di Adriano che poi venne anche rinforzato. 
Al principio del 211 la guerra ebbe una furiosa ripresa per opera dei Meati. Settimio Severo, che si trovava ad Eburacum (York), si apprestava a riprendere con maggior vigore le operazioni guerresche, quando il 4 febbraio, travagliato dalla gotta, cessò di vivere.

... ci aspetta il periodo (di CARACALLA e C.) dal 211 al 222 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testo
APPIANO - Storia Romana 
CASSIO DIONE - Storia Romana 
SVETONIO - Vita dei Cesari
CIACERI - Tacito Politico - UTET
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
WACHER  -Storia del mondo romano - Laterza 1989
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
CHATEAUBRIAND -Discorsi sopra la caduta dell'Impero Romano Pirotta MI - 1836

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