ANNI 284 - 305 d.C.

DIOCLEZIANO E MASSIMIANO IMPERATORI - LE GUERRE SUL RENO E DANUBIO
IL RIBELLE CARAUSIO - NASCE  LA TETRARCHIA - GUERRE IN PERSIA
GOVERNO E ORDINAMENTI DI DIOCLEZIANO - EDITTO DEI PREZZI
PERSECUZIONE DEI CRISTIANI - I VICENNALIA - ABDICAZIONE - I NUOVI AUGUSTI E I NUOVI CESARI
-----------------------------------------------------------------------------------------------------

(DIOCLE) DIOCLEZIANO E MASSIMIANO


Come abbiamo letto nel precedente capitolo, nel periodo dal 275 al 285, si succede tutta una serie di imperatori che vengono eliminati violentemente uno dopo l'altro. E se questo era stato possibile fu sempre dovuto al fatto che le sovversioni non venivano dai barbari o dai partici che Roma combatteva (ultimamente solo erigendo alte mura) ma dagli stessi militari, all'interno di quell'esercito che era romano solo formalmente, perchè dentro c'era di tutto; da Aureliano in poi l'esercito dell'impero oltre che essere  guidato da un gruppo di imperatori di origine illirica, anche gli stessi soldati erano di tutte le razze; all'inizio erano prigionieri aggregati alle legioni, e costituivano reparti ausiliari, ma aumentando di numero, di fatto ormai costituivano loro il  nucleo più vigoroso, la spina dorsale dell'esercito; con tutte le sorprese che poi questo dava. E di queste sorprese il periodo sopra accennato ne aveva riservate parecchie. 
L'ultima quella dello scorso anno, 284, quando, prima Numeriano poi Apro si fecero acclamare imperatori, ma durarono poco; il primo morì subito dopo in circostanze misteriose e il secondo -accusato di avere assassinato il primo- con le vesti di imperatore campò invece solo poche ore.
Il fato -disse il successore- gli aveva armato la mano per uccidere i traditori, e lui non voleva andare contro il destino. Lui - questo gli aveva detto l'oracolo- era solo un predestinato imperatore..

L'uomo che rimaneva solo all'impero, CAIO AURELIO VALERIO che da Diocle sua patria prese poi il nome di Diocleziano, era un illirico anche lui. 
Oscuri erano i suoi natali -forse era figlio d'un liberto del senatore Anelino- sappiamo solo che era nato a Solona nel 247- e doveva la sua fortuna a se stesso. Abbracciata da giovanissimo la carriera militare, l'aveva percorsa fino ai più alti gradi, distinguendosi per coraggio, energia ed accorgimento; era poi stato console sotto Probo, governatore della Mesia e infine comandante delle guardia imperiale. 
Come abbiamo detto sopra, una donna, veggente, -a quel che si narra- gli aveva predetto quand'era giovane, che lui sarebbe stato imperatore il giorno che avesse ucciso un cinghiale (aper). E all'impero era arrivato quando la sua spada, al cospetto delle legioni, uccise a Nicomedia quell'uomo che del cinghiale portava proprio il nome (Apro).

Diocleziano a 37 anni, era già un uomo maturo; poco colto, ma di grande ingegno e pieno di esperienza militare e politica per essere stato alla scuola di sommi generali e per avere assistito allo svolgersi di tante vicende; era inoltre riflessivo, calcolatore, paziente, e queste erano qualità preziose per chi voleva e doveva reggere un impero.
Dopo la battaglia del Margus, in cui la vendetta di un ufficiale gli aveva data la vittoria (l'ufficiale uccise il suo rivale Carino che muoveva contro di lui, vendicandosi per averlo umiliato violentando sua moglie) Diocleziano volle usare umanità e magnanimità e disarmò i suoi nemici con la clemenza anziché con la forza. Nessuno di quelli che avevano seguito Carino fu toccato o rimosso dalle cariche e lo stesso Aristobulo, prefetto del pretorio e creatura della Curia, rimase al consolato.

Diocleziano inaugurava, con una accorta politica, il suo governo con atti di pace; ma la pace di cui aveva grande bisogno l'impero forse era soltanto nei voti dei sudditi e nelle sue intenzioni. 

LE GUERRE SUL RENO E SUL DANUBIO

Tanti rumori di guerra venivano invece da ogni parte: torbidi avvenivano in Alessandria provocati da un  certo L. Elpidio Achille; in Egitto erano ricomparsi minacciosi i Blemmi; nella Numidia le bellicose tribù dei Bavari e dei Quinquangentanei razziavano il paese; nella regione danubiana dalla Mesia alla Pannonia popolazioni sarmatiche e germaniche molestavano i confini; i paesi renani vedevano di nuovo le orde dei Franchi; e le coste galliche del nord erano infestate dai pirati sassoni. 
Come se ciò non bastasse le Gallie erano tormentate e sconvolte dai Bagaudi, agricoltori e pastori, che, immiseriti dalla voracità dei governatori, riuniti in grosse bande percorrevano le campagne incendiando, saccheggiando, distruggendo sotto la guida di un Amando e un Eliano, i quali sognavano forse di costituire sotto di sé un impero gallico.

RIFORME DI DIOCLEZIANO - NASCITA  DELLA TETRARCHIA

Un solo imperatore non poteva bastare a difendere il vastissimo territorio dell' impero da tanti nemici. Diocleziano sentì il bisogno di un collaboratore fidato e fra i suoi generali scelse uno dei più valorosi, MARCO AURELIO MASSIMIANO, anche lui come Diocleziano illirico, di umile origine, che non superava di età la trentina e non aveva alcuna cultura. Nella primavera del 285 Dioclezianoi lo nominò Cesare e gli chiese di reprimere la ribellione dei Bagaudi. Non fu questa una impresa difficile: Massimiano la portò a termine con energia e rapidità e i suoi soldati lo proclamarono Augusto al principio del 286. Diocleziano dovette confermargli il titolo e associò il generale all'impero.

Questo veniva così ad avere due imperatori di eguale potere e dignità, sebbene l'autorità maggiore, come più anziano, lo avesse Diocleziano. L'uno e l'altro presero due titoli nuovi: Diocleziano quello di Jovius, Massimiano quello di Herculeus; ciascuno ebbe una corte propria e un proprio prefetto del pretorio. L'unità politica e legislativa dell'impero rimase, quantunque gli imperatori fossero due: non fu infatti diviso — come pare — il consilium principis; unica restò la moneta; unico l'indirizzo politico e gli atti e i decreti portarono la figura di entrambi.
Ma Roma non poteva essere la sede di due principi; essa rimase la capitale, diciamo così, onoraria e siccome a Massimiano venne assegnata la difesa dell' Italia, della Gallia, della Britannia, della Spagna e dell'Africa, e quella degli altri territori dell'impero assegnata a Diocleziano, così il primo ebbe per residenza Milano, il secondo Nicomedia. Finì del tutto pertanto l'autorità del Senato, le coorti pretorie furono divise in due gruppi di Giovie ed Erculee e venne tolta dal monte Albano la legione che vi aveva sede.

Se la divisione del comando portò non indifferenti aggravi finanziari all'impero, essa fu di grandissima utilità dal lato militare. Diocleziano riuscì a dedicarsi la sua opera per la difesa del Danubio; riuscì a tenere in rispetto i Persiani, che anzi gli inviarono doni e offerte d'amicizia; e approfittando del malcontento degli Armeni ridusse l'Armenia sotto il vassallaggio romano rimettendo sul trono l'esule erede degli Arsacidi, T'ridate: poi ritornato in Occidente, diede man forte al suo collega spingendosi dalla Rezia contro alcune popolazioni germaniche che furono sconfitte e valsero all'imperatore il titolo di Germanico Massimo.
Maggiori impegni ebbe Massimiano. I Burgundi minacciavano i confini al medio corso del Reno; gli Alemanni che si erano spinti fino al lago di Costanza, tentavano di penetrare da questo lato nei territori dell' impero; ed altri popoli germanici, passato il basso Reno, saccheggiavano le campagne fino alla Mosella. Contro questi ultimi Massimiano mandò suoi legati, che riuscirono a ricacciare i barbari oltre il fiume e riconquistare e fortificare la riva destra; Massimiano si recò a Magonza e diresse di là le operazioni contro gli Alemanni e i Burgundi, che, battuti dalle legioni imperiali, decimati dalla fame e dalla peste e travagliati da discordie, dovettero lasciare le devastate terre  di cui si erano impadroniti.

IL RIBELLE CARAUSIO

Intanto le coste settentrionali della Gallia erano infestate dai pirati sassoni e franchi. Massimiano diede l'incarico di abbattere la pirateria ad un suo ufficiale, M. Aurelio CARAUSIO, batavo di origine e buon conoscitore del mare. Carausio, messosi al comando della flotta di Gessoriaco (Boulogne sur-mer), aprì le ostilità contro i pirati. Ma il suo metodo di guerra non era tale da poter ricevere l'approvazione dell'imperatore; anziché distruggere le navi corsare egli si impadroniva del bottino che Franchi e Sassoni recavano, gran parte del quale teneva per sé. Condannato perciò a morte da Massimiano, Carausio si proclamò Augusto e con le prede e la flotta si recò nella Britannia, sollevò in suo favore le legioni che qui risiedevano, ebbe presto ragione delle poche truppe contrarie e, poi armate numerose milizie con gli ausiliari e favorito dai Franchi e dai Sassoni, divenne il padrone della Manica (287).
Contro il ribelle l'imperatore Massimiano mandò una flotta, ma questa non riusci a resistere alla furia del mare e alla superiorità di Carausio;fu quasi completamente di strutta (289). 

Intanto le condizioni dell'Occidente si aggravavano. Nella Mauritania le popolazioni indigene si ribellavano e il governatore Aurelio Litua era impotente contro di loro, la Germania era in fermento per le lotte tra Goti, Vandali, Gepidi e Borgognoni che avevano come sempre ripercussione sui confini; né più rosee erano le condizioni dell' Oriente affidato a Diocleziano, con i Sarmati che premevano sulla regione danubiana, i Saraceni invadevano la Siria ed infine  si ribellava pure Egitto.
Diocleziano ebbe un abboccamento a Milano con il collega e, per tener buono provvisoriamente Carausio in attesa di debellarlo, lo riconobbe come capo della Britannia. Carausio si tenne pago del successo e fece batter moneta in cui la sua immagine figurava accanto a quella dei "suoi fratelli" Massimiano e Diocleziano. Vedremo più avanti la fine di questa ribellione.
* * *
LA TETRARCHIA 

Mentre, insieme con il collega, badava a tenere in rispetto i nemici esterni e a sedare le ribellioni, Diocleziano studiava il modo di dare all'impero un ordinamento stabile che mai come allora si era reso necessario. Due cose lo preoccupavano: la difesa e il potere. Quella, anche con l'impero militarmente diviso in due parti, continuava ad esser difficile e reclamava comandi con giurisdizioni meno vaste; questo, ora che a sua volta si era ridotta l'autorità del Senato, era alla mercé degli ambiziosi e del capriccio delle legioni, né poteva contare sulla successione ereditaria.

Per risolvere il problema della difesa e insieme quello del potere, dopo un maturo esame della situazione, Diocleziano stabilì di dare all'impero una nuova forma di governo che fu chiamata tetrarchia. Lo stato doveva con il nuovo ordinamento, avere due imperatori (Augusti), di cui uno più anziano e di maggiore autorità, e in sottordine due Cesari. Morto un imperatore, doveva succedergli il suo Cesare il quale, divenuto Augusto doveva nominarsi, a sua volta, un Cesare. I due Cesari, al pari dei due Augusti, dovevano avere la potestas tribunicia e l' imperium, ma non il potere legislativo, e potevano batter moneta e comandare eserciti in nome degli imperatori di cui in effetto erano luogotenenti con diritto alla successione e alle insegne imperiali. 

Il Cesare che Diocleziano si scelse fu un dace, VALERIO GALERIO, soldato rude e violento nativo di Sardica; quello di Massimiano fu FLAVIO COSTANZO, detto Cloro per il suo pallore, originario della Dardanica, che discendeva da Claudio il Gotico ed era di animo mite e retto e dotato di fine cultura.
Il 1° marzo del 293 i due Cesari ebbero le insegne, il primo a Nicomedia e il secondo a Milano. Perché i vincoli tra i Cesari e gli Augusti si facessero più saldi, Galerio sposò in seconde nozze Valerla, figlia di Diocleziano, Costanze Cloro — che era già padre di COSTANTINO avuto da una GIULIA ELENA di Bitinia — divenne marito di una figliastra di Massimiano di nome Teodora.

 GALERIO ebbe il governo delle province illiriche, della Macedonia, della Grecia e di Creta con sede a Sirmio, COSTANZO quello della Gallia e della Britannia con residenza a Treveri. 
Rimasero a Massimiano l' Italia, la Rezia, la Sicilia, la Sardegna e l'Africa, esclusi l'Egitto e la Libia che toccarono a Diocleziano insieme con le province d'Asia.
Costanze aveva avuto — come si è detto — il governo della Gallia e della Britanma, ma quest'ultima era in potere di CARAUSIO, il quale inoltre teneva presidi sulla costa settentrionale della Gallia e si serviva del porto di Gessoriaco con una parte della sua flotta. Bisognava dunque combattere contro l'usurpatore e, nel medesimo tempo contro i Franchi suoi alleati.
Costanzo cominciò da Gessoriaco: ne sbarrò il porto con una diga e costrinse con la fame alla resa le navi e la guarnigione ribelle (293), poi volse le armi contro i Franchi e li ricacciò dalle regioni paludose dei Batavi e dei Menapii. I numerosi prigionieri che fece li distribuì come coloni nella Somme e nell'Oise.
Mentre Costanzo si preparava ad assalire in Britannia Carausio, questi, che si era preparato
 apparecchiato alla difesa, ripartendo le sue forze nei punti della costa che si prestavano ad uno sbarco, veniva ucciso da un suo ufficiale di nome ALLETTO, che s'impadroniva del potere.

Contro costui mosse Costanzo quando la situazione sulla frontiera del Reno glielo permise e la sua flotta fu pronta. Questa venne divisa in due squadre, di cui una era comandata dal Cesare, l'altra dal comandante della guardia, Asclepiodoto, e col favore della nebbia riuscì ad eludere la vigilanza di Alletto, che si trovava con le sue navi presso l'isola di Wight, e ad approdare nelle vicinanze di Brighton.
Saputo dello sbarco nemico, Alletto si affrettò verso Londinium contro Asclepiodoto, ma fu sconfitto ed ucciso; il suo esercito, gettatosi sulla città per saccheggiarla fu assalito dalle truppe imperiali e sterminato. Costanzo entrò a Londinium dove ebbe accoglienze trionfali (296) e la Britannia tornò ad essere una provincia dell' impero dopo dieci anni di indipendenza.

Costanze in Britannia non vi rimase a lungo: la frontiera renana, che durante la sua assenza era rimasta sotto la custodia di Massimiano, reclamava la sua presenza, dovendo l'imperatore recarsi in Africa, dove i Mauritani si erano ribellati: la Numidia era percorsa dai Bavari e dai Quinquangentanei e un pretendente, un certo ambizioso Giuliano, si era fatto proclamare.
La campagna di Massimiano in Africa durò tutto l'anno 297 e parte del successivo: i Mauri ribelli furono sconfitti e costretti a rifugiarsi nella zona montagnosa dell'Atlante, molti dei razziatori vennero catturati e mandati come coloni in varie provincee, e Giuliano rimasto solo si uccise.

Più duro fu il compito di Costanzo in Europa. Per rendere maggiormente sicuri i confini egli iniziò la fortificazione della frontiera tra Magonza e il lago di Costanza. Ne dirigeva i lavori quando seppe che gli Alemanni, forzata la linea del Reno, si erano spinti, devastando ogni cosa al loro passaggio, fino al paese dei Lingoni. Costanzo Clero mosse contro gli invasori: due grandi battaglie furono combattute,una a Langres e l'altra a Vindonissa, e in entrambe gli Alemanni lasciarono sul campo molte migliaia di morti (298).
La riforma di Diocleziano dal lato militare dava già i suoi frutti.

Non minore intanto era l'attività guerresca di Diocleziano e Galerio nella penisola balcanica e nell'Oriente. Le guerre che Galerio dovette sostenere contro i Quadi, gli Jazigi, i Bastami e i Carpi durarono quasi ininterrottamente quattro anni, dal 293 al 296. In quest'ultimo anno i Carpi -che erano i nemici più accaniti e pericolosi-  dopo di essere stati più volte battuti, furono sconfitti sanguinosamente e un gran numero di essi furono deportati in qualità di coloni, nella Mesia e nella Pannonia.
Diocleziano dal canto suo non stava inoperoso. Si trovava a Nicomedia per sorvegliare meglio di là il contegno della Persia quando un' insurrezione scoppiata in Egitto lo fece accorrere ad Alessandria. Aassediò per otto mesi questa città sperando di prenderla per fame, ma l'ebbe solo quando tagliò gli acquedotti. Alesaandria fu abbandonata alle truppe e saccheggiata. Sorte peggiore ebbero le Città di Koptos e Bosiris ohe vennero distrutte (296). Alla repressione della rivolta seguirono le operazioni contro i Blemmi nell'alto Egitto con i quali, dopo alcuni combattimenti vittoriosi, Diocleziano venne ad un accordo. In virtù di questo l' imperatore concedeva ai Blemmi libertà di accesso nel santuario d'Iside ed essi, dietro promessa di sussidi, s'impegnarono a non disturbare la Tebaide e a rispettare il commercio egiziano. Contemporaneamente nelle vicinanze di Siene venne stanziata la tribù dei Nobati che ebbe il compito di guardare i confini meridionali.

Succedevano queste cose in Egitto quando le ostilità, che dalla Persia si aspettava Diocleziano, scoppiarono. Era salito sul trono di quel regno il bellicoso Narsete (Nersi). Riprendendo il programma di Shapur, invase l'Armenia costringendo Tiridate a ritirarsi in territorio romano, indi penetrò nella Mesopotamia (296). 
Il comando della guerra contro i Persiani, trovandosi assente Diocleziano, fu assunto da Galerio che prese come collaboratore Tiridate, ma il Cesare, sia per imprudenza, sia per la poca pratica che aveva dei luoghi, dopo alcuni combattimenti di lieve entità e di esito incerto, nella pianura tra Carre e Callinico gli toccò una grave disfatta con gravi  perdite per i  Romani. A stento Galerio e Tiridate riuscirono a salvarsi e i Persiani avrebbero invaso la Siria se a un certo punto non fosse sopraggiunto Diocleziano.
Questi assunse la difesa della linea dell' Eufrate (297) e mandò Galerio nell'Illirico per raccogliervi un nuovo esercito e condurlo sul teatro della guerra. Nella primavera del 297 Galerio fece ritorno in Asia e iniziò l'offensiva, ma questa volta anziché penetrare nella Mesopotamia, dove la natura del terreno permetteva al nemico lo spiegamento della sua potente cavalleria, prese la via dell'Armenia, guidato da Tiridate. I Persiani, sorpresi nel proprio campo, furono gravemente sconfitti; Narsete, ferito, dovette la salvezza alla fuga, ma la sua famiglia e i suoi tesori caddero nella mani dei vincitori. 
Intanto che Tiridate percorreva l'Armenia devastando quei paesi che avevano prese le parti di Narsete, Diocleziano entrato in Mesopotamia, si congiungeva a Nisibi con Galerio.

Imbaldanzito dal successo, il Cesare avrebbe voluto penetrare nel regno persiano e portare fino all'India gli eserciti vittoriosi, ma venivano in quel frattempo proposte di pace da parte di Narsete e Diocleziano ritenne opportuno non rifiutarle. Sicorio Probo fu mandato dall'Imperatore a fissare i patti e questi vennero firmati ad Asprudi nel maggio del 298. In virtù di questi all' impero romano veniva restituita tutta la Mesopotamia, Narsete cedeva cinque province alla sinistra dell'alto corso del Tigri, l'Armenia passò sotto la sovranità di Roma e sul suo trono fu rimesso Tiridate; l'Iberia da stato vassallo della Persia diventava vassalla dell' impero e tutto il commercio persiano con l'Occidente doveva passare per Nisibi. Era una pace vantaggiosissima per i Romani, pace che doveva durare circa un quarantennio e che assicurava non solo le frontiere occidentali dell' impero ma anche le vie del Caucaso.

GOVERNO E RIFORME DI DIOCLEZIANO - EDITTO DEI PREZZI

Dopo il 299 un periodo di tranquillità si inaugura per l'impero; sicuri sono i confini dal Mare del Nord al Tigri, dall'Atlantico al Mar Rosso, né rivolte di popoli o di pretendenti turbano la pace interna. Il merito è tutto di Diocleziano: la tetrarchia ha dato buona prova, anche e forse soltanto perché  è lui alla testa. Più tardi sarà causa della rovina dell' impero, ma in questo periodo l'impero è in piena vitalità, sebbene esso non sia più quello di Augusto. In tre secoli tante vicende si sono succedute e della vecchia, gloriosa repubblica neppure le forme sono più rimaste. Il principato ha lasciato lungo il suo fortunoso cammino la sua costituzionalità ed è diventato assoluto ed ha lasciato anche la fisionomia occidentale per assumere decisamente quella orientale. 
Gli imperatori ora si allontanano dagli uomini e salgono sul l'Olimpo degli dèi;  Diis geniti et deorum creatores sono, e i sudditi giurano nel nome di essi, che sono sacri con tutte le cose che loro appartengono e che da loro emanano. Di porpora e tempestate di gemme sono le loro vesti, come quelle dei monarchi d'Oriente, le fronti imperiali sono cinte del diadema, una fascia bianca sparsa di pietre preziose, e il suddito che riesce ad avvicinare l'imperatore gli si inginocchia davanti come se lui fosse un idolo ed umilmente gli bacia un lembo del manto.

Succeduto a quello delle guerre il periodo della pace, Diocleziano rivolge le sue cure a completare e a perfezionare, il riordinamento dell' impero.
Le antiche attribuzioni del Senato, rimasto come rudere senza vita, passano al Concistorium principis cui sono affidate tutte le questioni di carattere legislativo. L'ordinamento provinciale viene radicalmente mutato, dal lato territoriale e dal lato amministrativo, e il potere civile viene diviso dal potere militare. Ogni provincia ha un praeses, che ha le funzioni di governatore civile, ed uno o più duces che hanno il comando delle truppe. Così viene ridotta la potenza del governatore e quella del generale e si elimina il dannosissimo inconveniente di affidare il governo di una provincia ad un militare rozzo o di darne la difesa a chi non ha competenza guerresca. 

Al principio dell' impero di Diocleziano il numero delle province è di cinquantasette, nell'anno 297 è di novantasei. Questo frazionamento però presenta dei gravi pericoli; può indebolire il gran corpo dell'impero e rende anche difficile e complicato il funzionamento amministrativo e politico nei rapporti con il centro. Ad eliminare questi pericoli Diocleziano crea dei gruppi di province cui viene dato il nome di diocesi e che vengono governate da vicari. Dodici diocesi ha nel 297 l' impero, cinque in Oriente e sette in Occidente: l'Oriente (Egitto, Siria e Mesopotamia), il Ponto, la Tracia, la Mesia, la Pannonia, l'Italia, l'Africa, la Spagna (con la Mauritania tingitana), la Viennese (Aquitania e Narbonese), la Gallia e la Britannia.^

Accanto alla riforma provinciale, e in parte conseguenza di essa, stanno la riforma militare e quella finanziaria. Rimangono, sebbene ridotte negli effettivi, le antiche coorti pretorie, ma vengono create nuove guardie del corpo, reclutate specialmente in Illiria, per i due Augusti e i due Cesari. L'esercito da trecentocinquantamila viene portato a mezzo milione di uomini, i soldati delle legioni vengono ridotti di numero ed è accresciuto invece quello degli ufficiali.
L'aumento delle corti, dell'esercito e dei funzionari porta con sé una spesa maggiore. Diocleziano accresce le entrate dello stato rinnovando il catasto e le imposte sui terreni. La proprietà fondiaria è ripartita in varie categorie che tengono conto della qualità del terreno e della coltura ed è creata una nuova unità fiscale detta iugum o caput o millena o centuria. L' imposta fondiaria, pagata in denaro o in natura, è riscossa dai decurioni sotto la loro responsabilità. 

Con la riforma tributaria viene eliminata all'Italia il privilegio finora goduto dell'esenzione dall' imposta tributaria, privilegio che è mantenuto soltanto dalla urbicaria regio cioè dal territorio di Roma che si estende fino a cento miglia dalle mura della città. Con la riforma tributaria Diocleziano ha ordinato ed accresciuto il gettito delle imposte a beneficio dello Stato; ora cerca di risolvere la crisi monetaria e il caroviveri. Nuove monete vengono coniate: l' aureus di grammi 5,45, l' argenteus di grammi 3,40 e il follis di bronzo, ma la crisi non è risolta perché rimangono in circolazione moltissimi denari di bassissima lega. Né a risolvere il caroviveri è sufficiente l'editto de pretiis del 301, con il quale si fissa il massimo dei prezzi rerum venalium, e si commina la pena di morte per i trasgressori. Il provvedimento autoritario difatti costringe i negozianti a nascondere la merce per non venderla a prezzi inferiori, impoverisce i mercati, provoca carestie e produce un generale malcontento che consiglia l'imperatore di lasciar cadere il suo editto.

LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI 

 Gli ultimi anni dell' impero di Diocleziano furono insanguinati dalle persecuzioni contro i Cristiani.
Il Cristianesimo si era diffuso in tutto l'impero, era penetrato nella corte, nel Senato, nell'esercito, nella burocrazia, nelle classi ricche e colte come nelle povere e ignoranti, aiutato dalle guerre, dalle ribellioni, dall'anarchia politica e amministrativa, dal disagio economico, dalla decadenza del sentimento nazionale, dalla immissione nei territori dell' impero di numerosissimi barbari, dall'intiepidirsi della fede pagana, dalla diffusione di certe dottrine filosofiche, dalle migliorate condizioni della schiavitù e dalle numerosa opere assistenziali istituite dalle comunità cristiane fiorentissime. Il Cristianesimo, malgrado le persecuzioni sofferte, aveva saputo organizzarsi potentemente. Le chiese disponevano di ingenti beni e si era formata una gerarchia, che in certe città aveva una grandissima autorità anche fuori della cerchia della comunità cristiana.

La diffusione e la potenza del Cristianesimo, nonché la dottrina da esso predicata e i sentimenti che nei seguaci inculcava, non potevano non preoccupare Diocleziano. Il Cristianesimo era un elemento dissolvente dell' impero: divideva i cittadini credenti da quelli che professavano altre fedi, predicava l'astensione dalle pubbliche cariche, univa il romano al barbaro, era contrario alla guerra e all'esercito, non riconosceva la divinità dell'imperatore.

Diocleziano non era un pagano fanatico e nei suoi primi anni fu molto tollerante verso i Cristiani, ma quando due magistrati di Samosato si rifiutarono apertamente di sacrificare agli dèi in ringraziamento della vittoria sui Persiani, quando i sacerdoti affermarono che le viscere delle vittime consultate, non rispondevano per la presenza disturbatrice nell'esercito di soldati di altra fede, quando il suo consiglio privato concordemente si pronunciò per la persecuzione dei Cristiani e questa venne approvata dall'oracolo di Apollo Didimeo, l'imperatore non riuscì più resistere alle pressioni di Galerio che odiava i seguaci di Cristo e stabilì di prendere dei provvedimenti.

Il 23 febbraio del 303, giorno in cui ricorrevano le feste terminali, il prefetto del pretorio, seguito da uno stuolo di soldati e dal popolino pagano, invase il tempio cristiano di Nicomedia, bruciò i libri sacri e ordinò che la chiesa fosse saccheggiata e distrutta.
Il giorno dopo fu pubblicato un editto che ordinava la distruzione delle chiese e dei libri dei Cristiani, ne scioglieva le comunità, ne confiscava i beni, proibiva le riunioni, escludeva dalle cariche pubbliche e dalla cittadinanza romana i sudditi che appartenevano alla religione di Cristo e rimetteva nella schiavitù i liberti se non ritornavano al paganesimo. Un cristiano osò strappare e lacerare l'editto, ma venne arrestato e bruciato vivo. Qualche tempo dopo scoppiò un incendio nel palazzo imperiale di Nicomedia; mentre in Siria -approfittandone- ebbero luogo tra le truppe e i funzionari civili dei moti antidinastici. L'uno e gli altri vennero attribuiti ai Cristiani; molti ne furono arrestati e processati, e tutti — e fra questi, alcuni addetti al palazzo imperiale — sebbene si proclamassero innocenti, vennero mandati al martirio.

La distruzione delle chiese e dei libri sacri ordinata dall'editto provocò in Oriente tumulti e tentativi di resistenza da parte delle comunità cristiane, cui tenne dietro un secondo editto che comminava pene più severe. Con questo l'imperatore ordinava che i Cristiani venissero ricercati ed obbligati a sacrificare agli dèi e che tutti i vescovi e i preti che si rifiutavano di consegnare i libri sacri venissero messi in carcere. Al secondo seguì un terzo editto col quale, in occasione delle prossime feste con cui si sarebbe celebrato solennemente il primo ventennio dell'avvento all'impero dei due Augusti (Vicennalia), si accordava l'amnistia a coloro che, abbandonato il Cristianesimo, ritornassero all'antica fede pagana, e si annunziava una maggior severità contro di quelli che si ostinassero a rimaner Cristiani.

Non in tutte le parti dell'impero gli editti vennero applicati col medesimo rigore. Nell'Occidente, specie nella Gallia e nella Britannia dove i Cristiani erano meno numerosi, per merito di Costanze Cloro e della sua corte in gran parte convertita al Cristianesimo, la persecuzione fu molto blanda e si limitò alla distruzione di qualche chiesa e alla proibizione delle assemblee dei Cristiani; in Oriente invece, più per opera di Galerio che di Diocleziano, gli editti vennero applicati con un rigore che a volte confinò con la ferocia. In una città della Frigia — secondo la tradizione ecclesiastica — gli abitanti cristiani furono chiusi in una chiesa e perirono tra le fiamme; molti vescovi vennero gettati nelle prigioni, altri furono deportati nella Pannonia, come il vescovo di Antiochia, a lavorare nelle cave di marmo. 

Davanti alla ferocia dei persecutori non tutti i Cristiani ebbero la forza e il coraggio di resistere: non furono pochi quelli che abiurarono e sacrificarono ai vecchi dèi, parecchi vescovi consegnarono i libri sacri e ci furono anche di quelli che, dopo di avere fatto apostasia, aiutarono i magistrati a perseguitare gli antichi compagni di fede. Nel novembre del 303 vennero celebrati con gran pompa i Vicennalia e il trionfo dei due Augusti. Roma per pochi giorni tornava ad essere la capitale dell'impero e tornava ad assistere ai cortei trionfali in onore di coloro che per la sua grandezza avevano combattuto e vinto. 

Il 20 novembre Diocleziano e Massimiano fecero il loro ingresso nella metropoli sopra un magnifico carro tirato da quattro elefanti, seguiti dai senatori, da un numeroso stuolo di magistrati e ufficiali, da una selva di insegne, dai trofei delle vittorie e dalle figure di Narsete, delle sue donne e dei suoi figli. Le feste furono accompagnate da un'amnistia e da elargizioni alle principali città per un totale di trecentodieci milioni di denari.

L'ABDICAZIONE DI DIOCLEZIANO E MASSIMIANO
I NUOVI AUGUSTI E I NUOVI CESARI


Diocleziano rimase a Roma solo 28 giorni. Quattro settimane, e nella successiva doveva iniziare la quinta e aver luogo nella metropoli, a conclusione delle feste trionfali, il corteo che soleva accompagnare al Campidoglio i nuovi consoli,  con Massimiano e Diocleziano già designati al consolato. Diocleziano però non volle aspettare la venuta di quel giorno e partecipare alla cerimonia: inasprito dai frizzi del popolo, che non stimava quell' imperatore che non voleva risiedere nella vecchia e gloriosa capitale, partì precipitosamente da Roma, forse anche per non lasciarsi vincere dalla tentazione di sfogare contro i Romani la sua collera, prima si recò a Ravenna, e da qui fece ritorno a Nicomedia.

Dopo vent'anni di impero e tante vicende, Diocleziano, sebbene non avesse toccato ancora i sessanta anni, era stanco. E non doveva esser lieto della vita dell' impero e della propria: la moglie Prisca non lo amava, la figlia Valeria non era certo felice accanto al rozzo e violento marito, sopra di lui che riluttante aveva emanati gli editti contro i Cristiani piovevano chissà quante imprecazioni, era fallito il tentativo di alleviare la miseria con la disciplina dei prezzi e il popolo non gli era grato d'aver ricevuto la pace e la sicurezza. Tutto ciò doveva certamente influire sul temperamento mistico di Diocleziano e deciderlo a ritirarsi a vita privata specie dopo la malattia che nel 304 fece temere per la sua vita. 
Ma forse Diocleziano era salito sul trono già con il proponimento di abdicare dopo un certo periodo di regno, probabilmente un ventennio; questo farebbe credere il giuramento che Massimiano dovette fargli (a parole), quando fu associato all'impero, cioè che avrebbe abdicato insieme al collega. 

Ad ogni modo se questo proponimento non era proprio così antico, senza dubbio non fu nemmeno improvvisa la risoluzione di abbandonare il potere; perché da parecchi anni Diocleziano aveva iniziato la costruzione di un immenso palazzo a Solona in Dalmazia, per passarvi gli anni della sua vecchiaia.

Il 1° maggio del 305, a tre miglia da Nicomedia, sopra un colle sulla cui cima sorgeva una colonna sormontata dalla statua di Giove, ai dignitari delle province sue e del suo Cesare e ai rappresentanti dell'esercito notificava la decisione presa di scendere dal trono, si spogliava del manto purpureo e del diadema e proclamava Augusto GALERIO e gli sceglieva come Cesare MASSIMINO CAIO; poi partiva per la sua principesca casa di Solona.

Nello stesso giorno una eguale cerimonia ebbe luogo a Milano: Massimiano abdicava all'impero e al suo posto saliva come Augusto COSTANZO CLORO e gli veniva dato come Cesare FLAVIO SAVERIO SEVERO. Massimiano anche lui si ritirava in una sua villa in Lucania.

La ripartizione delle province tra gli Augusti e i Cesari ebbe delle modifiche: COSTANZO prese per sé la Gallia, la Britannia e la Spagna, SEVERO l'Italia, l'Africa e la Pannonia, GALERIO ebbe tutto il resto dell'impero eccettuati l'Egitto e la Siria che furono dati a MASSIMINO CAIO.

E se tutte le riforme di Diocleziano erano state un fallimento, anche la successione all'impero furono destinate a fallire.
Infatti dopo il ritiro dei due Augusti, scoppiò ben presto una guerra civile tra i successori, nessuno dei quali si accontentò della qualifica di Cesari. E per giunta si ebbero contemporaneamente sei Augusti; anche se la successiva morte di alcuni di essi semplificò la questione. E che tratteremo nel successivo capitolo, nel periodo di COSTANTINO, dal 306 al 337. Dove tratteremo ancora della abdicazione di Diocleziano fino alla sua  morte

FINE PERIODO 284 - 305

Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

PROSEGUI CON I VARI PERIODI