ANNI 869 - 902 d.C.

SICILIA - FINE DOMINAZIONE BIZANTINA
ARABI - LA RESA DELLA SICILIA

I GOVERNATORI DELLA SICILIA MUSULMANA DALL'869 ALL'876 - GIAFAR IBN-MOHAMMED - I MUSULMANI ASSEDIANO SIRACUSA - STRENUA DIFESA DELLA CITTÀ - SIRACUSA ESPUGNATA E DISTRUTTA - I BIZANTINI ALLA RISCOSSA - BATTAGLIE PRESSO TAORMINA E CALTAVUTURO - DISCORDIE TRA ARABI E BERBERI DI SICILIA - BATTAGLIA NAVALE DI MILAZZO- GLI ARABI DI SICILIA CONTRO IBRAHIM IBN-AGHLAB - ABÚ-ABBÁS IN SICILIA, SUE VITTORIE CONTRO I RIBELLI - LA RESA DI PALERMO - ASSEDIO DI DAMONA - ABFL-ABBÁS S'IMPADRONISCE DI REGGIO E SCONFIGGE LA FLOTTA BIZANTINA A MESSINA - IBRAHIM ESPUGNA TAORMINA - FINE DEL DOMINIO BIZANTINO IN SICILIA- IBRAHIM IN CALABRIA - SUA MORTE
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ASSEDIO E CADUTA DI SIRACUSA

Nel precedente riassunto abbiamo detto che nel giugno dell'869, sulle rive del Dittaino, in Sicilia, fu ucciso a tradimento da un berbero, KHAFÀGIA IBN SOFIÀN governatore-"sultano" della Sicilia. A succedergli fu scelto il figlio MOHAMMED, che però durò poco e fece la fine del padre; infatti, fu assassinato anche lui il 27 maggio dell'871.

A Mohammed successero nel governo della Sicilia musulmana dalla fine dell'871 all'873 una vera e propria folla di sultani: RIBBÀH, ABBÁS IBN-JAKUB, AHMED IBN-JAKUB, HOSCIN IBN-RIBBÀH, ABU-ABBÀS ed ABU-MALIK che vi rimase fino all'876.

L'anno dopo troviamo al governo dell'isola, GIÀFAR IBN-MOHAMMED, che ebbe il vanto di iniziare la guerra che doveva portare alla conquista di Siracusa.

Le ostilità ebbero principio nell'estate dell'877: dopo aver corso i territori di Rametta, Taormina e Catania, Giàfar si mise a percorrere le campagne siracusane, occupò i sobborghi e pose poi l'assedio alla città.

Risoluto ad espugnare la capitale della parte bizantina dell'isola, che a tanti assedi aveva energicamente resistito, Giàfar non dava un istante di tregua alla città. Le mura e le torri dell'istmo erano battute giorno e notte da arieti giganteschi, da squadre armate di pali e di picconi, da testuggini d'acciaio, da enormi mangani, che scaraventavano immensi macigni a grande distanza. Numerose macchine lanciavano sulle cime delle fortificazioni ed entro la città, un'ininterrotta gragnola di sassi; e vie sotterranee furono scavate per sorprendere i difensori, i quali, sempre all'erta, non si stancavano di respingere valorosamente gli spericolati assalti dei saraceni.
A dare aiuto alla città assediata giunsero navi da Costantinopoli, ma queste furono presto sconfitte dalla flotta musulmana, che, rimasta padrona del mare, distrusse le fortificazioni dei due porti e tolse agli assediati ogni comunicazione con l'esterno.

Da allora cominciò per i Siracusani una vita tormentata, che doveva durare circa otto mesi. Più che dagli assalti nemici, incessanti, la città fu tormentata dalla fame, di cui fa una breve ma efficace descrizione il monaco Teodosio, che ci piace riportare nella traduzione dell'Amari:

"Gli animali domestici erano ormai tutti consumati; conveniva mangiar come si poteva di grasso o di magro; erano finiti i ceci, gli ortaggi, l'olio; la pesca era cessata fin dal giorno che il nemico si era impadronito dei porti. Ormai un moggio di grano, se lo trovavi, si comperava centocinquanta bizantini d'oro; uno di farina duecento, due once di pane un bizantino; una testa di cavallo o d'asino, da quindici a venti; un intera giumenta, trecento.
I poveri, poiché mancava a loro tutto perfino le solite verdure, andavano raccogliere le erbe amare su per le muraglie; masticavano le pelli fresche; raccoglievano le ossa spolpate, e pestate e stemprate con un po' d'acqua le trangugiavano; rosicavano il cuoio: poi, sopraffatti dalla fame rabbiosa da ogni ribrezzo da ogni sentimento di religione e di natura, dettero di piglio ai bambini che erano morti di fame; mangiavano i cadaveri dei morti in battaglia, ed era quest'ultimo l'unico alimento di cui non ci fosse penuria.
Da tutto questo si generavano epidemie che ognuna era diversa; della quale chi moriva subito in orribili convulsioni; chi gonfio come un otre; chi aveva tutto il corpo sforacchiato da piaghe; e altri che restavano paralitici".

Bloccata Siracusa per mare e per terra, sicuro ormai d'averla conquistata, anche se non ancora occupata, GIÀFAR se ne tornò a Palermo; e nella primavera dell'878 ritornò con rinforzi per dirigere l'assedio ABÙ-ISA.

Sotto il nuovo capitano, l'assedio prese nuovo vigore; gli sforzi furono specialmente diretti contro la torre del porto grande, un lato della quale, battuto dagli arieti che provocavano delle enormi breccia alle mura, crollò verso la fine d'aprile.
Alcuni giorni dopo cadde un altro pezzo della cinta difensiva, e a quel punto la breccia era aperta. Tutto lo sforzo degli assediati si concentrò su questo punto. Per venti giorni e venti notti i Saraceni, si accanirono in impetuosi assalti; ma i loro tentativi di penetrare a viva forza nella città furono vani.
Gli assediati, Bizantini e Siracusani, difendevano disperatamente la breccia, ed era un'esigua schiera di gente che la fame aveva ridotto come scheletri; ma tuttavia salda e risoluta a non lasciarsi sopraffare dalla superiorità numerica del nemico. Le donne, eroiche anch'esse, aiutavano gli uomini nel combattimento; i preti confortavano e pregavano, il patrizio per guidare le varie azioni era sempre al suo posto di comando giorno e notte.

Ad un certo punto parve che i Musulmani volessero concedere un po' di riposo o che avessero rinunziato all'impresa. Era l'alba del mattino del 21 maggio dell'878 e per la prima volta dopo venti giorni non si muovevano i mangani e gli arieti davanti alle mura, e anche presso la breccia aperta, la battaglia si era fermata.
Approfittando di quella sosta il patrizio e la maggior parte dei difensori si erano ritirati per prendersi un po' di riposo ed erano rimasti a guardia della breccia pochi uomini capitanati da GIOVANNI PATRIANO, quando, verso le sei, tutte le macchine da guerra dei Musulmani si misero improvvisamente in movimento e una pioggia di sassi cadde sulle case e sulle vie, mentre un numeroso gruppo di Saraceni, piombato sulla breccia, travolse i pochi soldati che la difendevano e dilagò furioso per la città.

Nessuna forza umana poteva ormai trattenere l'impeto degli invasori. Un nucleo di Bizantini e Siracusani tentò di far fronte al nemico davanti la chiesa del Salvatore, ma fu non solo respinta, ma fatta a pezzi. La chiesa era gremita di folla: donne e bambini spauriti, vecchi inermi, frati e preti. Ad un tratto la porta cadde sotto i colpi degli infedeli e un'orda inferocita di Musulmani riempì il tempio di grida.

Anche nella cattedrale avevano cercato rifugio molti cittadini, laici ed ecclesiastici, e fra questi il vescovo SOFRONIO. Credevano che fosse giunto l'ultimo giorno della loro vita e reciprocamente si perdonavano le offese che si erano fatte in tempi passati; ma un gruppo di nemici, che per primo entrò nella cattedrale, non fece loro alcun male e si limitò a chiudere il vescovo e gli ecclesiastici in prigione, dopo che furono consegnati i vasi sacri del peso di cinquemila libbre.
Per tutto il giorno continuò il saccheggio e le violenze, poi fu ordinato di uccidere soltanto i soldati mentre i cittadini abili carburarli per farne schiavi. Dei soldati solo settanta con il patrizio, chiusi in una torre, resistevano; ma il 22 maggio si arresero pure loro e furono passati per le armi, primo fra tutti il patrizio che andò a morte a testa alta e con viso sereno.
Un prode guerriero, NICETA DA TARSO, che aveva durante l'assedio recato non lievi perdite ai nemici, morì fra orribili supplizi: lo scorticarono vivo, gli trafissero il petto con numerosi colpi di lancia e, strappatogli il cuore, lo dilaniarono.

Il numero degli uccisi nelle stragi che ci furono dopo la presa della città fu di parecchie migliaia; il bottino, secondo Teodosio, ammontò ad un milione di bizantini d'oro, e forse questa è una cifra abbastanza verosimile perché la città di Siracusa era molto ricca.
Dopo la caduta della città comparve poco lontano dal porto una piccola flotta bizantina, ma fu messa in fuga e quattro navi furono anche catturate e gli equipaggi uccisi o feriti scaraventati in mare.
Per due mesi i saraceni lavorarono per abbattere le solide fortificazioni della città; infine, spogliati i templi e le case, appiccarono il fuoco, e verso i primi d'agosto lasciatosi dietro un informe cumulo di rovine sul luogo dov'era stata la splendida e potente Siracusa, fecero ritorno a Palermo, portandosi dietro i prigionieri idonei per farne schiavi.

I MUSULMANI IN SICILIA NELL' ULTIMO VENTENNIO DEL SEC. IX

Lo stesso anno della distruzione di Siracusa fu ucciso dai suoi familiari GIAFAR e, dopo un brevissimo governo d'AGHLAB IBN-MOHAMMED, tornò al potere HOSEIN IBN-RIBBÀH che s'mpegnò a sostenere ripetute lotte contro Taormina e i Bizantini.
Questi ultimi, volendo vendicare lo scacco subito a Siracusa e far diminuire l'aggressività della flotta musulmana, la quale si era messa a depredare Cefalonia, Zante, Malta, ed altre località della Grecia, spinti dalle popolazioni siciliane e dai frati che predicavano la riscossa - fra questi degno di menzione frate ELIA DA CASTROGIOVANNI- radunata a Modone una flotta sotto il comando di NASAR la inviarono contro quella nemica.

La battaglia (880), avvenne nelle acque che bagnano le coste occidentali della Grecia e fu lunga e accanita. La sorte alla fine arrise ai Bizantini; parte delle navi dei Saraceni bruciate, molte caddero nelle mani dei vincitori, pochissime riuscirono a scampare nelle acque di Palermo.
Dopo la vittoria NASAR andò a Reggio e di là fece vela verso Palermo, a poca distanza della quale approdò. Padrone del mare, l'ammiraglio bizantino mandò reparti di cavalleria a distruggere i territori delle città siciliane che si erano rese tributarie dei Musulmani, ma non osavano assalire la capitale, e dopo alcuni mesi, lasciata nelle acque dell'isola una squadra, Nasar passò con il resto delle navi sulle coste della penisola.

Rialzò in Sicilia le sorti degli Arabi il nuovo governatore HASAN IBN-ABBÀS, successo ad HOSEIN, il quale nell'estate dell'881 portava a termine una scorreria nel contado di Catania e sconfiggeva BARSAMIO uscitogli contro con la guarnigione di Taormina.
Ma l'anno dopo Hasan gli toccava subire una sanguinosa rotta presso Caltavuturo e il comando fu affidato a MOHAMMED IBN-FADHL, il quale nella primavera dell'882, con un forte esercito, distruggeva i dintorni di Catania, attaccava e sbaragliava i Bizantini della squadra lasciata da Nasar, devastava il territorio di Taormina e, scontratosi con un esercito nemico, lo sgominava totalmente, uccideva i tremila uomini che ne facevano parte, li fece decapitare tutti e inviò le teste a Palermo.

Altre incursioni furono fatte da MOHAMMED nell'883 e l'anno dopo dal successore HOSEIN IBN-AHMED. Venuto questi a morte e assunto il governo dell'isola, SEUÀDA IBN MOHAMMED, nella guerra tra musulmani e Bizantini ci fu una tregua per qualche anno, ma non così fra i musulmani perché in Sicilia, erano nate nel frattempo delle discordie tra Arabi (dell'ultima ora) e Berberi (già da qualche tempo sull'isola). Contrasti fino al punto che fra l'autunno dell'886 e la primavera dell'887 furono loro, i musulmani, a scontrarsi in una sanguinosa guerra civile e a scannarsi reciprocamente.

Il popolo di Palermo levatosi a tumulto, s'impadronì di SEUÀDA e, mandatolo in Africa, elessero come successore ABU-ABBÁS-IBN-ALÌ, il quale però, poco tempo dopo, sedata la rivolta, riconsegnò il governo a SEUÀDA ritornato in Sicilia.

Dalla breve guerra civile i Bizantini avrebbero potuto trarre non lievi vantaggi se fosse stato ancora in vita BASILIO. Ma questi era morto il l° marzo dell'886 e lo scettro dell'impero d'Oriente era passato nelle deboli mani di LEONE.
Debolezza utile ai saraceni di Sicilia che si misero subito in movimento e con una flotta iniziarono assalire le coste della Calabria. Contro di loro fu mandata da Costantinopoli un'armata bizantina che sul finire dell'estate dell'888 si scontrò nelle acque ioniche, ma subì una terribile sconfitta che costò agli imperiali da cinque a settemila soldati.

Ma di questa non s'avvantaggeranno i Musulmani, perché la loro compagine non è più salda come una volta ed Arabi e Berberi da qualche tempo si odiano profondamente. Né questo odio è il solo male che affligge la vita dei Saraceni di Sicilia: arde la lotta pure tra gli Arabi che sono sull'isola e il principe in Africa, il feroce IBRAHIN IBN-AHMED, dal cui giogo i primi vogliono liberarsi (ma non solo in Sicilia e in Africa accadono queste lotte, ma in tutti i territori arabi conquistati in due secoli).

La storia dei Musulmani di Sicilia, per un decennio circa, è intessuta tutta dalle discordie tra Arabi e Berberi e delle lotte tra questi e il principe aghlabita. Nell'890 gli Arabi siciliani si levano in armi contro quelli giunti dall'Africa.
Il 4 maggio dell'892 un emiro, MOHAMMED IBN-FADHL, mandato dal principe, entra a viva forza a Palermo, ma pochi mesi dopo la rivolta locale torna ad alzare il capo e di lì a qualche anno trionfa.
L' indipendenza della colonia siciliana dalla madre patria non durò che un lustro appena. Risoluto a domare la Sicilia, IBRAHIM vi mandò nel 900 un poderoso esercito capitanato dal figlio ABÚ-ABBAS-ABDALLAH, che, partito il 14 luglio con centoventi navi da trasporto e quaranta da guerra dalle coste africane, prese terra il 1° agosto a Mazzara e da qui mosse all'assedio di Trapani.

Fallite le trattative intavolate tra il figlio di IBRAHIM e gli Arabi di Palermo, questi partirono via terra il 15 d'agosto al comando di un MESÚD-BÀGI alla volta di Trapani. Di lì a qualche giorno anche la loro flotta, che contava una trentina di navi, fece vela, ma, sorpresa da una tempesta, in gran parte naufragò.
Una furiosa battaglia fu combattuta sotto Trapani fra le truppe di MESUD e quelle di ABU-ABBÁS, che terminata e rimasta senza vincitori, fu ripresa con maggiore violenza il 22 agosto e terminava con la peggio dei Saraceni dell'isola.

Gli Arabi palermitani si ritirarono verso la capitale combattendo e contrastando accanitamente l'avanzata al nemico per ben quattordici giorni. Il quindicesimo giorno, presso le porte di Palermo, s'impegnarono nuovamente in una battaglia difensiva (8 settembre) ma dopo dieci ore di sanguinosa scontri, decimati e sfiniti, cedettero e si ritirarono rifugiandosi nella città vecchia (Cassero), lasciando in potere degli Arabi Africani e dintorni e i ricchi sobborghi della città, che furono ben presto saccheggiati.

Altri dieci giorni resistettero nel Cassaro i Musulmani di Palermo, poi stipularono un accordo con gli assedianti; i capi della rivolta fuggirono in altre città a fuori dall'isola, e numerosi cittadini con le loro donne e i figliuoli cercarono rifugio in Taormina.
ABÚ-ABBÁS fece il suo ingresso a Palermo il 18 settembre.

Impadronitosi della capitale, il condottiero saraceno dopo alcuni giorni comparve poi nel territorio di Taormina; prima iniziò a devastare la cittadina e i dintorni, infine pose l'assedio a Catania sperando di averla prima che cominciasse l'inverno, ma resistendo la città oltre le sue ottimistiche previsioni, fece ritorno in Palermo a fare preparativi per riprendere poi le ostilità nella prossima primavera.

Il 25 marzo del 901 ABÚ-ABBÁS si sentì pronto per la nuova scorreria; avviò la flotta verso Messina, mentre lui stesso con l'esercito andò a porre l'assedio a Damona le cui mura iniziò a bombardarle per diciassette giorni con dei grandi mangani, poi avendo saputo che i Bizantini si stavano radunando armati in Calabria, corse subito a Messina, passò lo stretto e, presentatosi sotto le mura di Reggio, mise in fuga l'esercito bizantino piuttosto debole e insicuro, poi il 10 giugno entrò, senza incontrare altri ostacoli nella città.

Tuttavia molti abitanti di Reggio furono ugualmente trucidati, diciassettemila di loro furono fatti schiavi; e immenso fu il bottino, cui si aggiunse i doni e i tributi sollecitamente portati dalle città vicine per non essere aggredite e distrutte.

Una flotta, bizantina intanto giungeva da Costantinopoli, questa volta dirigendosi a Messina. Abu-Abbás si affrettò a ripassare lo stretto, diede battaglia alle navi nemiche catturandone trenta, fece abbattere le fortificazioni di Messina, trasportare da Reggio nell'isola gli schiavi e il bottino e dopo un'ultima, vittoriosa incursione nella terra ferma, fece ritorno a Palermo, dove soggiornò fino alla primavera del 902, nel quale anno, chiamato dal padre, partiva per l'Africa.

IBRAHIM abdicava. Vi era costretto dalla volontà del califfo abassida Mothadhed Billah, nauseato dalle atrocità del suo governatore di Kairuan, dal malcontento dei sudditi, dalla rivolta della tribù berbera di Kótama e dalle minacce della dinastia, egiziana dei BENI-TOLUN. Messo il potere nelle mani del figlio, IBRAHIM, per accrescere la gloria dell'Islam o scontare le sue colpe o procacciarsi una nuova signoria di là dal mare, concepì il progetto di sterminare lui gli ultimi Bizantini della Sicilia e quindi portarsi con le armi in Italia per conquistarla.

IBRAHIM recatosi a Susa, predicò la guerra santa contro gl'infedeli, raccolse gruppi di volontari; con le ingenti ricchezze di cui disponeva li ingaggiò, acquistò armi e cavalli, poi allestita una flotta fece vela per Trapani, dove giunse verso la fine di maggio. Qui raccolse altre truppe, ed infine con quelle con lui al comando iniziò a cavalcare alla volta di Palermo.

CADUTA DI TAORMINA

Dall'8 al 17 luglio IBRAHIM rimase intorno alla capitale, affaccendato a radunare armati e marinai da ogni parte, infine alla testa di un esercito poderoso, marciò su Taormina, che era ormai divenuta la capitale bizantina del breve tratto d'isola rimasto agli imperiali.
E proprio qui l'imperatore LEONE aveva inviato non un esercito vero e proprio ma appena sufficiente per creare un esiguo presidio, comandato da un certo COSTANTINO CARAMALO e da un certo MICHELE CHARACTO ed aveva inoltre inviato il frate (in odore di santità) ELIA di CASTROGIOVANNI a infondere con le preghiere la resistenza.
I primi due erano degli inetti, i quali non sapevano o non potevano neppure mantenere la disciplina nelle truppe, il terzo invece fece del suo meglio; vecchio ed infermo, per quanto santo, per preparare gli animi alla resistenza della cittadinanza ci voleva ben altro che le preghiere; mistico com'era ma sconfinante nelle stranezze, alla fine si prese anche gli scherni degli abitanti e dei pochi, sbandati e inetti soldati.

All'avvicinarsi dell'esercito musulmano i taorminesi scesero incontro al nemico e ingaggiarono battaglia presso Giardini. Il combattimento fu impetuoso da entrambe le parti e già i Saraceni incalzati, iniziavano a ripiegare, quando IBRAHIM, entrato personalmente nella mischia con i suoi migliori uomini, rianimò le file, e insieme a loro si scagliò contro i Bizantini seminando il panico.

"Allora - scrive l'Amari - i locali, senza la guida di un valido condottiero, si misero a fuggire in modo disordinato, e i Musulmani ad inseguirli su per le vette dei monti, e raggiunti pure lì -dicono le cronache- furono sbaragliati agguantati e spinti in fondo ai burroni.
Altri che avevano scelto una diversa via di scampo, verso il mare, si rifugiarono sulle navi; e tra questi in fuga forse i due capitani bizantini; altri ancora, ma sempre nella confusione, ripararono in città, ma i vincitori ormai entrati, iniziarono a inseguirli fino alla cittadella e a Castel di Mola; i primi a dirigersi da una sentiero molto scosceso verso il monte che sovrasta l'erta di Taormina, gli altri dietro a incalzarli ma poi a fermarsi alla base della rocca quasi inaccessibile.

Ibrahim era impaziente di portare al macello quella popolazione che si era messa in salvo lassù in alto. Girato intorno la costa, sparsi i suoi da ogni lato, scoprì un luogo dove ci si poteva arrampicare con le mani e piedi, e a furia di promettere premi mandò su per i dirupi un drappello di negri; questi superati lentamente i grossi ostacoli, giunti poi in cima, i rifugiati si sentirono tuonare alle spalle il grido "AkbarAllah"; loro credevano così inespugnabile il sito, che stanchi della sanguinosa giornata mettendo solo qualche guardia nei luoghi accessibili ma non negli altri, si erano sbracati; solo quando alle spalle sentirono il grido di guerra dei nemici, si resero conto, ma troppo tardi, di essere in trappola. Quel pugno di schiavi li potevano invece scaraventare giù dalle rupi a colpi di pietra, ed erano SALVI.
IBRAHIM udito dall'alto il grido di guerra de' suoi negri, salì poi senza contrasto sulla rocca, spezzò le porte e comandò uno spietato eccidio".

Era la Domenica, del 1° Agosto dell'Anno 902.

Data storica, perché cadeva l'ultima roccaforte bizantina in Sicilia.

Impadronitosi della città di Taormina, IBRAHIM si mostrò spietato pure con questa; gli uomini validi -come si soleva fare- non li fece schiavi ma furono tutti trucidati e con loro non poche donne e bambini; i pochi fuggiaschi furono inseguiti, i chierici non furono risparmiati; finita l'opera, alla città poi appiccarono il fuoco. Fra le vittime della ferocia del condottiero musulmano la storia annovera il vescovo PROCOPIO.
Si narra, che rifiutatosi di abiurare, fu mandato al supplizio ed affrontò la morte con animo impavido, confortando fino all'ultimo momento gli altri prigionieri, che più tardi caddero pure loro scannati sul cadavere del vescovo.

Dopo la caduta di Taormina, di Demona, parecchi altri luoghi anche abbastanza saldi temendo di fare la fine di Taormina, capitolarono e le ottime difese furono subito smantellate. Poi IBRAHIM verso fine di agosto, marciò con tutte le sue forze su Messina e il 3 di settembre passò lo stretto. Andava dicendo, che voleva conquistare tutta l'Italia e poi portare le sue armi fino a Costantinopoli.
In effetti, la sua marcia, preceduta dal terrore, attraverso la parte meridionale della Calabria non fu ostacolata da nessuno, e ben presto riuscì a raggiungere i dintorni di Cosenza.

La notizia che stava avanzando lo spietato musulmano, si era sparsa rapidamente nelle varie città del mezzogiorno d'Italia, causando il panico; ovunque c'era agitazione, per mettere in salvo i tesori, per rafforzare le mura, per fare provviste e vettovagliare le città in caso di assedio.

Narrano i cronisti, che per disposizione del duca e del vescovo di Napoli fu abbattuto il grande Castello di Lucullo a capo Miseno, temendo che, cadendo in mano al nemico, poteva come fortezza e punto strategico costituire una grave minaccia a tutta la navigazione del golfo; il 13 ottobre le ossa di S. Severino che vi erano custodite furono in solenne processione trasportate dal castello alla città.

Intanto IBRAHIM assediava Cosenza, ma l'assedio procedeva disordinatamente, pigramente e senza alcun risultato, era, infatti, assente la regia, perché il conquistatore di Taormina, l'uomo che doveva conquistare tutta l'Italia, e che pensava pure a Costantinopoli, era stato colpito da una grave dissenteria e non aveva la forza di fare non solo l'assedio a Cosenza, ma nemmeno aveva più la forza di stare in piedi.
Per distendersi in un riparo, il feroce IBRAHIM come rifugio scelse una chiesetta - di S. Michele dicono alcuni, di S. Pancrazio dicono altri - e qui spirò il 24 ottobre a cinquantatre anni di età.

Il comando dell'esercito, già dai primi giorni di malattia del condottiero, in preda allo sbando, fu affidato ad un nipote del morto, ZIADET-ALLAH, il quale, vista la critica situazione e senza tante velleità di conquiste, decise la ritirata, e di prendere il cammino del ritorno portandosi dietro la salma del nonno.

Così aveva termine l'impresa che nella mente del potente aghlabita doveva a Roma e a Costantinopoli far sventolare vittorioso la bandiera dell'Islam.

Ma se in Sicilia è caduta l'ultima roccaforte bizantina
fra brevissimo tempo altri roccaforti stanno per nascere sull'Isola.
Ma prima di occuparci dei nuovi "visitatori" del Nord
dobbiamo ritornare alle vicende centro Italia
e in quelle dell'ultimo imperatore Carolingio
e prima che termina il secolo faremo anche una panoramica
sull'Italia come popolazione, commerci, agricoltura.

Ed è il periodo che va dall' 882 all' 888 > > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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