ANNI 887 - 888 d.C.

L' ITALIA ALLA FINE DEL SECOLO IX E LA SICILIA ARABA

L' ITALIA E LE ISOLE ALLA FINE DELL'IMPERO CAROLINGIO: IL REGNO ITALICO, LE MARCHE, LO STATO PONTIFICIO, LONGOBARDI E BIZANTINI, LA SICILIA SOTTO LA DOMINAZIONE MUSULMANA - LA POPOLAZIONE ITALIANA - AGRICOLTURA E COMMERCIO
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CONDIZIONI DELL' ITALIA VERSO LA FINE DEL SECOLO


Il Regno Italico (così era chiamato quello a nord dello Stato Pontificio) è lo stato più vasto e più forte della penisola, che a nord è limitato dalle Alpi e a mezzogiorno ha per confine una linea che dalla foce del Sisto corre alle sorgenti del Sangro e finisce all'Adriatico dove sbocca il Biferno.
Base dell'ordinamento del regno è la contea, sostituitasi al ducato; ma il numero delle contee non corrisponde più a quello dei precedenti ducati longobardi così come da questi differiscono quelle per l'estensione territoriale.

È avvenuto, che a poco a poco, alcuni conti hanno riunito sotto di sé parecchie contee accrescendo la propria potenza e i propri domini. Si sono così formati dei vasti organismi detti "marche" intorno alla cui origine, varie sono le opinioni degli storici.

Tre sono le marche che nel penultimo decennio del secolo IX troviamo nel regno italico: quella del FRIULI, quella della TOSCANA e quella di SPOLETO.

Quella del FRIULI è la più antica: costituita dalla parte orientale del Veneto e da parte dell'Istria e della Carniola ed è governata da BERENGARIO, fratello e successore di Unroco e figlio del franco Eberardo venuto in Italia al tempo di Ludovico il Pio.

Della marca di TOSCANA è signore ADALBERTO II, discendente di una potente famiglia bavarese la quale con il capostipite Bonifazio I aveva il governo della contea di Lucca, accresciuta sotto Bonifazio II con i territori di Pisa, Luni e Pistoia e sotto Adalberto I con quelli di Firenze e di Volterra.

Di SPOLETO abbiamo parlato più volte volte: prima potente ducato longobardo e pericoloso vicino dell'Esarcato bizantino e dello stato della Chiesa romana, poi sentinella avanzata, della dominazione franca nell'Italia centrale e protettore del Papato contro i nobili della campagna, più tardi divenne potente con GUIDO I e più ancora con GUIDO II, il primo dei signori spoletini insigniti dal Papa con il titolo di marchese.

Accanto al regno italico troviamo lo STATO PONTIFICIO, rimasto finora sotto l'alta sovranità franca, privo di una forte organizzazione militare, organismo senza coesione e senza una fisionomia spiccata in cui l'autorità del Papa è più spirituale che politica. Le varie città sono rette da funzionari rivestiti dell'autorità militare, civile e giudiziaria, da cui dipendono altri funzionari minori. Questi funzionari, laici o ecclesiastici, sono la causa principale della debolezza dello stato. Potenti per le cariche che rivestono e per i beni che posseggono essi sono per lo stato elementi di disordine e di disgregazione, minano l'autorità dei Pontefici, si ingeriscono nelle elezioni papali per ricavarne vantaggi e sono un ostacolo insormontabile per l'azione del governo centrale.

Nell'ITALIA MERIDIONALE troviamo i piccoli stati longobardi di cui abbiamo narrato le vicende e cioè i principati di Benevento e di Salerno e la contea di Capua, che mantengono ancora le antiche istituzioni ma sono nella sfera d'influenza bizantina sebbene di fatto indipendenti; i ducati di Napoli, Amalfi e Gaeta di cui ci occuperemo in seguito, e i domini dell'impero d'Oriente, dell'organizzazione dei quali avremo occasione di parlare diffusamente più tardi.

In un prossimo capitolo a parte parleremo delle molte vicende di VENEZIA.

Quanto alle isole, la CORSICA fa parte del regno italico ed è sotto la sfera d'influenza dei marchesi di Toscana (in una carta dell'844 Adalberto I è chiamato "comes, tutor et marchensis insulae Corsicae").

Della SARDEGNA sappiamo che è nominalmente ancora una provincia bizantina, ma effettivamente, abbandonata a sé stessa e continuamente tormentata dalle incursioni dei Saraceni, e si difende e governa come può da sé.

La SICILIA, se si eccettui qualche luogo forte dell'interno, è oramai un possesso musulmano. Gente di stirpi diverse vi dominano: Arabi di Asia, d'Africa e di Spagna e Berberi; questi ultimi stanziati nella parte meridionale dell'isola e continuamente in discordia con i primi. Palermo è la capitale e vi risiede l'emiro". Egli è il capo supremo delle forze di terra e di mare, ha nelle mani l'amministrazione, dispensa la giustizia, muove guerre, conclude paci e batte moneta. Da lui sono nominati o revocati e dipendono i "qadi", governatori delle città maggiori, e i "hàkim", preposti al governo delle città minori, e tutti quei funzionari addetti alla sicurezza pubblica, alla polizia urbana ed ecclesiastica ecc. ("mohtesib, sàhib esc-sciorta" ecc.).
In ogni città esiste un corpo municipale, la "gema", composto dai capi delle famiglie nobili, dai ricchi, dai dotti e dai capi delle corporazioni di arti, che ha il compito di provvedere, per mezzo di contribuzioni volontarie di danaro o lavoro, alla costruzione o riparazione delle mura, degli acquedotti e delle moschee e al soccorso dei viandanti poveri.

Tutta l'isola è divisa in tre parti, denominate Val di Mazzara, Valdemone e Val di Noto.
Nelle prime due sono stanziati in numero rilevante i Musulmani e si trovano i beni di cui i dominatori sono venuti in possesso per diritto di conquista o per confisca.
Circa le condizioni della popolazione indigena troviamo questa distinta in quattro categorie.
La prima è formata dalle popolazioni indipendenti, poche in verità e quasi tutte in Valdemone, che si reggono con magistrati propri e secondo le istituzioni bizantine.
La seconda è formata dalle città tributarie, che pagano ai dominatori la "gezià" o "kharág"; la terza è costituita dalle città vassalle, quelle cioè conquistate con le armi o per patti, cui dai vincitori è stato concesso l' "aman" o sicurezza. In queste ai magistrati ed istituti bizantini sono successi quelli musulmani in potere dei quali sono caduti i beni demaniali ed ecclesiastici e in gran parte quelli dei privati, fuggiti o caduti in guerra o incarcerati, e insieme con i beni i servi e i coloni.

I cristiani delle città vassalle vivono nella condizione di "dimmi" (soggetti); conservano le proprie costumanze; sono tutelati nei loro averi e nelle persone dalle leggi musulmane; esercitano liberamente il diritto di proprietà; possono professare, solo però nelle chiese e nelle case, il loro culto.
È vietato però loro di parlare con irriverenza del Corano, del Profeta e dell'Islam, di portar Croci in pubblico e leggere ad alta voce il Vangelo, di offendere i soldati e le donne musulmane, di far proseliti fra i dominatori, di portare armi, di montar cavalli, usar selle, fabbricar case più alte di quelle dei vincitori, di bere vino in pubblico, di portar turbanti della stessa foggia e colore di quelli usati dai musulmani, di adoperar suggelli con leggende arabiche e alle donne cristiane di entrar nei bagni quando vi siano donne musulmane.

Inoltre i "dimmi" sono tenuti a pagare la "gezià", tributo personale dell'ammontare di quarantotto "dirhem" annui se ricchi, di ventiquattro se agiati, di dodici se non abbienti, ed un'imposta fondiaria ("kharàg"). Rimangono in vita, presso i "dimmi", le corporazioni di mestieri con capi liberamente scelti che vigilano per prevenire i delitti la cui pena cade su tutta la comunità e giudicano come arbitri nelle liti tra cristiani ai quali è data facoltà di ricorrere al magistrato musulmano o al capo della corporazione.

L'ultima categoria è quella composta dai servi (uomini liberi presi in guerra o venduti o servi della gleba passati in proprietà dei musulmani insieme con le terre) detti con termine arabo "rekik" (minuto) o "memluk" (posseduto). La condizione dei servi di Sicilia non è però - al dire dell'Amari - tanto triste quanto fu quella degli Italiani nei primi tempi della dominazione longobarda, perché le leggi musulmane la rendono mite e ne favoriscono l'emancipazione. Uno dei vari mezzi con cui uno schiavo o un vassallo possa conseguire la libertà, è il passaggio all'islamismo.

Questo spiega e giustifica il gran numero di proseliti fatti dai Musulmani tra i Cristiani di condizione servile, molti dei quali fuggono dalle località indipendenti, solo per sottrarsi al duro trattamento dei padroni cristiani oltre che spinti dal desiderio della libertà.
Questo fatto costituisce anche una prova della scarsa organizzazione ecclesiastica dell'isola, la cui Chiesa, sottratta da qualche tempo all'autorità papale e non sempre ligia al patriarcato di Costantinopoli, non ha la forza di mantener salda la fede dei padri in certe classi della popolazione siciliana, né la possibilità di opporsi efficacemente al forte sentimento di proselitismo di cui sono dotati i Musulmani.

POPOLAZIONE D'ITALIA - CITTÀ
LA PROPRIETA TERRIERA - L'AGRICOLTURA E IL COMMERCIO

Passando ad esaminare la vita sociale ed economica dell'Italia (come espressione geografica e non politica), dobbiamo constatare ch'essa è notevolmente migliorata nell'ottavo e nel nono secolo.
Come ai tempi della dominazione gotica e longobarda la penisola è ancora sparsa di boschi, di stagni, di paludi, e grandi sono le estensioni di terra abbandonata ed incolta; ma un sensibile miglioramento si nota ovunque, specie nelle parti settentrionale e centrale dove la pace e la sicurezza apportate dai Carolingi non potevano che produrre i loro frutti.

Meno liete erano invece le condizioni del mezzogiorno, a causa delle lotte intestine e delle invasioni e devastazioni musulmane.

Se guardiamo l'Italia dal lato demografico vediamo che la sua popolazione, terribilmente diminuita al tempo delle grandi invasioni barbariche, ora è notevolmente accresciuta specie nel regno italico per gli stanziamenti dei Franchi; nella Calabria per l'immigrazione siciliana provocata dall'invasione araba e nella stessa Sicilia occidentale per le numerose colonie musulmane.
Questa popolazione è poco densa nelle campagne in gran parte incolte, in parte coltivate estensivamente, afflitte dalla piaga della malaria e da quella non meno terribile del malandrinaggio; più densa è invece nei centri urbani.

Alla fine del secolo IX Palermo è la più popolosa città della penisola. Il monaco TEODOSIO, che da Siracusa vi fu condotto prigioniero nell'878, non può trattenere la sua meraviglia, mista a un senso d' invidia, nel vedere la fiorente città "ridondante di cittadini e di stranieri, che vi pareva adunata tutta la genìa saracena da levante a ponente e da settentrione al mare".
Nessuna delle città italiane può vantare il numero degli abitanti della capitale siciliana che se non ascende a trecentomila, come da certi storici narrano, non deve essere certo di molto inferiore. Dopo Palermo vengono Venezia, Napoli, Amalfi, Pisa e, a gran distanza, Milano, Verona, Salerno, Benevento, Pavia, Padova, Treviso, Capua, Spoleto, Lucca, Firenze. Ravenna non ha più l'importanza d'una volta e Roma conta appena una quarantina di migliaia d'abitanti.

Le città che ne sono sprovviste cominciano a cingersi di mura; lo stesso avviene in alcuni centri urbani minori, nei villaggi e nelle grandi corti che si trasformano in castelli per dare rifugio alla popolazione del contado durante le guerre del vicinato che nel periodo feudale che ora sta per iniziare, saranno molto frequenti.

Un'operosità confortante si nota tanto nelle città quanto nelle campagne. Nelle prime si sviluppa il libero artigianato che nelle vicende dei secoli successivi avrà tanta importanza; e di conseguenza si sviluppa anche la piccola industria; nelle campagne, benché sia quasi scomparsa da tempo la piccola proprietà allodiale, l'agricoltura mostra segni non dubbi di risveglio.

Sotto i Carolingi le grandi proprietà hanno preso uno sviluppo enorme. La terra, quando non appartiene alla corona, è di proprietà dei grandi signori, o delle chiese o dei monasteri.
Le grandi proprietà sono costituite da "villae" e "curtes" che i proprietari fanno coltivare da coloni che risiedono nei "fondi" ("manentes") e in piccola parte danno a censo, o a decima, o a enfiteusi.
La "villa" è rappresentata dall'insieme di più "curtes"; ogni "corte" comprende vari fondi, di cui una parte detta "dominicum" è tenuta in economia dal proprietario, l'altra "massaricium", è affidata alla coltivazione di liberi lavoratori ("massari") e a quella di servi.

Le condizioni dei lavoratori della terra non sono floride; le vessazioni di ogni genere cui sono sottoposti danno luogo a fughe e, più tardi, a ribellioni e fanno sì che il lavoro agricolo non sia molto redditizio. Certo la grande proprietà è un ostacolo per lo sviluppo dell'agricoltura, tuttavia si deve ad essa se molti territori d'Italia, prima abbandonati, a poco a poco si ripopolano di coloni; insomma se i fondi non rimangono deserti si deve alla servitù della gleba, con le sue odiose e inumane leggi.

È questo il tempo in cui per opera dei grandi proprietari laici e dei monasteri sorgono, specie nel mezzogiorno, casali, chiesette ed abbazie, che, mettendo in valore terre incolte e richiamando intono a sé famiglie di coloni, costituiscono i primi nuclei di nuovi centri urbani, alcuni dei quali con il volgere degli anni diventeranno floride città.

Maggiore sviluppo dell'agricoltura ha nel secolo IX il commercio. Quello interno è in modo particolare florido e intenso nell'alta Italia, dove la vasta rete fluviale favorisce gli scambi. Centri importantissimi del commercio interno sono Venezia, Comacchio, Cremona, Piacenza, Mantova, Ferrara e Pavia, che possiedono floridi mercati e numerose flottiglie di navi per il trasporto dei passeggeri e per le merci una sterminata flottiglia di chiatte d'ogni misura, che risalgono i grandi e piccoli corsi d'acqua e una miriade di canali e piccole rogge nei tanti villaggi disseminati nella Pianura Padana.

Importanza e sviluppo maggiori ha il commercio esterno il quale è quasi esclusivamente esercitato dalle grandi città costiere. VENEZIA, è vero, vede restringere il suo raggio di azione ai porti vicini nel tempo in cui le armate musulmane corrono minacciose l'Adriatico, ma dopo che i Bizantini hanno il sopravvento sui Saraceni, la città lagunare sempre e soprattutto più bene organizzata nel suo governo interno, torna a mandare liberamente le sue navi in molti porti del Mediterraneo orientale e ridiventa la prima città commerciale dell'Adriatico, con la quale invano rivaleggiano Bari, Brindisi, Otranto e Taranto che pure esercitano traffici non indifferenti sulle stesse acque.

Delle città della costa tirrena quella che ha maggiore importanza commerciale è AMALFI; le cui navi mercantili fanno perfino concorrenza a Venezia nell'Adriatico. I commercianti amalfitani trafficano attivamente nei porti bizantini, si spingono perfino nella Lombardia, hanno in mano la maggior parte del traffico di Roma e verso la fine del secolo IX cominciano a visitare i porti dell'Asia, dell'Africa, della Spagna e della Sicilia.

Una discreta attività esplicano i marinai di GAETA sulla costa italiana del Tirreno ed a Costantinopoli: invece NAPOLI comincia a declinare; più su, favorita dalla posizione, in questi anni sorge e presto si afferma la potenza marinara di PISA.

Queste sono le condizioni dell'Italia e delle isole quando si sfascia l'impero carolingio. Ma si nota in tutti gli aspetti della vita un lento risveglio e sono palesi i primi germi di un rinnovamento economico e sociale che dovrà dare nuova fisionomia all'Italia.

Troveranno questi germi un grande ostacolo al loro sviluppo nel "caos feudale" di cui ci prepariamo ora a narrare le vicende, anche se è vero, non avrà forza di stroncarli, anzi, li vedrà tenacemente resistere e genererà, alla fine, le condizioni, in mezzo alle quali questi germi, dopo un temporaneo periodo di stasi, riprenderanno più tardi (epoca comunale) improvvisamente nuovo vigore.

Per il momento entriamo nell' Epoca Feudale
nei suoi primi anni di sviluppo
iniziando con il
periodo dall' 888 al 924 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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