ANNI 909 - 961 d.C.

LA SICILIA E L'ITALIA MERIDIONALE PRIMA DELL'ANNO 1000

LA SICILIA DOPO LA FINE DELLA DINASTIA AGHLABITA - LA LOTTA PER L'AUTONOMIA DELL' ISOLA - IBN-KOHROB; SUE VITTORIE CONTRO I FATIMITI - RIVOLTA DEI BERBERI DI GIRGENTI - FINE DI IBN-KOHROB - LA SICILIA TORNA SOTTO I FATIMITI - GOVERNO DI SÀLEM IBN-TESCID - NUOVA RIVOLTA DELLA SICILIA E SPEDIZIONE DI KHALIL - LE CONDIZIONI DELLA SICILIA DAL 941 AL 948 - HASAN IBN-ALI - L'EMIRATO SICILIANO DIVENTA EREDITARIO - LE DUE SPEDIZIONI DI RASAN NELLA CALABRIA - L'EMIRO AHMED NELLA SICILIA ORIENTALE - I BIZANTINI IN SICILIA - BATTAGLIA DI RAMETTA - I BIZANTINI NELL' ITALIA MERIDIONALE - ATENOLFO E LANDOLFO CONTI DI CAPUA - L'ELLENISMO NELL' ITALIA MERIDIONALE - STATI DEL MEZZOGIORNO DELLA PENISOLA NEL SEC. X
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LA SICILIA NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO X

Avevamo lasciata la Sicilia -nel riassunto del periodo 887-888- tutta l'isola divisa in tre parti, denominate Val di Mazzara, Valdemone e Val di Noto, in possesso musulmano, ma con gente di stirpi diverse a dominarle: Arabi d'Asia, d'Africa e di Spagna e Berberi; questi ultimi stanziati nella parte meridionale dell'isola e continuamente in discordia con i primi che dopo le ultime lotte con gli ultimi bizantini a Taormina dominavano il resto della Sicilia.
Una situazione che era proseguita fino all'inizio del X secolo

Ma nel 909 cessava in Africa la dinastia degli Aghlabiti, i cui ultimi emiri erano stati ABD-ALLAH (figlio di Ibrahim ibn-Ahmed, il conquistatore di Taormina) e ZIADET-ALLAH, e sorgeva quella dei Fatimiti.

Era in quel tempo governatore della Sicilia un AHMED-IBN ABI-HOSEIN-IBN-RIBBÀH. Sparsasi in Palermo la notizia dei mutamenti avvenuti in Africa, il popolo si levò a tumulto e, impadronitosi con la violenza di Ahmed, mise al suo posto ALI IBN-MOHAMMED. Ma vi rimase poco: andato a conferire a Rakkàda, in Africa, con il Mahdi fatimita, fu imprigionato perché sospettato, a ragione, dì voler l'autonomia della Sicilia, farsi un proprio stato autonomo svincolato dall'Africa.
Fu così sostituito con IBN-ABI-KHINZIR, il quale, dopo un'inutile scorreria nel territorio di Demona, dove i locali (cristiani ed ex bizantini) avevano levato il capo, raggirato dalla nobiltà araba di Palermo, fu deposto a sua volta nell'estate del 912.

A governare la Sicilia fu dall'Africa mandato un ALI-IBN-OMAR-BELLEUI; ma nell'isola oramai il desiderio dell'autonomia, agitata dai nobili musulmani, ma anche dall'ex nobiltà locale che doveva i suoi titoli a Costantinopoli, era l'idea che trionfava.

Nei primi del 913 fu scacciato il governatore insieme con altri rappresentanti dell'autorità fatimita e nel maggio, avuto la rivoluzione il sopravvento, la Sicilia proclamava la sua indipendenza dall'Africa ed eleggeva come proprio emiro il saggio AHMED-IBN-KOHROB.
L'anno stesso in cui fu eletto, Ibn-Kohrob fece eseguire una scorreria in Calabria, che gli procurò bottino e prigionieri, e poiché i cristiani del Valdemone, avevano ricostruita Taormina e l'avevano munita di fortificazioni, mandò suo figlio ALI ad assediarla. L'impresa però fallì: dopo tre mesi d'assedio parte dell'esercito, stanco e in una situazione peggiore degli assediati, si ammutinò e il comandante fu costretto a sospendere le operazioni.

Esito migliore ebbe invece un'altra impresa rivolta contro i fatimiti. Avendo, l'anno seguente, Ibn-Kohrob saputo che un'armata africana si preparava a muovere sulla Sicilia, le mandò contro una flotta capitanata dal figlio MOHAMMED, il quale, sorpreso il nemico nel porto di Lamta, gli diede battaglia.
All'armata fatimita toccò una gravissima sconfitta; tutte le loro navi furono incendiate e seicento uomini, tra cui lo stesso ammiraglio, furono fatti prigionieri. Un esercito inviato in fretta da Rakkàda fu battuto e lasciò tutti i suoi bagagli in mano dei Siciliani, i quali, ripreso il mare, andarono ad assalire Sfax e la distrussero.

Quest'impresa fu seguita da una seconda scorreria sulle coste della Calabria, ma questa volta la fortuna fu contraria ai Musulmani, perché parte della flotta, investita da una terribile tempesta, naufragò a Gagliano, presso il capo di Leuca, (settembre del 915) e le navi superstiti, scontratesi, poco tempo dopo, con una numerosa armata fatimita, furono circondate e catturate.
Fu un colpo gravissimo per il prestigio di Ibn-Kohrob, la cui opera saggia ed energica, rivolta ad eliminare sull'isola le piaghe che il malgoverno precedente le aveva inferte, gli aveva procurate non poche inimicizie ed aveva fatto risorgere l'odio tra Berberi ed Arabi da qualche tempo placato.

Nel 916 gli Arabi Berberi di Girgenti inalberarono il vessillo della rivolta. Nominato capo un certo ABÚ-GHOFÀR e sollevati i Musulmani di altre città dell'Isola, i Berberi mandarono ambasciatori in Africa a fare atto di sottomissione al Mahdi, poi marciarono su Palermo dove si era chiuso IBN-KOHROB, assediando la città.

Non ci sono noti i vari - se ci furono- fatti bellici che avvennero subito dopo; sappiamo però che l'emiro, nell'estate di quell'anno, forse disperando di poter resistere ai ribelli, stabilì di andare in volontario esilio in Spagna. Era il 14 luglio del 976.
Già le navi, che dovevano portare l'emiro IBN-KOHROB, la sua famiglia, i suoi amici e la sua roba, stavano per spiegare al vento le vele, quando una turba furiosa di popolo le assalì.
L'emiro, catturato e messo ai ferri, fu mandato in Africa, e a Rakkàda, dopo essere stato battuto a sangue, subì il taglio delle mani e dei piedi e fu impiccato come un malfattore.

Ben presto i Berberi dovevano pentirsi della loro rivolta. Speravano che il Mahdi si sarebbe accontentato della loro dichiarazione di sottomissione lasciandoli liberi di governarsi come meglio credevano. Insomma avevano cacciato gli altri convinti di poter governare da soli.
II Mahdi invece - sospettando proprio quell'autonomia, che voleva dire perdere la sua autorità sull'isola- inviò in Sicilia una flotta e un esercito al comando di un esperto capuano, AU-SAÍD-MUSA, il quale, sbarcato il 15 agosto a Trapani, trasse in arresto ABÚ-GHOFÀR che pieno d'ottimismo era andato a rendergli omaggio, ma poi, chissà come si rese credibile nella sottomissione al Mahdi e rimessosi in mare, piombò il 28 di settembre nel porto di Palermo e pose l'assedio alla città.

Per sei mesi Palermo resistette energicamente. Priva degli aiuti che le altre città siciliane le avevano promesso, con il blocco giunta ad essere senza viveri, fu costretta, al principio della primavera del 917, a scendere a patti e aprire le porte ai fatimiti.
ABÚ-SAID-MUSA, contravvenendo agli accordi presi con i patti, fece abbattere le mura, privò di armi e di cavalli da battaglia agli abitanti, pose una grossa taglia sui maggiori ribelli della città e, imprigionati i più autorevoli cittadini, li mandò in Africa dove li attendeva il supplizio.

Nel settembre del 917 ABÚ-SAID fece ritorno in Africa, lasciando al governo della Sicilia con un forte presidio di truppe SÀLEM IBN-RESCID. Con il titolo di emiro si rese per i successivi vent'anni, odioso alle popolazioni dell'isola per l'ingordigia e i soprusi dei suoi ufficiali.
Fra questi si distingueva un Ibn-Amràn "amil" di Girgenti, contro il quale, nell'aprile del 937, esplose l'odio dei Berberi, che forse non avevano dimenticato il trattamento usato vent'anni prima da Abú-Sald ad Abn-Ghofár. Levatisi a tumulto, i Berberi di Girgenti andarono ad assalire l' "amil" che si era chiuso nella rocca di Caltabellotta, mentre altre città dell'isola, seguendo l'esempio della consorella, si ribellavano.

Espugnata Caltabellotta, i Girgentini corsero in aiuto di Asra, assediata dalle milizie di SÀLEM comandate da ABÚ-DEKÀK e, con quelle ingaggiata la battaglia, le sbaragliarono e ne fecero strage (24 giugno).
Imbaldanziti dalle vittorie, marciarono su Palermo, ma a poche miglia dalla città, assaliti e sopraffatti dalle truppe dell'emiro, subirono invece loro una sconfitta con un gran spargimento di sangue.
Nonostante questo rovescio, la rivolta non fu repressa, anzi, di lì a due mesi, si estese alla capitale. Questa volta i Musulmani di Sicilia non avevano preso le armi per l'indipendenza, ma contro l'esoso governo di Sàlem.

Il fatimita KÀIM (successo al Mahdi nel 934), avendo ricevuto lettere con le quali i notabili dell'isola, protestando obbedienza al principe, chiedevano che fosse sostituito l'emiro con un altro governatore più umano, mandò nell'ottobre, alla testa di un forte esercito, il tripolino KHALÍL

Ma le condizioni della Sicilia non cambiarono. Sàlem fu esonerato dal comando militare, però serbò il titolo e la carica di emiro, e Kalìl, pur dicendo di voler render giustizia alle popolazioni oppresse, per meglio tenerle a freno si diede a costruire a Palermo una cittadella, cui diede il nome di "El-Khàlisa".
I Berberi di Girgenti non tardarono a capire le intenzioni di Kalil e, pentiti di aver attirato sulla Sicilia le armi dell'oppressore, si apprestarono a resistergli rafforzando le mura della propria città.
Contro di loro, con un grosso esercito, fu pronto ad andare Khalil nel marzo del 938. I Girgentini, usciti incontro a lui, gli inflissero una sconfitta, che però non valse a far desistere il nemico dall'impresa. Girgenti, assediata, resistette con ostinazione per otto mesi, fin quando avvicinandosi l'inverno, Khalìl fece ritorno a Palermo e mentre aspettava la buona stagione, a più riprese sull'isola fece arrivare dall'Africa altri armati.
La rivolta intanto si estendeva alle altre popolazioni musulmane dell'isola, le quali, pur di scuotere il giogo dei fatimiti, non esitarono a chiedere aiuti all'imperatore bizantino, che inviò navi con uomini e frumento.

Quello che però mancava ai ribelli di Girgenti era un'unità di comando e l'appoggio di Palermo e per questo motivo Khalil, nella primavera del 939, riprese con successo l'offensiva.
Caltavuturo, Collesano e Selafani furono espugnate; Mazzara occupata: Caltabellotta, dopo una sanguinosa battaglia combattuta il 10 luglio, si arrese a patti; e nel settembre fu assediata la fortissima rocca di Platani. Ma questa resistette mirabilmente, e Khalil, avendo nuovamente persa Caltabellotta e inutilmente tentato di riconquistarla, abbandonò Platani e si mosse con tutte le sue forze contro Girgenti, ch'era il centro della risolta.

Non sperando però d'avere ragione degli ostinati ribelli con la forza delle armi, il condottiero saraceno rivolse tutto il suo ingegno a intercettare i viveri agli assediati e ad affamare il resto dell'isola.
"La carestia ingombrò città e campagne -scrive la cronaca araba del paese- padri e madri mangiarono perfino i cadaveri; abbandonati dagli uomini, rovinarono i castelli; i terreni non più coltivate si resero selvatici; un'infinità di gente -aggiunge il "Baian"- fuggendo dalla carestia e dai sicari di Khalil, riparò qua e là nei paesi di Rùm, vale a dire in Italia o in Grecia; dove la maggior parte si fece cristiana (Amari)".

Nel marzo del 940 Platani sì arrese; Girgenti tenne duro fino al 20 novembre, poi capitolò a patto che agli abitanti sarebbe stata risparmiata la vita. Khalil quando fu dentro mantenne sì la promessa, ma li fece prigionieri e li mandò schiavi a Palermo.
Spaventate, le altre località fecero atto di sottomissione, ma toccò la stessa sorte.

Nel 941 la rivolta era completamente domata; ma migliaia di prigionieri, uomini e donne, caricati sulle navi furono spediti in Africa a fare gli schiavi, e dove il 10 settembre dello stesso anno, affidato il governo ad Ibn-Kufi e Ibn-Attàf (Sàlem era morto), Khalil faceva ritorno.

Si narra che di lì a poco, banchettando in Mehia, Khalil si vantava di aver fatto morire in Sicilia non meno di seicentomila persone. Molti ritengono che tali cifre non siano proprio per nulla esagerate.
Tutto questo sangue sparso non rimase senza la vendetta più tremenda: nell'ottobre del 944 Khalil, mandato a combattere contro il ribelle ABÙ-JEZÌD che minacciava KAIRUÀN, dopo una battaglia finita molto male, fu questa volta lui catturato, poi ucciso e il suo cadavere dopo averlo vilipeso fu appeso in cima ad un palo e posto come monito davanti alla porta della città.

I PRIMI DUE EMIRI DELLA DINASTIA KELBITA
CADUTA DI RAMETTA

Nel periodo di tempo che corre dall'estate del 941 a quella del 948 la Sicilia rimase sotto il governo dei delegati che vi aveva lasciati da Khalil.

La feroce repressione, dopo tutte quelle stragi e deportazioni, se mantenne per tutto questi sette anni tranquilla l'isola, non recò certo vantaggi al nome e all'autorità che vi esercitavano i musulmani, anche se non operarono con altri atti feroci, né s'impegnarono a fare scorribande saccheggiatrici. Non si ha notizia, infatti, di scorrerie sulle coste italiane forse più che altro non fatte per l'inettitudine dei delegati o forse voluta dalla stessa corte fatimita; ma varie ed egualmente gravi furono le conseguenze dei terrori sparsi in ogni contrada dallo spietato Khalil. Ma se questi erano stati distruttivi fisicamente e moralmente sulla popolazione, i successivi furono devastanti nell'economia dell'isola.

In quell'inettitudine dei delegati, con la popolazione produttiva sottratta, con quella più dinamica, scannata, si era fermata l'intera economia; inoltre erano venute a mancare le entrate che da decenni i frequenti bottini di solito procuravano. Cosicché i delegati per far quadrare i conti presero la strada più facile, si misero a premere la mano sui pochi che erano rimasti e su quelli che nonostante tutto erano ancora efficienti e produttivi; si misero a gravarli di balzelli e far crescere, con il disagio economico, il malcontento delle popolazioni e la miseria anche a chi non l'aveva mai provata in vita sua.
Non ci si poteva ribellare, ma molti iniziarono a guardare altrove
Gli abitanti tributari della Sicilia orientale, dove la massiccia colonizzazione musulmana non era penetrata, soddisfacevano in qualche modo il tributo, anche perché non potevano ricusarlo, ma essendo un po' più liberi di muoversi e meno controllati di quelli occidentali, qualche città riprese ad innalzare le mura difensive, e con un po' di coraggio tentarono di resistere. Taormina fu una di quelle (e vedremo più avanti la sua gente tornare sulle barricate), e così qualche altra rocca di Val Demone (M. Amari).

Oltre a ciò, fin dalla morte del Mahdi (946) i Bizantini non pagavano più agli emiri di Sicilia il tributo di ventiduemila pezzi d'oro cui si erano obbligati a versare con un trattato stipulato nel 916 e riconfermato nel 925.
Nel 948, delineandosi una rivolta in Palermo, il fatimita MANSÚR-BIAMR-ILLAH, successo al Mahdi, inviò in Sicilia l'emiro HASAN-IBN-ALI, della tribù di Kelb. Con lui il titolo e la carica d'emiro divennero ereditari e l'isola, se non di nome, cominciò ad esser di fatto indipendente dal governo centrale d'Africa.

Dato assetto alle cose di Sicilia, HASAN si diede a punire le città che si rifiutavano di pagare il tributo e poiché queste si erano rivolte per aiuti all'imperatore bizantino, che era allora COSTANTINO PORFIROGENITO, l'emiro, ottenuta dall'Africa una flotta e un rinforzo di diecimila tra pedoni e cavalieri, verso la metà di luglio del 950 si mosse per terra e per mare alla volta di Messina. Passato lo stretto, Hasan entrò a Reggio, che trovò vuota d'abitanti, poi, sparsi i navigli nei dintorni, marciò su Gerace con il grosso dell'esercito.
Stava, dopo vani assalti, per aver per aver ragione delle difese, quando gli giunse notizia che un esercito bizantino si avvicinava. Stipulato allora un accordo con i Geracini, che gli consegnarono denari ed ostaggi, l'emiro si mosse contro i Bizantini, i quali invece di fronteggiarlo, arretrarono su Otranto e Bari. HASAN, inseguendoli, pose l'assedio a Cassano, ma invano tentò di espugnarla. Sopravvenuto l'inverno stipulò con gli abitanti un accordo, simile a quello di Gerace e, ricevuti ostaggi e una certa somma, ripassò lo stretto e fece ritorno a Palermo.

Intanto si concentravano in Calabria le forze bizantine, comandate dal patrizio MALACHENO, poi a lui si univa lo stratega PASQUALIO, e una flotta fu mandata in loro appoggio sotto il comando di MACROJANNI.
Nella primavera del 952 Hasan ripassò lo stretto e si scontrò l'8 maggio, presso Gerace, con l'esercito bizantino. Questo aveva il vantaggio del numero, mentre i Musulmani avevano quello della grande fiducia nel loro capo.
Sanguinosa ed accanita fu la battaglia e da entrambe le parti condotta con grande determinazione. Ma alla fine i Bizantini, furono sopraffatti, si diedero alla fuga e furono inseguiti in mare fino a notte alta dai vincitori, nelle cui mani lasciarono una gran quantità d'armi, cavalli, bagagli e qualche naviglio.

Dopo la vittoria, Hasan poneva l'assedio a Gerace, altri suoi uomini a terra assalivano Petracucca e le navi si misero a depredare le coste dell'Adriatico.
Durante l'assedio di Gerace, l'imperatore inviò sul posto il segretario GIOVANNI PILATO a trattare con l'emiro. A Gerace, nell'estate del 952, fu così concluso un accordo con il quale le città della Calabria sottoposte a Costantinopoli si obbligavano a pagare un tributo all'emiro e di rispettare e di non infastidire chi professava la religione Maomettana.

Firmata la tregua Hasan si ritirò a Reggio e qui volle innalzare nel centro della città una moschea minacciando di distruggere tutte le chiese cristiane della Sicilia e dell'Africa se al nuovo tempio musulmano fosse stata mossa una sola pietra, come qualche fanatico cattolico aveva già minacciato di fare.

Cessato di vivere in Africa nel marzo del 953 il califfo MANSÚR-BIAMR-ILLAH e successogli il figlio MOEZZ, Hasan, lasciata la Sicilia sotto il governo del proprio figlio AHMED, fu richiamato in Africa dove i Fatimiti preparavano una grande spedizione in Egitto, che poi fu differita.
Tra il 955 e il 956, essendo stata una nave fatimita assalita da un naviglio spagnolo del califfo omayyade ABD-ER-RAHMAN, fu incaricato Hasan farne vendetta. L'emiro condusse la flotta siciliana nel porto d'Almeira, bruciò tutte le navi spagnole, poi sceso a terra, mise a sacco la città. Compiuta la vendetta e terminato il saccheggio, Hasan tornò ad approdare in Sicilia, appena in tempo.

Infatti, nella primavera successiva, i Bizantini avevano deciso di riprendere la guerra. Un Basilio, greco, comandante una flotta, approdato in Calabria distruggeva a Reggio la moschea (dove nessuno doveva portare via nemmeno una pietra) e, poi fattosi ardito, volse le prore della sua flotta sulla Sicilia orientale; qui s'impadroniva di Termini, dava l'assalto a Mazzara e si tenne pronto a scontrarsi con Hasan. Ma nonostante vincitore nella battaglia ingaggiata con lui, Basilio se ne tornò in Calabria.
L'anno dopo si mosse invece Hasan e con la sua flotta siciliana volle andare contro l'armata bizantina comandata dal patrizio MARIANO ARGIRIO, ma una furiosa tempesta impedì lo scontro e la battaglia, poi il vento ricacciate verso la Sicilia, le navi musulmane, lungo il percorso, la burrasca ne fece naufragare una buona parte.
Nella guerra ci fu così uno stallo, poi riprese, ma continuò debolmente fino al 960 quando fu stipulata con i Bizantini una tregua che durò fino al 963, quando morì l'imperatore Romano II, e salì sul trono il valoroso generale NICEFORO FOCA (lo leggeremo più avanti).

Le ostilità musulmane, cessate con i Bizantini nel'60, furono iniziate due anni dopo contro i siciliani della Val di Noto e del Val Demone, che AHMED, figlio di Hasan, da tributari quali erano stati gli abitanti fino allora voleva rendere "dsimmi" o schiavi.
Nel maggio del 962 Ahmed con un esercito di Musulmani di Sicilia e d'Africa marciò contro Taormina, i cui abitanti, consapevoli delle intenzioni del nemico (nonostante il triste ricordo d'alcuni anni prima) con un coraggio da leoni, si prepararono e difendere la loro libertà e i loro averi.

La loro resistenza, durò sette mesi e mezzo e si sarebbe di certo prolungata se gli assedianti, privata la città dell'acqua, non avessero costretti i difensori a capitolare.
La resa avvenne il 24 dicembre; i beni dei vinti furono incamerati nel fisco e nella città fu posto un presidio di qualche centinaio di uomini che costituì il primo nucleo fisso della colonia musulmana.

NELL'ISOLA, L' "ISOLATA" "EROICA" RAMETTA

Dopo l'occupazione di Taormina, l'unico territorio della Sicilia che teneva testa, e a testa alta, i Mussulmani, era Rametta. Contro questa città fu mandato nell'estate del 963 HASAN-IBN-AMMÀR, che la sottopose all'assedio il 23 agosto e cominciò a bombardare le mura dell'eroica città con enormi mangani. Ma a nulla valsero le macchine e gli assalti. Resistendo gli assediati ad ogni tentativo e a ogni mezzo bellico, Hasan pensò di ridurli per fame e rimase fino all'estate successiva su quei monti, un anno intero! dove fece costruire un castello e munire il campo di forti trinceramenti.
Intanto quelli di Rametta si erano rivolti per aiuti all'imperatore bizantino.

Nell'Aprile dello stesso anno 963 moriva prematuramente l'imperatore ROMANO II, lasciando due figli minorenni (Basilio e Costantino) sotto la reggenza della madre l'imperatrice TEOFANO, che sposato NICEFORO FOCA, questo era salito al trono di Costantinopoli, nell'agosto dello stesso anno.
Foca era uno dei migliori generali dell'impero che si era distinto negli ultimi due-tre anni contro i Musulmani togliendo loro Creta, e riprendendo i confini sud orientali dell'Asia Minore.

Sia che accogliesse l'invito di Rametta, sia che, imbaldanzito dalle vittorie riportate contro gli arabi, volesse riacquistare all'impero la Sicilia, NICEFORO mise insieme un esercito di quarantamila uomini, composto di Armeni, Slavi e Traci, e sotto il comando supremo dell'eunuco NICETA, cui diede come comandante della cavalleria il nipote MANUELE, lo spedì con una flotta nella punta meridionale della Calabria, per poi passare nell'isola con navi e l'esercito.

Mentre in rinforzo dei Musulmani di Sicilia giungeva con una flotta e un esercito dall'Africa, HASAN, padre di Ahmed, che però si fermava a Palermo. I Bizantini, nell'ottobre del 964, decisero di iniziare l'offensiva, attraversavano lo stretto e s'impadronivano di Messina.
Due piccoli contingenti, distaccati dal grosso, operavano sulle coste settentrionali ed orientali dell'isola: la prima che aveva il compito di fronteggiare Hasan, prendeva d'assalto Termini, la seconda occupava Taormina, Lentini e Siracusa.

Al soccorso di Rametta marciò con il grosso della cavalleria MANUELE nella notte del 24 ottobre, mandando contemporaneamente tre reparti a forzare i passi di Mikos
di Demona per impegnare e a trattenere l'esercito musulmano che si era mosso da Palermo.
La battaglia si accese all'alba del 25 ottobre 964.
Mentre i Musulmani difendevano con successo i passi tra i monti, quelli di Rametta, usciti all'assalto, furono respinti dentro le mura, mentre un accanitissimo combattimento era in corso tra le schiere di MANUELE e quelle di IBN-AMMAR nella gola di Spadafora. Questi ultimi sopraffatti dal numero dei bizantini stavano ripiegando sotto l'impeto della cavalleria, quando ad un tratto IBN-AMMAR in persona dando un forte esempio, si buttò nella mischia seguito dai suoi uomini, puntò verso il centro della schiera, si scontrò con MANUELE che sopraffatto rimase ucciso.

L'imprevisto e fatale accidente provocò la rotta dei Bizantini che in pochi minuti fu completa: "durò la caccia, la fuga, la carneficina fino a notte. A compiere l'epico terrore del caso, un gruppo di nere nubi che oscurava i monti, fece scoppiare tuoni e folgori a decidere la giornata, e incrudelì sopra i fuggitivi, accrescendo i pericoli di genti e luoghi. Uno squadrone messosi a briglia sciolta giù per un dirupo, precipitò nel precipizio, che in breve fu colmo di uomini e di cavalli, e i vincitori vi passarono sopra al galoppo, dicono i loro annali, né pare impossibile. Da ogni lato, per siepi e per boscaglie, inseguirono quelli dispersi e li scannarono quanto loro bastava appena le forze per ferire; pochi patrizi o altri uomini noti furon fatti prigionieri, per prendere il riscatto.
Pochissimi camparono fuggendo. Più di diecimila i morti; un infinito bottino di cavalli, di robe, di armi, tra le quali si trovò una spada che era passata dai Musulmani ai Cristiani in Oriente; e quelli la riebbero nel sanguinoso campo di Rametta. Sulla quale vi era inciso in caratteri arabici: "Indiano è questo brando; pesa censettanta mithkal; e molto ferì dinanzi. l'apostolo di Dio". Questa reliquia in una delle prime guerre dell'islam era stata mandata a in Africa al califfo Moezz con altre preziose armi e in aggiunta una cesta di teste mozzate e duecento prigionieri" (M. Amari).

La sconfitta dei Bizantini non demoralizzò proprio per nulla i difensori di Rametta, i quali, mandate fuori le bocche inutili, resistettero fino ai primi mesi dell'anno seguente. Purtroppo la loro tenacia e il loro valore non ebbero il meritato premio. Sopraffatti in un lungo ed accanito assalto, furono tutti passati a fil di spada; le donne e i fanciulli furono portati via per farne schiavi; la terra fu saccheggiata e nella rocca si stabilì una guarnigione di Musulmani.
Le città, che all'inizio della guerra erano state conquistate dagli imperiali, ritornarono una dopo l'altra in potere dei Musulmani che in più d'un combattimento affrontarono e sconfissero i Bizantini. Questi alla fine, decimati si ritirarono a Reggio e, imbarcatisi, stavano già facendo vela per Costantinopoli; ma non erano ancora usciti dallo stretto che AHMED con alcune navi gli sbarrò il passo, poi assalì i navigli e dopo una battaglia sanguinosa li sconfisse del tutto. Furono tanti i morti che il mare, -così raccontarono i cronisti- rosseggiò di sangue; i prigionieri furono numerosi e fra questi molti di elevata condizione tra cui lo stesso Niceta; delle navi parte fu affondata, parte bruciata, parte catturata.
Le conseguenze della vittoria musulmana ben presto furono sentite dalla Calabria, le cui città, minacciate dalle ciurmaglie di Ahmed che depredavano i contadi e intercettavano i commerci, si affrettarono a concludere una tregua con i vincitori ai quali si obbligarono di pagare l'antico tributo. Questa tregua precedeva di due anni la pace che doveva stipularsi tra Moezz e l'imperatore bizantino e della quale avremo ancora occasione di parlare in uno dei successivi capitoli.

I BIZANTINI E L' ITALIA MERIDIONALE

Mentre in Sicilia, crollata la dinastia aghlabita, divampava la rivolta di cui abbiamo narrate le vicende al principio del presente capitolo, si affermava nell'Italia meridionale l'egemonia bizantina.
Sotto l'impero di LEONE VI il Saggio, successo a BASILIO I, i Bizantini cercarono di
riportare sotto il loro effettivo dominio i principati longobardi su cui in precedenza già esercitavano, come si è più volte detto in altre pagine precedenti, un'incontrastata influenza.

Benevento fu la prima mèta della nuova politica bizantina. Nell'891, dopo tre mesi di assedio, cadde nelle mani dello stratega SIMBATICIO e divenne sede del governo bizantino d'Italia, che mise sotto il suo protettorato il monastero di Montecassino. Fatto questo primo passo i Bizantini volsero le loro mire su Capua e Salerno. Lo stratega GREGORIO venuto a sostituire Simbaticio, tentò la conquista; ma la sua impresa non ebbe fortuna.
Le due città non solo risolute resistettero, ma passate, come pare, all'offensiva misero così a mal partito i Bizantini che BARSACI, nuovo stratega, dovette riportare a Bari la sede del governo e lasciare a Benevento un presidio capitanato dal turmarca Teodoro.

Dei rovesci delle armi imperiali approfittò GUIDO, marchese di Spoleto e Camerino (da non confondersi con l'omonimo imperatore), il quale nell'895, cacciata da Benevento la guarnigione bizantina, s'impadronì della città e la tenne per due anni fino a quando cioè fu ucciso a Roma da ALBERICO che gli successe pure nel marchesato di Spoleto.
Morto Guido, tornò al governo di Benevento RADELCHI, che nell'884 era stato spodestato dal fratello Aione, ma vi rimase brevissimo tempo, perché nell'899 il principato cadde in potere di ATENOLFO conte di Capua, il quale con il nuovo acquisto si trovò ad essere il principe di uno stato fortissimo, capace di tener testa ai Bizantini. Ma con questi Atenolfo non ebbe mai occasione di venire a contesa: anzi i bizantini gli offrirono aiuto nella lotta ingaggiata contro i Musulmani del Garigliano.

Contro costoro ATENOLFO brandì le armi nel 903, ma pare con poca fortuna. Ritentò la prova nel 908: alleatosi con i Napoletani e gli Amalfitani, alla testa di numerose truppe passò il Garigliano a Setra sopra un ponte di barche e, sconfitti i Saraceni, li inseguì fin sotto le mura del loro campo; ma o perché Napoli si ritirò dalla lega, o perché le forze pur unite non erano sufficienti a continuare con probabilità di successo la guerra, Atenolfo inviò a Costantinopoli il figlio LANDOLFO a chiedere aiuti a LEONE il Saggio, che li promise a patto che il Principe di Capua e Benevento si riconoscesse vassallo dell'impero d'Oriente, ricevendone in cambio il titolo di patrizio.
La morte di Atenolfo avvenuta nel 910, e quella di Leone, seguita l'anno dopo, e la debolezza dell'imperatore Alessandro, che rimase sul trono nemmeno un paio d'anno dal 911 al 913, non permisero che le operazioni contro i Saraceni fossero riprese, ma, innalzato all'impero di Oriente COSTANTINO PORFIROGENITO e salito al soglio pontificio Giovanni X, fu possibile (lo abbiamo già raccontato in un precedente capitolo), grazie alla tenacia del Pontefice e di Landolfo, costituire quella forte coalizione che nel 915 doveva porre fine per sempre a quella colonia del Garigliano che da qualche decennio seminava il terrore in ogni contrada, giungendo perfino alle porte di Roma.
Di questa impresa di cui abbiamo già parlato. I Bizantini, al pari che il Papa e il Marchese di Spoleto, ne ricavarono prestigio e avrebbero potuto -se continuavano- ancora di più consolidare la loro posizione nell'Italia meridionale se i loro strateghi avessero saputa l'arte di governare con umanità e giustizia.
Invece -come spesso accade con i "liberatori" - una volta riscattato il territorio, si piazzarono loro e si resero così odiosi che le popolazioni della Calabria e della Puglia - sobillate quest'ultime dalla nobiltà locale e da Landolfo - espressero il loro malcontento con gravi atti di ribellione. Rimpiansero quasi i saraceni; almeno "quei ladri" andavano in giro a razziare, mentre ora i "ladri" li avevano in casa.

Intorno al 920 una rivolta, che cagionò la morte del patrizio bizantino GIOVANNI BIZALON, scoppiò in Calabria. L'anno seguente ne scoppiò un'altra, più turbolenta, ad Ascoli, nella Puglia, dove lo stratega URSILONE e numerosi ufficiali bizantini furono trucidati. All'indomani della rivolta la nobiltà pugliese, protestandosi fedele all'imperatore, addossava la responsabilità degli avvenimenti al malgoverno dello stratega e proponeva che a questa carica fosse elevato LANDOLFO, il quale aveva già occupato le piazzeforti della Puglia. Da Costantinopoli fu risposto che le richieste dei Pugliesi sarebbero state prese in esame benevolmente; prima però era necessario che i Pugliesi si sottomettessero a Bisanzio, e che Landolfo ritirasse le truppe dalle città occupate e mandasse nella capitale bizantina degli ostaggi. Landolfo sgombrò la Puglia, ma non ottenne quello che sperava e da allora troncò i rapporti con la corte bizantina.

Mentre questa senza tanto impegnarsi ma con l'astuzia riotteneva la Puglia, altri nemici si riversavano nei suoi domini dell'Italia meridionale: i Musulmani d'Africa e di Sicilia e i pirati slavi dell'Adriatico, che per circa un decennio dovevano affliggere con le loro incursioni il mezzogiorno della penisola.
Nel 924 un MESUD con venti galee piomba sulla Rocca di S. Agata in Calabria e se ne torna in Africa con un ricco bottino e numerosi prigionieri; l'anno seguente un GIAFAR IBN-OBEID s'impadronisce di Bruzzano Calabro e si spinge fino ad Oria, in Terra d'Otranto, riportando dalla scorreria durata parecchi mesi un'enorme quantità di bottino; nel luglio del 926 un corpo di Slavi occupa Siponto e nel 927 una schiera di Slavi al servizio dei Fatimiti comandata da SÀIN, insieme con Musulmani di Sicilia espugna Taranto, fa strage dei difensori e riduce in schiavitù il resto della popolazione. Lo stesso Sàin, nell'estate del 928, mentre gli Arabi siciliani s'impadroniscono di Otranto, occupa alcune località della costa tirrena e, presentatosi dinnanzi a Salerno e a Napoli, costringe queste città a pagargli grosse somme di danaro e una gran quantità di preziose stoffe. L'anno dopo, assale con quattro navi sette navi bizantine e le sconfigge, poi sbarca a Termoli e, catturati in città e nel circondario dodicimila uomini, se ne torna in Africa.

Queste incursioni e i danni che n'erano derivati ai Bizantini indussero LANDOLFO a ritentare la conquista della Puglia, aiutato dal nipote GUAIMARO, principe di Salerno e dal marchese TEOBALDO di Spoleto. Già erano riusciti ai due principi, in cinque anni di lotta, di impadronirsi di molte località della Puglia, della Lucania e della Calabria, quando l'abile politica dell'imperatore ROMANO LECAPENO, che meglio del Porfirogenito reggeva le sorti dell'impero d'Oriente, staccato dall'alleanza Teobaldo, riuscì a ricondurre sotto la sovranità bizantina i territori perduti.

Sono note, per averle già narrate, le vicende della guerra tra l'emiro siciliano Hasan e i Bizantini, durata dal 947 al 953. Da questa guerra trassero però profitto i principi longobardi per rinnovare i loro tentativi nella Puglia e nella Lucania e sono dovute forse alle loro reciproche tresche le rivolte scoppiate a Bari, ad Ascoli e a Conversano.

Anche la Campania cercò di liberarsi dal protettorato bizantino. Fu allora che Costantino Porfirogenito fece un grande sforzo per ristabilire l'autorità dell'impero sull'Italia meridionale agitata, dalla rivolta e minacciata di nuovo dai Musulmani.
Dello svolgimento della guerra che ne seguì abbiamo già accennato: Napoli e i principi longobardi riconobbero di nuovo l'autorità bizantina; i Musulmani, vinti da Basilio sulle coste della Sicilia e sbaragliati dalla tempesta nelle acque di Otranto, stipularono, come si è detto, tra il 960 e il 961 la pace con Costantinopoli.

Queste le vicende politiche dell'Italia meridionale.
Quali l'organizzazione civile e militare e le condizioni della popolazione
nella prima metà del secolo X ?

I domini bizantini sono divisi in due temi, quello di Calabria, il più antico, con capitale Reggio, e quello di Longobardia con capitale Bari (in alcuni anni anche Benevento e Taranto). Teoricamente, in quest'ultimo tema erano inclusi gli stati longobardi di Salerno e di Capua e le città campane di Napoli, Gaeta ed Amalfi; effettivamente però - come s'è visto- questi stati e queste città solo formalmente riconoscevano la sovranità di Costantinopoli perché in mano dei rispettivi principi o duchi era il loro governo. Nei territori che, di fatto, dipendevano dall'impero d'Oriente il governo invece era esercitato direttamente da ufficiali bizantini che facevano capo agli strateghi dei due temi.
Pur tuttavia, per opportunità politica, i dominatori rispettarono le leggi e le costumanze locali, lasciarono che le città in gran parte fossero amministrate dai notabili del paese e cercarono di assicurarsi la simpatia e la fedeltà dei turbolenti nobili conferendo loro onori e titoli.

Fu detto che l'Italia meridionale, nel periodo di cui ci occupiamo, fu completamente ellenizzata nella lingua, nei costumi e nei sentimenti; ma evidentemente si esagerò nel dire questo. Il dominio bizantino esercitò, è vero, un influsso non scarso nella Calabria e nella zona d'Otranto, agevolato dalle tradizioni, dalla vicinanza con la penisola balcanica, dalle colonie greche, dalla fondazione di monasteri, che furono focolari di cultura bizantina, e dall'imposizione del clero orientale; ma scarsissimo fu l'influsso greco nella Puglia dove numerosa era la popolazione locale e longobarda, e insignificante era nei territori di Benevento, Capua e Salerno dove l'elemento latino e longobardo era in assoluta prevalenza. Nelle stesse regioni dove maggiore fu l'influsso bizantino questo fu più esteriore (nell'apparato) che intimo e le loro popolazioni rimasero costantemente e fieramente avverse ai dominatori, incapaci di difenderle efficacemente dalle incursioni musulmane, oltre che essere perennemente odiati (odio atavico tramandato da padre in figlio) per i loro iniqui metodi fiscali (vere e proprie rapine, nemmeno di Stato, perché è noto, che buona parte del denaro raccolto, non finiva a Costantinopoli, ma nelle tasche dei funzionari che volevano vivere in Italia con la stessa mondanità della corte bizantina.

IL MERIDIONE A META' DEL SECOLO X

"Intorno alla metà del X secolo - sono parole del Romano - l'Italia meridionale presentava un aspetto di relativa stabilità quale da più secoli non si era visto. Ciò era effetto della conquista bizantina, la quale creando una forte potenza militare in quella parte della penisola aveva da un lato arrestato la violenza degli attacchi musulmani, dall'altro attutite le violente convulsioni che gli stati longobardi e quelli della costa campana si erano dibattuti per buona parte del IX secolo.
Tenuti in rispetto dalla loro forza militare, Longobardi e Campani avevano riconosciuto la supremazia dei Bizantini, accettando dalla corte d'Oriente degli ambiti titoli di gerarchia che erano tuttavia una chiara espressione della loro dipendenza. Ma poi a poco a poco il prestigio bizantino venne a scemare, perché l'impero d'Oriente, sempre alle prese con i Bulgari e con gli Arabi, poteva imprimere alla sua azione in Italia solo un impulso intermittente e non pari alle necessità di una politica di conquista.

Avvenne così, che lentamente, per la forza delle cose, gli stati che prima avevano riconosciuto il protettorato di Bisanzio, finirono per sottrarsene; essi ne trassero però il beneficio di una maggiore stabilità all'interno rappresentata da un più regolare assetto amministrativo e dal prevalere nel governo della forma monarchica ereditaria, e ne ricevettero i germi di una cultura nuova sotto il cui influsso le arti e le lettere rifiorirono là dove aveva dominato la più oscura barbarie; ma tutto questo non fece che accelerare il loro distacco dall'Oriente, che intorno alla metà del X secolo appariva quasi del tutto compiuto".

Altro distacco dai Bizantini fu quello di un singolare territorio quello di Venezia, che è in questi anni in piena fase ascensionale, e se non ancora di diritto di fatto ha già raggiunto la sua completa indipendenza.

Ed è appunto ora di Venezia ci occupiamo
ripercorrendo brevemente gli ultimi anni, abbracciando
il periodo dall' anno 836 al 976 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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