ANNI 836 - 976 d.C.

LE VICENDE DI VENEZIA ALL'INIZIO X SECOLO

LE VICENDE DI VENEZIA DALL'836 AL 976 - I DOGI: PIETRO TRANDENIGO, ORSO PARTICIACO E GIOVANNI, PIETRO CANDIANO I, PIETRO TRIBUNO, ORSO II, PIETRO CANDIANO II, PIETRO PARTICIACO, PIETRO CANDIANO III E IL RATTO DELLA SPOSE VENEZIANE - PIETRO CANDIANO IV SUA POLITICA E SUA FINE

 

LE VICENDE DI VENEZIA DALL'836 AL 976

Nel passare in rassegna gli stati d'Italia, non possiamo fare a meno di parlare di Venezia, che nel tempo in cui siamo occupati dei fatti d'altre contrade, essa procede nel suo cammino ascensionale.
Non è un regno, non è una contea, non è un marchesato, non è un ducato, è solo un piccolo territorio, ma non è una corte feudale. Venezia in questi ultimi anni del IX secolo, e nei primi del X secolo, è già una Nazione, che nella sua struttura politica ed economica, e soprattutto nel suo governo sta già respirando l'aria della democrazia in anticipo di mille anni rispetto a tante altre contrade non solo dell'Italia, ma dell'Europa e del mondo; sta già respirando l'aria del liberismo del XIX secolo; agisce già con le teorie di Smith
Anche se settario, oligarchico, di censo, aristocratico - ma non dimentichiamo che all'incirca circa 240 erano le famiglie patrizie in questo periodo (900 persone), e circa 240 saranno ancora quando Napoleone metterà fine alla Repubblica Serenissima nel 1797).
Non esiste nulla di simile nella storia universale!

Del suo commercio abbiamo già altrove fatto cenno e qua e là abbiamo toccato delle sue guerre contro i Saraceni. Abbiamo anche visto come Venezia si sia mantenuta in rapporti amichevoli con gli imperatori franchi ed i re d'Italia stipulando con loro regolari trattati e ricevendo libertà di traffico nella terraferma.

Sicura da questo lato, Venezia tende nel secolo IX ad acquistare la sua indipendenza dall'impero d'Oriente. Come le città marittime della costa campana (di cui abbiamo appena parlato) così Venezia si affranca dal dominio bizantino a poco a poco e senza scosse, aiutata dalla lontananza dalla capitale greca, dalle vicende stesse dell'impero, dagli aiuti prestatigli nelle guerre contro i Musulmani e dall'abile politica dei suoi governanti; una politica quella veneziana che sta già in questi anni diventando nel panorama europeo una scienza e un'arte del governare, e sempre di più -e soprattutto- una pratica del governare, mai un'improvvisazione di tizio o caio, e quando questo tuttavia avviene, con il prescelto che fa i primi passi, se non ha quell'arte e quella scienza gli è preclusa ogni altra poltrona

I patrizi di Venezia sono tutti governanti potenziali; quelli che sanno di non essere abili si mettono da parte; ma gli altri (e saranno sempre costantemente circa un centinaio) se si dedicano agli affari di governo, impegnano anima e corpo, esprimendo ingegno e diremmo oggi "patriottismo", che non ha nulla a che vedere con il solito "nazionalismo", ma è solo "venezianismo", che è una parola che non esiste in nessun vocabolario del mondo; del resto non è necessario, perché più che usarlo questo termine, è "sentito" solo da un Veneziano, ed è un sentimento che non è di natura congenita, ma è genetico, é nel Dna del cromosoma, di quel popolo che già Omero citava come Venedi.
E se non lo hai, non lo puoi capire; forse alcuni possono appena comprenderlo e solo se approfondiscono tutta la storia Veneziana, partendo da molto molto lontano nel tempo.
Stiamo in questo momento parlando del cammino ascensionale in questo X secolo, riferendoci a Venezia, ma i veneziani di questo X secolo, alle loro spalle hanno già 10 secoli di una ricca storia, e fin da quando erano ad Altino e Aquileia, esisteva il "venezianismo". Non per nulla le 7 isole di Venezia si chiamano come i rioni che aveva Altino prima ancora dell'inizio dell'era cristiana. E non per nulla che ad Aquileia, tutti gli imperatori romani hanno soggiornato. Se Roma era l'"ufficio dell'impero", Aquileia era l'"officina dell'impero".
(Ma per i particolari di questa lunga storia vi rimandiamo alla
CRONOLOGIA DI VENEZIA,

oppure BIOGRAFIE DI TUTTI I 120 DOGI DI VENEZIA

Al tempo del dogato di Pietro Trandenigo (836-864) la completa indipendenza di Venezia,
di fatto se non di diritto, è già raggiunta.

Da questo momento si manifesta nei Dogi la tendenza a trasformare il loro potere da elettivo in ereditario; PIETRO TRANDENIGO, difatti, si associa al potere, come correggente, il figlio GIOVANNI.

Maschia e forte figura di Doge quella di Trandenigo che alla vigoria del polso unisce un'abilità politica non comune. Eletto nell'836 dopo la deposizione di Giovanni Particiaco, egli combatte, sebbene non sempre con fortuna, contro i Croati, i pirati di Narenta, gli Slavi della Dalmazia e i Saraceni d'Africa e di Sicilia; costretto a difendere dai corsari dell'Adriatico le navi mercantili accresce e perfeziona la flotta veneziana da guerra (gli Inglesi lo faranno nel XVI sec.) ponendo le basi della potenza marittima della sua patria; conscio che la libertà e, in parte, la floridezza della repubblica è legata alle buone relazioni con i Franchi, e stipula con LOTARIO, nel febbraio dell'840, il famoso patto di cui abbiamo parlato e nell'856, e riceve LUDOVICO II ed ENGELBERGA che tengono perfino a battesimo un figliuolo del doge. Fatto esperto dalla malasorte toccata a non pochi dei suoi predecessori, provvede alla sua sicurezza personale circondandosi di un fedele corpo di guardie croate e riesce a dominare le torbide fazioni della città, che non erano poche. Ogni famiglia "patrizia" o lottava per prendere il potere, o lottava (e lottavano spesso tutti insieme) per non che il potere assoluto andasse solo a tizio o a caio. La maggior parte di essi si consideravano pari, quindi insofferenti all'autorità di uno, per quanto capace e valoroso.

Nonostante i suoi meriti e la sua abilità, il 13 settembre dell'864, un anno dopo la morte del figlio Giovanni, Pietro Trandenigo fu ucciso. Gli succede ORSO PARTICIACO, che rimane al potere per diciassette anni, durante il qual periodo combatte senza tregua contro gli Slavi respingendoli dall'Istria e contro i Saraceni che, scacciati dall'Adriatico, toccano a Taranto una grave rotta. Nell'880 rinnova con CARLO III il patto di Lotario, ma non riesce, nonostante la sua energica azione, ad impedire del tutto il commercio degli schiavi, il cui divieto è contemplato in uno degli articoli del patto medesimo (Qui anticipano Lincoln).

Anche ORSO ha fermo il polso e sa dominare le fazioni turbolente. Una prova della sua energia ci è data nella lotta sostenuta contro il pontefice GIOVANNI VIII e il patriarca PIETRO MARTURIO. Questi, essendo stato eletto al vescovado di Torcello contro il diritto canonico, l'abate DOMENICO CALOPRINO, nonostante la pressione del doge si rifiuta di consacrare il nuovo vescovo e fugge a Roma dal Papa, che allo scopo di metter la pace tra il clero veneziano convoca per il 13 febbraio dell'877 un concilio a Roma, al quale invita i vescovi di Venezia. Ma il Doge si oppone alla loro partenza e più tardi, essendo stato convocato un secondo concilio a Ravenna, indugia tanto a concedere il suo permesso da far giungere i sei vescovi veneziani a concilio finito. L'accordo che a Giovanni VIII non riesce, fu direttamente, in seguito, concluso tra il doge e il patriarca mediante mutue concessioni: il Caloprino gode i beni vescovili, ma, vivente il Marturio, non ottiene la consacrazione, che gli sarà poi concessa solo dal patriarca Vittore.

Orso Particiaco muore nell'881 e gli succede il figlio Giovanni, che tenta invano di sottomettere Comacchio e dopo sei anni di governo abdica in favore di PIETRO CANDIANO. Questi, pochi mesi dopo, muore combattendo valorosamente contro i pirati narentani, e il governo ritorna nelle mani di Giovanni che lo affida poi a PIETRO TRIBUNO, il quale lo tiene dall'888 al 911, stringe cordiali rapporti con BERENGARIO e GUIDO e nell'898 salva Venezia dagli Ungari.

Dura 21 anni il dogato del suo successore ORSO II PARTICIACO, sotto il cui governo il commercio dei Veneziani prospera sulla terraferma e sul mare. Chiusosi Orso in un chiostro, gli succede PIETRO CANDIANO II, che s'impadronisce di Comacchio e ne abbatte le fortificazioni e nel 932, stringendo un trattato con Capodistria, inizia la penetrazione veneziana nei territori istriani e dalmati che più tardi passeranno sotto il dominio della potente repubblica.

Successori di Candiano II sono prima PIETRO PARTICIACO poi PIETRO CANDIANO III. Sotto il dogato di quest'ultimo (942-959) s'intensifica la lotta tra Venezia e gli Slavi della Narenta, della quale sono giunte sino a noi narrazioni che hanno un forte sapore di leggenda. Tra queste ci piace riferire quella famosa che tratta del rapimento delle spose.

Per antica costumanza la vigilia della Candelora, giorno in cui la repubblica donava la dote a dodici fanciulle, si celebravano nella stessa chiesa i matrimoni dei principali cittadini. Di buon mattino - scrive il Sismondi - le gondole leggiadramente ornate si recavano da tutti i quartieri della città all'isola di Olivolo o di Castello, posta ad una deve sue estremità, dove il capo del clero, allora vescovo, dopo patriarca, teneva la sua residenza.

Gli sposi sbarcavano sulla piazza di Castello, con le loro spose fra i suoni degli strumenti musicali e tutti i congiunti e gli amici in abito di gala seguivano pure loro il corteo. Vi si portavano in gran pompa i doni fatti alla sposa, e il popolo affollato lungo la riva degli Schiavoni, ed in tutte le strade che portavano al Castello, seguiva senz'armi e senza alcun sospetto quella fastosa processione. I pirati istriani, da lungo tempo a conoscenza di questa tradizione nazionale, osarono tendere un agguato agli sposi della stessa città. Il quartiere di là dall'arsenale, non proprio vicino d'Olivolo, non era a quell'epoca abitato, e l'arsenale non era stato ancora costruito.

Gli Istrioti si misero di notte in agguato presso l'isola deserta, nascondendosi con le loro barche. La mattina, quando gli sposi furono nella Chiesa, seguiti da uomini donne fanciulli, e assistevano ai divini uffici, i corsari attraversarono il canale d'Olivolo, sbarcarono armati sulla riva, entrarono in chiesa da tutte le porte ad un tratto con le sciabole sguainate, ghermite le desolate spose ai piedi dell'altare, le costrinsero a montar sulle barche già per tale scopo predisposte, e con loro rapinarono le gioie portate dai servi, poi a forza di remi si affrettarono a riguadagnare i porti dell'Istria.

Il doge Pietro Candiano III, presente alla cerimonia, dividendo la rabbia e l'indignazione degli sposi, esce impetuosamente con loro dalla chiesa e, correndo nei vicini quartieri, si mise a chiamare ad alta voce il popolo alle armi ed alla vendetta.
Gli abitanti di Santa Maria Formosa radunano alcune navi, nelle quali entrato il doge e gli sposi irritati, approfittano d'un vento favorevole, ed hanno la fortuna di sorprendere gli Istrioti nelle lagune di Caorle; agguantati uno ad uno ne fanno un'orrenda strage. Non uno dei rapitori si sottrasse alle vendette degli amanti e degli sposi furibondi; nello stesso giorno le belle veneziane furono ricondotte in trionfo alla chiesa d'Olivolo a proseguire l'interrotta cerimonia".

A Pietro Candiano III, morto nel 959, successe il figlio PIETRO CANDIANO IV, uomo di carattere irrequieto e ambizioso di potere, il quale, per aver cospirato contro il padre, era stato bandito. La figura di Candiano IV è passata alla storia come il prototipo del tiranno e in verità fu lui il primo dei dogi che tentò di trasformare il dogato in monarchia assoluta, ma, pur dovendo ammettere che non poche delle sue azioni furono dettate dall'interesse personale, dobbiamo riconoscere in lui qualità non comuni di uomo di governo e il merito di avere retto Venezia con mano ferma e di averne diretta con grandissima abilità e con successo la politica estera. Non tutte le sue azioni, del resto, che sembravano, rivolte ad obiettivi personali, furono veramente dettate dall'esclusivo interesse particolare del doge, perché gli interessi personali e gli interessi dello stato spesso coincidevano in un tempo in cui tutto il governo era accentrato nelle mani del doge e l'aumento di potenza di questo andava anche a beneficio della repubblica.

Nella politica estera egli mirò a tenersi in ottimi rapporti con le corti d'Occidente e d'Oriente e a ricavare da questi rapporti i maggiori vantaggi, evitando le situazioni che potevano mettere in pericolo la libertà e la prosperità di Venezia.

Da OTTONE ottenne, nel dicembre del 967, il rinnovo degli antichi privilegi commerciali e la conferma dei beni dei Veneziani sulla terraferma e dal medesimo imperatore ottenne che fossero confermati al patriarca di Grado e ai vescovi della Venezia i loro possessi nel regno italico, con i diritti e le immunità. Candiano seppe così bene guadagnarsi la fiducia dell'imperatore germanico che questi, nel 967, a capo dell'ambasciata spedita a Costantinopoli per chiedere per il figlio Ottone II la mano di una principessa bizantina, mise un cittadino veneziano.

In politica interna gli obiettivi di Pietro Candiano IV furono: abbassare la potenza dell'aristocrazia cittadina e dei mercanti togliendo a loro cospicui cespiti di guadagni e i delicati incarichi di Stato; accrescere con i monopoli le entrate dello stato; dominare il clero; trattati di non proliferazioni delle armi;
Un programma da grande statista.

Egli, infatti, intensificò la lotta contro il commercio degli schiavi da parte dei privati cittadini e stabilì che soltanto il doge, nell'interesse economico della repubblica, poteva esercitare tale traffico, che però non fu mai esercitato; proibì, anche per aderire ad una richiesta del bizantino Giovanni Zimisce, il commercio delle armi con i Saraceni; vietò ai mercanti, riservandolo allo stato, il servizio postale tra la Germania e il regno italico e Costantinopoli, provvedimento questo provocato da motivi politici oltre che economici, e infine elevò alla dignità patriarcale il figlio Vitale avuto dalla prima moglie Giovanna dalla quale aveva divorziato.
Si afferma che questo divorzio fu dal doge voluto per contrarre un nuovo matrimonio che gli procurasse cospicue ricchezze e potenti parentele. Confinata Giovanna nel chiostro di S. Zaccaria, Pietro Candiano IV sposò VALDRADA di Toscana, nipote del re UGO e di OTTONE, la quale gli portò in dote rilevanti somme e numerose terre nel Trevigiano, nel Friuli e nel Ferrarese.

La sua politica interna, che ledeva molti interessi privati, e il suo atteggiamento molto simile a quello di un monarca assoluto, non potevano che provocare la reazione delle turbolente famiglie aristocratiche veneziane. Queste non potendo rassegnarsi alla perdita del loro diritto di partecipazione al governo, insorsero violentemente nel 976.
(800 anni prima della Rivoluzione Francese!)

Il doge e il figlio avuto dalla seconda moglie, assaliti dai ribelli, furono presi e trucidati. Le guardie straniere, di cui egli, imitando Pietro Grandenigo, si era circondato, si difesero disperatamente ma, alla fine, sopraffatte dal numero, caddero tutte. Nel furore della lotta fu appiccato l'incendio al palazzo ducale che fu distrutto insieme con la chiesa di S. Marco e trecento case che vi erano vicine.

Venezia si liberò dalla tirannide, ma la rivolta non ebbe per effetto l'eliminazione del contrasto tra il doge e l'aristocrazia. Tale contrasto continuerà ancora per circa un secolo, fino a quando si avrà quella costituzione oligarchica (e all'interno di questa decisamente democratica) mediante la quale al potere del doge, limitato e controllato dai consigli, sarà per sempre preclusa la via dell'assolutismo.

Lo Stato veneziano assume da quel momento la fisionomia definitiva di una potente REPUBBLICA oligarchica ma aristocratica e -ripetiamo- al suo interno democratica.

Dal sistema feudale, senza passare dalle vicende comunali italiane di tutto il secolo XII (Venezia non si eresse mai a Comune) passa direttamente a questo singolare sistema di governo che è pur sempre di tipo feudale, anche se diverso, e dove il popolo (abolito il placitum) pur credendo di poter esprimere indirettamente la propria opinione, in realtà era soggiogato alla volontà di "queste poche" famiglie benestanti, -apparentemente- più vicine ai propri interessi (del patriziato) che non a quelli generali. Ma in effetti le cariche che a "questi pochi" venivano affidate, le esercitavano bene, perché erano capaci, operavano veramente nella politica attiva, inoltre esercitandola in vari campi acquisivano non solo le capacità di governare con perizia, ma con i risultati che ottenevano ricevevano anche gli apprezzamenti dei patrizi indolenti o da quelli coscienti di non essere capaci a fare altrettanto.

Chi proponeva tizio o caio, conosceva le capacità dell'eletto. Ed entrambi non potevano andare fuori strada. Né uno né l'altro potevano fare imbrogli, anche perché continuamente si scambiavano le parti, di sorvegliati (gli eletti) e sorveglianti (i proponenti). Quest'ultimo se sbagliava, pagava di persona (in prestigio e anche in denari) gli errori del suo prescelto.

Tentativi eversivi prima di arrivare a questo sistema ce ne furono Ma gli esiti infelici di questi tentativi, sottolineano la differenza fra la situazione veneziana e quella d'altre città italiane, dilaniate da lotte e da scontri sanguinosi fra fazioni rivali (interne alla nobiltà, nel clero o per l'ascesa di ceti inferiori) ma tutte destinate a fallire con le innumerevoli "restaurazioni" e quindi il ritorno dell'assolutismo.

Venezia invece preferì usare il "pugno di ferro". Tutti i funzionari erano soggetti a controllo del proprio operato da parte degli Avocadori di comun, che potevano chiamare a giudizio, chiunque avesse commesso irregolarità o si fosse macchiato d'infedeltà alla costituzione.

Come già detto sopra, il potere del doge, fu limitato e controllato, e quindi sempre preclusa la via dell'assolutismo.
Pur non scevra da alcuni difetti, che in quel contesto storico forse non erano tali,
Venezia non vedrà mai la luce un monarca tipo Luigi XIV!
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Abbandoniamo le vicende di Venezia (che riprenderemo in altri capitoli)
e torniano alle vicende d'Italia dopo la morte di Berengario
con Rodolfo di Borgogna convinto di essere
rimasto l'incontrastato signore.
Non ha fatto i conti con Ugo di Provenza
ed è questo il prossimo capitolo

il periodo dall'anno 924 al 947 > > >


Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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