ANNI 967 - 973 d.C.

GUERRE - POLITICA DI OTTONE I - LE CONSEGUENZE

DISEGNI POLITICI DI OTTONE I - PANDOLFO "TESTA DI FERRO " - ASSEMBLEA DI RAVENNA - SCAMBIO DI AMBASCERIE TRA OTTONE E NICEFORO FOCA - OTTONE II IN ITALIA: SUA INCORONAZIONE - OTTONE I NELL' ITALIA MERIDIONALE - MISSIONE DI LIUDPRANDO A COSTANTINOPOLI DIMOSTRAZIONE MILITARE DI OTTONE NEL MEZZOGIORNO D' ITALIA - SCONFITTA E PRIGIONIA DI PANDOLFO "TESTA DI FERRO" - LA GUERRA NELL' ITALIA MERIDIONALE TRA OTTONE I E I BIZANTINI - GIOVANNI ZIMISCE E LA SUA POLITICA VERSO OTTONE - MATRIMONIO DI OTTONE II E TEOFANO - MORTE DI GIOVANNI XIII ED ELEZIONE DI BENEDETTO VI - DISTRUZIONE DELLA COLONIA MUSULMANA DI FRASSINETO - MORTE DI OTTONE I: SUA PERSONALITÀ STORICA E CONSEGUENZE DELLA SUA POLITICA

(qui la cartina gigante ( 540 kb) dell' IMPERO DI OTTONE NELL'ANNO 962)
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In basso, Ottone I con la moglie e il figlio in atto di preghiera dinanzi a Cristo.
(intaglio in avorio, Museo di Milano)


LA POLITICA DI OTTONE I

Il grido accorato di quel monaco benedettino nella sua solitudine a Monte Soratte -che abbiamo letto nel precedente capitolo- non impedì che il papato cadesse sotto la dipendenza dell'Impero, e Roma stessa, la città Leonina "spogliata e desolata", sotto l'obbedienza di OTTONE.

Nel gennaio del 967 troviamo Ottone I ancora a Roma. Qui fu da lui nei primi di questo mese convocato un concilio al quale parteciparono numerosi vescovi ed arcivescovi italiani e tedeschi che furono presenti alla nomina, fatta dall'imperatore, del nuovo prefetto della città. Al concilio del 967, prese parte anche PANDOLFO di Capua, e la sua presenza c'illumina sulla politica che l'imperatore intendeva seguire nei riguardi dell'Italia meridionale.
OTTONE I voleva attuare quello che era stato il sogno di Carlomagno e di Ludovico: dare, sotto il proprio scettro, unità politica alla penisola, abbattendo il dominio bizantino nel mezzogiorno d'Italia e sottomettendo alla sua sovranità i ducati longobardi.
Era il sogno che aveva carezzato prima di scendere in Italia e che in parte aveva tradotto in realtà rendendosi padrone del regno italico e riducendo il Papato vassallo della Germania.

Ottone sapeva quanto era arduo il suo disegno. L'impero bizantino, guidato dalla mano salda di NICEFORO FOCA, che, sposando la vedova di Romano II aveva assunto la reggenza, costituiva una potenza temibile per le sue risorse militari, e dubbio si presentava l'esito di un conflitto armato contro l'Impero d'Oriente Bizantino.
D'altra parte una guerra vittoriosa, seguita dalla conquista territoriale, non avrebbe soddisfatto completamente Ottone, al quale, oltre che il possesso dei domini bizantini d'Italia, premeva il riconoscimento dell'impero d'Oriente, ritenuto - secondo la tradizione carolingia - necessario, alla legalità della restaurazione dell'impero d'Occidente.
Un modo solo c'era per evitare una guerra e venire nello stesso tempo in possesso delle province bizantine dell'Italia meridionale e del riconoscimento del titolo imperiale: ottenere per il figlio Ottone II la mano della principessa TEOFANO, figlia di Romano II e sorella dei principi minorenni BASILIO e COSTANTINO.

Di più facile attuazione era l'altra parte del disegno politico di Ottone riguardante i ducati longobardi, e da questo lato l'imperatore ottenne successi rapidi e lusinghieri. PANDOLFO di Capua, il principe più potente del Mezzogiorno, che aveva protetto il Pontefice durante l'esilio, fu attratto prima nell'orbita dell'influenza di Ottone, poi ne divenne valido e fedele vassallo, ottenendo in premio il marchesato di Spoleto e di Camerino.
Per questo motivo che troviamo PANDOLFO al concilio romano del gennaio del 967. Lui, nel pensiero dell'imperatore, doveva avere il compito di sorvegliare Roma da vicino e di tenere in rispetto i Bizantini. Nello stesso tempo era una pedina importantissima di Ottone per le future operazioni nello scacchiere meridionale.

Le mire dell'imperatore germanico, di lì a poco, non furono più un mistero per nessuno, quando, Ottone nel febbraio del 967, intraprese un viaggio nel mezzogiorno d'Italia.
Si recò prima a Capua, poi a Benevento, dove ricevette l'omaggio di LANDOLFO, fratello di Pandolfo. Incerti siamo se anche GISULFO, principe di Salerno, riconobbe la sovranità di Ottone.
Tornato dall'Italia meridionale, l'imperatore visitò di nuovo Roma, poi, in compagnia del Pontefice, si recò a Ravenna, dove celebrò la Pasqua dell'anno 967 e, nell'aprile, tenne una grand'assemblea alla quale intervennero il re CORRADO di Borgogna, numerosi nobili italiani e tedeschi, gli arcivescovi di Milano, di Ravenna, di Aquileia e molte decine di vescovi dell'Italia centrale e settentrionale.

Esagerata fu dagli storici l'importanza di quest'assemblea, nella quale furono presi molti provvedimenti, riguardanti la polizia ecclesiastica e le chiese italiane e germaniche, perché la deliberazione a Ravenna presa, quella con cui si restituiva al Papa l'Esarcato e l'altra che vietava ai preti il matrimonio rimasero lettera morta.
Si trovava appunto a Ravenna Ottone, quando giunse in questa città un'ambasciata spedita da NICEFORO FOCA. Varie sono le congetture degli storici sullo scopo che si prefiggeva Niceforo: credono alcuni che mirasse ad assicurarsi l'aiuto di Ottone contro i Musulmani; altri pensano che gli ambasciatori fossero stati spediti per chiedere all'imperatore germanico di rinunziare alle sue pretese su Capua e Benevento; altri ancora suppongono che Foca, preoccupato dell'influenza germanica sui principati longobardi sua intenzione altro non era che quella di stringere con Ottone rapporti di amicizia.

Noi non conosciamo la risposta data da Ottone; sappiamo però che i colloqui si svolsero in un'atmosfera di gran cordialità e che gli ambasciatori bizantini furono congedati con ricchi doni. Partiti questi, Ottone inviò a sua volta un'ambasciata a Costantinopoli, della quale - come altrove si è detto - era capo il veneziano DOMENICO; il quale aveva l'incarico di rassicurare la corte bizantina delle intenzioni pacifiche dell'imperatore tedesco e doveva chiedere per Ottone II la mano della principessa TEOFANO.

Partito Domenico, Ottone I, nella speranza di una risposta affermativa da parte di Niceforo, invitò il figlio (Ottone II) a venire in Italia per prendervi la corona imperiale, poi con la moglie Adelaide si recò in Toscana dove rimase fino agli ultimi di settembre del 967.
Ritornato in Ravenna, ne riparti il mese seguente per andare incontro al figlio, che, per la via del Brennero, scendeva in Italia.
I due Ottoni s'incontrarono a Verona negli ultimi giorni di ottobre del 967, e qui, il 23 di questo mese, nella basilica di S. Zenone, fu tenuta un'assemblea di grandi, in cui fra l'altro fu deliberato che al giuramento fosse sostituito il duello nei casi in cui coloro che si appropriavano di beni altrui con documenti falsi, citati in giudizio, volessero dimostrare l'autenticità delle carte.

Nella prima settimana del novembre i due Ottoni, per la via di Mantova, tornarono a Ravenna, dove furono ricevuti gli ambasciatori di Venezia, il diacono GIOVANNI e GIOVANNI CONTARINI, ai quali l'imperatore confermò i possessi dei Veneziani nel regno italico. Il 2 dicembre Ottone era ancora a Ravenna e in quel giorno fu rinnovato con Venezia il trattato di commercio di cui altre volte abbiamo già accennato.
Da Ravenna l'imperatore partì per Roma, dove giunse il 21 dicembre; l'ingresso solenne nella città però avvenne il 24 e l'indomani, giorno del Natale 967, alla presenza di una grande moltitudine, di numerosi nobili e prelati, Ottone II riceveva dalle mani di papa GIOVANNI XIII la corona imperiale.

La successione del figlio all'impero era assicurata; non però la sposa bizantina che con il riconoscimento del titolo doveva portare in dote i temi dell'Italia meridionale.
L'ambasciatore Domenico che era partito da Ravenna a metà anno 967, aveva raggiunto Niceforo in Macedonia ed aveva ricevuto da lui cortesi accoglienze; ma la concessione della mano di Teofano era stata subordinata alla rinunzia da parte di Ottone alle pretese sulle province bizantine d'Italia e sui ducati longobardi che sopravvivevano nel Sud. Nonostante questo (che scompaginava i piani di Ottone), le trattative tra l'imperatore tedesco e Niceforo Foca non furono rotte; quest'ultimo anzi, partito Domenico, inviò nuovi ambasciatori in Italia.

L'insuccesso della missione di DOMENICO non aveva fatto piacere - e lo possiamo credere - ad Ottone. Poiché, non poteva accettare le condizioni di Niceforo senza rinunciare al suo disegno di unificare l'Italia, Ottone pensò di realizzarlo per mezzo delle armi.
Senza indugiare troppo, nello stesso gennaio del 968, preceduto da Pandolfo, si recò con la moglie e il figlio a Capua, dove qui diede il benvenuto agli ambasciatori di nuovo inviati da Niceforo Foca.
Ma questa nuova legazione non fece progredire di un solo passo le trattative. Allora Ottone diede la parola alle armi e con l'aiuto dei Pisani, che misero a sua disposizione la flotta, si spinse su Bari, la quale fu cinta d'assedio. Subito però dovette convincersi che l'impresa non era facile, perché la piazzaforte oppose una resistenza tale da consigliare l'imperatore a sospendere le operazioni e fare ritorno nell'Italia settentrionale.

Smessa l'idea di conquistare con le armi le province bizantine, Ottone cercò nuovamente di ottenerle tramite il matrimonio del figlio con la principessa bizantina. Ma dopo l'infelice tentativo di Bari, l'accordo con l'Oriente ora si presentava più difficile ed era necessario che un uomo molto abile nell'arte della diplomazia si assumesse l'incarico di trattare con la corte bizantina. Quell'uomo non poteva essere che LIUTPRANDO, vescovo di Cremona, che già conosceva Costantinopoli per esservi stato come ambasciatore di Berengario II.
Ma il vescovo di Cremona non ebbe fortuna; non ebbe le buone accoglienze ricevute in precedenza da Domenico; e fin dal primo colloquio Niceforo si lagnò fortemente con lui per il contegno di Ottone che aveva occupato Roma; per aver assunto il titolo d'imperatore; per avere imposta la sua sovranità ai principi di Capua e Benevento.
La strage di Castel Sant'Angelo, o il grido di quel benedettino di Soratte, doveva essere già giunto alle orecchie dell'Imperatore Bizantino; l'abbiamo già citata, ma la ripetiamo qui, la frase che fu rivolta a Liutprando: "Noi volevamo accoglierti con bontà ed onore; ma l'empietà del tuo padrone ce l'ha proibito; egli occupò Roma come nemico e fece perire di spada moltissimi Romani, altri sotto la scure del carnefice, a non pochi fece cavare gli occhi e molti li mandò in esilio".

A nulla valsero le risposte dell'ambasciatore, il quale cercò di giustificare l'opera del suo signore con il mettere in evidenza i servigi da lui resi alla Chiesa Romana liberata dalla tirannide dell'aristocrazia e arricchita da nuove donazioni, e con l'affermare che, per costumi e per lingua, le province del mezzogiorno si potevano considerare come parte del regno italico; Niceforo fu irremovibile nel pretendere che il sovrano germanico abbandonasse Roma e le mire sull'Italia meridionale, compresi i principati longobardi che erano e dovevano rimanere vassalli dell'impero d'Oriente.

Dopo vari colloqui infruttuosi, considerando fallita la sua missione, Liutprando cercò di fare ritorno in Italia, ma non gli fu possibile di partire così presto come desiderava. NICEFORO FOCA, ben sapendo che il fallimento dell'ambasciata avrebbe provocato la riapertura delle ostilità e volendo prendere tempo per poter inviare truppe in Italia, trattenne con mille pretesti e sotto accurata sorveglianza a Costantinopoli Liutprando, che alla fine fu fortunato se riuscì a tornare a Roma vivo nel gennaio 970.

Delle ostili accoglienze, del forzato soggiorno nella capitale bizantina e dell'esito infelice della sua missione, il vescovo provò un dispetto grandissimo che non nascose nella relazione da lui scritta e indirizzata ai due Ottoni e a all'imperatrice Adelaide, sotto il titolo di "Relatio de Legatione Constantinopolitana", una vivace narrazione, nella quale l'arrabbiatissimo autore fa un quadro vivo e impietoso della corte bizantina e delle vicende della sua legazione.

GUERRE DI OTTONE NELL'ITALIA MERIDIONALE

OTTONE I aspettò a lungo il ritorno del suo ambasciatore (erano già passati 5 mesi). Sospettò che il ritardo di LIUTPRANDO significava il fallimento delle trattative e n'ebbe la certezza quando, nell'ottobre del 968, trovandosi a Ravenna, seppe dell'arrivo in Puglia di milizie bizantine che la voce pubblica diceva spedite dietro sollecitazione di ADALBERTO (che rispuntava, e non si era ancora arreso), il quale aveva promesso di concorrere alla guerra contro l'imperatore germanico con ottomila ausiliari comandati dal fratello CORRADO.

Sperando di impressionare NICEFORO FOCA e di rivolgerlo a più miti consigli, OTTONE deliberò allora di fare una dimostrazione militare nel mezzogiorno della penisola e, partito nello stesso mese di ottobre da Ravenna, per le Marche di Camerino e di Spoleto, marciò verso l'Italia meridionale e, per sei mesi saccheggiando le province bizantine lungo il cammino, si spinse in Calabria fino a Cassano, dove celebrò la Pasqua del 969.

L'avanzata delle truppe imperiali non andò oltre Cassano né prese di mira le piazzeforti in cui i Bizantini si erano ritirati; poi improvvisamente Ottone fece fare dietrofront ad una parte del suo esercito e attraversata la Puglia e lasciata parte delle sue milizie ad assediare Bovino, ritornò in Roma, dove nel gennaio di quell'anno era (dopo 19 mesi) finalmente giunto Liutprando.
L'incarico di proseguire la guerra nell'Italia meridionale era stato dato da Ottone a PANDOLFO "Testa di Ferro". Questi a capo di milizie di Capua e di Benevento corse all'assedio di Bovino; ma la sua impresa fu sfortunata; nonostante la sua audacia, fu sconfitto e fatto prigioniero dai Bizantini comandati dal patrizio EUGENIO, il quale lo spedì carico di catene a Bari e di là a Costantinopoli.

La vittoria su Pandolfo fu la prima di una serie di successi delle armi bizantine, le quali passate all'offensiva, con l'aiuto di MARINO II, duca di Napoli, invasero il territorio capuano e beneventano, orribilmente devastandolo; s'impadronirono di Avellino, misero sotto assedio Capua per quaranta giorni, poi EUGENIO andò prima a Salerno, accolto con molti onori da GISULFO, poi a Bari a ristorarsi delle perdite ma anche a fare preparativi per le ulteriori operazioni in programma.

A questa vittoriosa campagna bizantina, non prese parte ADALBERTO, il quale abbandonò l'Italia e si recò ad Autun, dove morì nel 971 o nel 972. Il fratello Corrado, invece, rimasto solo, alla fine, fece atto di sottomissione ad Ottone e riebbe pure il marchesato d'Ivrea.
La notizia dei successi bizantini nell'Italia meridionale giunse all'imperatore mentre, nell'agosto del 969, si trovava a Pavia. Deciso a rialzare le sorti delle sue armi, Ottone riunì un forte esercito, composto di truppe sveve ed alemanne e di milizie della marca di Spoleto, che affidò al comando del margravio GUNTERO di Minia, e questi in poco tempo rioccupò i territori invasi dal nemico.
Liberata Capua dalla minaccia bizantina, marciò su Napoli devastandone il territorio, riprese Avellino, e, toccata Benevento dove ebbe festose accoglienze da Landolfo, si spinse fino ad Ascoli. Sotto le mura di questa città le truppe di Ottone vennero a battaglia con l'esercito bizantino comandato dal patrizio ABDILA e lo sconfissero. Ascoli ed altre località della Puglia caddero nelle mani degli ottoniani.

Questi successi, erano senza dubbi importanti, ma non tali da pregiudicare la situazione dei Bizantini. L'avvicinarsi dell'inverno favoriva questi ultimi, e già la guerra languiva, quando giunse a rianimarla la notizia dell'assassinio di NICEFORO FOCA, caduto vittima di una congiura di palazzo capeggiata dal cugino GIOVANNI ZIMISCE (11 dicembre del 969) che saliva sul trono.
OTTONE fu pronto ad approfittare del mutamento avvenuto nel trono bizantino, per scacciare dall'Italia meridionale con una vigorosa e rapida azione i Greci. Nella primavera del 970, lasciata la Lombardia, Ottone I piombò nel mezzogiorno e pose l'assedio a Bovino. La forte resistenza incontrata sotto le mura di questa città, gli fece capire che la campagna non sarebbe stata così breve e facile come aveva sperato, quindi fu lieto di sapere che il nuovo imperatore di Costantinopoli era disposto a seguire in Italia una politica di pace.
Di queste buone disposizioni GIOVANNI ZIMISCE fornì prova, accettando la mediazione di Pandolfo, suo prigioniero, il quale fu liberato e inviato a Bari e da qui fu accompagnato al campo germanico di Ottone.
La liberazione di PANDOLFO "Testa di Ferro", al quale fu restituito il principato di Capua e Benevento e il marchesato di Spoleto, segnò la sospensione delle ostilità e l'inizio delle trattative tra i due imperatori.

OTTONE lasciato la Puglia, si recò negli Abruzzi, poi si avviò verso a Roma, dove celebrò il Natale del 970, e infine a Ravenna, dove celebrò la Pasqua del 971 convocando pure una grande assemblea di laici ed ecclesiastici.
Le trattative intanto proseguivano felicemente e poiché non rimanevano che poche e lievi difficoltà da rimuovere, Ottone spedì a Costantinopoli un'ambasceria, alla quale era affidato il compito di concludere i negoziati ed accompagnare in Italia la principessa TEOFANO.
Di questa ambasceria faceva parte ancora LIUTPRANDO, che dopo il trattamento subìto da Niceforo Foca, voleva avere lui la soddisfazione di esser partecipe ad una missione di così tanta importanza. Il vescovo di Cremona partì ma non fece più ritorno in Italia, essendo morto - come pare - in Grecia.

LIUTPRANDO - MATRIMONIO DI OTTONE II

"Liutprando: Così - "scrive il Balzani" - terminava quest'uomo singolare la cui vita e gli scritti mostrano profondo lo stampo di un ingegno arguto e originale, di un carattere vivace e appassionato. Uguale ai più capaci tra gli scrittori suoi contemporanei in Europa, incomparabilmente superiore a quelli d'Italia, non sempre corretto latinista, ma neppure spregevole. Egregiamente e laicamente educato nell'infanzia, conobbe per tempo ed amò i classici. Ebbe familiari quasi tutti gli antichi e tra questi Terenzio, Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio, dei quali cercò di inserire qua e là frasi nei suoi libri non senza pompa e con migliore scelta di altri scrittori medioevali. Né era contento di fare citazioni latine, ma in ogni scritto amò sfoggiare la sua conoscenza del greco interpolando nel suo latino parole e frasi greche. Come a modello dei suoi lavori mirò molto a Severino Boezio i cui libri nel medio evo avevano una smisurata influenza, e, specialmente nell'Antapodosi, sull'esempio di Boezio, mescolò la sua prosa con versi ben architettati. Ma quell'esagerato spirito di imitazione non bastò a cancellare l'originalità dello stile in un uomo così conscio ad ogni ora della personalità propria.
L'"Antapodosi", che dei suoi libri è il più lungo e il più liberamente composto, è forse quello in cui si rivela meglio il carattere dell'uomo e le sue contraddizioni. Ingegnoso e credulo, acuto osservatore dei fatti e impetuoso nei giudizi, desideroso del bene, ma troppo facile censore del male e piuttosto fosco nel raccontatore gli scandali. Dei suoi nemici, con sentenze flagellatore acerrimo di Berengario e la moglie Villa, degli amici e benefattori lodatore e adulatore smisurato; ma è pur chiaro a chi lo legge che lui sente in cuore quello che manda fuori, e con la fantasia denigra e adula con la convinzione di esser nel vero. Da queste qualità personali la sua autorità di storico per un qualche tempo patì per i suoi eccessi, ma ora mi par di notare una tendenza moderna ad alzarla forse oltre il dovuto. Io sono dell'avviso che le narrazioni di Liudprando, per quanto riguardano i particolari dei fatti, sono state preziose nel confermare o nello spiegare quanto fu detto da altri, tuttavia, debbono esser adoperate con maggior cautela di quella usata da qualche storico recente. Certo in complesso nessun lavoro contemporaneo potrebbe aiutarci meglio dei suoi a darci un'idea generale del secolo decimo e a porcelo alla mente.
Uomo di stato e di Chiesa, esperto della vita per i vari casi della fortuna, pronto d'ingegno, abile e colto scrittore, Liutprando riuscì come nessun altro ad afferrare con il pensiero e congiunger tra loro le relazioni delle cose che vide e narrò, mentre la sua indole vivace e ingenua era mirabilmente formata per suscitare in noi le impressioni medesime che l'insieme degli avvenimenti reali avevano suscitato nel suo animo suo".

Nella primavera del 972, accompagnata dall'arcivescovo di Colonia, da due vescovi e da molti duchi e conti, la principessa bizantina TEOFANO, che contava allora sedici anni ed era di gran bellezza e di vasta cultura, giunse a Roma dove erano ad attenderla il futuro suocero e lo sposo diciassettenne OTTONE II.
Il matrimonio fu celebrato con grandissima solennità il 14 aprile alla presenza di papa GIOVANNI XIII che incoronò Teofano imperatrice.
La giovane sposa era la colomba che portava la pace, purtroppo non duratura tra i due imperi; di tutto ciò che da questo matrimonio Ottone I si aspettava, otteneva solo il riconoscimento ufficiale del titolo imperiale. L'unione fu solo una brillante vittoria della diplomazia ottoniana, totale invece fu il fallimento della politica del sovrano tedesco sull'Italia meridionale, la cui situazione fu lasciata allo "statu quo ante".

Infatti, dopo parecchi anni di guerra e tanto sangue sparso, Capua e Benevento rimasero soggetti all'alta sovranità dell'impero occidentale, i territori bizantini della Puglia e della Calabria rimasero all'Oriente, Napoli, Amalfi e Salerno continuarono ad essere nella sfera dell'influenza della corte di Costantinopoli.

Nel maggio del 972, OTTONE I lasciò Roma e si recò nell'Italia settentrionale dove si trattenne fino all'agosto, poi, per la via di Como, fece ritorno in Germania.
La vita del vecchio imperatore 60enne volgeva oramai al termine; tuttavia rimase ad Ottone il tempo sufficiente per aver la prova della forza che il suo partito aveva acquistato a Roma e per veder compiuto quello che era stato uno dei suoi più intensi desideri: la distruzione della colonia musulmana di Frassineto.

Ottone aveva appena passato le Alpi che a Roma si spegneva il 6 settembre del 972 Papa Giovanni XIII. Il partito nazionale propose la candidatura di un Franco, figlio di Ferruccio; trionfò invece il candidato del partito imperiale che diede i suoi voti al diacono BENEDETTO, il quale, a causa della lontananza dell'imperatore, solo nell'anno seguente fu possibile procedere alla sua consacrazione: il 19 gennaio del 973.

I SARACENI DI FRASSINETO

Nello steso anno della morte di GIOVANNI XIII la Liguria, il Piemonte e il Delfinato furono liberati dal terrore dei Saraceni di Frassineto. Durante la stessa estate del 972, mentre, di ritorno dall'Italia, attraversava il Gran San Bernardo, fu catturato dai Musulmani l'abate MAIOLO di Cluny, che solo dopo il pagamento di una forte somma, fu liberato.
L'abate aveva una gran reputazione in tutti gli stati cristiani d'Europa e in modo particolare alla corte di Sassonia come sostenitore della riforma dei monasteri iniziata dall'abate ODONE che abbiamo visto intermediario tra Alberico ed Ugo di Provenza.
Fu appunto la sua fama che mosse lo sdegno dei principi vicini alla colonia di Frassineto e li spinse a fare un efficace intervento contro i terribili predoni.

Anima di questa specie di crociata furono i conti GUGLIELMO e RUBALDO di Provenza e il marchese ARDUINO di Torino, i quali, si misero personalmente alla testa di numerose milizie, scacciarono, come aveva fatto molti anni prima Ugo, i Saraceni dalla Provenza e dopo averli spinti nel loro campo trincerato, li assalirono con determinazione e finalmente n'ebbero ragione. I Musulmani si difesero con estremo accanimento ma la maggior parte caddero in battaglia; i pochi superstiti fatti prigionieri ebbero salva la vita a patto che abbracciassero la fede cristiana.

La fine della temuta colonia ebbe conseguenze notevoli per la vita delle vicine regioni, specialmente per il Piemonte, che, assicurata la sua tranquillità ai valichi alpini, si fecero più frequenti e numerosi i passaggi dei pellegrini, le valli prima desolate si ripopolarono, sorsero castelli, ville e paesi e monasteri che fecero così fiorire l'agricoltura.

LA MORTE DI OTTONE I
PERSONALITÀ STORICA DI OTTONE I

Poco tempo dopo la vittoria a Frassineto, il 7 maggio del 973, moriva a Memleben in Turingia l'imperatore tedesco, che passò alla storia con il nome di "OTTONE I "IL GRANDE".
Giustificato ci appare questo titolo che gli storici tedeschi hanno dato all'imperatore sassone, se l'opera sua si considera nei suoi aspetti di carattere generale e nei risultati immediati.
Infatti, Ottone fu il vero fondatore dell'egemonia tedesca in Europa, perché vinse gli Ungari e gli Slavi, rese l'Italia provincia della Germania, sottomise il Papato, impose la sua sovranità sui principati longobardi dell'Italia meridionale e ottenne il rispetto dall'impero bizantino.
Ma se la consideriamo rispetto agli interessi particolari della Germania e dell'Italia, la sua opera fu quanto mai dannosa. La politica italiana costrinse gli imperatori tedeschi a trascurare, perché spesso assenti, i loro particolari interessi nei loro stessi territori al di là delle Alpi, producendo un accrescimento della potenza delle locali signorie feudali, che impedì per lungo tempo l'unificazione nazionale monarchica e quando questa avvenne ci fu la contesa fra quelle casate diventate così potenti, che crearono loro una propria monarchia, e di conseguenza un proprio stato. Quella tipicamente germanica, fu alla fine creato solo nel 1870, tuttavia rinunciando a qualche territorio ormai legato alla casa degli Asburgo, spesso con qualche violento attrito dei popoli aggregati (a ovest come la Baviera, a est, come l'Ungheria o la Cecoslovacchia).

Riguardo all'Italia, l'opera di OTTONE I, fece sì che anche nella penisola fosse impossibile la formazione di una monarchia nazionale, e la penisola rimanesse politicamente divisa, soggetta a sovrani stranieri, i quali le imposero conti, duchi, marchesi, vescovi, papi tedeschi e per molte e molti di anni la vessarono e depredarono, provocando la reazione nazionale che doveva essere causa di sanguinosi contrasti nel periodo comunale (uno di questi "campioni" il Barbarossa)

Infine non meno dannosa fu la conseguenza di quel fatto che certi storici considerano come una delle maggiori glorie di Ottone I: della restaurazione dell'impero di Occidente, perché la politica imperiale che mirò, dopo l'assoggettamento della Chiesa Romana, ad asservire, feudalizzandoli, i vescovi, rimise sul tappeto la questione della supremazia tra la potestà laica e quella ecclesiastica e inasprì il dissidio tra il Papato e l'Impero che doveva esser causa di guerre e di profondi turbamenti politici, sociali e religiosi, non solo per molti anni, ma per molti secoli, quasi una decina.

Questa politica di Ottone I, sia in Germania, sia in Italia
iniziano ora a provocare le prime conseguenze che abbiamo accennato
ed iniziano -all'interno come all'esterno- con il figlio OTTONE II.
Il riassunto è appunto il contenuto delle prossima puntata
il periodo dall'anno 973 al 983 > > >


Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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