IL PERIODO DI BISMARCK
1815 - 1898

OTTONE VON BISMARCK

"All'inflessibile "Cancelliere di ferro"....
... gli avversari gli attribuirono una frase che viene spesso ripetuta "La forza supera il diritto". Bismarck negò di averla pronunciata, ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la base della sua politica.
E poichè questo pensiero messo in azione riuscì a fare l'opera sognata più di quanto nessuno avesse immaginato, esso finì per diventare la norma regolatrice della politica tedesca e quindi anche del pensiero nazionale tedesco. La generazione dopo il 1870, quella cresciuta con Bismack, dominatore della vita politica per quasi trent'anni, finì per imbeversi talmente della propria gloria da giudicare la civiltà tedesca di gran lunga superiore alle altre e da considerare come suo dovere quello d'imporla a tutto il mondo.
Con quale mezzo? Con lo stesso adottato con tanto successo dal "Cancelliere di ferro": "colla forza delle armi".

Con la forza delle armi, la Prussia da Stato subordinato all'Austria, Bismarck riuscì a trasformare il suo Paese nella massima potenza continentale europea, riunendolo dopo secoli di divisione nazionale.
Nel 1890, quello che fu definito il "grande burattinaio", l' "onesto sensale", trasformatosi in uomo di pace, lasciò il potere e rimase in disparte fino alla morte (1898) perchè in urto con il nuovo giovane sovrano Guglielmo II; ma quella struttura autoritaria e quell'aggressiva impronta militarista - iniziata già nel periodo federiciano- rimase e portarono la Germania prima al disastro della Prima Guerra Mondiale, poi, fortemente decisi a rivalersi della umiliante sconfitta, con un "caporale" alla guida, al disastro della Seconda.
LE DATE PRINCIPALI DELLA VITA
DI BISMARCK
1815 -
1 aprile OTTONE LEONARDO LEOPOLDO VON BISMARCK-SCHONHAUSEN, nasce, secondogenito, nella famiglia prussiana dei Bismarck-Schonhausen, orgogliosa schiera di aristocratici prussiani, noti con il nome di "JUNKER": una rigida casta di latifondisti autoritari e potentissimi.
1847 -
Fino a questa data, Bismarck, alto, imponente, vigoroso, attivo nei diversi sport, trascorre i suoi primi 32 anni di vita turbolenta e inquieta, senza pensare alla politica. Poi si sposa con Giovanna Puttkamer, e desideroso di trovarsi una "sistemazione" di prestigio, iniziò a dedicarsi alla vita politica, quasi alla vigilia della rivoluzione di Berlino. Viene eletto deputato alla Dieta degli Stati Tedeschi (la prima che raccogliesse i rappresentanti degli Stati tedeschi che allora formavano la Confederazione Germanica, formatasi nel 1815.
1848 -
Alla sanguinosa sommossa di Berlino del 18 marzo 1848 ( che si proponeva di costringere il Re di Prussia, Federico Guglielmo, a concedere una Costituzione) il trono stava vacillando, ma il giovane deputato si schierò decisamente dalla parte del Re, ribadendo che la sovranità veniva dal "diritto divino". L'atteggiamento fu premiato dal Sovrano, affidandogli sempre più importatnti incarichi.
1851 -
Viene promosso ambasciatore. Dotato di eccezionale fiuto politico, Bismarck inizia a dar prova del suo autentico genio politico e diplomatico. E' lui a inventarsi la "Realpolitik", una "politica realista" che lo avrebbe reso famoso; seguendo un solo dogma: raggiungere l'obiettivo proposto con il mezzo più rapido, sicuro, efficace, qualunque esso fosse.
1862 -
Viene nominato Cancelliere (Primo Ministro). Nella crisi politica di quest'anno dovuto al rifiuto dell'opposizione che non voleva accettare i provvedimenti di potenziamento, ammodernamento, riorganizzazione dell'esercito, il sovrano fa una mossa autoritaria: sciolse il Parlamento. Ma in virtù della Costituzione votata nel 1850, questa consentiva di rimanere in carica anche dopo un voto contrario e dopo lo sciogliemnto del Parlamento. Bismark resta al suo posto di comando.
1864 -
Sotto la sua guida, inizia il programma politico per fare della Prussia lo Stato dominatore nel mondo tedesco, con il sogno di riunificare sotto di essa la Germania divisa, con gli Stati subordinati all'Austria. E' il periodo della Guerra alla Danimarca
1866 -
Sfrutta i dissidi interni dell'Austria e l'ostilità dell'Italia per l'imperatore asburgico, dichiara guerra e vince gli austriaci in una paurosa disfatta in Boemia a Sadova. La Confederazione, fino allora dominata dall'Austria viene sciolta. Gli Stati si riuniscono in una Confederazione (del Nord) sottoposta alla guida della Prussia.
1870-71 -
Dopo l'Austria rimaneva nel continente solo i Francesi di Napoleone III, tradizionale avversario, a contrastatare l'egemonia tedesca. E quando scoppiò la guerra i piani per l'invasione della Francia erano pronti già da tre anni; I piani di Bismarck e la genialità strategica di von Moltke travolsero ogni resitenza a Sedan, lo stesso imperatore francese venne catturato, Parigi fu posta in assedio.
1871 -
Nella reggia di Versailles, centro e simbolo della monarchia francese, Bismarck ebbe la soddisfazione di udire i principi tedeschi che si sottomettevano a Guglielmo I di Prussia e lo nominavano imperatore in Germania.
Così "in mezzo al ferro e al fuoco" come si espresse lo stesso Cancelliere) poteva rinascere il Reich tedesco dopo tanti secoli di divisione nazionale.
La cerimonia ufficiale della costituzione della nuova Germania fu una provocazione senza precedenti nei confronti della Francia che la umiliava profondamente, avvenne nella sala più prestigiosa del palazzo reale.
Una umiliazione che i francesi non dimenticarono. Nello stesso luogo umiliarono la Germania alla fine della Prrima Guerra Mondiale. Ma poi furono nuovamente umiliati da Hitler dopo la sua invasione, la conquista di Parigi e l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

1873-75 -
"Lotta per la cultura". Leggi contro la Chiesa cattolica
1878 -
Proprio come un accorto "burattinaio" Bismarck iniziò a manovrare i fili di una complicatissimi rete di alleanze, rapporti d'equilibrio, promesse e minacce, concessioni e pretese. E con Congresso di Berlino di quest'anno sancì tale equilibrio.
1882 -
Dopo le manovre di sopra parte una serie di alleanze e di patti. La maggiore tra queste alleanze fu la "Triplice Alleanza", alla quale accedette anche l'Italia, insieme all'Austria e alla Germania.
1888 -
Muore l'imperatore Guglielmo I. Sale al trono Guglielmo II e subito si aprì in contrasto tra Bismarck e il giovane 29 enne sovrano, che (oltre che geloso della sua popolarità) non tollerava i sistemi autoritari del "Cancelliere di Ferro".
1890 -
I contrasti durarono due anni, e inaspriti fino a tal punto che Bismarck si vide costretto a dimettersi dal governo e ritornare a malicuore alla vita privata.
1898 -
Dopo otto anni di vita trascorsa nel suo podere di Friedrichsruh, Bismarck il 30 luglio muore a 83 anni d'età.
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UN PROFILO SCRITTO NEL 1919
DA PIETRO ORSI
I grandi uomini diventano i capi, le guide, i conduttori dell'umanità quando l'opera loro concorda con le forze del passato e con la spinta verso l'avvenire; perciò per comprendere esattamente l'azione esercitata da Bismarck nella formazione dell'unità germanica bisogna anzitutto studiare lo sviluppo del sentimento di nazionalità verificatosi in Germania prima che Bismarck assumesse la direzione del governo prussiano.
Chi diede per primo alla Germania una coscienza nazionale fu... Napoleone l; la cosa può sembrare strana, ma non per questo è meno vera. Ancora alla vigilia della rivoluzione francese i grandi pensatori e scrittori che avevano procurato alla Germania il rispetto e I' ammirazione del mondo, Kant, Lessing, lo stesso Goethe, non solo non avevano preoccupazioni nazionalistiche, ma andavano superbi di essere cittadini del mondo, di non avere una patria.

Occorse la conquista napoleonica per scuotere la Germania. La battaglia di Austerlitz spazzò via il sacro impero romano della nazione germanica e liberò le menti da quest'ombra del passato, che impediva la chiara visione dell'avvenire. Napoleone sbrogliò il caos delle centinaia di Stati che dividevano la Germania e colla formazione di nuovi raggruppamenti distrusse lo spirito locale: l'orizzonte di ognuno si allargò. Nello stesso tempo la mano di ferro del conquistatore suscitava gli sdegni e faceva sorgere l'aspirazione all'indipendenza; così il popolo tedesco prese per la prima volta coscienza di sé.

Tale cambiamento si svolse in pochi anni; la guerra, questa grande e dolorosa realtà, scuote profondamente le anime e trasforma rapidamente le idee. Per dimostrarlo basta confrontare le lezioni, che Giovanni Fichte tenne a Berlino nell' inverno 1804-1805, cioè prima della guerra napoleonica in Germania, con quelle da lui tenute pure a Berlino nell'inverno 1807-08, cioè dopo le vittorie francesi. Nelle prime lezioni (e si noti che Fichte aveva già più di quarant'anni e quindi il suo pensiero doveva già essere formato) egli si dichiara apertamente cosmopolita ed afferma che la patria delle persone colte é lo Stato che in quel dato momento si trova alla testa della civiltà. Ma quando nell'inverno 1807-08 egli sentiva fuori dell'aula, nella quale insegnava, il rumore dei tamburi francesi, allora si fece a sviluppare tutta una educazione nazionale tedesca, a celebrare l'amore di patria, la fede nell'eternità della nazione, nell'immortalità di ciò che per essa facciamo e soffriamo. Egli prese ad esaltare la Germania vantandone la superiorità su tutti gli altri paesi, ed arrivò a dichiarare che
se lo spirito straniero é come un'ape industriosa, « lo spirito germanico é un'aquila, che con forza solleva il suo corpo poderoso e raccoglie sotto di sé colle ali robuste ed esperte una grande quantità di aria per avvicinarsi al sole".

Le affermazioni orgogliose di Fichte furono come una bevanda inebriante, che riuscì allora salutare all'animo depresso e abbattuto della nazione tedesca, come fu salutare agli Italiani prima del 1848 I'affermazione del Gioberti sul nostro primato. In pochi anni sotto l'oppressione straniera si verificò quello che il Fichte disse "guarigione della nazione". Questo periodo si può considerare come il Natale della nuova Germania. Da quel giorno non passò anno senza che qualche scritto, qualche fatto accennasse al cammino della nuova idealità per modo che presto la Germania restò pervasa da uno spirito nuovo.
Questo nuovo pensiero della nazione venne raccolto ed espresso popolarmente da Maurizio Ernesto Arndt nell' opuscolo famoso "Il catechismo del guerriero germanico" stampato a Pietroburgo in quel mese di settembre del 1812, nel quale l'incendio di Mosca illuminò il principio della ritirata napoleonica "Il catechismo del guerriero germanico" canta le lodi della patria e della libertà: « Sorsero in questi giorni dei saccenti freddi e meschini che sotto il dominio della loro nequizia dicono: Patria e libertà sono parole prive di senso, dolci suoni con cui si illudono uomini stolti; là dove l'uomo si trova bene là é la sua patria; là dove é meno molestato, prospera la sua libertà. Gli uomini, che così parlano, al pari degli stupidi animali non pensano che al ventre e alle sue voglie; non sentono lo spirare dello spirito divino. Essi pascolano, come le bestie, solo il pasto del giorno, e ciò che dà loro godimento considerano come unica cosa sicura; perciò la menzogna domina nei loro vani discorsi, e il castigo della menzogna nasce dalle loro dottrine... Patria e libertà sono agli occhi delle anime basse un'illusione, e una stoltezza per tutti coloro che vivono soltanto per il momento; ma per i valorosi esse sono una forza che li innalza al cielo, e nel cuore degli uomini semplici esse operano miracoli".

E i miracoli si videro davvero pochi mesi dopo, quando tutta la Germania con alla testa il fiore della sua intelligenza si levò in armi per scacciare lo straniero. Per conoscere bene i sentimenti che animavano quella gioventù basta leggere poche linee della lettera che il giovane poeta Teodoro Korner, i cui versi patriottici dovevano poi essere cantati su tutti i campi di battaglia della Germania, scrisse al padre nel momento di partire volontario per la guerra. La vita gli sorrideva lieta: era giovane, bello, amato appassionatamente dalla sua fidanzata, aveva ottenuto, a soli 22 anni, la carica ambitissima di poeta del teatro imperiale a Vienna; e tutto abbandona e va a morire per la patria : "....Voglio con piacere strapparmi a questa vita felice e libera di affanni per conquistarmi, sia pure a prezzo del mio sangue, una patria. Non dire che la mia é baldanza giovanile, leggerezza, smania selvaggia. Due anni fa ti avrei permesso di dire così, ma oggi che so quanta felicità si può pur trovare in questo mondo, oggi che tutte le stelle della mia fortuna mi contemplano con tanta mitezza e con sì grande benevolenza, oggi, lo giuro in nome di Dio, é un sentimento degno che mi spinge, é la potente convinzione che nessun sacrificio é troppo grande per il più grande dei beni umani, la libertà dei proprio popolo. Forse il tuo cuore paterno si illude e ti dice: Teodoro é nato a più alti destini, egli potrebbe compiere in un altro campo cose più grandi, più importanti, egli ha un debito da pagare all'umanità. Ma, padre mio, ecco la mia opinione: per votarsi alla morte in prò della libertà e dell'onore nazionale nessuno é troppo buono, mentre molti sono troppo cattivi per ciò. Se Iddio mi ha veramente dato uno spirito alquanto superiore al comune e che sotto la tua guida imparò a pensare, in qual altro momento potrei meglio farlo valere che in questo momento? Una grande epoca vuole cuori grandi... So che tu avrai a soffrire, che la mamma piangerà; Iddio la conforti. Questo dolore io non ve lo posso risparmiare".

Sono questi i generosi sentimenti, che si radicarono fortemente nei cuori tedeschi e costituirono d'allora in poi una delle grandi forze della nazione germanica.

* * *
La gioventù tedesca, che si levò in armi nel 1813 e con tanti sacrifici riuscì finalmente a scacciare lo straniero, sognava una patria unita, potente, rispettata, che trascinasse i suoi figli in una marcia gloriosa verso la grandezza e la prosperità. Ma i diplomatici raccolti nel Congresso di Vienna, invece di tener conto dei sentimenti dei popoli, pensarono soltanto a conciliare gli interessi dei sovrani. In mezzo alle rivalità delle due Case d'Austria e di Prussia, che entrambe avrebbero desiderato dominare sulla Germania, si decise di non costituire un forte potere centrale, tanto più che esso non era voluto né dai singoli Stati tedeschi, che amavano conservare la propria indipendenza, né dalle grandi Potenze di Europa, che non volevano una Germania saldamente organizzata.
La Germania quindi uscì dal Congresso di Vienna (1815) molto più divisa ancora che l'Italia. Nonostante la semplificazione già portata dall' opera di Napoleone vi rimasero ancora 39 Stati, assai disuguali di forza poiché a fianco dell'Austria e della Prussia che contavano fra le grandi Potenze di Europa, vi erano dei ducati e dei principati, che non avevano nemmeno 50 mila abitanti. Ciascuno di questi Stati conservò intera la propria sovranità; solo per gli interessi comuni furono uniti in una Confederazione rappresentata da una Dieta, che si raccoglieva a Francoforte.

Data la completa indipendenza dei singoli Stati, la Dieta non era altro che una riunione di diplomatici incaricati di riferire ai rispettivi governi le proposte che venivano presentate e di regolarsi poi secondo le risposte che ricevevano; ora siccome nel grande contrasto di interessi che esisteva fra gli Stati grandi e piccoli era impossibile un accordo, così la Dieta era destinata all' inazione, e la Confederazione all'impotenza. Quest'organizzazione dispiacque agli uomini più insigni del paese, che avevano ormai la visione di una Germania grande ed una. Per attuare il loro sogno, essi dovevano naturalmente rivolgere
il pensiero ad abbattere I' ordinamento esistente. Come si cercò di arrivarvi?

Nella meravigliosa esplosione del 1848, l'anno delle illusioni e della poesia anche per la Germania, si credette che l'entusiasmo e la fede fossero sufficienti per compiere la grande opera della ricostituzione della nazionalità germanica. Con questa fiducia si convocò a Francoforte sul Meno un Parlamento Nazionale, del quale fecero parte gli uomini più eminenti di tutta la nazione tedesca; ed esso attese a preparare la nuova Germania. Ma questo Parlamento non aveva che una forza morale, così che presto finì per ridursi ad un congresso di studiosi, che discussero teoricamente sulla nuova organizzazione della Germania e formularono delle proposte, che i Governi poi non accolsero, mentre il popolo da parte sua si dimostrava inerte ad agire in antagonismo coi suoi Governi. Anzi quando nel 1849 la reazione trionfò dappertutto, il Parlamento di Francoforte fu sciolto colla forza. Così dopo la crisi rivoluzionaria la Germania ritornò nelle condizioni di prima.

Ma dopo il grande sviluppo dei sentimento di nazionalità era impossibile che la nazione tedesca si rassegnasse ancora a rappresentare nel mondo la parte insignificante che le derivava dal suo ordinamento politico. Anche la trasformazione economica, che si veniva effettuando, contribuiva a rendere più vive le nuove aspirazioni. Finché la Germania era stato un paese essenzialmente rurale con commerci assai scarsi e con orizzonti intellettuali limitati, essa poté anche accontentarsi della vita modesta e pacifica che la Confederazione le assicurava; ma quando coll'introduzione delle macchine nelle industrie e con la costruzione delle ferrovie si ebbe un rapido sviluppo di industrie e di commerci, questa trasformazione economica del paese rese più tangibili e più insopportabili i mille inconvenienti materiali che risultavano dal regime politico esistente, e avviò sempre più gli animi verso le aspirazioni unitarie.

Fra i vari Stati della confederazione predominava l'Austria; ma l'unità germanica non poteva essere fatta dall'Austria, potenza solo in parte tedesca e la cui esistenza stessa costituiva una contraddizione al principio delle nazionalità. Neppure i piccoli Stati del sud o del centro della Germania potevano avere la pretesa di compiere l'unificazione della nazione; perciò naturalmente quanti aspiravano ad un riordinamento nazionale della Germania rivolgevano i loro sguardi verso la Prussia.
Nel centro geografico della Germania del nord, sopra un suolo povero e triste, era cresciuta una popolazione forte di volontà, resistente alle più dure fatiche, resa più gagliarda dall'uso continuato delle armi e divenuta orgogliosa per i suoi successi militari. I suoi capi (la dinastia degli Hohenzollern) erano riusciti fin dal secolo XVII ad aggiungere alla loro antica marca di Brandeburgo (con capitale Berlino) il ducato di Prussia ad oriente ed i ducati renani ad occidente. Così il loro dominio venne ad estendersi dalla Vistola al Reno, ma era un territorio lungo e stretto e in alcuni punti interrotto da altri domini, il che destava facilmente le cupidigie dei vicini e nello stesso tempo suscitava nei suoi principi tutte le audacie; Federico Guglielmo I, il padre di Federico II , soleva dire: "Noi non possiamo affacciarci ad alcuna finestra senza l'elmo in capo".
La necessità di essere pronti per tutte le guerre, perché avevano la certezza di esservi sempre impigliati, obbligò gli Hohenzollern ad organizzare militarmente il paese e ad avvezzare i sudditi ad una disciplina di ferro. Guglielmo fu chiamato il "Re sergente" perchè governò la Prussia come una caserma.
Ma il figlio poi - pur restio in gioventù alla vita di caserma -
fu lui a trasformare tutta la Prussia in una caserma e farla diventare "la grande Germania".

( vedi qui la BIOGRAFIA di FEDERICO II - il "Grande" > > >

I sovrani stessi diedero per primi l'esempio di un sacrificio completo alla cosa pubblica. Mentre gran parte dei principi d' Europa mettevano il loro onore nel parodiare gli splendori ed i vizi della corte di Versailles, i Prussiani riguardavano con orgoglio i loro sovrani, sempre pronti alla fatica, economi, severi verso sé e gli altri, principi che si vantavano di essere i primi servitori dello Stato.
Da essi la nazione del dovere si estese a tutte le classi della società penetrando profondamente le coscienze. Questi sentimenti modellarono le anime per modo che tutti i cittadini prussiani, dal più alto al più umile, si sentirono come operai addetti allo stesso lavoro, ad un comune lavoro sublime, quello di preparare la grandezza e la prosperità dello Stato. Così l'energica volontà degli Hohenzollern assecondata per secoli dall'abnegazione e dall' eroismo del popolo portò la Prussia ad essere sin dal secolo XVIII una delle grandi Potenze d' Europa.

Era una Potenza essenzialmente militare, ma essa disponeva anche di un' ottima burocrazia, di funzionari che sorvegliavano scrupolosamente gli interessi che erano loro affidati e portavano nell' adempimento del loro dovere abitudini di esattezza, di ordine, di attività. E la burocrazia prussiana iniziò I' opera dell' unità nazionale orga
nizzando lo Zollverein (Lega Doganale), per il quale, prima ancora del 1848, ben 30 milioni di Tedeschi si trovarono uniti per interessi commerciali sotto il patronato della Prussia e coll'esclusione dell'Austria. Era questo un avviamento verso la soluzione del problema nazionale, e tale corrente si venne rafforzando ogni giorno di più anche in vista dei buoni risultati materiali dell'unione doganale.
II commercio come la letteratura, gli uomini d'affari come gli uomini di studio, tutti spingevano verso I' unità; ma la grande opera fu compiuta soltanto dall'esercito, il quale appunto perciò diventò l'elemento essenziale determinante il modo di pensare e di agire del popolo tedesco.

* * *
In questo pensiero, che cioè l'esercito dovesse essere lo strumento essenziale per l'attuazione degli ideali della Germania, si trovarono concordi i due maggiori artefici del grande edificio: il re ed il ministro.
Re Guglielmo I, salito al trono di Prussia nel 1861 in seguito alla morte del fratello, era nato nel 1797; giovanetto aveva assistito alle umiliazioni del suo paese, curvato sotto il predominio napoleonico; ma a 17 anni aveva provato la gioia della rivincita combattendo con le truppe prussiane in Francia ed entrando trionfalmente in Parigi a fianco di suo padre. Si era poi applicato con ardore alle cose militari dedicandovi tutti i suoi pensieri e i suoi studi. Aveva passato più di quarant'anni in questa vita esclusiva di continui esercizi militari prima di essere chiamato al trono. Egli aveva fede nella missione storica della sua dinastia ed aveva accolto nel suo cuore il magnifico programma nazionale delle menti più elette della sua generazione, di unificare cioè la Germania sotto l'alta direzione degli Hohenzollern, aspirazione che era divenuta allora più ardente in vista della fortuna raggiunta dall' Italia in quegli anni; ma era persuaso che per attuare quest'ideale occorreva essenzialmente la forza militare.

Sebbene, quando arrivò al trono, contasse già 64 anni, Guglielmo I, conservava una grande energia e fermezza di carattere; egli quindi non abbandonò il potere nelle mani dei suoi consiglieri, ma specialmente fino al 1870 esercitò un' azione diretta nella politica del suo governo. Non era un grande ingegno, ma possedeva la qualità più preziosa per un sovrano, quella di giudicare esattamente il valore degli uomini, così che riuscì a raccogliere attorno a sé quelli che meglio potevano contribuire al raggiungimento dei suoi scopi: prima di chiamare Bismarck alla direzione del governo egli di sua iniziativa collocò Moltke a capo dello Stato Maggiore e Roon al ministero della guerra, due scelte che dimostrano nel sovrano un singolare talento di penetrazione, perché Roon fu il mirabile organizzatore di quell'esercito, che attuò con precisione i sapienti piani di Moltke.

Nella politica interna Guglielmo era un geloso difensore dei diritti della Corona. Nella reazione che aveva tenuto dietro agli avvenimenti del 1848, le costituzioni che erano state date nei vari Stati della Germania sotto le pressioni popolari erano poi state soppresse; la Casa degli Hohenzollern però aveva lasciato sussistere la Camera ma con poteri assai limitati. I deputati liberali prussiani, fra i quali si trovavano uomini di alto valore come Virchow e Mommsen, credevano che convenisse alla Prussia rendere sempre più liberali le sue istituzioni e la sua politica, nella speranza che la Germania finisse per staccarsi dall'Austria assolutista e raccogliersi attorno alla Prussia; nonostante i disinganni del 1848-49 essi consideravano la formazione dell'unità nazionale come un problema di politica interna e confidavano ancora nelle conquiste morali. Miravano quindi ad allargare la costituzione prussiana, a dare al Parlamento una partecipazione più diretta e più efficace nel potere, a trasformare la monarchia temperata di Prussia in un governo veramente parlamentare. Guglielmo I invece considerava come suo dovere conservare alla monarchia la sua posizione di assoluto predominio nello Stato; perciò salendo al trono dichiarò esplicitamente che la corona gli veniva da Dio, ch'egli voleva restare il vero capo del suo popolo, il centro dello Stato, il signore del paese.

L'occasione, che determinò Io scoppio del contrasto fra il Re e il Parlamento, sorse appunto quando il Governo domandò fondi per aumentare le forze militari del paese. I deputati liberali vollero approfittare del malcontento suscitato da queste spese militari, di cui non appariva chiaro lo scopo, per affermare l' autorità della Camera, e rifiutarono i crediti richiesti. I ministri, ch'erano un po' imbevuti dell'atmosfera liberale dilatatasi ormai in gran parte d'Europa, consigliarono al re di fare qualche concessione; ma il re Guglielmo I si sentì urtato nel suo orgoglio dinastico. D'altra parte egli aveva personalmente collaborato al progetto
della riforma militare ed era persuaso che esso era assolutamente necessario per il compimento dei grandi disegni della Prussia; non volle quindi abbandonarne alcuna parte; perciò invece di far modificare il progetto cambiò il ministero scegliendo a dirigerlo l'uomo che gli sembrò più adatto per far trionfare la sua politica: il 23 settembre 1862 Ottone di Bismarck diventava presidente dei ministero prussiano.

Era l' nomo che occorreva al re per riuscire completo, poiché Guglielmo pur essendo deciso al conseguimento di un fine provava talvolta dei momenti di esitazione ed aveva bisogno di qualcuno che gli forzasse la mano, di qualcuno, che (come dice lo stesso Bismarck con frase non troppa rispettosa) gli facesse saltare il fosso davanti al quale stava irresoluto.

* * *
La fisionomia di Bismarck è notissima al pubblico per l'infinita quantità di ritratti e di caricature che tutti abbiamo visto, ma la maggior parte di essi rappresentano il grande statista dopo il 1870. Nel 1862 egli era nel fiore dell'età: aveva 47 anni. Colla sua colossale statura (era alto m. 1,88), colle sue larghe spalle, colla sua forte testa solidamente piantata sopra un collo vigoroso, coi suoi occhi superbi egli dava l'impressione di salute, di forza, di coraggio.
Era nato nel 1815 a Schoenhausen nella vecchia marca di Brandeburgo ed apparteneva ad antica nobiltà di campagna di mediocre fortuna; aveva cominciato a figurare nella vita pubblica negli avvenimenti del 1848 facendosi conoscere come un ardente assolutista, come un audace campione dei diritti della Corona in opposizione alla democrazia. Nel 1851 era stato mandato alla Dieta della confederazione germanica in Francoforte come rappresentante della Prussia; vi si fece subito notare come un nomo di forte volontà. Notissimo è l'aneddoto del campanello all'albergo: nella stanza, che gli era stata assegnata, non vi era campanello; egli lo aveva reclamato, ma inutilmente; un mattino il personale dell'albergo, i forestieri, i vicini sono messi sottosopra dal rumore di alcuni colpi di rivoltella; si corre verso la stanza donde sono partiti coll'ansia di trovarsi di fronte a qualche tragedia, e si trova Bismarck che con gran calma avverte d'aver adottato quel sistema per chiamare il cameriere. Naturalmente il giorno stesso il campanello fu messo, e nessuno fu poi servito più premurosamente di lui.

Nella Dieta di Francoforte chi presiedeva era il rappresentante dell'Austria, il quale fra le altre prerogative personali aveva questa: egli solo fumava durante le sedute. Un giorno Bismarck tira fuori il suo portasigari e davanti ai colleghi stupiti estrae un grosso sigaro, domanda del fuoco al rappresentante dell'Austria e si mette a fumare. Questo sigaro audace diede prestigio a lui ed origine a tutto un carteggio diplomatico, poiché gli altri rappresentanti trovarono quest' avvenimento così grave che lo riferirono ai loro governi domandando istruzioni. I governi non volendo decidere la cosa senza matura riflessione tardarono a rispondere, e così per sei mesi soltanto le due maggiori Potenze della confederazione fumarono; poi I'ambasciatore di Baviera volle salvaguardare l'onore della sua posizione e si mise a fumare; allora poco per volta anche gli altri tirarono fuori i loro portasigari; persino quelli che non avevano I' abitudine di fumare si sacrificarono per la dignità del loro ufficio. Ho ricordato quest' episodio perché esso serve a caratterizzare la nullità di quella Dieta: tutto si riduceva ad un duello continuo fra l'Austria e la Prussia, nel quale gli Stati secondari favorivano ora I' una ora I' altra delle due grandi Potenze allo scopo di paralizzarne ogni azione e così conservare la loro indipendenza. In tal modo la confederazione germanica era ridotta all'impotenza.

Ma se non era un posto di azione, la Dieta di Francoforte era un posto magnifico di osservazione; perciò negli otto anni passati colà da Bismarck le sue idee politiche si formarono e si precisarono, come ce lo dimostra la sua corrispondenza di quegli anni. Egli imparò a conoscere bene la Germania; si persuase che la confederazione era una cosa morta, che soltanto la Prussia poteva fare I' unità germanica e che per attuare questo sogno bisognava espellere l'Austria dalla Germania.
Nel 1859 Bismarck fu inviato ambasciatore a Pietroburgo, dove si accaparrò le simpatie dello zar Alessandro Il e per riuscirvi completamente si mise anche a parlare russo (Bismarck ebbe sempre una grande facilità per imparare le lingue). A Pietroburgo egli cercò di tener vive quelle disposizioni ostili all'Austria, che la Corte di Russia aveva dopo la guerra di Crimea; appunto da Pietroburgo, nel maggio del 1859, durante la guerra d'Italia, egli suggerì al governo prussiano d'approfittare dell'occasione per marciare contro l' Austria. Ma a Berlino si avevano altre viste; si temeva più Napoleone III che I' Austria, ed il fiero contegno della Prussia non fu una delle ultime ragioni che indussero Napoleone IlI a fermarsi a Villafranca.

Da Pietroburgo nel 1862 Bismarck venne destinato all'ambasciata di Parigi. Qui soggiornò pochi mesi, ma gli bastarono per conoscere esattamente l'animo ondeggiante di Napoleone III. Così quando nel settembre del 1862 venne chiamato a dirigere il governo prussiano, egli era ben preparato: conosceva a fondo i principali personaggi, coi quali avrebbe poi dovuto trattare.

***
Il pubblico invece non conosceva lui e non supponeva minimamente quali grandi disegni di politica estera si agitassero nella sua mente: lo credeva semplicemente un reazionario pronto a qualunque colpo di stato contro il Parlamento; perciò la sua nomina rese ancora più grave il conflitto del governo col partito liberale.
Bismarck, pienamente concorde col suo sovrano sulla necessità di accrescere le forze del paese, sostenne con ardore i progetti militari già presentati ; pochi giorni dopo la sua nomina a ministro dichiarò apertamente alla Commissione del bilancio che l'avvenire della Prussia si doveva raggiungere non con discorsi o con associazioni, ma "col ferro e col fuoco". La Camera urtata da queste frasi di Bismarck dichiarò che il nuovo ministro non godeva la sua fiducia. Fu sciolta; ma le nuove elezioni
non modificarono la situazione; così che le sessioni parlamentari del 1863-64 furono assai tempestose.
La costituzione restò in pratica sospesa; il governo si contentò dell'approvazione della Camera Alta e fece tutte le spese militari nonostante i voti contrari della Carriera dei deputati. Naturalmente l'opposizione dalla Camera si comunicò alla stampa ed al paese; Bismarck fece limitare la libertà di stampa.

In pochi mesi egli divenne l'uomo più cordialmente odiato in tutta la Prussia, tanto che lo stesso re Guglielmo ne rimase assai impressionato. A questo proposito Bismarck racconta nei suoi
Ricordi un episodio assai caratteristico: Un giorno egli cercava di confortare il re dicendogli che era pronto a continuare a governare senza maggioranza e senza l'approvazione dei bilanci; ma il re lo interruppe dicendo; « lo prevedo con precisione come tutto ciò andrà a finire; là, sulla piazza del teatro, si taglierà la testa a Lei e un po' più tardi a me." Il ministro guardò il re e soggiunse: "Et après, sire" « Après? après saremo morti" rispose Guglielmo. Bismarck allora placidamente osservò: « Si, saremo morti; ma prima o poi bisogna pur morire, e possiamo noi morire in modo migliore? »
Si vede qui la suggestione della grande idea che soverchia tutto, che conduce ad affrontare ogni pericolo. In ciò Bismarck è eguale al nostro Cavour. Ma quest'episodio ci fa anche rilevare la differenza sostanziale fra i due grandi statisti, poiché Bismarck nell'ideale dell'unità nazionale trascurò quelle libertà politiche, di cui Cavour fu sempre geloso custode al punto da dichiarare ch'egli preferiva la peggiore delle Camere alla migliore delle anticamere dei sovrani.

Bismarck è il fiero Tedesco adoratore della Forza; Cavour é I' Italiano geniale, apostolo ardente della Dea Libertà; e la diversità d'idee tra i due uomini, che diressero il movimento nazionale in Germania ed in Italia, influì anche potentemente sopra il diverso ordinamento interno dei due paesi: l'Italia ebbe un governo parlamentare, mentre in Germania il Reichstag non riuscì mai ad essere il potere predominante.
I quattro anni, dal settembre 1862 (quando assunse il potere) al luglio del 1866 (alla battaglia di Sadowa, anzi fino al trattato di Nikolsburg) rappresentano nella vita di Bismarck il periodo più agitato: egli aveva contro di sé non solo il Parlamento e una gran parte della stampa, ma anche la diplomazia, la corte, la regina Augusta, il principe ereditario Federico: e doveva ogni giorno assicurarsi che il re non finisse per cedere a tante pressioni contrarie.
I primi due problemi di politica estera, ch'egli dovette affrontare, furono quelli riguardanti la rivoluzione polacca del 1863 e la questione dei ducati danesi, ed egli seppe servirsi del primo per risolvere il secondo a vantaggio della Prussia. Comprendendo che per i suoi disegni contro la Danimarca gli occorreva assicurarsi la connivenza della Russia si affrettò a dare ad Alessandro II una grande dimostrazione d'amicizia aiutandolo a reprimere l'insurrezione polacca, e quest' amicizia tornò tanto più gradita allo zar di fronte al contegno ostile di tutto il resto d'Europa.

Per impedire poi che nella questione danese l'Austria prendesse la parte di rappresentante dei
mondo tedesco egli (che in cuor suo aveva già deciso di combattere l'Austria per escluderla dalla Germania) non esitò a combinare con essa un'azione comune. Del resto il suo ideale in politica estera (lo dichiarò egli stesso) fu sempre l'indipendenza da ogni sentimento di simpatia o d'avversione per qualsiasi paese straniero. "Fra i paesi stranieri io non ho sentito simpatia che per l' Inghilterra; ma se mi si proverà che la politica prussiana lo esige, farei tirare le nostre truppe sulle truppe inglesi colla stessa soddisfazione come sulle francesi, sulle russe e sulle austriache" .
Non nomina in questa lettera le truppe italiane non perché egli provasse maggiore simpatia per il nostro paese, ma perché queste parole furono da lui scritte prima del 1859, prima cioè che l' Italia contasse fra le Potenze d'Europa.

Quest'alleanza della Prussia coll'Austria indignò i liberali prussiani; essi rifiutarono i crediti domandati per la guerra. In quell'occasione Bismarck attaccò violentemente Virchow dicendo: « Virchow mi ha accusato di non avere alcuna idea di una politica nazionale; io posso rinviargli il suo rimprovero sopprimendo l'aggettivo; egli non comprende nulla in politica.» Nonostante il voto contrario della Camera prussiana la guerra ebbe luogo (1864), e la Danimarca dovette rinunziare a favore delle due Potenze vincitrici al Lauemburgo, all'Holstein ed allo Sleswig, cioè a quei territori, che fornendo alla Germania la meravigliosa rada di Kiel e dandole poi modo di condurre un canale dal Baltico al Mare del Nord dovevano preparare le condizioni necessarie per una grande Potenza marittima.
Gli avversari di Bismarck dicevano: Bel modo di scacciare l'Austria installandola anche in una parte dei ducati del Nord. Ma Bismarck sapeva che la comunanza di possesso é sorgente feconda di conflitti facili a suscitare; e quando si volle procedere alla divisione fra i due vincitori Bismarck condusse le trattative in modo tale da inasprire i rapporti e rendere inevitabile la guerra.

In tutte le guerre egli riuscì sempre con un' abilità diplomatica veramente geniale ad isolare il nemico. Nell'ottobre del 1865 si recò a trovare Napoleone Ill che villeggiava a Biarritz (presso Baiona); gli manifestò la necessità per la Prussia di scacciare l'Austria dalla Germania e di stringersi perciò coll'Italia, che avrebbe potuto ottenere il Veneto; e fece balenare dinanzi alla mente dell'imperatore dei Francesi vaghe speranze di vantaggi in un riordinamento tedesco. Napoleone III, che incominciava ad essere un po' malandato in salute, non prese una posizione decisa; manifestò le sue simpatie per il principio di nazionalità, ma non assunse alcun impegno formale. Egli credeva che la guerra sarebbe riuscita difficile alla Prussia e sarebbe andata per le lunghe; pensava quindi che la Francia avrebbe avuto tempo d'intervenire al momento opportuno, d'imporre la sua mediazione e di farsi dare un compenso. li ministro tedesco quando si fu persuaso che il governo francese non si sarebbe opposto alle sue mosse fu lieto di non essere costretto a precisare meglio le sue proposte, e appena ritornato a Berlino assunse verso l'Austria un contegno ancora più provocante di prima.

L'imperatore Francesco Giuseppe fece domandare a Bismarck se con questo contegno aveva intenzione di romperla coll'Austria; al che Bismarck rispose: "No; ma se avessi davvero quest' intenzione, potrei io rispondere diversamente?"
In realtà proprio in quei giorni egli stava concludendo l'accordo con l' Italia. II generale Alfonso La Marmora, che era allora presidente del consiglio dei ministri del regno d'Italia, sollecitato da Bismarck mandò a Berlino il generale Govone sotto il pretesto di studiare il sistema delle fortificazioni, ma effettivamente per concludere I' alleanza: I'8 aprile 1866 fu firmato a Berlino un trattato segreto fra l'Italia e la Prussia.
L'Austria comprendendo d'essere minacciata da due parti cominciò a prendere qualche provvedimento di difesa, il che fornì argomento a Bismarck per denunziare l'Austria come provocatrice e per prepararsi apertamente alla guerra. Anche I' Italia affrettò i suoi preparativi. In simili circostanze l'Austria fece offrire all'Italia per mezzo di Napoleone III la cessione dei Veneto, purché essa abbandonasse I' alleanza colla Prussia; ma Vittorio Emanuele volle mantenersi fedele all'impegno assunto. Allora Bismarck credette opportuno di precipitare le cose: nel giugno 1866 si iniziarono le ostilità.

Questa guerra fu essenzialmente voluta da Bismarck, che la giudicava necessaria per risolvere il vecchio contrasto coll'Austria: il re Guglielmo era sempre stato molto perplesso; la regina Augusta e il principe ereditario Federico erano addirittura contrari; anche gran parte dell'opinione pubblica in Germania era ostile a quest'impresa.
Essa non si presentava facile, perché oltre all'Austria la Prussia doveva combattere gli Stati tedeschi della confederazione, i quali, comprendendo che la vittoria della Prussia e l'esclusione dell'Austria dal mondo germanico avrebbero necessariamente diminuito la loro indipendenza, si dichiararono per l'Austria. Ma questi Stati erano scarsi di forze e si dimostrarono fiacchi e lenti nei loro preparativi per modo che la Prussia riuscì presto a metterli fuori causa; d'altra parte I' Austria dovette destinare una parte delle sue forze alla difesa dei Veneto contro gli Italiani, cosi che non poté raccogliere in Boemia che un esercito di 250 mila uomini sotto il comando del generale Benedek, mentre i Prussiani vi entravano con più di 300 mila uomini.

Appunto in questa guerra si incominciò a constatare l'importanza decisiva delle ferrovie per l'azione militare; l'Austria per trasportare le sue truppe dalla Moravia e dalla regione al nord di Vienna in Boemia non aveva che una sola linea ferroviaria, così che la massima parte dei soldati dovette recarvisi per via ordinaria, mentre la Prussia poteva disporre verso la Boemia di sei linee ferroviarie.
Il 1° luglio il generale Benedek essendosi accorto della grande superiorità che il nemico aveva su di lui e dei vantaggi che ad esso derivavano dal nuovo fucile ad ago perdette ogni fiducia in sé e nel suo esercito e telegrafò all'Imperatore « Prego caldamente V. M. concludere ad ogni costo la pace. Catastrofe per l'esercito inevitabile ». A Francesco Giuseppe parve strana la proposta di chiedere la pace al nemico prima d' una battaglia decisiva; lontano dal luogo degli avvenimenti non poteva comprendere come il suo generale fosse sicuro della sconfitta; rispose quindi: "Concludere la pace impossibile. Ordino, se non si può altrimenti, che si intraprenda la ritirata nel massimo ordine. Ebbe luogo una battaglia?" Per questa domanda, colla quale si chiudeva il dispaccio imperiale, Benedek si credette moralmente obbligato a dare una battaglia prima di battere in ritirata. Il 3 luglio, nei dintorni di Kònigràtz e di Sadowa, ebbe luogo lo scontro dei due eserciti: la disfatta degli Austriaci fu completa.

Il re Guglielmo ed i generali prussiani nell'ebbrezza della vittoria volevano spingere le cose all'estremo e proseguire la marcia su Vienna. La tentazione era forte e seducente, ma Bismarck seppe resistere, perché pensava all'avvenire: egli non voleva umiliare troppo l'Austria, né dar tempo a Napoleone IlI di armarsi e d'imporre la sua mediazione. Raccomandò perciò al suo sovrano di far subito la pace a condizioni moderate, ma non riuscì a convincere né Guglielmo né il consiglio di guerra; quei generali volevano sfruttare il loro trionfo ed entrare in Vienna. Disperato di non essere riuscito a persuaderli Bismarck provò tanto dolore, che rientrato nella sua stanza si buttò sul letto e pianse. Questa crisi in quell'uomo, che non sapeva che cosa fossero le lacrime, é assai caratteristica; essa ci dimostra quale immensa importanza avesse tale decisione nel suo programma. Superato questo momento di sconforto pensò d'esporre per iscritto in un rapporto al re il suo ragionamento minacciando anche di rassegnare le sue dimissioni; ma il repersistette nell'idea che bisognava trarre il massimo guadagno dalle vittorie dell'esercito. Il principe ereditario però era stato scosso dall'insistenza di Bismarck; andò a trovarlo e gli disse: "Ella sa che io fui contrario alla guerra coll'Austria; Ella la giudicò necessaria e ne porta la responsabilità; ora Ella é persuaso che lo scopo é raggiunto e che debba farsi la pace; io sono pronto ad appoggiare la sua opinione presso mio padre". Si recò dal re e ritornò una mezz'ora dopo dicendo: "La cosa é stata difficile, ma finalmente mio padre ha acconsentito".
Ed il consenso era espresso in quest' annotazione a lapis fatta sul margine del rapporto di Bismarck: «Dacché il mio presidente dei ministri mi lascia nell'imbarazzo dinanzi al nemico, ed io non sono qui in grado di sostituirlo, ho discusso la questione con mio figlio, e siccome questi si é schierato dalla parte del presidente dei ministri, mi vedo costretto, con mio dolore, dopo così splendide vittorie dell'esercito, a mandar giù questo boccone amaro e ad accettare una pace tanto vergognosa ».

Veramente la pace segnata nei preliminari di Nikolsburg era tutt'altro che vergognosa per la Prussia, poiché l'Austria oltre al pagamento di un'indennità cedette alla Prussia i suoi diritti sui ducati danesi, riconobbe sciolta la confederazione germanica del 1815 e lasciò carta bianca alla Prussia per il nuovo ordinamento della Germania rinunziando a parteciparvi e abbandonando al loro destino gli Stati tedeschi, ch'erano stati suoi alleati. Per la fretta di concludere e per impedire l'opera di mediazione offerta da Napoleone III Bismarck non si curò di far partecipare l'Italia alle trattative, così che il nostro governo apprese con dolore la notizia di questi preliminari conclusi senza il suo intervento; ma Bismarck con molta disinvoltura dichiarò ch'egli aveva semplicemente promesso d'aiutare l'Italia ad ottenere il Veneto, e che tale cessione era stata accordata. Se non si accettavano i patti fissati, tutte le forze dell'Austria, rese audaci dalle vittorie che essa aveva riportato sopra di noi, potevano ad un tratto piombare nella penisola.
Gli Italiani quindi dovettero subire le condizioni stipulate e adattarsi all'umiliazione di ricevere il Veneto attraverso la mediazione di Napoleone III. che volle rappresentare almeno questa parte nel grande avvenimento svoltosi senza il suo intervento.

L'esito della guerra del 1866 mutò l'avversione del popolo prussiano per Bismarck in una vera ammirazione, ed egli se ne valse per far la pace col Parlamento, per regolarizzare il passato con un
bill d'indennità. Ormai egli può procedere innanzi più facilmente; gli anni più difficili sono passati; egli ha fede sicura nel successo, e la Prussia e la Germania hanno fede in lui.
Egli attese anzitutto alla nuova organizzazione della Germania. Coll'uscita dell'Austria dal mondo germanico cessò quella rivalità fra le due grandi Potenze, che aveva tenuto in piedi la divisione della Germania; finì quel dualismo, sul quale i piccoli Stati giocando d'altalena avevano potuto conservare la loro indipendenza.
La Potenza predominante in Germania restò la Prussia. Essa ottenne un notevole ingrandimento territoriale. Anzitutto le vennero assegnati i ducati strappati alla Danimarca con la riserva "che le popolazioni delle province settentrionali dello Sleswig saranno di nuovo unite alla Danimarca purché ne esprimano il desiderio con un voto liberamente emesso », Bismarck però unì quei territori alla Prussia senza curarsi di interrogare le popolazioni; più tardi anzi per togliere ogni pretesto ad agitazioni approfittò delle buone relazioni ristabilite con l'Austria dopo il congresso di Berlino ed indusse questa Potenza ad abrogare formalmente questo articolo del trattato di pace.

Quanto agli Stati tedeschi, ch'erano stati alleati dell'Austria, la Prussia tolse loro i territori che più le accomodarono; ed anche qui l'annessione avvenne per solo diritto di conquista, senza domandare il parere delle popolazioni. Il re di Annover e l'Elettore di Assia Cassel, privati di tutti i loro dominii, pubblicarono delle proteste violente, che parvero un vero grido di guerra. Allora Bismarck stigmatizzò i Coriolani che volevano lacerare il seno della madre aggiungendo che «tutte le donne di Cassel e della Germania non sarebbero in grado di riconciliarli con la patria, come fecero le donne di Roma »; fece deliberare il sequestro del patrimonio del re di Annover e dei beni dell'Elettore di Assia e autorizzare il Governo a disporre degli interessi di tali capitali per sorvegliare gli agenti di questi principi, per perseguitare (com'egli disse) questi
rettili maligni persino nelle loro tane. Così si costituì un grosso fondo per le spese segrete che servì poi al governo prussiano per comperare la stampa, donde il nome di rettili passò ai giornalisti ministeriali.

Coll'occupazione di questi e di altri territori la Prussia diventò uno Stato più compatto, padrone delle coste del mare del Nord, e la sua popolazione salì da 19 milioni di abitanti a 24 milioni: si trovò quindi in grado di esercitare sul resto della Germania un'attrazione irresistibile.
Nel trattato di pace l'Austria aveva dichiarato di non opporsi alla formazione di un'unione federale più stretta fra gli Stati al nord del Meno: si trattava di 21 Stati, che fra tutti contavano appena sei milioni di abitanti e che dovevano raccogliersi attorno al Regno di Prussia. Essi quindi non poterono far altro che inchinarsi al predominio prussiano. Questa Confederazione del Nord fu molto diversa dall'antica: i singoli Stati conservarono bensìi loro governi, ma riconobbero nello stesso tempo l'autorità suprema del governo federale. Bismarck aveva raccomandato a chi preparava la costituzione di mantenere nelle apparenze una confederazione di Stati, ma di adoperare dei termini elastici che dessero modo di poter poi nella pratica accostarsi allo Stato Federale: questa frase caratterizza appunto l'organizzazione della Germania. Infatti furono lasciate ai singoli Stati attribuzioni assai larghe, ma essi le possiedono soltanto fino a che il governo federale non giudichi necessario attribuirsele. Questo governo federale é presieduto dal re di Prussia con carattere ereditario, ed egli esercita i suoi poteri per mezzo del Cancelliere. Oltre al Presidente il Governo Federale comprende un Consiglio Federale (Bundesrat) ed un'assemblea elettiva (Reichstag). Il Bundesrat, composto dei delegati dei singoli Stati, funzionari dei governi, si può considerare come la continuazione della Dieta di Francoforte.

Di fronte a questo Consiglio Federale, che rappresenta gli interessi dei principi, Bismark creò un'assemblea (Reichstag) eletta a suffragio universale, non certo per simpatie per le idee liberali, ma perché giudicò il popolo tedesco di tendenze più nazionali che i principi; egli dubitava che questi conservassero aspirazioni regionali: volle quindi servirsi del popolo per vincere le resistenze feudali e particolariste dei principi. La creazione di quest'assemblea costituiva una soddisfazione data alla democrazia, ma nel pensiero di Bismarck essa era essenzialmente il modo infallibile per rompere il regionalismo, per provocare un'irresistibile corrente nazionale e vincere le resistenze, che l'egoismo locale avrebbe potuto tentare contro il progresso dell'unificazione.
Pur ammettendo una Camera a suffragio universale Bismarck non intese affatto di dotare la Germania d'un regime parlamentare. II
Reichstag esercita semplicemente un'azione moderatrice nel governo, esprime dei voti, ma non ha alcuna azione precisa ed effettiva; non ha davanti a sé un ministero responsabile, ma soltanto il Cancelliere, un'autorità troppo alta perché un voto del Reichstag possa farlo cadere. D'altra parte le due Assemblee, essendo di origine così diverse, non possono trovarsi unite contro il governo; Bismarck pensava appunto che il Bundesrat, naturalmente aristocratico e monarchico, avrebbe servito per frenare le mire democratiche e parlamentari dei deputati e che il Reichstag, organo dell'opinione pubblica, avrebbe
giovato a vincere le resistenze particolariste dei governi. Così tra queste due Assemblee di tendenze necessariamente opposte l'autorità effettiva sarebbe appartenuta al Presidente, cioé al re di Prussia.

Rimanevano fuori di questa Confederazione del Nord i quattro Stati del Sud, cioè Baviera, Wúrtemberg, Baden e Assia-Darmstadt; essi erano stati alleati dell'Austria nella guerra e dovettero alla conclusione della pace cercare d'accordarsi col vincitore, il quale però si dimostrò abbastanza generoso accontentandosi del pagamento di un 'indennità e di una rettifica di frontiera. Nei preliminari di Nikolsburg si era detto che questi quattro Stati avrebbero avuto il diritto di formare una Confederazione germanica del Sud con una posizione internazionale indipendente. Era questa l'idea fissa di Napoleone III il quale credeva che la divisione della Germania in tre parti: confederazione del Nord, confederazione del Sud ed Austria avrebbe assicurato la Francia. Ma nell'accarezzare questa soluzione del problema germanico si ingannò, come si era ingannato a Villafranca nel credere possibile in Italia una confederazione: si ingannò perché non conosceva bene il cammino fatto dal sentimento nazionale negli ultimi anni, e perché trovò anche in Germania lo statista che seppe sventare i suoi disegni approfittando subito di una sua mossa sbagliata.

Dopo i preliminari di Nikolsburg Napoleone III, che sentiva il malcontento dell'opinione pubblica francese per l'ingrandimento della Prussia, desiderava ottenere qualche compenso sul Reno; credendo che il re di Prussia non avrebbe avuto difficoltà a cedergli qualche territorio dei principi, che avevano fatto causa comune coll'Austria, domandò le province renane della Baviera e dell'Assia. Bismarck, che ormai finita la guerra si sentiva sicuro, non solo rifiutò con alterigia di cedere qualsiasi parte di territorio tedesco, ma si servì di queste velleità annessioniste della Francia per spaventare gli Stati del sud; dichiarò che soltanto la Prussia poteva proteggerli purché si attaccassero alla sua politica, ed essi si indussero a concludere separatamente col governo prussiano dei segreti trattati di alleanza. Così gli Stati del sud legarono le loro armi e la loro politica alle armi ed alla politica della Prussia. Bismarck poi con la riorganizzazione dello Zollverein strinse gli Stati del sud al nord anche per gli interessi commerciali.

* * *
Ma a questo punto il movimento d'unione parve fermarsi. In fondo le popolazioni del sud con i trattati conclusi avevano ormai la sicurezza politica ed i vantaggi economici dell'unione; non sentivano quindi il bisogno di legarsi in modo più stretto: i governi per il desiderio di difendere la loro sovranità, i popoli per un po' di antipatia per il predominio prussiano. Nel 1869 l'illustre storico Ferdinando Gregorovius trovandosi a Monaco scriveva nei suoi Diari: « Mi sembra che il prussianesimo berlinese incuta spavento nel sud, e ciò durerà certo ancora molto ». A precipitare le cose, ad abbattere la barriera che divideva ancora il sud dal nord, Bismarck pensò che occorreva suscitare una questione che risvegliasse le passioni e trascinasse con sé principi e popoli, che bisognava far sorgere una grande guerra d'interesse nazionale, dinanzi alla quale le piccole rivalità locali svanissero; perciò volle e preparò la guerra contro la Francia, contro quello ch'era detto il nemico ereditario. E qui dobbiamo fermarci un momento sopra la notissima accusa di falso, che venne fatta a Bismarck a proposito del così detto dispaccio di Ems.

Come é noto, la candidatura di un Hohenzollern (Leopoldo) cugino del re di Prussia al trono di Spagna aveva suscitato un grande sdegno in Francia; il governo francese protestò; ed il re di Prussia, dopo aver dichiarato che si trattava d'un semplice affare di famiglia che non riguardava affatto il governo di Prussia, promise come capo della famiglia Hohenzollern che se suo cugino ritirava la sua candidatura egli lo avrebbe approvato; e poiché il principe Leopoldo rinunziò, parve scongiurato ogni pericolo di guerra. Ma il governo francese pretese ancora che il re Guglielmo assicurasse che quella candidatura non verrebbe più ripresentata. Guglielmo I si trovava allora ai bagni di Ems (presso Coblenza); rimase indispettito di questa insistenza; perciò quando l'ambasciatore francese Benedetti domandò una nuova udienza per apprendere la decisione del re su quest'ultima richiesta del suo governo, gli fece dire dal suo aiutante di campo che colla rinunzia del principe Leopoldo egli considerava l'affare finito e che non aveva più nulla da aggiungere; poi telegrafò a Bismarck le circostanze di quest'ultimo episodio.

Bismarck era a Berlino ed aveva passato quella giornata (13 luglio 1870) in una grande ansietà, perché vedeva sfuggirgli di mano l'occasione di questa guerra da lui giudicata indispensabile per compiere l'unità germanica. Aveva invitato a pranzo Moltke e Roon e parlava con essi della situazione quando arrivò il dispaccio reale di Ems. Alla prima lettura i tre commensali provarono un senso di costernazione, poiché sembrò ad essi che l'affare fosse finito; ma Bismarck rileggendo il dispaccio fermò la sua attenzione sulle ultime linee, nelle quali il re dichiarava di rimettersi in lui per decidere se le nuove esigenze del governo francese ed il rifiuto opposto dovevano essere comunicate ai rappresentanti della Prussia all'estero ed alla stampa; il re così gli forniva il mezzo di riaprire la questione. Bismarck domandò a Moltke se l'esercito era pronto, e Moltke rispose energicamente di sì soggiungendo che bisognava aprir subito le ostilità per essere superiori al nemico. Allora Bismarck facendo delle cancellazioni nel dispaccio ridusse le 232 parole di esso a solo cento parole, e così diede al rifiuto del re di continuare le trattative una forma più asciutta e più altera sopprimendo le spiegazioni che gli toglievano ogni carattere ingiurioso. In realtà questo riassunto non é falso e neppure inesatto, soltanto fa un'impressione diversa. Del resto il dispaccio di Ems non creò la guerra tra la Francia e la Germania; essa era ormai inevitabile; questo dispaccio servì soltanto a farla scoppiare nel momento propizio per la Germania.

Napoleone III, sempre più malandato in salute e fatalista all'eccesso, si lasciò trascinare alla dichiarazione di guerra dai consigli dei suoi ministri, che credevano alla possibilità di stringere alleanza con l'Austria e con l'Italia e gli dichiaravano risolutamente che l'esercito era pronto e fornito di tutto, e dai suggerimenti dell'imperatrice, che pensava soprattutto a suo figlio e desiderava che il nuovo regno si inaugurasse sotto il prestigio di grandi vittorie. Invece le alleanze coll'Austria e con l'Italia fallirono, sia perché Napoleone III per non disgustare il partito clericale non volle ritirare le sue truppe da Roma, sia per il contegno della Russia, poiché lo zar per le promesse fattegli da Bismarck di lasciargli carta bianca in Oriente minacciò d'attaccare l'Austria se ci fosse mossa contro la Prussia.

Anche questa volta, come nelle due guerre precedenti, Bismarck riuscì ad isolare completamente il nemico. L' Inghilterra si limitò a dichiarare che considererebbe come causa di guerra qualunque violazione della neutralità e dell'indipendenza del Belgio; e poiché questa violazione non avvenne, si mantenne neutrale.
Il governo francese sperava che gli Stati della Germania del sud e specialmente la Baviera, gelosi del predominio prussiano, si sarebbero o alleati con la Francia (come ai tempi napoleonici) o almeno mantenuti neutrali; ma la vecchia Germania, sulla quale Napoleone III faceva assegnamento, non esisteva più; i pochi, ch'erano malcontenti della nuova organizzazione, restarono paralizzati dalla corrente generale dell' opinione pubblica. Tutta la Germania marciò concorde contro la Francia, e con la grande superiorità della sua organizzazione militare schiacciò completamente l'antico rivale, catturando perfino l'Imperatore francese.

Bismarck, persuaso (per dirla con una sua frase. che farà poi fortuna delle guerre di fine e inizio anno 2000) che "quest'operazione chirurgica" fosse necessaria per risanare le vecchie malattie ereditarie tedesche, non permise che la guerra venisse evitata, la volle subito, rapida, senza misericordia. Verso l'Austria egli pensando all'avvenire aveva insistito perché lo Prussia vincitrice fosse indulgente, ma verso la Francia ogni indulgenza é per lui un errore, il germe di future rivincite. Nello guerra dei 1870 Bismarck si dimostrò veramente brutale. Un giorno il ministro francese Giulio Favre si lagnava con lui che le artiglierie tedesche dinanzi a Parigi facessero fuoco sugli ammalati ricoverati nell'Istituto dei Ciechi; e Bismarck sorridendo rispose: « Non so che cosa Ella ci trovi di tanto crudele; da parte vostra fate ben peggio; sparate sui nostri soldati che sono.... tutti giovani..... sani..... ed utili uomini".
Sui campi di battaglia francesi, in mezzo all'entusiasmo della vittoria, le piccole rivalità fra il Nord ed il Sud scomparvero e si suggellò l'unità germanica. Si incominciò a parlare della nuova unione da sostituirsi ai particolari trattati di alleanza e si prese per base lo confederazione del Nord ; in sostanza gli Stati del Sud entrarono nella confederazione. Era naturale che il compimento dell'unità venisse consacrato con la restaurazione di quell'impero germanico, il cui ricordo era tanto radicato nel cuore della nazione.

Veramente il re Guglielmo I non aveva alcun desiderio di cambiar titolo: era vecchio (contava già 73 anni), ascoltava volentieri le lamentele dei conservatori contro le novità e provava un po' di malinconia a mettere in seconda linea il titolo di re di Prussia; Bismarck più giovane e più capace di rinnovellarsi aveva accolto facilmente l'idea imperiale; ma chi ne era addirittura entusiasta era il principe ereditario Federico.
Si stabilì la cerimonia per il 18 gennaio 1871, anniversario del giorno in cui 170 anni prima Federico I degli Hohenzollern aveva cinto per la prima volta lo corona regia di Prussia; ed anche in questa occasione si volle riaffermare il trionfo della forza. La proclamazione dell'impero germanico non ebbe luogo né a Berlino, la vecchia capitole degli Hohenzollern, né ad Aquisgrana presso la tomba di Carlomagno, né in alcun'altra delle città tedesche che potevano richiamare cari ricordi nozionali; la si fece invece a Versailles nella grande galleria degli specchi di quel palazzo reale, dal quale Luigi XIV aveva dettato legge all' Europa, per unire per sempre al nome stesso dell'impero tedesco il ricordo dell'umiliazione inflitta alla Francia.

Bismarck anzi credette che per completare l'unità tedesca fosse necessario strappare alla Francia le province dell'Alsazia e della Lorena; ma con questa forzata annessione egli fece sorgere una nuova questione internazionale. Nella protesta, redatta in quei giorni da Leone Gambetta e sottoscritta da 107 deputati (fra i quali figura Clemenceau), si affermano in modo evidente le dolorose conseguenze di questo atto di violenza: - « L'Europa non può permettere né ratificare l'abbandono dell'Alsazia e della Lorena. Custodi delle regole della giustizia e del diritto delle genti le Nazioni civilizzate non saprebbero restare più o lungo insensibili alla sorte della loro vicina sotto pena di essere a loro volta vittime degli attentati che esse avrebbero tollerato... L'Europa moderna deve per la sua propria conservazione interdire simili abusi di forza. Essa sa d' altra parte che l'unità dello Francia é, oggi come per il passato, una garanzia dell'ordine generale del mondo, una barriera contro lo spirito di conquista e d'invasione. La pace fatta al prezzo di una cessione del nostro territorio non sarebbe che una tregua rovinosa e non una pace definitiva. Essa sarebbe per tutti una causa d'agitazioni intestine una provocazione legittima e permanente alla, guerra.

Queste province strappate alla Francia non furono da Bismarck annesse alla Prussia, ma dichiarate paese dall'impero (
Reichsland) e messe sotto il diretto potere del governo imperiale, per non mescolare alle questioni politiche delle questioni dinastiche, ed anche perché egli giudicava più facile che gli Alsaziani si famigliarizzassero col nome di Tedeschi che con quello di Prussiani. Mentre nelle altre regioni si doveva cercare di cancellare il regionalismo, in Alsazia bisognava anzitutto rinforzarlo: -"quanto più --- diceva Bismarck --- gli abitanti dell'Alsazia si sentiranno Alsaziani, tanto più smetteranno il francesismo". Col proposito di procurare la rigermanizzazione del paese si fondò in Strasburgo una grandiosa Università tedesca; ma tutti questi tentativi riuscirono vani, ed oggi la questione dell'Alsazia-Lorena (1919 ndr.) é più viva che mai.

* * *
Dopo aver fondato l'impero Bismarck attese a radicarlo saldamente nelle leggi, nei costumi, nelle abitudini tedesche. Questa seconda parte dell'opera sua non è meno interessante, ma in generale vi ci si ferma poco l'attenzione, perché la prima, l'opera di ferro e di sangue, è più clamorosa.
Anche nelle riforme interne Bismarck fece conoscere di non avere preoccupazioni teoriche; dichiarava apertamente il suo disdegno per le teorie e canzonava Gladstone, il grande campione del liberalismo, dicendolo
il professore Gladstone. Egli aveva un' antipatia cordiale per i professori, sempre troppo teorici a suo giudizio; eppure erano stati quei professori tedeschi pieni di teorie, che avevano creato l'ambiente necessario per l'attuazione della sua politica.
Indifferente per le teorie egli variò la sua azione a seconda delle circostanze. Fino al 1866 era stato con i conservatori, anzi con i reazionari più accaniti; ma nella grande trasformazione, che la guerra del '66 portò in Germania, i conservatori si trovarono presto a disagio, videro intaccati gli ultimi avanzi del loro potere e delle loro abitudini; e allora Bismarck ricercò la collaborazione dei liberali per attuare la nuova organizzazione dei paese. In pochi anni, specialmente dopo il 1870, tutto fu riformato: amministrazione, giustizia, finanza, mentre i cinque miliardi pagati dalla Francia procuravano uno sviluppo rapidissimo di tutte le iniziative.

I conservatori, urtati da tante riforme, non nascondevano il loro malumore e cercavano di fermare il movimento servendosi della loro influenza personale a Corte. Ma un'opposizione più forte e più decisa fu quella dei cattolici. In Prussia i cattolici erano una minoranza trascurabile, ma nell'impero sopra i 40 milioni di abitanti d'allora si contavano 14 milioni di cattolici, gran parte dei quali rappresentavano anche sentimenti particolaristi di alcune regioni. In generale poi il clero cattolico era dispiacente che la corona imperiale fosse toccata ad una dinastia protestante, tanto più che questa non solo non aveva voluto saperne d'accogliere l'invito di intervenire in Italia per ristabilire il potere temporale, ma difendeva anche con energia i diritti dello Stato di fronte alla Chiesa. Questo partito cattolico assunse un none senza significato politico (frazione del
Centro), ma fece capire chiaramente i suoi intendimenti scegliendo a suo capo il deputato Windthorst, che e era già fatto conoscere per il più formidabile avversario parlamentare di Bismarck.
Così si iniziò quella lotta, che il grande scienziato Virchow appellò Kulturkampf (
lotta per la civiltà). Nelle discussioni sopra quest'argomento Bismarck pronunziò i suoi migliori discorsi. Bismarck non fu un grande oratore, anche perché non sentiva il bisogno di persuadere ; sapeva d'avere la forza ed il potere e ciò gli bastava. I suoi discorsi sono in generale troppo lunghi, non bene ordinati, un po' confusi, ma qualche volta il suo pensiero finisce per districare; così in un discorso del 1873 a propoeto delle nuove leggi ecclesiastiche da lui proposte chiarì molto bene la situazione : "Non si tratta già, come si vuole dare ad intendere ai nostri concittadini cattolici, della lotta di una Dinastia evangelica contro la Chiesa cattolica, non si tratta della lotta per la fede o la irreligiosità; si tratta dell' antichissima lotta per il potere, antica come il mondo, della lotta fra monarchia e sacerdozio, lotta assai più antica della comparsa sulla scena del nostro Redentore, lotta in cui si trovava Agamennone in Aulide con i suoi auguri e che costò a lui la figlia e impedì ai Greci di salpare, lotta che ha riempito la storia germanica dei medio evo sotto il nome di lotta dei Papi cogli Imperatori... Lo scopo che balenò sempre senza interruzione dinanzi agli occhi del Papato è l'asservimento dei potere laico allo spirituale, uno scopo eminentemente politico... È uno spostamento della questione, calcolato per fare effetto sulla gente senza giudizio, il raffigurarla come se e trattasse di opprimere la Chiesa. Si tratta di difendere lo Stato, si tratta di delimitare fin dove deve arrivare la signoria sacerdotale e fin dove quella del re"
.
Coi temperamento di Bismarck e arrivò presto agli estremi: quasi tutti i vescovati si trovarono vacanti, perché i loro titolari erano o in prigione o in esilio. Alle persecuzioni del governo rispose il linguaggio sempre più violento della stampa cattolica, e a questo tenne dietro un attentato: il 13 luglio 1874 un fanatico tentò d'uccidere con un colpo di pistola Bismarck, che restò soltanto leggermente ferito. Nonostante le minacce e i pericoli Bismarck continuò la lotta. Nel 1875 i giornali tedeschi interpreti del suo pensiero dichiararono di rimpiangere che il papa non fosse più un sovrano temporale, perché in tal caso alle sue scomuniche si sarebbe potuto rispondere come aveva fatto Napoleone I, facendo cioè sbarcare a Civitavecchia un corpo di soldati, che si sarebbero impadroniti di Pio IX e lo avrebbero condotto prigioniero in qualche fortezza della Germania, dove egli avrebbe avuto modo di riflettere sulla validità delle leggi tedesche. Non potendo far ciò Bismarck insistette presso il governo italiano affinché impedisse che il papa potesse lanciare da Roma delle bolle oltraggiose per la Corte di Berlino; ma il governo italiano sostenne la completa indipendenza del pontefice nell'esercizio del suo ministero ecclesiastico.

In quei giorni Bismarck lamentò anche che dal Belgio partissero incoraggiamenti agli ecclesiastici tedeschi che si ribellavano alle leggi dell'impero e domandò al governo belga di modificare la sua legislazione per poter impedire ai suoi sudditi di turbare la pace interna dello Stato vicino. La
Gazzetta di Colonia sottolineò il reclamo con queste parole: « Se i Belgi continuano a disconoscere i loro interessi naturali, non è affatto improbabile che lo stesso secolo veda il principio e la fine dello Stato belga ». Ma l'Inghilterra si allarmò di questa minaccia, e Bismarck finì per lasciar cadere la questione.
Intanto il rapido sviluppo delle industrie verificatosi in Germania dopo il 1870 aveva determinato un aumento enorme d' operai, ed in seno ad essi il socialismo incominciò a fare grandi progressi. Bismarck impressionato si staccò dai liberali per accostarsi di nuovo ai conservatori, ed approfittando della politica più calma e più abile del nuovo papa Leone XIII si riconciliò con lui per avere l'appoggio del
Centro; prese poi a perseguitare i socialisti con uno di quegli odii tenaci ed implacabili che costituivano il fondo del suo carattere. Ma anche combattendo i socialisti Bismarck sentiva che nel loro programma vi era qualche cosa di giusto e di realizzabile; perciò attese con grande energia alla preparazione di leggi sociali e nel 1881
presentò i primi progetti sull'assicurazione degli operai contro gli infortuni e contro le malattie.

In tutto egli dimostrò uno straordinario senso pratico; anche nella politica coloniale subordinò sempre gli acquisti lontani ai suoi interessi vicini. Giudicava le colonie un utile complemento d'influenza, ma non voleva che esse assorbissero troppo il pensiero e l'attività della nazione; non ci teneva ad avere le mani nette, ma voleva averle sempre libere; perciò si contentò di far occupare piccoli territori allo scopo d'aprire la via alle future ambizioni germaniche. Nello stesso tempo cercò subito di influire sopra le altre Potenze raccogliendo nel 1884 la conferenza di Berlino per un accordo internazionale riguardo all'Africa.
* * *
L'attenzione principale di Bismarck fu sempre rivolta alla politica estera.
I meravigliosi successi delle armi tedesche nel "70 avevano portato al colmo la potenza ed il prestigio della Germania, così che il nuovo impero diventò il perno della vita politica d'Europa. Lo stesso imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, che allo scoppio delle ostilità franco-germaniche aveva sperato di poter prendersi una rivincita sopra la Prussia, si affrettò a riconoscere che il lungo contrasto in Germania tra gli Absburgo e gli Hohenzollern era definitivamente risolto in favore di questi ultimi e si riconciliò sinceramente con essi. L' imperatore di Russia non volle restar fuori di quest'amicizia austro-germanica, e così nel 1872 con la venuta a Berlino di questi due sovrani si ebbe la manifestazione solenne dell'accordo dei tre imperatori.
Ma più ancora che coll'azione diplomatica la nuova Germania si propose d'assicurare il suo avvenire mantenendo una formidabile organizzazione militare sempre pronta per la guerra; perciò seguendo l'esempio della Prussia pensò a costituire subito un tesoro di guerra, e sull'indennità imposta alla Francia destinò a tale scopo 150 milioni da tenere in deposito in monete d'oro e d'argento, che furono rinchiuse nel castello di Spandau presso Berlino. Il lasciare infruttifero un capitale così ingente poteva sembrare un grave errore economico; ma il deputato Miquel ne espose chiaramente i vantaggi: « Il primo effetto di un subitaneo pericolo di guerra é notoriamente uno scomparire di ogni fiducia nei valori cartacei, nei titoli di credito che servono in tempo di pace; tutti domandano e vogliono denaro sonante; governo, banche, uomini d'affari e persino i privati vogliono avere nei loro scrigni del denaro contante onde garantirsi per tutti i casi nei quali non corra la carta moneta. Il denaro coniato sparisce dalla circolazione aumentando le preoccupazioni generali, il credito cade, il panico scoppia. Se in mezzo ad una situazione simile rifluisce nella circolazione improvvisamente una somma, non ancora statavi, di molti milioni in monete coniate e il contante che tutti domandano, in luogo di sparire, cade come una pioggia benefica sui campi arsi, la fiducia persiste, il credito ritorna e si evita il panico. Ecco quanto fu osservato in Germania nel luglio 1870 a motivo dei tesoro di guerra prussiano, che venne a rimpiazzare il denaro che si nascondeva".

Il partito militare prussiano vedendo la Francia rialzarsi rapidamente dai disastri subiti manifestava l'opinione che si dovesse approfittare della superiorità incontestabile delle forze tedesche per rinnovare prontamente la lotta; nel 1875 Bismarck parve aderire a quest'ordine di idee per modo che si ebbe una viva preoccupazione in tutta Europa di uno scoppio prossimo della guerra. Ma la Russia e l'Inghilterra non si dimostrarono disposte a permettere un ulteriore indebolimento della Francia e diedero opera a dissipare le diffidenze tra i due governi; poco per volta il panico di una prossima guerra svanì. II contegno della Russia in quell'occasione indispettì Bismarck; sino al 1870 egli eveva potuto servirsi della Russia per trattenere l'Austria, ma poiché ora la prima non si dimostrava più così docile, Bismarck incominciò a pensare ad un rovesciamento dell'antico accordo.
La questione d'Oriente venne a facilitargli questo passaggio. Veramente Bismarck dichiarava di disinteressarsene perché a suo giudizio la questione d'Oriente non valeva le ossa di un solo granatiere della Pomerania; ma in realtà sorvegliava attentamente quegli avvenimenti perché nella sua tenebrosa politica vi vedeva il modo di accentuare la discordia tra la Russia e I' Austria, il che lo avrebbe reso arbitro della situazione europea. Tale infatti apparve nel Congresso di Berlino (1878), ed in esso egli favorì le mire ambiziose dell'Austria preparando così la nuova situazione politica: nel 1879 fu stipulata l'alleanza austro-germanica diretta specialmente contro la Russia. Per assicurarsi poi dalla parte della Francia egli spinse questa nazione ad un'ardita espansione coloniale aggravando così i contrasti franco-inglesi e franco-italiani; l'occupazione francese di Tunisi determinò l'Italia a gettarsi nell'alleanza austro-germanica, e così sorse nel 1882 la TRIPLICE ALLEANZA a profitto essenziale dell'impero tedesco.

Ma per Bismarck la garanzia più sicura consisteva sempre nei grandi armamenti " - Non so che farmi - diceva egli in un suo discorso - di ciò che ci si assicura qui in Parlamento col dire: se giunge il pericolo, potete calcolare sull'ultimo tallero, potete calcolare che risponderemo coi beni e col sangue. Queste sono parole e non so che farne; parole non sono soldati e discorsi non sono battaglioni; se abbiamo il nemico in casa e noi gli leggiamo questi discorsi, egli si burla di noi...." ...."Noi Tedeschi - concluse in un altro suo famoso discorso - temiamo Dio, ma null'altro al mondo ».
In quest'ultimo periodo Bismarck aveva avuto la mano completamente libera nel governo, perché l'imperatore Guglielmo, che fin dal 1877 aveva celebrato il suo ottantesimo anno d'età, si affidava interamente a lui. Quando Guglielmo I morì (l'8 marzo del 1888), suo figlio Federico III, che ispirava le più vive simpatie, era moribondo; perciò nei suoi tre mesi di regno Bismarck continuò ad avere piena libertà di azione. Ma il 18 giugno del 1888 salì al trono il 29 enne Guglielmo II.

Nato nel 1859 era cresciuto al suono delle grandi vittorie tedesche GUGLIELMO II si era imbevuto di gloria e di patriottismo; d'ingegno pronto, di carattere deciso, di un'attività febbrile ed ingombrante non tardò a trovar fastidiosa la tutela di Bismarck. II contrasto tra la volontà ferrea del vecchio Cancelliere e la baldanza sconfinata del giovane imperatore durò qualche tempo; finalmente nel marzo del 1890 Guglielmo II obbligò Bismarck a rassegnare le sue dimissioni e a ritirarsi a vita privata.
Aveva 75 anni; aveva lavorato in modo indefesso per tutta la sua vita, eppure non sentiva bisogno di riposo; sentiva invece sempre il bisogno di agire, e restò fieramente disgustato contro Guglielmo II. Quando questi a testimonianza di onore gli assegnò il titolo di duca di Lauemburg (a ricordo della prima guerra preparata da Bismarck), il vecchio ministro colla sua solita mordacità rispose che se ne sarebbe servito quando avesse voluto viaggiare in incognito. Ritiratosi nel suo castello di Friedrichsruhe (presso Amburgo) riprese le sue laboriose abitudini di gentiluomo campagnolo, ma non seppe sempre far tacere il suo malumore per l'offesa patita. Però nei
Ricordi e Pensieri da lui scritti nel suo riposo involontario egli arresta la sua narrazione colla morte di Federico III; alcuni credono ch'egli abbia lasciato un terzo volume, ma può anche darsi ch'egli abbia giudicato sola forma di protesta degna di sé il non parlare di Guglielmo II.
Bismarck si spense il 30 luglio 1898 a 83 anni d' età.
* * *

Naturalmente nei limiti di spazio assegnati a questo profilo non é possibile esporre tutta la vita politica di Bismarck, poiché egli riempì di sé ben trent'anni della storia di Europa: solo mi sono proposto di fermare l'attenzione del lettore sopra alcuni punti che fanno specialmente risaltare le caratteristiche di questa grande personalità.
Bismarck si vantò sempre di essere eminentemente positivo ed utilitario. Quando, al colmo della potenza e della gloria, egli presiedette il Congresso di Berlino non seppe trovare altra immagine per indicare la sua funzione d'arbitro dell'Europa che quella di un grande
sensale; e sotto la sua ispirazione la vita politica delle grandi Potenze finì per ridursi ad una gara di rapine.
Egli affermava apertamente che l'utile é il criterio, la regola, la misura di tutto; per lui tutto ciò che non rende é in politica un pregiudizio, del quale bisogna liberarsi; perciò l'immaginazione e il sentimento furono da lui considerati sempre come due grandi nemici, che si devono fieramente combattere.

Egli li conobbe questi nemici, perché erano personificati nella consorte dei suo sovrano, la principessa Augusta di Weimar. Questa nipote del celebre protettore di Goethe aveva passato la giovinezza in un ambiente molto intellettuale, aveva un'anima nobile e generosa ed una mente aperta a tutti i progressi del pensiero moderno. Essa sosteneva apertamente i liberali e desiderava esercitare il suo influsso in loro favore ; diventò quindi presto la grande nemica di Bismarck.
Quest'uomo, che marciava sempre diritto al suo scopo ed abbatteva ogni ostacolo che si presentava sul suo cammino, dovette molte volte a malincuore rigirarsi per stornare l'effetto di questa opposizione, la sola contro cui non potesse muovere coi suoi soliti procedimenti brutali. Ed ancora tanti anni dopo, nel silenzio dei suo riposo, scrivendo le sue
Memorie, fra tanti nemici ed avversari combattuti ed abbattuti egli si ricorda specialmente di questa grande nemica e scrive lunghe pagine sulla opposizione da lei fattagli.
Una sera in un ballo di corte Bismarck, stanco del contrasto, disse all'imperatrice d'aver riguardo alla salute già malandata dell' imperatore e di non esporlo agli effetti di dissensi politici. A queste parole l'imperatrice si drizzò sulla persona, e il suo sguardo, dice Bismarck, scintillò di un fuoco quale non vidi mai né prima né dopo. "Non ho mai visto l' imperatrice Augusta così bella come in quel momento". Questa osservazione di Bismarck viene a completare la sua fisionomia morale: per lui anche nel campo estetico vi deve essere una nota d'odio per avere la Bellezza.

Che odiano pure, purché temano; questa fu la divisa di Bismarck,
e purtroppo essa diventò la divisa della nazione tedesca.

Il programma attuato da Bismark, di raccogliere la Germania sotto la direzione degli Hohenzollern, era il programma messo innanzi già da lungo tempo dai più insigni pensatori della Germania, ma la parte sua originale consiste nel mezzo adoperato per attuarlo. Bismarck aveva pensato che per spezzare le resistenze interne bisognava che il problema dell'unità tedesca diventasse un problema di politica estera, perché solo di fronte allo straniero si poteva scuotere tutto il mondo tedesco; di qui le tre guerre colla Danimarca, coll'Austria, colla Francia; esse costituiscono i tre atti di un grande dramma, atti che si legano l'uno all'altro e si chiudono col trionfo della Germania.

La leva dunque adoperata per raggiungere ii grande intento fu la forza materiale. Se noi prendiamo ad esaminare i discorsi di Bismarck troviamo che la parola forza é quella che viene ripetuta più spesso; dopo di essa si trova ripetuta frequentemente la parola Dio, ma sempre in modo da far comprendere che il Dio invocato é completamente al servizio della forza tedesca.
Gli avversari di Bismarck gli attribuirono una frase che viene spesso ripetuta: "La forza supera il diritto". Egli negò di averla pronunziata, ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la base della sua politica. E poiché questo pensiero messo in azione compì l'opera sognata più rapidamente di quanto nessuno avesse mai immaginato, esso finì per diventare la norma regolatrice della politica tedesca e quindi anche del pensiero nazionale tedesco.

Nei rapporti fra le nazioni l'immagine che si presenta più spesso al pensiero tedesco é quella dell'incudine e dei martello. Giustamente i Tedeschi non vogliono servire da incudine e perciò desiderano fare da martello e picchiar sodo. Questa esaltazione della forza materiale é una delle conseguenze del modo col quale si effettuò l'unità germanica.
Quest'unificazione poi ebbe il carattere di una conquista della Germania per opera della Prussia. Nella formazione d'Italia il Piemonte, che aveva assunto la direzione dei movimento, si fuse col resto della nazione; era uno Stato di soli 5 milioni di abitanti che in due anni (dalla primavera del 1859 alla primavera del 1861) si trasformò in un regno di 22 milioni di abitanti; non poté quindi mantenere un predominio assoluto nel nuovo Stato.
In Germania invece la Prussia da un secolo contava già fra le grandi Potenze di Europa e al momento dell'unione aveva essa sola una popolazione superiore a quella complessiva di tutti gli altri Stati che entrarono a far parte dell'impero. La Prussia quindi restò la grande dominatrice, ed essa foggiò lo Stato tedesco. La vita intellettuale della Germania era stata specialmente opera dell'ovest e del sud della Germania, ma lo Stato tedesco fu opera della Prussia: essa informò sul suo modello il resto della Germania, ed il suo spirito militare si estese all'intera nazione con le conseguenze dolorose che tutto il mondo oggi conosce.
(l'autore si riferisce alla grande sconfitta nella Grande Guerra 1914-18, non immagina nemmeno lontanamente quale sarà il disastro tedesco subito nella guerra del 1939-45 - Ndr)

Purtroppo le vittorie dei 1870 determinarono anche un'esaltazione della Germania; in tutto il mondo si andò a gara nel celebrare non solo il valore degli eserciti tedeschi, ma le virtù del suo popolo e il grande sapere dei suoi dotti; perfino nella musica, perfino nel socialismo tutti si inchinavano dinanzi ai maestri tedeschi.
(ricordiamo qui, che contariamente ai socialisti di tutta Europa, soprattutto quelli italiani, i socialisti tedeschi furono subito degli "interventisti". Ndr)

Si comprende facilmente come mezzo secolo di simile esaltazione abbia condotto il patriottismo tedesco alle più orgogliose esagerazioni. La generazione cresciuta dopo il 1870 finì per imbeversi talmente della propria gloria da giudicare la civiltà tedesca di gran lunga superiore alle altre e da considerare come suo dovere quello d' imporla a tutto il mondo. E con qual mezzo? col mezzo ch'era stato adottato con tanto successo dalla Prussia: colla forza delle armi.
Il trionfo della forza era dei resto il principio che col diffondersi delle teorie darwiniane si veniva proclamando anche nel campo filosofico: la lotta per l'esistenza veniva messa a base di tutta la storia naturale, si esaltava l'opera sapiente della selezione, si dichiarava l'illegittimità della debolezza. Il tedesco é un logico terribile; quando per una data cosa si é trovata una formula, un sistema, egli con un'ostinazione irremovibile tenta di adattare la realtà a quel sistema e ne trae tutte le conseguenze possibili; e come Nietzsche proclamò il diritto del superuomo a calpestare tutti i diritti degli altri, così il popolo tedesco persuaso ch'esso era il più intelligente, il più istruito, il più forte credette d'essere chiamato da Dio ad imporre la sua civiltà a tutta l'umanità e che di fronte a questa grande missione tutti i diritti degli altri potessero essere sacrificati senza riguardo.

Per buona fortuna la forza materiale non é la sola potenza dominatrice nella vita dell'umanità.
Nell'ebbrezza dei successi del 1870 si credette che i grandi risultati raggiunti fossero dovuti soltanto alle vittorie militari ; non si pensò che la forza materiale aveva potuto trionfare, perché era stata messa a servizio di una causa che rispondeva esattamente allo sviluppo storico della Germania e alla sua preparazione morale; senza i pensatori e i poeti che avevano preparato I' ambiente, senza le circostanze generali che spingevano al trionfo delle nazionalità, Bismarck non avrebbe potuto attuare la sua politica; essa trionfò perché coincideva col pensiero dell'epoca sua.
Oggi invece si volle applicare la forza per attuare disegni di predominio di una razza sulle altre, disegni che sono in contrasto col pensiero dei nostri tempi, il quale tende piuttosto a stabilire una cooperazione delle varie nazionalità europee arrivate pressappoco allo stesso grado di civiltà, tende, più che all' impero di una razza, a preparare una federazione di Stati liberi ed eguali. Perciò i sogni ambiziosi della Germania imperiale non hanno probabilità di successo.
(l'autore qui non immagina neppure lontanamente - siamo nel 1919 - che un "caporale" sta fin d'ora preparando (ma non è solo!) a scatenare il più grande conflitto di tutti i tempi. Ndr).

Come un secolo fa l'Europa si coalizzò contro Napoleone, così oggi si ripete il fenomeno per la Germania. È da augurarsi che questa guerra determini in essa una guarigione in senso inverso a quella verificatasi un secolo fa; allora a rialzare l'animo depresso della nazione tedesca riuscì salutare lo squillo della vittoria; oggi a svegliarla dall'ebbrezza delle sue mire ambiziose di predominio mondiale riuscirà salutare la sconfitta.
PIETRO ORSI
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BIBLIOGRAFIA
PIETRO ORSI, l'autore del "Profilo", ed. A.F. Fomiggini, Roma 1919
la BIBLIOGRAFIA usara dall'autore:
BISMARCK. - Parlamentar Reden. Stuttgart, 1890-94 ; 14 vol. Ansprachen. (1848-1897) Stuttgart, 1895-1900; 2 vol.
(trad. anche in francese)
BISMARCK. -Politische Briefe. (1849-1889) Berlin, 1889-93; 4 vol.
BISMARCK -Correspondance diplomatique (1851-59) Paris, 1883 2 vol.
BISMARCK - Lettres politiques confidentielles. (1851-58) Paris, 1885.
BISMARCK - Gedanken and Erinnerungen. Stuttgart, 1898, 2 vol. (trad. anche in italiano Pensieri e ricordi, Torino.
1898).
KOHL. - Bismarck Regesten (1815-1890). Leipzig, 1891.
BUSCH. - Unser Reichs-Kanzler. Leipzig, 1884 (trad. anche in italiano, Milano, 1888-89, 2 vol.)
HAHN. - Bismarck, seine politische Leben, Berlin, 1878-91, 5 vol.
BLUM. - Bismarck and seine Zeit. Munchen 1894-95, 6 vol.
MATTER. - Bismarck et son temps, Paris, 1905-1908, 3 vol.
GAETANO NEGRI. - Bismarck, Milano, 1884.
MARIOTTI. - La sapienza politica del conte di Cavour e del principe di Bismarck, Torino 1886.
ONCKEN. - Allgemeine Geschichte (tradotto anche in italiano). Vedi i due volumi scritti dallo stesso Oncken : L'epoca del
l'imperatore Guglielmo.
SYBEI.. -Die Begrundung des deutschen Reichs each Wilhen I. Munchen, 1889-99 ; 7 vot.
E. DENIS. - La fondation de l' empire allemand (1852-1871), Paris, 1896.
Gli eventi che seguirono,
dimostrarono invece che la prima sconfitta non fu salutare (Ndr.)
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