FU IL LIQUIDATORE del sistema sovietico. Ma poi si trovò
alle prese con un problema di enorme complessità.


L'IRRESISTIBILE DISCESA DI GORBACIOV

Pagina di PIETRO BREVI

C'era una volta l'Unione Sovietica... Tutte le fiabe parlano di un passato indefinito, comunque lontano, lontanissimo. Il ritmo sempre più incalzante della Storia e i grandi rivolgimenti di questi ultimi anni hanno provocato una strana dilatazione del tempo, sicché avvenimenti di un decennio fa, e poco più, sembrano appartenere a quel passato remotissimo delle fiabe, un passato che non c'era...
Ma invece l'Unione Sovietica c'era, eccome, e oggi vogliamo parlare del suo ultimo capo, dell'uomo che fu la guida del tramonto di un pachiderma malato. Quell'uomo si chiama Michail Sergeevic Gorbaciov, nato il 2 marzo 1931 nel villaggio di Privol'noe, distretto di Krasnogvardejsk, nella zona del Caucaso settentrionale.

L' 11 marzo 1985 Gorbaciov, con la nomina a segretario generale del partito comunista sovietico, diveniva l'ottavo re di quella strana monarchia autoritaria non dinastica che regnava a Mosca da quasi settant'anni. Prima di lui, la stessa carica, la massima in un paese in cui lo Stato si identificava nel Partito, era stata ricoperta da Lenin, Stalin, Malenkov, Krusciov, Breznev, Andropov e Cernenko. Nella gerontocrazia che dominava il partito comunista sovietico Gorbaciov, con i suoi cinquantaquattro anni, era considerato un giovane. Era l'uomo che avrebbe dovuto condurre l'Unione Sovietica verso la modernizzazione, che avrebbe dovuto risanare un'economia collassata, che soprattutto avrebbe dovuto saper dire a oltre 200 milioni di uomini di sedici repubbliche che cosa mai li unisse ancora.

Nei decenni in cui il regime comunista aveva dominato in Unione Sovietica, era nata in Occidente una figura specialissima di studioso, il cremlinologo, ossia l'esperto in grado di decifrare ciò che accadeva all'interno del Cremlino, il palazzo del potere di Mosca, già sede imperiale e successivamente sede dell'onnipotente Comitato Centrale del partito comunista. Il cremlinologo era qualcosa di diverso dal sovietologo: se quest'ultimo era uno studioso di scienza politica, il primo doveva invece saper interpretare, basandosi su precedenti e su statistiche, tutti quei segnali che provenivano dal ristretto gruppo di potere, per dedurne, al di là delle simbologie, l'effettivo significato. E i segnali potevano essere rappresentati dalle precedenze a una sfilata o a una cerimonia pubblica, dal rilievo dato dalla Pravda (il quotidiano-bibbia del partito) a un discorso di un membro del Comitato Centrale, addirittura dalla notizia del raffreddore che affliggeva qualche personaggio, e così via.

Un antico proverbio locale dice che in Russia, tranne il clima, nulla è mai esattamente quello che sembra. Ma, a parte appunto un inveterato amore slavo per la crittografia, l'aura di mistero che circondava l'attività del Comitato Centrale e del suo vertice interno, il Plenum, non era solo un modo di tenere in soggezione i sudditi, ma nasceva anche dalla necessità, una volta affermato l'assoluto e indiscutibile ruolo - guida del Partito, di fornire verso l'esterno un'immagine di unanimità e di monolitismo. La realtà era ben diversa, e la situazione che Gorbaciov si trovava a dover gestire nasceva anche da decenni di lotte tra i gruppi che di fatto detenevano il potere, principalmente il Partito, le Forze Armate e la Burocrazia. Quest'ultima soprattutto aveva visto crescere a dismisura la propria importanza con Krusciov e successivamente con Breznev.

Infatti, mentre per Stalin lo strumento fondamentale del potere era rappresentato dall'enorme macchina repressiva, Krusciov inaugurò una politica più liberale (in senso molto peculiare...), appoggiandosi soprattutto sull'appoggio del Comitato Centrale e dei capi regionali (i "baroni"), dei quali garantiva le posizioni di potere e di privilegio. Questo portò a una proliferazione di burocrati centrali e locali sempre più potenti, professionisti del partito e sempre più affezionati al potere conquistato. La caduta di Krusciov e la successiva ascesa di Breznev furono proprio l'espressione del desiderio di maggior stabilità e sicurezza di questa classe parassitaria, che Krusciov aveva a un certo punto tentato di ridimensionare. Breznev, leader senza carisma, delegava all'apparato burocratico una parte non indifferente del proprio potere decisionale, favorendo così l'ulteriore affermazione di questa classe dirigente inflessibile e inamovibile, per sua natura conservatrice. Andropov, che arrivò al massimo potere vecchio e malato (e restò in carica solo per quindici mesi) non ebbe il tempo materiale per assumere, come aveva tentato, un più ampio potere personale, a scapito di un apparato inefficiente, corrotto e che trovava sempre più la sua ragione d'essere nel puro esercizio del potere e dei privilegi che ne derivavano. Senza storia, per brevità e per assoluta opacità del protagonista, fu la segreteria di Cernenko.

Gorbaciov, appoggiato da Gromyko, l'uomo che aveva guidato per due decenni la politica estera sovietica, rappresentava per molti versi una novità.
Era il primo segretario generale che, per ragioni anagrafiche, non aveva iniziato la propria carriera politica nel periodo staliniano, bensì in quello, relativamente più aperto, di Krusciov. Era laureato in giurisprudenza, preparato, affabile e pieno di iniziativa, e anche questa era un'eccezione. Dopo i due vecchi, malato il primo, malatissimo il secondo, Andropov e Cernenko, la nomina di un giovane (almeno secondo i parametri gerontopolitici sovietici) segnava il passaggio di poteri dalla vecchia burocrazia di partito a una generazione più giovane e più colta di dirigenti politici. Questo voleva dire che il vecchio apparato burocratico si era deciso a farsi da parte? Probabilmente si era, molto più semplicemente, esaurito. In un periodo di tempo inferiore ai tre anni erano morti tre segretari generali in carica (Breznev, Andropov, Cernenko).

Ma è anche vero che nessuno più poteva chiudere gli occhi di fronte ai reali problemi di una società che, senza garantire ai propri cittadini le libertà fondamentali, chiedeva sacrifici in vista di un orizzonte che non si raggiungeva mai, mentre un apparato produttivo lento e disorganizzato non riusciva a tenere il passo con irrealistici programmi di sviluppo. Basti un dato per tutti: nel 1984 il raccolto totale di cereali nell'Unione Sovietica fu di 170 milioni di tonnellate metriche, contro le 240 preventivate. L'enorme peso delle spese militari, nonché del mantenimento dei regimi nei paesi amici-vassalli faceva il resto. Si consideri che i soli aiuti sistematici a Cuba (acquisto sovrapprezzo dei prodotti agricoli cubani, vendita sottocosto di petrolio) pesavano sul bilancio di Mosca per 10 milioni di dollari al giorno.

La nomina di Gorbaciov a segretario generale fu salutata con gioia e speranza sia all'interno dell'URSS che nel resto del mondo. I cittadini sovietici vedevano un leader che sembrava scendere dal pianeta misterioso del potere per avvicinarsi di più alla gente, usando anche un nuovo linguaggio, l'Occidente sperava di aver trovato finalmente l'uomo con cui potesse finire la paura, mai sopita, dello scontro finale tra due mondi inconciliabili. E' un naturale rifugio dell'animo umano credere che sia vero ciò che si desidera: Gorbaciov legittimava le speranze anche nell'aspetto fisico, nella capacità di sorridere, anche con una moglie finalmente presentabile, brillante, estroversa.

In questo clima di speranza nel rinnovamento passarono quasi sotto silenzio le prime affermazioni pubbliche del nuovo segretario generale che richiamava gli intellettuali al "realismo socialista", perché la funzione dell'arte era quella di sempre, ossia di provvedere alla "educazione comunista dei cittadini", o che lanciava una campagna contro i "redditi non da lavoro", come ignorando che buona parte dell'economia sovietica si reggeva proprio attraverso un mercato nero che suppliva alle inefficienze del mercato ufficiale di beni e servizi. Ugualmente la campagna "contro i privilegi e per una maggior disciplina" si traduceva, anzitutto, in una forte pressione sui lavoratori per aumentare i livelli produttivi, e in una riforma della burocrazia che colpiva solo i bassi livelli, anche perché quelli elevati restavano intoccabili.

Le nuove parole d'ordine del regime, perestrojka e glasnost, fanno il giro del mondo. Ma sono due vere bombe, se prese letteralmente. La prima si può tradurre in rifondazione radicale, la seconda in trasparenza. E sono la base di un equivoco che, più o meno coscientemente, contagiò tutto il mondo occidentale che, come vedremo, ammirò e coccolò Gorbaciov molto più di quanto non fecero i cittadini sovietici, che pur avevano accolto con favore la nomina del nuovo segretario.
Perché parliamo di equivoco? Cerchiamo di riflettere su alcune elementari verità. Anzitutto nessuno, uomo o sistema politico, lavora per la propria dissoluzione, né si può pretendere il suicidio da nessuno.

Secondariamente, non scordiamoci che l'uomo nuovo era comunque un uomo che proveniva dall'apparato di partito, in cui era cresciuto e che l'aveva formato, e proprio il suo livello di cultura superiore era anche il suo limite intellettuale. In Unione Sovietica gli studi universitari erano strettamente controllati sotto il profilo ideologico e disciplinare. Tanto più, un corso di laurea in giurisprudenza doveva formare un giovane a quella peculiarissima realtà giuridica che era il sistema sovietico. Per spiegarci meglio, riflettiamo su un dato elementare: nel nostro processo penale l'avvocato è una figura centrale e irrinunciabile, e la professione forense è vista in genere come una professione prestigiosa.

Nel sistema sovietico l'avvocato era socialmente poco o nulla considerato, perché l'ordinamento prevedeva un processo penale in cui la figura dominante non era neanche quella del Giudice, bensì quella del Procuratore, ossia dell'accusa, del rappresentante dello Stato, ossia del Partito, coincidendo i due soggetti. I giovani più dotati, come Gorbaciov, facevano il loro tirocinio presso gli uffici delle Procure o presso il KGB, dove infatti l'uomo della perestrojka conobbe Andropov, da cui fu apprezzato e stimato.

Perché parlavamo di suicidio? Perché un sistema sclerotizzato come quello sovietico, se avesse deciso davvero una rifondazione "radicale", l'avrebbe potuta realizzare solo liquidando un'intera classe dirigente che aveva portato il paese nel disastro. E la stessa "trasparenza" non poteva che essere letale per un apparato di potere che, come vedevamo sopra, viveva ammantato di mistero anche per continuare a fornire all'esterno un'immagine irrinunciabile per la sua sopravvivenza e per la sua autogiustificazione.
Con questo non vogliamo affermare che Gorbaciov bluffasse quando lanciò le nuove parole d'ordine del regime. Ma ci sembra utile, per capire realmente il personaggio e gli avvenimenti, non scordarci che comunque egli era un uomo di apparato che non poteva uccidere l'apparato.

Certamente l'intelligenza e la sensibilità dell'uomo erano superiori a quelle della vecchia dirigenza. Gorbaciov non poteva non avvertire che il sistema sovietico era al collasso, e non solo all'interno dell'URSS, ma anche nei paesi satelliti. Ma all'interno dell'URSS il nuovo segretario generale si scontrò con la burocrazia, vero cancro del sistema, e i suoi interventi furono, per necessità, solo superficiali. Serviva a poco destituire qualche segretario locale, quando l'apparato dello Stato restava intoccabile. Ma è anche vero che non si poteva pensare di distruggere l'apparato senza gettare il paese nel caos, anche perché, come dicevamo sopra, mancavano probabilmente a Gorbaciov le stesse categorie mentali per effettuare una vera e propria "rifondazione radicale".

La politica interna fu infatti, come vedremo, più determinata dagli avvenimenti che diretta dal segretario. Fu soprattutto in politica estera che Gorbaciov seppe darsi un nuovo aspetto, realistico e manageriale, inedito per un dirigente sovietico, chiamando alla carica di Ministro degli Esteri un altro uomo nuovo, il georgiano Shevardnadze. Il duo Gorbaciov - Shevardnadze fornì un'immagine tranquillizzante della nuova Unione Sovietica, dando anche prova di realismo e concretezza nello scontro con il presidente americano Reagan, che con la delicatezza del bufalo americano definiva l'Unione Sovietica come "l'impero del male". Gorbaciov era conscio che gli anni dello scontro frontale erano finiti, non solo per l'ormai arcinoto rischio di distruzione dell'umanità in caso di conflitto tra le due superpotenze, ma anche perché l'Unione Sovietica non era più in grado di sostenere lo scontro: la politica di parziale e progressiva riduzione della presenza militare sovietica nei paesi dell'Europa Orientale nasceva di certo anche da un desiderio di costruire un mondo meno militarizzato, ma contribuiva anche a ridurre le esorbitanti spese militari del bilancio di Mosca.

Dicevamo che all'interno Gorbaciov fu più dominato dagli avvenimenti, che dominatore degli stessi, né questo può essere ascritto a sua colpa, avendo egli ereditato comunque un sistema vecchio e malsano.

Il 26 aprile 1986 il reattore principale della centrale elettronucleare di Chernobyl esplode. L'antico vizio della segretezza (dopo oltre un anno di trasparenza...) fa sì che il mondo occidentale sia informato prima dei cittadini sovietici della catastrofe, le cui dimensioni appariranno chiare solo settimane dopo, col macabro conteggio delle vittime e con l'evacuazione di una zona di trenta chilometri di raggio.
Chernobyl, con la sua potenza di 4000 megawatt, era il fiore all'occhiello della tecnologia sovietica, e le conquiste tecnologiche erano il fiore all'occhiello del sistema socialista. Chernobyl, si sarebbe saputo dopo, era fuori dagli standard di sicurezza più elementari: si pensi che, per esempio, un ottimo veicolo per gli incendi successivi all'esplosione fu costituito dalla presenza negli impianti di plastiche isolanti altamente infiammabili.

I vizi e le contraddizioni di un sistema sarebbero di sicuro, prima o poi, venute alla luce. Ma il disastro della centrale elettronucleare fece di sicuro terminare l'idillio iniziale tra il popolo e il nuovo segretario generale. La congenita insufficienza produttiva del sistema sovietico non era migliorata, la segretezza restava un vizio duro da estirpare, il bluff delle conquiste tecnologiche crollava.
Poco dopo Chernobyl, un altro avvenimento luttuoso metteva in luce le incongruenze del sistema. Il terremoto in Armenia, con i palazzi che si erano sbriciolati perché costruiti al risparmio, faceva tornare alla luce un altro cancro antico, quello della corruzione. I palazzi si costruivano al risparmio per fare le dovute creste, acquistando materiali più scadenti, pagati ufficialmente come materiali edilizi di qualità. Le vittime del terremoto in Armenia erano dovute al sisma, ma anche all'incosciente egoismo di chi aveva costruito un sistema politico e amministrativo a proprio beneficio. Iniziava a circolare la parola katastrojka, amara ironia per associare la catastrofe alla perestrojka.

Intanto l'allentata presenza militare sovietica nell'Est europeo e l'atmosfera di maggior rilassatezza facevano risvegliare sentimenti mai sopiti di indipendenza sia nelle repubbliche dell'URSS che nei paesi satelliti. La migrazione di cittadini tedeschi verso la Germania Federale era sempre stato un problema per l'URSS; una parziale liberalizzazione in atto in Ungheria aveva fatto di questo paese il corridoio attraverso cui migliaia di cittadini tedeschi della Repubblica Democratica Tedesca avevano preso a migrare, nell'estate del 1989, verso l'altra Germania. La mancanza di un intervento militare di Mosca portò, nel novembre di quell'anno, all'abbattimento del famigerato Muro di Berlino, iniziando un processo che divenne inarrestabile. Come un castello di carte, il sistema di paesi satelliti sarebbe crollato nell'arco di meno di un anno, con l'affermarsi di governi non comunisti in Romania, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria e con l'unificazione delle due Germanie.

E anche qui la politica di Gorbaciov fu contraddittoria, spesso al seguito degli avvenimenti. Nell'estate del 1989 il segretario generale dichiarava ancora che il problema dell'unificazione tedesca "non si poneva", salvo poi, nelle sue memorie, sottolineare come Mosca aveva favorito una riunificazione "voluta dalla storia".

Quando la Lituania dichiarò frettolosamente la propria indipendenza da Mosca, Gorbaciov non esitò a far intervenire le truppe antisommossa del Ministero dell'Interno sovietico, dimostrando così di considerare quella repubblica, comunque, facente parte del territorio sovietico. La successiva scissione da Mosca delle tre Repubbliche Baltiche sarà ricordata da Gorbaciov nelle sue memorie come "non una perdita, ma una restituzione degli stati ai loro popoli".
Ma sia ben chiaro che non vogliamo gettare sulle spalle dell'uomo della perestrojka una croce che non merita. Diamo anzitutto per scontato il diritto di ogni politico a mentire, almeno un po', quando scrive le sue memorie, e consideriamo la realtà in cui operò Gorbaciov, comunista che si trovò a dover fronteggiare contemporaneamente un sistema comunista in cui non credeva più nessuno, una burocrazia che vedeva minacciata la sua stessa sopravvivenza, una congerie di popoli che reclamavano legittimamente il diritto all'indipendenza, un sistema interno che rischiava, se liberato di colpo, di esplodere. Breznev, l'uomo cingolato, rispose con i carri armati al grido di libertà che veniva da Praga. Gorbaciov ebbe i suoi tentennamenti, ebbe le sue scivolate repressive (lo vedevamo per la Lituania), ma di fatto seppe capire che un sistema di dominio era finito. Il premio Nobel per la pace fu meritato, perché in politica valgono i fatti, e se indubbiamente Gorbaciov fu sopravvalutato da un Occidente sempre complessato nei confronti del colosso comunista, non gli si può disconoscere il grande merito storico di aver saputo fare il liquidatore, una volta accertato che il sistema era in fallimento.

Il suo realismo fu però anche la causa della sua fine politica: nell'agosto del 1991 militari e burocrati decidono di presentare il conto a Gorbaciov. Il segretario generale viene arrestato nel quadro di uno stranissimo colpo di Stato, tentato e subito abortito, che vede addirittura il suicidio di uno dei congiurati, il ministro dell'interno Rigo, e che vede emergere la figura ambigua e spregiudicata dell'uomo che realmente organizzerà il funerale politico di Gorbaciov: Boris Eltsin, sindaco di Mosca.

Se la burocrazia rimproverava al segretario il dissolvimento dell'impero sovietico, agendo così con una certa logica, seppur perversa, Eltsin, postosi subito a capo di una dimostrazione popolare che convinse i congiurati (assieme alle pressioni che arrivavano dal presidente americano Bush) a desistere, non esitò poi ad attaccare duramente Gorbaciov quando questi tentò, cooptando nel governo alcuni dei più accesi sostenitori del vecchio sistema, una impossibile politica di mediazione. Eltsin, già comunista e ateo, scopertosi in pochi giorni cristiano e anticomunista, arrivando anche a proporre di dichiarare fuorilegge il partito comunista sovietico, cavalcò con spregiudicatezza un parlamento che, da sempre ridotto a ruolo di facciata, ora si imbaldanziva ad esercitare finalmente un po' di potere.

L'uscita di Gorbaciov dalla scena politica fu malinconica, e vide l'affermarsi di un uomo che si affrettò a fare ciò che l'ex segretario aveva sempre legittimamente temuto, ossia dissolvere di colpo un sistema politico che, con le sue mille colpe, aveva però rappresentato per duecento milioni di individui una sicurezza, seppur nelle ristrettezze e nella mancanza di libertà politica. La costituzione della CSI (Confederazione di Stati Indipendenti) non fu che l'inizio di una corsa ad alta velocità, che vide la Russia ricadere in tutti i suoi antichi vizi, con in più l'affermazione di una nuova classe di arricchiti , costituita per lo più dai super burocrati più veloci, che seppero appropriarsi con tempestività delle molte risorse sottoutilizzate dal sistema socialista.

Sia chiaro che non vogliamo sminuire il valore di una riconquistata libertà: ma le condizioni di confusione, di corruzione, di corsa all'arricchimento ad ogni costo in cui caddero e vivono i paesi ex comunisti sono sotto gli occhi di tutti. Gorbaciov, forse, aveva tentato l'impossibile passaggio morbido e graduale da un sistema autoritario a un sistema libero. Di sicuro, quando assunse il potere nel 1985, sapeva che c'era molta strada da fare, se si voleva realmente cambiare senza traumi un immenso paese in cui, per dirne una, era punito dal codice penale il possesso non autorizzato di una... macchina per fotocopie.

Nel giugno 1988 il consigliere economico di Gorbaciov, Abel Aganbegjan, pubblicava un libro in cui faceva previsioni sulla realizzazione della perestrojka in economia, fissando il 2017, 100° anniversario della Rivoluzione di Ottobre, come l'anno in cui si sarebbe raggiunta la soluzione radicale di tutti i problemi. La Storia corre più veloce delle previsioni; forse, alle volte, troppo veloce.

di PIETRO BREVI
Bibliografia
Gorbaciov, di Zores Medvedev, Mondadori, Milano 1986
La perestrojlka in economia, di Abel Aganbegjan, Rizzoli 1988
Parte di questo lavoro è stato svolto anche consultando i seguenti
quotidiani: Corriere della Sera - Unità - Il Giornale

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di Storia in Network
 

Mikhail Gorbaciov

di Antonio Gaito

Mikhail Gorbaciov nasce il 2 marzo 1931, da una famiglia di agricoltori, nel villaggio di Privolnoye - Territorio di Stavropol - nel sud della repubblica russa.

Nel 1950 si diploma, ottenendo una medaglia di argento, e viene ammesso all'Università Statale di Mosca, dove frequenta la facoltà di legge laureandosi nel 1955. Successivamente segue dei corsi per corrispondenza presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Stavropol, e nel 1967 aggiunge alla
sua laurea in legge una laurea in economia agraria.

Da studente universitario, Gorbaciov si iscrive al Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Negli stessi anni incontra Raisa Titarenko, e poco dopo la sposa con una semplice cerimonia. Da quel momento Raisa sarà la persona più cara e vicina a Mikhail Gorbaciov, rimanendogli a fianco nel corso di tutta la sua carriera politica, fino alla sua morte avvenuta nel settembre 1999.

Poco dopo il suo ritorno a Stavropol, a Gorbaciov viene offerto un incarico nella locale associazione giovanile Komsomol, che segna l'avvio della sua carriera politica. Nel 1970, viene eletto Primo Segretario del Comitato del Partito nel Territorio di Stavropol, l'incarico di massima responsabilità in quella zona.

Nello stesso anno diviene membro del Comitato Centrale del PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica). Nel 1978 ne diventa uno dei Segretari, e si trasferisce a Mosca. Due anni più tardi entra a far parte del Politburo del Comitato Centrale del PCUS, la massima autorità del partito e della nazione.
Nel marzo del 1985 viene eletto Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito, l'incarico più alto nella
gerarchia di partito e nel paese.

È Gorbaciov ad avviare il processo di cambiamento dell'Unione Sovietica che più avanti sarà definito "Perestroika", una radicale trasformazione della società e del paese. Che genera un sostanziale mutamento nello scenario internazionale: il nuovo sistema di pensiero che viene associato al nome di Gorbaciov gioca un ruolo fondamentale nel porre fine alla Guerra Fredda, arrestando la corsa agli armamenti ed eliminando il rischio di un conflitto nucleare.

Il 15 marzo del 1990 il Congresso dei rappresentanti del popolo dell'URSS - il primo parlamento costituito sulla base di libere, e contestate, elezioni nella storia dell'Unione Sovietica - elegge Gorbaciov Presidente dell'Unione Sovietica.

Il 15 ottobre dello stesso anno gli viene assegnato il Premio Nobel per la Pace, a riconoscimento del suo fondamentale ruolo di riformatore e leader politico mondiale, e del fatto di avere contribuito a cambiare in meglio la natura stessa del processo mondiale di sviluppo.
Il 25 dicembre del 1991, Gorbaciov rassegna le sue dimissioni da Capo dello Stato.

Dal gennaio del 1992 è Presidente della Fondazione Internazionale Non-Governativa per gli Studi Socio-Economici e Politici (la Fondazione Gorbaciov).

Dal marzo 1993 è inoltre Presidente della Croce Verde Internazionale - un'organizzazione ambientalista
internazionale indipendente presente in più di 20 paesi.
Ricopre anche l'incarico di Presidente del Partito Social Democratico Unito della Russia, fondato nel marzo del 2000.

Mikhail Gorbaciov ha ottenuto l'Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro, tre Ordini di Lenin, e molte altre onorificenze e riconoscimenti sovietici e internazionali, oltre a numerose lauree honoris causa da università di tutto il mondo.

È autore di numerosi scritti pubblicati in raccolte di articoli e riviste e di vari saggi, tra i quali:

- A Time for Peace ("Tempo di pace", 1985)
- The Coming Century of Peace ("Si avvicina un secolo di pace", 1986)
- Peace Has no Alternative ("La pace non ha alternative", 1986)
- Moratorium ("Moratoria", 1986)
- Selected Speeches and Writings ("Scritti e discorsi scelti", in sette volumi, 1986-1990)
- Perestroika: New Thinking for Our Country and the World (1987, Perestrojka, Mondadori, 1988)
- The August Coup: Its Cause and Results ("Il colpo di stato di agosto", 1991)
- December 91. My Stand ("Dicembre 1991. La mia posizione", 1992)
- The Years of Hard Decisions ("Gli anni delle decisioni difficili", 1993)
- Life and Reforms ("Vita e riforme", in due volumi, 1995)
- Moral Lessons of the XX Century (dialogo con Daisaku Ikeda, 1996 in ted., franc., italaliano.
- Le nostre vie si incontrano all'orizzonte, Sperling&Kupfer - nel 2000 in russo)
- On My Country and the World ("Sul mio paese e il mondo", 1998)
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