BIOGRAFIE

PAPA PIO XII

Papa Pio XII, al secolo EUGENIO PACELLI
(n. 2 marzo 1876 a Roma) 
(Pontificato dal 12-3-1939 al 9-10-1958)

segue
******* IL GRAVE DISCORSO DEL NATALE DEL 42
discorso in audio originale

(richiede plug-in RealAudio® o RealPlayer®)

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( sotto due interventi )
Su i "silenzi" di PIO XII
UNA POLEMICA INFINITA -
Dopo cinquant'anni si ripropongono due drammatiche domande sulla base di un ennesimo libro
e degli studi di una Commissione storica internazionale

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PIO XII: ANTISEMITA E PAPA DI HITLER?
FALSIFICAZIONE O…?

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l'enciclica MIRANDA PRORSUS
 SU CINEMA, RADIO E TELEVISIONE

("Doni e pericoli dei media elettronici
" )


Carismatica e contraddittoria; così potrebbe sintetizzarsi la figura di Pio XII, un papa che rappresenta l'anello di congiunzione e di passaggio tra il vecchio ruolo di papa monarca e quello moderno di pastore ecumenico, umano e spirituale al tempo stesso.
Eugenio Pacelli venne eletto Papa il 2 marzo 1939, poco dopo le ore 18. L'annuncio urbi et orbi veniva fatto dalla loggia della basilica centrale Vaticana dal cardinal Dominioni: era una nomina scontata, perché correva voce che il cardinal Pacelli, dotto e affermatissimo in tutto il mondo, come apprezzato e fedele collaboratore di Pio XI, "aveva studiato da papa sin da piccolo"
E' curioso notare che negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra l'elezione venne celebrata come una vittoria sugli stati totalitari, ad eccezione di Berlino dove qui si assunse una posizione di fredda riserva.
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Nato a Roma nel 1876 dalla nobildonna Virginia Graziosi e dall'avvocato Filippo Pacelli, patrizio romano, il giovane Eugenio, volitivo, ascetico, fermo, compie un rapido iter di studi dal Liceo Visconti all'Università Gregoriana, a 23 anni è sacerdote e inizia preso la carriera diplomatica e curiale grazie al cardinal Gasparri, che lo coinvolge nella Riforma del codice di Diritto Canonico.
Nel 1917 é già nunzio apostolico a Monaco, in Germania fino all'estate del 1925, e poi a Berlino dal 1925 fino al 1929 (In tutto stette in Germania 12 anni) forgerà ancora di più il suo rigore, appassionandosi della cultura e del popolo germanico; ma anche riportando una conoscenza diretta dei problemi di quella nazione: durante la prima guerra mondiale aveva compiuto delicatissimi incarichi diplomatici, come il 29 luglio 1917, nella Grande Guerra, quando presentava a Guglielmo II le proposte di pace formulate dal pontefice. Otteneva di visitare e di assistere i prigionieri militari nei campi di concentramento in Germania.
Sfasciatosi l'impero tedesco, dopo la sconfitta militare, e formatosi i Reich repubblicano, PACELLI rimaneva presso la nuova Germania sempre come Nunzio e firmò pure i Concordati della Santa Sede con la Baviera e poi con il Reich di Hitler.

Anche il suo criticatissimo "silenzio" sulle stragi di Hitler, durante la seconda guerra mondiale, verrà collegato a questo suo amore per la Germania, ma non sarà motivato da sue simpatie verso il nazismo. La sua aperta e ferma e viscerale opposizione a ogni forma di marxismo e comunismo ("popolo senza Dio") si collega, invece, a un'aggressione da lui subita a Monaco da parte di alcuni soldati russi che lo minacciarono con una pistola.
Tuttavia suoi furono i Concordati stipulati dalla Santa Sede e con la Baviera (1925) e con la Prussia (1929).
Nel 1929 Pio XI lo nomina cardinale e segretario di stato succedendo al cardinal Gasparri , conduce personalmente i negoziati decisivi per i Concordati con il Baden (1932) e con il Reich di Hitler (1933). Compie viaggi in tutto il mondo, durante i quali cresce la sua fama di uomo ascetico, poliglotta, diplomatico.

Nel 1936 si recherà negli Stati Uniti, viaggio cui risale l'inizio della corrispondenza diretta con il Presidente Roosevelt che durerà fino alla morte di quest'ultimo.
Con l'Europa ormai sull'orlo della guerra, il nuovo Papa inviò un messaggio invitando le nazioni alla pace e successivamente dichiarò la sua imparzialità. Benedice il generale Franco che ha concluso "l'alzamiento" con la vittoria, gesto che turba le coscienze di molti cattolici di fronte all'atteggiamento della Chiesa in quel frangente storico mondiale.
Eletto papa il 2 marzo 1939, subito si preoccupò di parare la minaccia di guerra gravante sull'Europa ad opera soprattutto del nazismo. Mantenne buoni rapporti con il governo italiano, ma questi non valsero a distogliere il regime fascista dai suoi folli propositi di guerra.
Nel dicembre del 1939 ci fu un evento. La visita senza precedenti del papa Pio XII al re d'Italia Vittorio Emanuele III, che segnò una svolta nei rapporti fra Italia e Santa Sede. Fatto eccezionale perché dopo i cinquantanove anni di freddezza estrema fra Italia e Santa Sede, seguiti all'occupazione della città di Roma - la "breccia di Porta Pia" del XX settembre 1870 - che aveva portato in pratica alla fine del potere temporale dei papi, vi furono i Patti Lateranensi, che conclusero felicemente la Questione Romana.
L'11 febbraio del 1929 Mussolini, capo del Governo italiano, e Gasparri, cardinale Segretario di Stato di Pio XI, firmarono due distinti documenti, il Trattato (che poneva fine all'annosa situazione di stallo e di conflitto fra i due Enti sovrani) e il Concordato, di minore importanza - anche se oggi si ricorda solo quest'ultimo, tralasciando il Trattato, molto più importante storicamente.
Per cinquantanove anni i papi, in segno di forte protesta per la occupazione del territorio dello Stato della Chiesa da parte dell'Italia, si chiusero in volontaria clausura, e non uscirono mai, per nessun motivo, dai Palazzi e dai Giardini vaticani. Allora, ricordiamo, non esisteva ancora la Città del Vaticano (sorta proprio nel 1929, a seguito del Trattato), e il territorio dove alloggiava il Papa era considerato un territorio italiano ma con speciali prerogative - l'extraterritorialità - che ne precludevano l'ingresso alle autorità e alla polizia del nostro Paese.
Perciò, i vari papi che si susseguirono in questo lungo periodo (1870 - 1929), e cioè Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XI, si guardarono bene dall'oltrepassare i confini di questa "aurea prigione". Il governo italiano non avrebbe mai ostacolato, se il Pontefice avesse espresso il desiderio di uscire dai suoi Palazzi, nei quali si era autoconfinato, e di girare per Roma o per l'Italia, eppure sia Pio XI che Pio XII, suo successore dal 1939, limitarono al massimo le uscite, per una forma di riservatezza, oggi incomprensibile.
Pio XI uscì per la prima volta, quasi in incognito, alle sei del mattino del 21 dicembre 1929, per raggiungere San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma, e prenderne ufficialmente possesso, come fanno tutti i Vescovi di Roma subito dopo la loro elezione. I giornali e la radio poterono parlare del fatto clamoroso solo dopo che era avvenuto. Aveva colto tutti di sorpresa. Poi Pio XI andò qualche volta a Castelgandolfo, a passarvi l'estate, e tutto finì così.
Bisogna però anche dire che la figura del Papa era a quei tempi ammantata da un'aura di lontananza ieratica, per cui il Papa successore si comportavano con grande prudenza e sottolineava così, con la rarità delle sue apparizioni all'esterno di San Pietro, la sua lontananza, il suo "essere al di sopra", l'apparire come un'autorità diversa e distinta da tutte le altre (sovrani e altri capi di Stato).
Perciò avvenne, come era previsto dal cerimoniale, che quando, nel 1929, i Reali d'Italia si recarono in Vaticano per solennizzare, con la loro visita ufficiale al Papa, il suggello degli accordi dell'11 febbraio, Pio XI non provvide a ricambiare la visita (non era mai successo, neppure con altri regnanti, e per tanti secoli di vita della Chiesa).

Non appena Vittorio Emanuele III ed Elena tornarono nel palazzo del Quirinale, in quella fredda mattina , Pio XI inviò subito, quasi a volersi togliere senza indugio questo obbligo, il suo Segretario di Stato, il cardinale Pietro Gasparri, che "ricambiò la visita", al posto del Papa in persona. Una visita breve, di etichetta, che appariva come una cerimonia formale, non sentita. Così si usava, ai tempi andati.
Arriviamo dunque al 1939, quando, il 10 febbraio, Pio XI muore improvvisamente. Il 2 marzo il Conclave elegge il cardinale Eugenio Pacelli, che era il Segretario di Stato, e che prende il nome di Pio XII.

Il 1° settembre scoppia la guerra, che terminerà, fra lutti e distruzioni immani, solo nel 1945. Ma Mussolini tiene, per il momento, l'Italia fuori dal conflitto, pur sollecitato da molte parti; chi dice "ma allora cosa ci siamo alleati a fare con la Germania?", e chi più moderato dice "cosa aspettiamo che vinca tutto lui?" , e anche i più pacifici commentano sarcasticamente "Mussolini aspetta che Hitler vinca poi farà l'avvoltoio".
A dicembre del '39, re Vittorio Emanuele III rende visita ufficiale al nuovo Papa, e si reca solennemente in Vaticano, proprio come dieci anni prima, accompagnato dalla regina Elena, vestita di bianco e con un lungo velo in testa. Solenni cerimonie, colloquio fra i due personaggi nella Sala del Trono, accorati appelli di Pio XII affinchè l'Italia si tenga fuori dal conflitto. Il Re vorrebbe replicare al Papa, ma il ministro degli esteri, Ciano, fa furtivamente segno di no, che non è il caso di parlare di quelle cose.
Ed ecco il colpo di scena, la sorpresa per tutti. Il cardinale Maglione, nuovo Segretario di Stato, non viene inviato al Quirinale per restituire la visita, ma è il Pontefice stesso, pochi giorni dopo, il 28 dicembre, che decide di recarsi di persona a rendere la visita ai Sovrani d'Italia.
E' un avvenimento mai visto, in passato. E così, in quel giorno di dicembre del 1939, Roma assiste a questo spettacolo mai visto: il Papa Pio XII si reca, in solenne corteo ufficiale, fino al Quirinale. Pioveva forte, ma il Papa volle che l'automobile su cui viaggiava fosse decapottata, in modo che tutte le migliaia di persone assiepate lungo il percorso, potessero vederlo. Portava in testa il cappello rosso dalle ampie falde, e questo, con il mantello papale, pure rosso, era l'unico riparo dalla pioggia battente.

Fra le acclamazioni di un popolo romano letteralmente impazzito al vedere questo grande e mai visto spettacolo, il Vescovo di Roma passava, dopo decenni di "invisibilità", per le vie della capitale, e in modo ufficiale e solenne, fra due interminabili ali di soldati che presentavano le armi, per andare a rendere visita al loro sovrano. Il corteo di automobili nere, raggiunse alfine il palazzo del Quirinale, antica residenza dei pontefici, e Pio XII venne ricevuto, ai piedi dello scalone d'onore, dal vecchio Re, in alta uniforme militare.
Vittorio Emanuele III, nel Salone dei Corazzieri, gli presentò poi i vari componenti della Famiglia reale, i funzionari, i politici. Seguì il discorso privato, nella Sala del Trono.
Stranamente Mussolini era assente. Probabilmente non aveva affatto gradito che a Roma risuonassero, per le strade, grida di giubilo e applausi rivolti ad una personalità che non faceva parte nè dei Savoia nè del Regime fascista; ad una persona che gli "toglieva la scena". Forse la figura del Papa gli dava ombra e l'omaggio del popolo e delle autorità ad un personaggio unico al mondo, con un grande potere spirituale che durava da secoli, lo infastidiva non poco.
Non aveva, naturalmente, potuto opporsi alla storica visita, ma aveva sottolineato il suo distacco e la sua critica per questa inusuale iniziativa pontificia, rimanendo nell'ombra, in un silenzio corrucciato, e "brillando per la sua assenza" nel Palazzo del Quirinale. Inoltre, se fosse stato presente, per motivi di protocollo avrebbe dovuto occupare un posto secondario, sia rispetto al Papa che rispetto al Re, e questo naturalmente non poteva non dare fastidio ad un dittatore.
Così un Pontefice ritornava, questa volta da ospite, nell'antica residenza dei Papi, il palazzo del Quirinale, abbandonato in tutta fretta nel lontano settembre del 1870.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Hitler e Stalin si alleano per invadere la Polonia: Pio XII il 20 ottobre 1939 emana l'enciclica Summi Pontificatus, condannando l'invasione russo-tedesca della Polonia.
Da questo momento iniziò il silenzio del Papa, che gli procurò molte critiche, sebbene egli si impegnasse - durante le Leggi Razziali - nel salvataggio di ebrei e internati nei campi di concentramento, oltre che di uomini e valori senza distinzione di fede. L'atteggiamento del pontefice fu condizionato dalla sua convinzione che una condanna aperta dei crimini nazisti si sarebbe rivelata controproducente; ma proprio la sua dote massima, la diplomazia, egli non osa spenderla fino in fondo, ma la usa come il "male minore".
Il popolo, e in particolare molti tra i romani, che lo avevano elevato a nuovo Defensor urbis, non gli perdonarono questa incertezza che divenne drammatica in occasione della rappresaglia tedesca a Roma, dopo l'attentato di via Rasella, che portò all'eccidio delle Fosse Ardeatine il 25 marzo 1944.
Ma contro il regime hitleriano denunciò vagamente i crimini dell'eugenetica e del razzismo nazista.
Robert M.W. Kempner, ex delegato degli Stati Uniti al Consiglio del Tribunale dei crimini di guerra di Norimberga ha scritto:"Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non si sarebbe rivelato che un suicidio provocato, come ha dichiarato Rosenberg (ideologo del nazismo) ma avrebbe accelerato l'esecuzione di un numero ancor più alto di ebrei e di sacerdoti".
Pertanto il riserbo di Pio XII fu tutto il contrario di una forma di indifferenza nei riguardi delle vittime. Mentre il Pontefice mostrava in pubblico un apparente silenzio, la sua Segreteria di Stato sollecitava nunzi e delegati apostolici in Slovacchia, Romania, Ungheria, prescrivendo loro di intervenire presso i rispettivi governi e presso gli episcopati allo scopo di suscitare un'azione di soccorso, la cui efficacia fu riconosciuta all'epoca, dai ripetuti ringraziamenti delle organizzazioni ebraiche e che uno storico israelita, Pinchas Lapide, non esitò a tradurre in cifre: 850.000/1.000.000 di persone salvate.
La Santa Sede abituata com'era alle delusioni, ai rifiuti, ai fallimenti non coltivò alcuna illusione sulla portata della propria influenza, anche se altri, mossi da buone intenzioni, o , al contrario, da intenzioni ostili le accreditavano un potere illimitato.
Durante il conflitto organizzò in Vaticano un ufficio d'informazioni per i prigionieri e i dispersi e si adoperò per far dichiarare Roma "città aperta" riuscendo nel suo intento e meritandosi l'appellativo di "Defensor civitatis". Accolse in Vaticano i rappresentanti dei partiti oppositori del regime e si adoperò per salvare gli ebrei. Già durante il conflitto, ma specialmente dopo la sua conclusione, Pio XII lottò tenacemente per liberare l'Italia dall'avanzata del comunismo.
Il 1948 portò alla vittoria l'allora partito dei cattolici italiani, risparmiando alla nazione la triste esperienza dello stalinismo. Nell'ambito precipuamente religioso Pio XII svolse una vasta attività nel campo della dogmatica: pur lasciando ai principi la loro essenziale immutabilità, volle rivedere molti punti per adeguarne la formulazione esterna ai progressi tecnici e scientifici con opportuni aggiornamenti in campo morale e disciplinare.
Obbediscono a questa linea le sue encicliche: la Divino Afflante Spiritu (1943), sui principi che devono informare i problemi della ricerca biblica specialmente di fronte alle nuove esigenze e ai progressi scientifici. La Mystici Corporis (1943), dove il pontefice svolge un'ampia esposizione della dottrina rivelata della Chiesa.
La Mediator Dei, in cui trovano adeguata puntualizzazione molte questioni di teologia sacramentaria assieme ad una trattazione sistematica della teologia liturgica. La Humani generis e la Munificentissimus Deus (1950), che definisce ex cathedra il dogma dell'Assunzione di Maria Vergine in Cielo e delinea il progressivo affermarsi delle verità implicitamente contenute nella Rivelazione; la Sempiternus Rex (1951), pubblicata in occasione del XV centenario del Concilio di Calcedonia.

Nel campo delle scienze Pio XII diede impulso alla Pontificia Accademia delle Scienze; ordinò scavi sotto l'altare della confessione in S. Pietro per rintracciare il sepolcro del primo pontefice romano.
Sui problemi morali papa Pacelli ebbe a cuore la tutela del matrimonio come sacramento e della santità della vita familiare proponendola nei suoi numerosissimi discorsi ai giovani sposi, con un decreto del Sant'Uffizio del 1944, con un noto discorso alle ostetriche nel 1951, etc...; nell'ambito del diritto canonico fece pubblicare i libri De Matrimonio, De Iudicibus, De bonis, De religiosis, De verborum significatione del Codice per le Chiese Orientali.
Grandissima corrispondenza da parte dei fedeli ebbe la celebrazione dell'Anno Santo 1950, culminata con la proclamazione del dogma di Maria Assunta in Cielo.
La celebrazione del Giubileo del 1950 fu un trionfo per papa Pacelli, grazie ad una perfetta organizzazione e alla presenza delle più illustri personalità del nuovo Stato italiano: accetta consigli da LUIGI GEDDA > > e da Giulio Andreotti, mentre si fida di meno di GIUSEPPE DOSSETTI > > e di Giorgio La Pira.
Tra fiumi di persone accorsi da tutto il mondo, papa Pacelli proclama, pur tra le perplessità di molto teologi e vescovi circa le negative ripercussioni di un dogmatismo troppo spinto, il dogma di fede dell'Assunzione di Maria Vergine in cielo, promuovendo le processioni alla "Madonna Pellegrina".
Nel clima di una crociata antimarxista, diede incremento all'Azione Cattolica di Luigi Gedda e permise l'istituzione dei COMITATI CIVICI vedi GEDDA > > , strumenti di consenso per la DC. Pensò anche di indire un Concilio per affrontare l'immensa mole di problemi emersi dalla guerra, ma preferisce organizzare questa materia nei suoi discorsi e da il via a una prima parziale riforma liturgica, venendo incontro alle nuove esigenze del mondo moderno, Pio XII permise la celebrazione della Messa anche nelle ore vespertine e ridusse gli obblighi del digiuno eucaristico. Sotto il suo pontificato fu elevato agli onori degli altari papa Pio X (1951), mentre San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena furono proclamati patroni d'Italia (1939).

I suoi ultimi istanti di vita sono drammatici, le foto della sua agonia sono vendute alla stampa dal suo medico, dottor Giuseppe Galeazzi, che sarà poi radiato. Dopo la sua morte, avvenuta la notte del 9 ottobre 1958, le sue spoglie, portate frettolosamente a Roma, e imbalsamate in modo maldestro, vengono esposte in San Pietro il 15 ottobre, per essere sepolte dopo solenni funerali in San Giovanni e poi nelle Grotte Vaticane. In San Pietro lo ricorda una bellissima statua di Giuseppe Messina.
Documenti selezionati del magistero di S. S. Pio XII
N.B. Si raccomanda la consultazione dei copiosi testi integrali (con le note critiche) presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti originali presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.

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IL GRAVE DISCORSO
di PIO XII
NEL NATALE DEL '42

Il 24 DICEMBRE del '42, alla vigilia di Natale, PIO XII nel suo discorso natalizio invoca la pace, ma assume anche lui delle posizioni che sono in contrasto con la linea della popolazione italiana, tanto da essere incolpato non solo dai fascisti di disfattismo, ma anche dalle altre forze politiche e militari (e dai comuni cittadini cattolici o no) visto che 2 milioni di italiani sono al fronte. Non si poteva accusare e nello stesso tempo non far nulla, mentre proprio negli stessi giorni natalizi, 235.000 uomini si trascinavano - e con poche speranze di tornare in patria - nella tragica ritirata di Russia.
E inoltre Pio XII sapeva ben altre tragedie. 

Alcune frasi di PAPA PACELLI, viste in una certa prospettiva indicavano che in Italia "non vi era più posto per il fascismo", ma non proponeva altro (anche se non c'erano tante altre alternative!).  Diceva solo chi erano i colpevoli ma senza nominarli, invocava l'astratta pace celeste, poi si ritirava nelle sue stanze, mentre i soldati italiani in Russia  nello stesso giorno soccombevano in una drammatica ritirata nella steppa; e per metà di loro non ci fu  scampo.
Per salvarsi avrebbero potuto fare una sola cosa, se questa del papa era veramente l'opinione corrente in Italia (e lo era, vedi poi il 25 luglio, nessun incidente, nessuna guerra civile, l'ideologia stava lasciando il posto al patriottismo): bisognava accantonare subito il fascismo rifiutare il nazismo e riscoprire altri sentimenti; o arrendersi subito, o dichiararsi neutrali, oppure rimboccarsi le maniche.  
Ma il Papa ebbe "paura" (come vedremo più avanti).

"Ancora Farinacci, saputo degli incontri di Novembre con TAYLOR che era stato mandato in Vaticano da ROOSEVELT per cercare una intesa generale con Berlino e Roma (eventualmente anche con Mussolini in persona) accusava il Vaticano di aver contribuito alla decisione inglese di bombardare le maggiori città italiane per sfiancarne il morale (e siamo appena all'inizio). Farinacci riferiva e accusava che il cardinale MAGLIONE avrebbe detto nel massimo segreto a GUARIGLIA, che quando Taylor aveva fatto al pontefice un accenno alla possibilità di staccare l'Italia dalla Germania aveva trovato nel pontefice una glaciale accoglienza, tanto da far cadere (Pacelli l'ex Nunzio Apostolico a Berlino) il discorso. Preferì non muoversi, tanto più che non approvava la resa (ricordiamoci che  all'Italia fu imposta, e senza condizioni. Ndr) . BASTICO  inoltre aveva fatto un sondaggio a proposito di un possibile colpo di stato che assicurasse l'ordine e la pace in Italia, e permettesse lo sganciamento dalla Germania. Pio XII invece si tenne tanto alto, sorvolando la questione, e non diede nessuna risposta. Parlò solo di rivitalizzare e potenziare l'associazionismo cattolico". (De Felice - Storia del Fascismo - Crisi e agonia del fascismo . pag 790)

Il discorso del papa parve perfino privo di realismo a un cattolico fascista come Papini: "Il papa somiglia a uno che dinanzi a una metropoli in fiamme faccia saggi discorsi per dimostrare che ai bambini non vanno affidate le scatole dei fiammiferi"

Ma nel discorso c'era ben altro. Ecco le paure! C'era una grave inquietudine e tra le righe nascondeva un'altra grande tragedia umana. C'era una criptica denuncia dei crimini che si stavano commettendo. Pio XII non accenna chi li sta facendo, dove, e contro chi. Ma i tedeschi capiscono perfettamente e sappiamo che fecero grosse pressioni in Vaticano "Attenzione se vi schierate contro i tedeschi, e condannate quelle che dite essere nostre atrocità e ci mettete i cattolici contro, vi avvisiamo che per i cattolici di tutta Europa  scatterà una dura repressione. Quindi state calmi e non violate la neutralità con i proclami". Insomma la critica del Papa e della Chiesa ai nazisti potevano mettere a repentaglio la posizione di milioni di cattolici, non solo tedeschi".

La inquietante frase del discorso di Pio XII, la riportiamo per dovere di cronaca letteralmente, ed è significativa "Questo voto di pace in un ordine nuovo, l'umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento".
Ma non aggiunge altro! Sono i famosi "silenzi" tra una virgola e l'altra.

I riferimenti precisi per chi fu attento a queste parole, invece c'erano. E dai tedeschi furono ben individuati. Loro perchè sapevano, ma anche Pio XII sapeva.  Il segretario di Stato MONTINI (il futuro Paolo VI) il 18 settembre informava il papa della tragedia e scriveva che i massacri "degli ebrei hanno raggiunto proporzioni e forme esecrande e spaventose. Incredibili eccidi sono operati ogni giorno; pare che per metà ottobre si vogliano vuotare interi ghetti di centinaia di migliaia di infelici languenti".

Ed anche Montini - a causa di Radio Vaticana che dirigeva, indubbiamente non gradita a Berlino perchè accennava a certe "cose" - ricevette delle minacce di rappresaglia da Von Ribbentrop tramite l'ambasciatore tedesco. "Attenzione se l'atteggiamento negativo continua, la stampa tedesca porterà un attacco alla Chiesa e alla Santa Sede". (Giovanni Miccoli, Dilemmi e silenzi di Pio XII, vaticano, Seconda guerra mondiale e Shoah, ed. Rizzoli, 2000).
Pio XII aveva più volte preso in considerazione l'eventualità di dichiarazioni pubbliche, e certamente non fu con leggerezza che decise di optare per un'azione silenziosa. In varie lettere ai vescovi tedeschi confidò le sue esitazioni e i suoi dubbi.
Così il 20 febbraio 1941: "Là dove il Papa vorrebbe gridare forte, è purtroppo un silenzio di attesa che talora gli viene imposto; là dove vorrebbe agire gli è imposta un'attesa paziente..."
e così il 3 marzo 1944: "...è dolorosamente difficile decidere se si impongano una riservatezza ed un silenzio prudente, oppure una parola decisa ed un'azione energica".
Non poche voci autorevoli si espressero nella stessa linea del Pontefice. Robert M.W. Kempner, ex delegato degli Stati Uniti al Consiglio del Tribunale dei crimini di guerra di Norimberga ha scritto: "Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non si sarebbe rivelato che un suicidio provocato, come ha dichiarato Rosenberg (ideologo del nazismo) ma avrebbe accelerato l'esecuzione di un numero ancor più alto di ebrei e di sacerdoti".
Pertanto il riserbo di Pio XII fu tutto il contrario di una forma di indifferenza nei riguardi delle vittime. Mentre il Pontefice mostrava in pubblico un apparente silenzio, la sua Segreteria di Stato sollecitava nunzi e delegati apostolici in Slovacchia, Romania, Ungheria, prescrivendo loro di intervenire presso i rispettivi governi e presso gli episcopati allo scopo di suscitare un'azione di soccorso, la cui efficacia fu riconosciuta all'epoca, dai ripetuti ringraziamenti delle organizzazioni ebraiche e che uno storico israelita, Pinchas Lapide, non esitò a tradurre in cifre: 850.000 persone salvate.

La Santa Sede abituata com'era alle delusioni, ai rifiuti, ai fallimenti non coltivò alcuna illusione sulla portata della propria influenza, anche se altri, mossi da buone intenzioni, o , al contrario, da intenzioni ostili le accreditavano un potere illimitato.

Quando nel maggio 1952 in un discorso alle infermiere, rievocò quegli anni tragici, Pio XII si poneva il quesito: cosa avremmo dovuto fare che non abbiamo fatto?
In altre parole Papa Pacelli si dichiarava consapevole di aver compiuto tutto ciò che aveva creduto di poter fare. Relativamente ai risultati, affermare che egli stesso, o un altro al suo posto, avrebbe potuto fare molto di più, significa uscire dal seminato della storia per avventurarsi
nella palude delle supposizioni e del sogno.
La principessa Enza Pignatelli Aragona per la sua posizione aveva facile accesso al Vaticano . Quando all'alba del 16 ottobre 1943 iniziò a Roma il rastrellamento degli ebrei un'amica l'avvisò telefonicamente: intere famiglie venivano prelevate nel sonno dalle loro case, caricate su autocarri militari: donne vecchi e bambini senza distinzioni di sesso età e salute. Telefonò all'ambasciata tedesca e - ironia della sorte- chiese al diplomatico suo amico, Gustave Wollenweber, di portarla con l'auto in Vaticano. L'intenzione era di informare il Papa in persona e proporgli una protesta formale contro Hitler. Il maestro di camera pontificio al vedersela arrivare a quell'ora di mattino, senza preavviso e senza dare spiegazione rimase sgomento. Tanto più che pretendeva di parlare a " quattrocchi" e subito al Santo Padre. E questi subito la ricevette. Il papa non sapeva capacitarsi del fatto che i tedeschi gli avessero promesso che non avrebbero toccato più gli ebrei...e invece, ora...Solo due settimane prima i capi ebrei avevano dato alle SS di Kappler 50 kg di oro. Chiese subito la convocazione dell'ambasciatore tedesco.

E' stato detto che Pio XII non ha mai protestato con i tedeschi contro la deportazione del 16 ottobre. (quella del "Ghetto") Ma la documentazione prova che c'era una protesta personale e ufficiale, attraverso il card. Maglione. Questi consegnò la protesta su ordine di Pio XII all'ambasciatore tedesco, Ernst Von Weizsacher quella stessa mattina. E la si può trovare pubblicata nel libro ufficiale del Vaticano Actes per quella data del 16 ottobre 1943! Pertanto protesta ci fu...l'ambiguità su cui giocano gli speculatori (coscienti o superficiali) è che essa non fu inoltrata a Berlino per il ricatto manifesto di fronte al quale fu messo il cardinale segretario di Pio XII (Maglione): "Vuole veramente il Papa che Berlino sia informato della sua indignazione? Io penso alle conseguenze che provocherebbe un passo della Santa Sede".
Con riluttanza il cardinal Maglione non insistette per l'inoltro della protesta vista la minaccia di altri guai che si sarebbero potuti abbattere non solo sugli ebrei, ma anche sui cattolici tedeschi. Weizsacker invece usò l'autorizzazione di Maglione non per tacere la protesta ma per riferirla in modo che a Berlino si credesse che il Papa non aveva protestato. "Il Papa - scrisse l'ambasciatore tedesco al suo governo - benché importunato da più parti non si è lasciato spingere ad alcuna dichiarazione dimostrativa contro la deportazione degli ebrei di Roma."
Da questo dispaccio del 28 ottobre 1943
nacque la storia del "silenzio" di Pio XII.

 

Su i "SILENZI" di PIO XII

UNA POLEMICA INFINITA
Dopo cinquant'anni si ripropongono due drammatiche domande sulla base di un ennesimo libro
e degli studi di una Commissione storica internazionale

 
PIO XII: ANTISEMITA E PAPA DI HITLER?
FALSIFICAZIONE O…?

di ALESSANDRO FRIGERIO

Non sembra trovare risposta l'annosa querelle sui cosiddetti 'silenzi di Pio XII' durante l'Olocausto. Il "Rapporto preliminare" reso noto a fine novembre da una Commissione storica internazionale cattolico-ebraica, formata rispettivamente da tre storici di ciascuno dei due campi, non sembra avere sortito alcun effetto se non quello di un inusitato incremento del volume della disputa. Anche perché il famigerato rapporto, invece di rispondere ai dubbi sul pontificato di Papa Pacelli ne ha formulati addirittura 47, chiedendo alla Santa Sede di aprire i suoi archivi e di consentire così adeguate risposte.
Perché il Vaticano non condannò il pogrom nazista del 1938 contro gli ebrei, noto come 'Notte dei cristalli'? I silenzi di Pio XII sullo sterminio del popolo ebraico furono casuali o voluti? Il Papa diede veramente il suo placet all'antisemitismo di Petàin a Vichy? Perché durante il famoso discorso di Natale del 1942 il Papa condannò le violenze naziste senza però fare riferimento agli ebrei? Come mai i fondi messi a disposizione da un'organizzazione ebraica americana furono destinati dalla Chiesa solo al salvataggio degli ebrei convertiti e non a beneficio di tutti i perseguitati? E ancora, perché la Santa Sede si oppose all'emigrazione degli ebrei in Palestina? Perchè non ha mai riconosciuto la Santa Sede il neonato Stato di Israele?
Sono solo alcune delle taglienti domande alle quali la Commissione chiede che sia data risposta.

Ma come è nata l'idea di mettere Papa Pacelli sul banco degli imputati a cinquant'anni dagli eventi incriminati? La Commissione mista cattolico-ebraica è stata fondata nell'ottobre del 1999 per iniziativa del presidente della Commissione della Santa Sede per le relazioni religiose con gli ebrei, cardinale Edward Idris Cassidy.
Ma fin dall'inizio sono venute alla luce alcune ambiguità e riserve sui suoi compiti, i suoi fini e la sua composizione. Si disse inizialmente che i lavori avrebbero dovuto svolgersi sugli archivi vaticani, la cui consultazione era limitata fino all'anno 1922. Ma successivamente fu annunciato che sarebbero stati presi in considerazione solo gli undici volumi degli 'Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale', in cui sono raccolti tutti i documenti di archivio della Santa Sede relativi alla Seconda guerra mondiale.

Perplessità suscitarono anche i nomi degli esperti chiamati a farvi parte. Nonostante l'argomento riguardasse soprattutto l'Europa, solo un europeo, Bernard Suchecky, ricercatore alla libera Università di Bruxelles, è entrato a farne parte. Robert S. Wistricht, professore all'Università ebraica di Gerusalemme, è nato in Europa ma vive tra gli Usa e Isaraele. Gli altri componenti sono statunitensi. Inoltre, quattro dei sei membri sono noti per aver già pubblicato saggi di condanna dell'operato di Pio XII e della Chiesa durante la guerra.
Dopo un anno di lavoro i sei 'commissari' hanno redatto il rappporto preliminare col quale esprimono le pesanti riserve che abbiamo visto sul comportamento di Pio XII durante l'Olocausto. Parallelamente è stata avanzata una richiesta per la consultazione di nuovi documenti nonché la possibilità di ascoltare alcuni funzionari degli archivi vaticani.
Senonché, ampi stralci dei lavori, che dovevano svolgersi a porte chiuse ed essere resi di pubblico dominio dopo le risposte del Vaticano alle 47 domande, sono trapelati a fine ottobre sulle pagine di 'Le Monde', suscitando un vero e proprio vespaio. Ciliegina sulla torta, solo un mese prima in Italia veniva distribuito in libreria il saggio di un giornalista anglosassone, John Cornwell, che già nel titolo definiva Pio XII come 'Il Papa di Hitler'.

Certo, le accuse di antisemitismo non sono nuove. In una intervista di un paio di anni fa Padre Peter Gumpel, oggi massimo sostenitore della causa di beatificazione di Papa Pacelli, ne ha voluto ripercorrere le origini, rintuzzandole una ad una.
"Tutto è cominciato - afferma Gumpel in questa intervista del 1998 - con il dramma storico scritto da Rolf Hochhuth, rappresentato per la prima volta nel 1963 in Germania con il titolo 'Il Vicario'. Quando il dramma fu pubblicato come libro, Hochhuth aggiunse una lunga appendice che giustificò come il frutto di lunghe ricerche storiche. Tuttavia chi legge attentamente questa appendice può facilmente constatare come Hochhuth avesse dato via libera alla sua fantasia. Le sue affermazioni secondo cui Pio XII era un codardo, un pro-nazista che si interessava dei suoi presunti investimenti in Germania, non sono altro che gravissime calunnie".

È interessante notare come, subito dopo la pubblicazione, Emilio Pinchas Lapide, un diplomatico ebraico già Console generale a Milano, nonché storico, si è sentito in dovere di pubblicare alcuni articoli per protestare contro questo attacco a Pio XII. Anche Jeno Levai, invitato come esperto al processo contro il nazista Eichmann che si svolse a Gerusalemme, difese pubblicamente in aula l'operato di Pio XII. Quando il dramma di Hochhuth fu presentato in Gran Bretagna, Sir Godolphin Francis Osborne D'Arcy, già Ministro inglese presso il Vaticano durante la seconda guerra mondiale, intervenne pubblicamente contro le affermazioni fatte da Hochhuth. Poco prima di essere eletto papa, l'Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, pubblicò un articolo su 'The Tablet' in cui prese di mira Hochhuth e difese Pio XII a spada tratta. Montini conosceva molto bene Pio XII essendo stato durante il periodo della guerra uno dei suoi principali collaboratori in Segreteria di Stato. Montini termina l'articolo sostenendo che "se Pio XII avesse fatto un gesto clamoroso contro Hitler, Hochhuth avrebbe potuto scrivere un altro dramma sostenendo come un grande gesto teatrale aveva esposto tante vite a morte sicura".

Tra le voci più critiche contro Pio XII - continua Gumpel - troviamo Saul Friedlaender, Gunther Levy e mister Wiesenthal. Negli Stati Uniti il più arrabbiato di tutti è il rabbino ultra-ortodosso Hiem, capo del Wiesenthal Center di Los Angeles. Un critico particolarmente noto è anche Robert Katz, reso famoso dal libro 'Morte a Roma' da cui il film prodotto da Ponti 'La Rappresaglia'. Per questo libro e susseguente film la nipote di Pio XII denunciò Katz.

Dopo anni di dibattimento Robert Katz fu condannato per diffamazione vilipendio e calunnia alla memoria di papa Pacelli. Più recentemente il prof. John Weiss, ha pubblicato su 'America' del 26 ottobre 1996, un articolo che culmina con l'accusa che Pio XII era pro-nazi. Weiss sostiene che Pio XII non è mai intervenuto per i martiri cattolici e non c'è nessuna evidenza che Papa Pacelli abbia fornito aiuto ai cospiratori tedeschi contro Hitler.

Si tratta di affermazioni false. Sia dalle nostre ricerche che dall'archivio del Foreign Office abbiamo raccolto un pacco di documenti in cui si dimostra il contrario. Prima dell'invasione di Olanda, Belgio e Lussemburgo che fu scatenata dai nazisti il 10 maggio 1940 un gruppo di generali tedeschi ostili ad Hitler ed alla guerra provarono a mettersi in contatto con il governo inglese attraverso i buoni uffici del Vaticano. In cambio dell'eliminazione di Hitler e della libertà per tutti i paesi occupati, i cospiratori chiedevano una pace onorevole. Io ho sempre saputo che a capo di questo gruppo era il colonnello generale Beck. Quando Hitler voleva invadere la Cecoslovacchia, Beck era Capo di Stato Maggiore Generale dell'esercito tedesco. Egli consegnò le dimissioni per protesta. Beck conosceva Pio XII dal tempo in cui questi era stato nunzio a Berlino. Pio XII sapeva che era una persona assolutamente affidabile. Prima di accettare la trattativa gli inglesi però volevano sapere i nomi dei cospiratori anti-Hitler. Pio XII garantì che si trattava di persone serie ma non volle dare i nomi, perché se fossero venuti a conoscenza di Hitler sarebbero stati uccisi come traditori. Così il tentativo di accordo non ebbe esito".

Da parte nostra non possiamo esimerci dal segnalare gli attestati e i riconoscimenti di stima rilasciati a Pio XII da parte ebraica dopo la fine del conflitto. Studiosi e storici israeliani hanno ormai riconosciuto da tempo il ruolo svolto dalla Chiesa Cattolica durante il pontificato di Pio XII nel salvare più di 800 mila ebrei da morte certa. Nahum Goldmann, presidente del Congresso mondiale ebraico, scrisse: "Con particolare gratitudine ricordiamo tutto ciò che egli ha fatto per gli ebrei perseguitati durante uno dei periodi più bui della loro storia" (come segno di riconoscenza nel 1945 il Congresso donò 20mila dollari per le opere di carità del Vaticano).

Golda Meir scrisse: "Durante i dieci anni del terrore nazista, quando il nostro popolo attraversò gli orrori del martirio, il Papa levò la sua voce per condannare i persecutori ed esprimere solidarietà alle vittime. La vita del nostro tempo è stata arricchita da una voce che ha espresso le grandi verità morali".
Il rabbino capo di Roma Israel Zolli (che fra l'altro si convertì al cattolicesimo prendendo il nome di Eugenio, proprio in onore di papa Pacelli) scrisse: "Ciò che il Vaticano ha fatto sarà scolpito in modo indelebile e per l'eternità nei nostri cuori". Anche Albert Einstein, ricordando la resistibile ascesa del nazismo in Germania, ebbe a scrivere: "Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità. Io prima non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio di sostenere la verità".

Tuttavia oggi si torna a parlare di un Pio XII che non fece tutto il possibile per denunciare la persecuzione nazista nei confronti degli Ebrei. Questo silenzio lo avrebbe reso in qualche modo complice della tragedia dell'Olocausto. Misfatto imperdonabile, a causa del quale l'Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, parlando a nome del governo israeliano, ha recentemente chiesto di attendere cinquant'anni prima di beatificare Pio XII.

Sulla stessa linea d'onda anche Elie Wiesel, scrittore, sopravvissuto ad Auschwitz, che in un'intervista sulla beatificazione di Pio XII ha dichiarato: "Sarebbe un gesto gravissimo premiare un uomo il cui silenzio durante l'Olocausto ha di fatto avallato lo sterminio di milioni di ebrei". Perfino il rabbino capo di Israele, Meir Lau, commemorando nella sinagoga di Berlino il sessantesimo anniversario della 'Notte dei cristalli' (9-10 novembre 1938), ha parlato del colpevole atteggiamento di Pio XII e lo ha accusato di non aver speso, in quella occasione, una sola parola in difesa degli Ebrei e dei loro beni.

Anche il pressing della Commissione sul Vaticano è stringente. "In Vaticano speravano di poter arrivare a un documento conclusivo che tutto sommato confermasse la validità degli 11 volumi di documenti diplomatici della Santa Sede per il periodo 1939-45 pubblicati dal 1965 ai primi anni Ottanta. Forse si auguravano che avrebbe dato la luce verde al processo di beatificazione di Papa Pacelli. Ma, dopo la nostra ricerca, i dubbi sono più fitti di prima", osserva Robert Wistrich, docente all'università di Gerusalemme e componente della parte ebraica della Commissione assieme a Michael Marrus, esperto di studi sull'Olocausto negli Stati Uniti, e a Bernard Suchecky, docente a Bruxelles e autore di un volume su Pio XI e la sua nota condanna dell'antisemitismo nazista.

Eva Fleischner, teologa cattolica statunitense e unica donna della Commissione, ha alternato dichiarazioni di condanna ad altre che sembrano voler smorzare i toni. "È ovvio che la Santa Sede fu a conoscenza molto presto dell'Olocausto - ha dichiarato la Fleischner - Mi è sembrato inutile invece che nella dichiarazione sulla Shoa del marzo 1998, la Chiesa dovesse nascondersi ancora dietro la vecchia scusa dell'ignoranza dei fatti per giustificare la sua passività. Il fatto è che Pio XII, come del resto ogni Papa, era investito di una missione profetica. E proprio in quella missione ha fallito".

Tuttavia, in un'altra intervista la teologa ha riconosciuto che omissioni e silenzi caratterizzarono anche Churchill, Roosevelt e Stalin. "Studiando i materiali ci siamo resi conto dell'enorme complessità dei problemi che la Santa Sede doveva fronteggiare. Parlando del ruolo di Pio XII, non dobbiamo nascondere anche tutto ciò che non è stato fatto dagli altri leader mondiali. E tuttavia la grande attesa di protestanti e cattolici, che si rivolgevano alla Santa Sede negli anni della guerra, dimostra che Pio XII non ha saputo rispondere a queste aspettative. E credo che una delle ragioni risieda nel carattere di questo pontefice. Pio XII era fondamentalmente un diplomatico e credeva che usando le leve diplomatiche si potesse mettere fine alla guerra e alle tante sofferenze del conflitto. Invece con i nazisti non aveva senso affidarsi alla diplomazia".

Ma torniamo al nostro battagliero Padre Gumpel. A lui si devono infatti le risposte meglio articolate ad alcune tra le 47 questioni più spinose poste dalla Commissione. In una recente intervista al mensile 'Tempi', dopo aver contestato la diffusione del rapporto preliminare senza aver atteso le risposte agli interrogativi sollevati, Gumpel passa immediatamente all'attacco. "La Commissione ha commesso una chiara manipolazione dei testi inventando fatti e cambiando addirittura il senso delle parole scritte. Per esempio la Commissione sostiene che tramite Montini Pio XII approvò le leggi antisemite di Petàin".

Si tratta di un falso clamoroso! In seguito alle leggi razziali ci furono proteste organizzate dai cattolici e dagli ebrei in tutta la Francia. Petàin si impressionò e cercò di creare una frattura tra il clero romano e quello francese. Scrisse a Léon Bérard ambasciatore presso la Santa Sede. E Bérard inviò a Petàin un lungo rapporto. La Commissione sostiene che Bérard avrebbe riportato di aver avuto da Montini un'approvazione all'antisemitismo di Vichy purché 'fosse amministrato con carità'.
"Ebbene si può leggere e rileggere il rapporto di Bérard senza mai trovare né il nome di Tardini né di Montini. Certo lui ha parlato con Tardini e Montini, ma che questi avessero approvato le leggi antisemite non è scritto da nessuna parte". Gumpel continua quindi sostenendo la coerenza di Pio XII nei confronti del nazismo e le cattive interpretazioni dei documenti in questione.

A invelenire un dibattito che sembra avere abbandonato i toni storiografici per quelli assai più chiassosi della polemica giornalistica sono giunti recentemente alla ribalta due nuovi documenti, entrambi provenienti dagli archivi statunitensi.
Secondo il primo, Papa Pacelli confidò a un diplomatico americano di considerare esagerate le notizie delle atrocità naziste contro gli ebrei.
Lo si apprende da un rapporto segreto redatto dall'allora ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Harold Tittmann, su una sua udienza dal Papa il 30 dicembre 1942. Nell'incontro, durato 40 minuti, il Papa disse di non essere disposto a denunciare in termini espliciti i nazisti senza condannare anche l'Unione Sovietica. Il Papa espresse il "timore" che le notizie sulle atrocità potessero essere fondate, ma "mi fece capire anche di essere convinto che gli Alleati avessero esagerato a fini propagandistici", riferì il diplomatico americano nel rapporto di quattro pagine, timbrato 'top secret' e solo di recente reso pubblico dagli archivi nazionali americani.

Il secondo documento è in apparenza meno esplosivo. Diffuso per conto del Congresso ebraico nazionale, riferisce di un progetto di Pio XII per creare, alla fine della guerra, uno stato cattolico formato dall'Austria e da parte della Germania. Progetto che ottenne il consenso del comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower. L'incontro avvenne in Vaticano il 17 settembre del 1945. Quel giorno Pio XII ricevette il generale Eisenhower e il generale Clark, che era a capo delle forze armate alleate in Austria. A loro chiese di non opporsi all'eventuale creazione di uno stato cattolico che comprendesse Austria, Baviera, Sassonia e altre zone della Germania occidentale.
Pio XII - il cui progetto escludeva Ungheria e Germania Est perché sotto controllo sovietico - voleva garantirsi che gli alleati non avrebbero ostacolato la creazione di un movimento politico avente questo obiettivo, e ottenne un assenso di principio dai due generali. Capo del nuovo stato avrebbe dovuto essere l'arciduca Otto d'Asburgo, pretendente al trono austriaco. La cosa, naturalmente, non andò a buon fine. Nel 1947, infatti, la Sassonia fu integrata nella Germania Orientale, mentre la Baviera divenne parte di quella Occidentale nel 1949. L'Austria, dal canto suo, rimase divisa in due: una parte sotto controllo degli alleati, l'altra sotto quello russo fino al 1955.

Questi ultimi documenti - che hanno visto la luce con straordinario tempismo - potranno forse portare acqua al mulino della tesi di un Papa accecato dall'anticomunismo, ostinatamente filogermanico e vocato alla restaurazione e alla teocrazia? Un punto in più a favore della Commissione? Attendiamo i prossimi sviluppi, di cui naturalmente non mancheremo di dare notizia ai nostri lettori

ALESSANDRO FRIGERIO
Bibliografia
I dilemmi e i silenzi di Pio XII, di G. Miccoli - Ed. Rizzoli, 2000;
Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII, di J. Cornwell - Ed. Garzanti, 2000;
Pio XII e la seconda guerra mondiale negli archivi vaticani, di P. Blette - Ed. San Paolo, 1999.
The Vatican and the Holocaust: A Preliminary Report Submitted to the Holy See's Commission for Religious Relations with the Jews and the International Jewish Committee for Interreligious Consultations, by the International Catholic-Jewish Historical Commission, October 2000.

Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore Gianola di Storia in Network

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ancora sui silenzi

dell'Arciv. AGOSTINO MARCHETTO

SUI "SILENZI" DI PIO XII

Con la sua pubblicazione (Pierre Blet, S.J., Pie XII et la Seconde Guerre mondiale d'après les archives du Vatican, Librairie Académique Perrin, 1997, p. 336) il P. Blet compie una utilissima opera di divulgazione storica, sulla sicura base scientifica degli "Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale" (Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 1965-1981, in 11 tomi e 12 volumi). Sono così ora offerte, in pubblicazione unica, abbordabile, le conclusioni riassuntive della generosa e preziosa ricerca d'archivio dei PP. R. Graham, A. Martini e B. Schneider, oltre che dello stesso P. Blet. Essa illustra l'atteggiamento e l'azione di Papa Pacelli e della Santa Sede durante la terribile ultima guerra.

"Questa documentazione fa vedere - e lasciamo qui la parola all'Autore - la situazione nella quale la guerra mise il papa, con le informazioni più o meno complete che gli pervengono, i ricorsi che si fanno alla sua influenza morale e religiosa, che alcuni immaginano illimitata e che ciascuno cerca di utilizzare nell’interesse della propria causa, i suoi sforzi per salvare ciò che lo può ancora essere, conservando l'imparzialità tra le parti in lotta, i suoi passi per sviare il flagello, i tentativi per contenerlo e, quando fu scatenato a scala europea (e) poi mondiale, i suoi sforzi per addolcire le sofferenze e soccorrere le vittime" (p. 9).

Dopo aver menzionato i limiti dell'analisi di un qualsiasi archivio ("anche il più completo non rende giammai conto della realtà totale", per esempio), l'Autore conclude che questi documenti risultano però essere la sorgente essenziale e insostituibile della storia della Santa Sede durante la II Guerra mondiale. Il P. Blet continua peraltro il suo dire facendo una constatazione ben triste, e cioè "l'esperienza dei quindici anni trascorsi dall’apparire dell'ultimo volume (dei citati "Actes") mostra che il contenuto, se non l'esistenza stessa di questa pubblicazione, sono ancora sfuggiti a molti di coloro che parlano e scrivono sulla Santa Sede durante l'ultima guerra".

E proprio da tale constatazione è nata l'idea del presente volume, che cerca di illustrare il loro contenuto. In effetti, essendo ciascuno degli undici tomi che compongono l'opera preceduto da una introduzione dalla quale risulta l'essenziale dei documenti presentati, l'Autore ora qui le riprende, sia pur sinteticamente, alleggerendo altresì il libro suo dell'apparato di riferimento alle fonti. Si limita di fatto a indicare all'inizio di ogni suo capitolo i volumi nei quali tali documenti sono pubblicati. Così il P. Blet utilizza il lavoro dei suoi antichi colleghi, dei quali egli è il solo sopravvissuto, citandone altresì qualche contributo scientifico posteriore agli "Actes" , con richiamo infine a collezioni di storia diplomatica (Documenti diplomatici italiani, Documents on British Foreign policy, Foreign Relations of the United States, Diplomatic papers, Akten zur deutschen Auswaertigen Politik — 1918-1945) e a qualche "diario" di protagonisti della storia contemporanea, insieme a talune opere particolarmente importanti o significative. Il tutto è compiuto, in nota, all'inizio di ogni capitolo.

Essi portano i seguenti titoli: * la diplomazia vaticana contro la guerra; * Pio XII, Roosevelt e Mussolini; * il Papa e la Chiesa di Germania; * la Chiesa nella Polonia invasa; * al tempo del Reich trionfante; * dalla guerra europea alla guerra mondiale; * leggi e persecuzioni razziali; * la deportazione in Slovacchia e in Croazia; * la Romania e l'Ungheria; * la sorte della Città eterna; * gli affari di Francia e ultimi combattimenti e destino dei popoli.

Non possiamo naturalmente qui seguire l'Autore nel dipanarsi del suo procedere, ma desideriamo ugualmente offrire al lettore qualche conclusione, traendo lo spunto dal riassunto finale della valida ricerca, fornitoci nell'ultima parte dell'opera (p. 317-326).

Da essa risulta evidente che Pio XII fece tutto il possibile per allontanare anzitutto il pericolo della guerra: passi segreti diplomatici, discorsi solenni, appelli patetici ai popoli e ai loro governanti, insistendo affinché fosse evitata ogni provocazione, specialmente tra Polonia e Germania, fino al famoso, estremo, appello: "Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra"

Vi è poi illustrazione della sua "politica" nel tempo della guerra: assecondare le occasioni per incamminare di nuovo i popoli verso la conclusione di una pace onorevole per tutti e intanto sollevarli dalle terribili ferite, già inflitte o che saranno inferte in avvenire. Intanto la sua prima preoccupazione fu di trattenere l'Italia dall'entrare in battaglia. Al tempo stesso trasmise a Londra le proposte dei generali tedeschi che volevano liberarsi di Hitler, ma chiedevano garanzie per una pace onorevole per il loro Paese. Su questa linea giunse a prevenire Francia ed Inghilterra dall’attacco tedesco contro Belgio, Olanda e Lussemburgo. Una volta realizzatasi poi la invasione, la condannò, servendosi dei telegrammi di condoglianza ai tre loro sovrani. Lo fece per imparzialità, che giudica le cose secondo verità e giustizia, non per neutralità.

Anche per questo rifiutò di accedere al desiderio di una sua dichiarazione a favore dei soldati italiani e tedeschi impegnati nella battaglia contro la Russia sovietica e tolse gli scrupoli, pur con un cammino specialmente studiato, ai cattolici americani a proposito dell'aiuto che il loro governo si proponeva di fornire alla Russia.

Per la Polonia, ci si pose la questione di una dichiarazione pubblica, mentre già l'Enciclica Summi Pontificatus aveva evocato il passato eroismo e le attuali sofferenze della nazione polacca. Tardini scrisse al riguardo: "di fronte a una condanna solenne, la potenza occupante appesantirà ancor più la sua mano sulle vittime e proibirà quel poco di bene che la Santa Sede può ancora fare loro". Si ripiegò così su una lettera a Ribbentrop, firmata dal Card. Maglione, che non fu nemmeno accettata. Finalmente nel suo discorso ai Cardinali del 2 Giugno 1943 Pio XII esaltò le sofferenze del momento e le glorie passate della Polonia, ricevendo dagli alti Dignitari di quella Chiesa locale l'espressione della più calorosa riconoscenza.

A proposito della persecuzione contro i Giudei, in risposta agli appelli al soccorso, da più parti giunti, pur regnando "incertezza sulla loro sorte, con l'andare del tempo i sospetti di un tragico destino divennero più pesanti". 

In effetti, in data 5/5/43, la Segreteria di Stato "riassumeva in una breve, ma impressionante nota, i comunicati che pervenivano sulla sorte dei Giudei: si parlava di campi della morte, di vittime rinchiuse a centinaia in camere, dove morivano per l'azione dei gas o stipati in vagoni ermeticamente chiusi". E ci si domandava "quale fosse la esatta portata di tali informazioni che lasciavano i governi alleati, e molti degli stessi ambienti giudaici, esitanti su ciò che si doveva credere e su ciò che si poteva fare".

Per il Natale del 1942, Pio XII aveva, intanto, denunciato tutte le crudeltà della guerra in corso, la violazione delle convenzioni internazionali, evocando "le centinaia di migliaia di persone che, senza colpa propria alcuna, a volte unicamente in ragione della loro nazionalità o razza, sono destinate alla morte".

Sull’argomento il Papa tornò nel giugno (il 2) seguente, del 1943 dunque, ancora con vivi accenti, ma non era — è vero — quella condanna "esplicita" che certuni volevano egli fulminasse. E il Vescovo di Roma se ne giustifica, quasi, spiegando che ogni parola delle sue pubbliche dichiarazioni "doveva essere considerata e pesata con una serietà profonda nello stesso interesse di coloro che soffrono". 

Siamo al nocciolo della questione dei cosiddetti "silenzi" di Pio XII, perché egli ormai si attesta su questa riserva di fondo, anche se la gravità di una tale decisione gli era apparsa in tutta la sua drammaticità già in antecedenza. Egli così scriveva, infatti, il 20 febbraio 1941: "Là dove il papa vorrebbe gridare alto e forte, è sfortunatamente l'attesa e il silenzio che gli sono sovente imposti; là dove egli vorrebbe agire ed aiutare, ecco la pazienza e l'aspettativa (che si impongono)". E più tardi (il 3 marzo 1944) affiderà allo scritto, un'altra volta, il suo dramma: "Con frequenza è doloroso e difficile decidere ciò che la situazione comanda: una riserva e un silenzio prudenti, o al contrario una parola franca e un'azione vigorosa".

Il Rev. P. Blet cerca di sondare, a questo punto, i motivi che stanno alla base dell'atteggiamento di Pio XII, e li trova, all'esterno, in una formula lapidaria della Croce Rossa ("le proteste non servono a niente e possono rendere un pessimo servizio a chi si pensa di aiutare") e in una considerazione del Dipartimento di Stato ("La sola maniera dì aiutare i Giudei è vincere la guerra"). L'Autore, a conferma, cita anche R. M. W. Kempner, antico delegato degli U.S.A. al Consiglio del Tribunale di Norimberga, il quale così si esprime: "Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non sarebbe stato soltanto un suicidio provocato, come l'ha dichiarato attualmente Rosenberg, ma avrebbe affrettato l'esecuzione dì ancor più Giudei e preti". In questo modo si fa intravedere anche la preoccupazione del Papa per i cattolici tedeschi.

Ma mentre vi era un'apparenza di silenzio in pubblico, la Segreteria di Stato "pungolava" Nunzi e Delegati Apostolici, in Slovacchia e Croazia, in Romania e Ungheria, specialmente, a intervenire presso governi ed episcopati per suscitare una azione di soccorso, la cui efficacia fu riconosciuta anche dalle Organizzazioni giudaiche e il cui frutto uno storico israeliano, Pinchas Lapide, non teme di valutare attorno alle 850.000 (ottocentocinquantamila) vite salvate.

A questo punto il P. Blet affronta l'argomento della "resa incondizionata" esigita dagli Alleati e che tanto pregiudicò l'azione della Santa Sede, anche se Pio XII non intendeva certo farsi avvocato di una "pace zoppa". Il Papa pensava che tale condizione alleata non poteva che "prolungare inutilmente le rovine e i massacri".

Ma c'era altresì la questione orientale, noi la chiameremmo.

E la Polonia già faceva appello a Pio XII per un intervento presso gli Alleati occidentali contro le pretese della Russia sovietica... Ma a Yalta, nonostante le intenzioni iniziali di Roosevelt e di Churchill, la Polonia e l'Europa Orientale furono abbandonate al potere sovietico.

Intanto però ancora continuava la guerra sicché Pio XII continuò nel proprio sforzo di alleviarne almeno le sofferenze. E qui il P. Blet riesce felicemente, pur in breve spazio, a dare un quadro impressionante di tale opera, dell'attività cioè caritativa ed umanitaria della Santa Sede. Era il segno che malgrado la "secolarizzazione" della società, la Chiesa cattolica rimaneva cosciente della sua azione umanitaria, intimamente legata alla sua missione religiosa. E detta azione, coordinata anche con altre forze "umanitarie" (quali il Comitato Internazionale della Croce Rossa o le diverse Organizzazioni giudaiche), andò a tutte le vittime della guerra, senza distinzione di nazionalità, di razza, di religione o di partito.

Di fronte a tutti gli ostacoli la Santa Sede mostrò una tenacia ostinata e una perseveranza degna della nobiltà delle finalità che essa si era prefisse, e cioè, in termini pacelliani, "rendere la guerra più umana, addolcirne i mali e soccorrerne e consolarne le vittime".

Nel maggio 1952, Pio XII osò porre la seguente questione: "che cosa avremmo dovuto fare che non abbiamo fatto?". E Papa Pacelli si dichiarò cosciente, per evitare la guerra, per alleggerirne le sofferenze, per diminuire il numero delle vittime, "d'aver compiuto tutto ciò che egli aveva creduto poter fare".

Il P. Blet conclude, a sua volta, così: "Per quanto sia possibile ai documenti di penetrare i cuori, essi conducono alla stessa conclusione". Ma aggiunge, citando giudizi di Montgomery e de Gaulle, in fondo sulla "altezza di visione pacelliana, sopra gli interessi opposti e le rivali passioni", che essa "renderà sempre arduo il compito di comprendere la politica e la personalità di Papa Pio XII".

Una bibliografia sui documenti editi e su memorie e saggi scelti, oggi disponibili, precede l'utile indice.

AGOSTINO MARCHETTO
Tratto da L'OSSERVATORE ROMANO 16-17 febbraio 1998

 

(Arciv. Agostino Marchetto, autore dell'articolo, 
è Nunzio Apostolico alla Santa Sede. 
Grande studioso in Storia della Chiesa.
(Che Storiologia, ringrazia per l'articolo)

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 LETTERA ENCICLICA

MIRANDA PRORSUS


 DI PAPA PIO XII
 SU CINEMA, RADIO E TELEVISIONE

Contesto generale e obiettivo


"Le meravigliose invenzioni tecniche, di cui si gloriano i nostri tempi, benché frutti dell'ingegno e del lavoro umano, sono tuttavia doni di Dio, nostro creatore, dal quale proviene ogni opera buona: "Egli, infatti, non solo ha dato l'esistenza al creato, ma lo stesso creato conserva e sviluppa".


Alcune di queste invenzioni servono a moltiplicare le forze e le possibilità fisiche dell'uomo; altre a migliorare le sue condizioni di vita; altre ancora, e queste più da vicino toccano la vita dello spirito, servono o direttamente, o mediante artifici di immagini e di suono, a comunicare alle moltitudini, con estrema facilità, notizie, idee e insegnamenti, quali nutrimento della mente, anche nelle ore di svago e di riposo.

Tra le invenzioni riguardanti quest'ultima categoria, uno straordinario sviluppo hanno preso, durante il nostro secolo, il cinema, la radio e la televisione.

La Chiesa ha accolto queste invenzioni, fin dall'inizio, non solo con particolare gioia, ma anche con materna ansia e vigilante sollecitudine, volendo essa proteggere da tutti i pericoli i suoi figli, sulla via del progresso.

Tale sollecitudine deriva direttamente dalla missione affidatale dal divin Redentore, perché questi nuovi mezzi, come tutti sanno, hanno un potente influsso sul modo di pensare e di agire degli individui e delle comunità.

C'è anche un'altra ragione per cui la Chiesa si ritiene a ciò particolarmente interessata: essa, infatti, per un motivo superiore ad ogni altro, ha un messaggio da trasmettere a tutti gli uomini: il messaggio cioè dell'eterna salvezza; messaggio d'incomparabile ricchezza e potenza; messaggio che ogni uomo, a qualunque nazione o tempo appartenga, è necessario che accolga, secondo le parole dell'apostolo: "A me, che sono meno dell'infimo di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai gentili la buona novella della imperscrutabile ricchezza di Cristo, e mettere a tutti in luce quale sia l'adempimento del mistero, nascosto da secoli in Dio, creatore di ogni cosa" (Ef 3,89).

Nessuno potrà pertanto meravigliarsi se la Suprema Autorità Ecclesiastica si sia occupata di questo importante argomento, allo scopo di assicurare l'eterna salute alle anime acquistate "non con l'oro e l'argento corruttibili... ma col sangue prezioso di Cristo, Agnello immacolato" (I Pt 1,18-19), e abbia ponderato attentamente tutti i problemi che il cinema, la radio e la televisione pongono oggi ai fedeli.

Sono trascorsi oltre venti anni dal giorno in cui il nostro predecessore di felice memoria Pio XI, valendosi "della mirabile invenzione marconiana", indirizzò per la prima volta un radiomessaggio "attraverso i cieli a tutte le genti e ad ogni creatura".

Pochi anni dopo, il medesimo nostro predecessore impartiva al Venerabile Episcopato degli Stati Uniti, con la mirabile enciclica Vigilanti cura, sapienti insegnamenti conformi alle necessità del tempo, circa il cinema, dichiarando tra l'altro "necessario e urgente il provvedere che, anche in questa parte, i progressi dell'arte, della scienza e della stessa perfezione tecnica e industria umana, come sono veri doni di Dio, così alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime siano ordinati, e servano praticamente all'estensione del regno di Dio in terra: affinché tutti, come ci fa pregare la Santa Chiesa, ..."Sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna".

Noi stessi, durante il nostro pontificato, abbiamo sovente in ogni occasione trattato di questo argomento, impartendo opportune norme non solo ai pastori delle anime, ma anche alle varie associazioni di Azione Cattolica e agli educatori cristiani. Abbiamo, inoltre, volentieri ammesso alla nostra presenza le varie categorie professionali del mondo del cinema, della radio e della televisione; e, dopo aver espresso la nostra ammirazione per i mirabili progressi di queste arti e di queste tecniche, abbiamo ricordato le responsabilità di ciascuno, i grandi meriti conseguiti, i pericoli dei quali possono facilmente incorrere e gli alti ideali che devono illuminare le loro menti e guidare le loro volontà.

E' stata anche nostra cura, come ben sapete, istituire nella curia romana un'apposita commissione col compito di studiare accuratamente i problemi del cinema, della radio e della televisione che hanno attinenza con la fede e con la morale; alla quale commissione tanto i Vescovi quanto tutti gli interessati possono rivolgersi per opportune norme.Noi stessi spesso approfittiamo di questi meravigliosi mezzi moderni, che ci facilitano l'unione di tutto il gregge col Supremo Pastore, sicché la nostra voce, superando senza difficoltà gli spazi della terra e del mare e i marosi delle passioni umane, possa giungere alle anime, esercitandovi una salutare influenza, così come richiedono i sempre crescenti compiti del sommo apostolato a noi affidato.

E per noi motivo di grande conforto sapere che le esortazioni nostre e del nostro immediato predecessore Pio XI, di felice memoria, hanno non poco contribuito ad indirizzare il cinema, la radio e la televisione al perfezionamento spirituale degli uomini e con ciò alla maggior gloria di Dio.

Infatti, sotto la vostra zelante e vigilante cura, Venerabili Fratelli, sono state promosse, in comunanza di forze e di intenti, iniziative ed opere per siffatto apostolato, non solo sul piano diocesano e nazionale, ma anche su quello internazionale.

Non pochi dirigenti della vita pubblica, rappresentanti del mondo industriale ed artistico, e larghi ceti di spettatori cattolici, ed anche di non cattolici, hanno dato prove di onestà in questa gravissima questione, compiendo sforzi, anche a costo di sacrifici, perché non solo fosse evitato ogni pericolo di male, ma fossero rispettati i comandamenti di Dio e tutelata la dignità della persona umana.

Purtroppo, però, dobbiamo ripetere con san Paolo: "Non tutti hanno dato retta alla buona novella" (Rm 10,16), perché anche in questo campo il Magistero della Chiesa ha incontrato da parte di alcuni incomprensione e rifiuto, quando non è stato violentemente combattuto; da parte cioè di individui spinti da un disordinato appetito di lucro, o vittime di erronee idee sulla dignità e libertà della natura umana, e sull'arte.

Se l'atteggiamento di queste persone ci riempie l'animo di amarezza, non possiamo tuttavia deflettere dal nostro dovere, e tradire la verità, nella speranza che sarà riservato anche a noi il riconoscimento dato a Gesù dai suoi nemici: "Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo la verità, senza temere di nessuno" (Mt 22,16).

Come massimi vantaggi, così anche massimi pericoli possono nascere dai meravigliosi progressi tecnici moderni nei settori del cinema, della radio e della televisione.

Infatti, questi mezzi tecnici, che sono, si può dire, a portata di mano di ciascuno, esercitano sull'uomo uno straordinario potere e possono condurlo così nel regno della luce, del nobile e del bello, come nei domini delle tenebre e della depravazione, alla mercé di istinti sfrenati, secondo che gli spettacoli presentano ai sensi oggetti onesti o disonesti.

Come, nello sviluppo della tecnica industriale del secolo scorso, è spesso accaduto che la macchina, destinata a servire l'uomo, lo ha piuttosto dolorosamente asservito, così anche oggi, se lo sviluppo dei mezzi audiovisivi di comunicazione sociale non viene sottoposto al "giogo soave" (Mt 11,30) della legge di Cristo, rischia di essere causa d'infiniti mali tanto più gravi, perché verrebbero asservite non solo le forze materiali, ma anche quelle spirituali, così privando le scoperte dell'uomo dei grandi vantaggi che ne erano il fine provvidenziale.

Perciò, avendo seguito con sollecitudine paterna ed ogni giorno maggiore il grave problema, e considerati i salutari frutti che ha portato, nel settore del cinema, durante più di due decenni l'enciclica Vigilanti cura, abbiamo benevolmente accolto le richieste, pervenuteci da zelantissimi Pastori e da laici competenti di questi mezzi, e desideriamo dare, con la presente Lettera Enciclica, insegnamenti e norme anche circa la radio e la televisione.

Dopo aver pertanto invocato, con insistenti preghiere, il Signore e implorato l'intercessione della Vergine Santissima, vogliamo rivolgerci a voi, Venerabili Fratelli, dei quali conosciamo le sollecitudini pastorali, non solo perché sia chiara la dottrina cristiana relativa a questo campo, ma anche perché si prendano i necessari provvedimenti e le opportune iniziative; e perciò vogliamo instantemente raccomandarvi di premunire il gregge affidato alle vostre cure, contro tutti gli errori e tutti i danni che l'uso dei suddetti mezzi potrebbe provocare, con grave pregiudizio della morale cristiana.

Considerazioni generali
Gli insegnamenti cristiani sulla comunicazione


L'oggetto

Prima di intrattenervi separatamente sulle questioni relative a questi tre mezzi di comunicazione, e cioè al cinema, alla radio e alla televisione (sappiamo infatti che ciascuno di essi costituisce un fatto culturale con propri problemi artistici, tecnici ed economici), crediamo opportuno di esporre i principi che devono regolare la comunicazione, fatta su vasta scala, di beni destinati alla comunità e ai singoli individui.

Dio, essendo Sommo Bene, elargisce all'uomo, oggetto di sua particolare sollecitudine e amore, incessantemente i suoi doni, dei quali alcuni sono per le anime, altri in uso per questa vita terrena; e, manifestamente, questi ultimi sono subordinati ai primi esattamente come il corpo deve essere subordinato all'anima, alla quale, prima di comunicarsi nella visione beatifica, Dio si comunica mediante la fede e la carità, che "si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato" (Rm 5,5).

Inoltre, desideroso di ritrovare nell'uomo il riflesso della sua propria perfezione (cf Mt 5,48), Dio ha voluto farlo partecipe di questa divina liberalità e lo ha associato alla propria opera, facendolo messaggero, largitore e dispensatore di questi beni ai suoi fratelli e a tutta l'umanità.

L'uomo, infatti, per esigenza della sua stessa natura, fin dal mattino della sua esistenza prese a comunicare agli altri i suoi beni spirituali per mezzo di segni, che mutuati dalle cose sensibili, egli si è ingegnato di sempre più perfezionare. Tutti questi mezzi di comunicazione, dagli ideogrammi e dai segni grafici dell'età più remota fino ai ritrovati tecnici moderni, devono essere indirizzati all'eccelso fine di rendere l'uomo, anche in questo campo, quasi dispensatore di Dio.

Perciò, affinché l'attuazione di questo provvidenziale piano divino riesca più sicura ed efficace nell'umanità, in virtù della nostra autorità apostolica, con apposito Breve dichiarammo San Gabriele Arcangelo, "che ha portato al genere umano... il tanto desiderato annunzio di Redenzione", patrono celeste presso Dio di quei mezzi che consentono agli uomini di inviare in un istante, per mezzo dell'elettricità, messaggi scritti ad assenti, parlare fra loro da luoghi molto distanti, trasmettersi notizie attraverso le onde dell'etere e vedere presenti sullo schermo cose ed avvenimenti lontani. Con la designazione di questo celeste patrono intendevamo richiamare l'attenzione sulla nobiltà della loro vocazione a quanti hanno nelle mani i benefici strumenti che permettono di diffondere nel mondo gli inestimabili tesori di Dio, come semi buoni, destinati a portare i frutti della verità e del bene.

Considerando le finalità così alte di questi nobili mezzi tecnici sorge la domanda: come mai essi diventano anche fonti e veicoli di malvagità? "Come, dunque, c'è la zizzania?" (Mt 13,27).

La vera libertà: principi ed errori

Il male morale non può certo provenire da Dio, perfezione assoluta, né dai ritrovati tecnici, che sono suoi doni preziosi, ma solo dall'abuso che può farne l'uomo, dotato di libertà, il quale, perpetrandolo e diffondendolo, si mette dalla parte del principe delle tenebre e nemico di Dio: "Il nemico ha fatto questo" (Mt 13,28).

Perciò, la vera libertà dell'uomo esige che usiamo e comunichiamo tutte quelle ricchezze che contribuiscono a perfezionare i valori della nostra natura.

E la Chiesa, essendo depositaria della dottrina della salvezza e di tutti i mezzi di santificazione, ha per sé l'inalienabile diritto a comunicare le ricchezze affidatele per disposizione divina. A tale diritto deve corrispondere il dovere da parte dei poteri pubblici di renderle possibile l'accesso anche a questi mezzi di comunicazione sociale, mediante i quali propaghi la verità e la virtù.

I fedeli, poi, che ne siano figli devoti, conoscendo quale inestimabile dono sia la redenzione, nella misura delle loro possibilità devono adoperarsi affinché essa possa valersi di queste invenzioni tecniche, in quanto servano per santificare le anime.

Affermando i diritti della Chiesa non vogliamo certo negare alla società civile il diritto di diffondere, per mezzo dei medesimi mezzi, notizie e informazioni veramente necessarie o utili al bene comune della società.

Anzi anche ai singoli, dipendentemente dalle circostanze e salve sempre le esigenze del bene comune, sia data la possibilità di contribuire all'arricchimento spirituale proprio e degli altri mediante questi mezzi.

Ma è contrario alla dottrina cristiana e alle superiori finalità dei mezzi audiovisivi di comunicazione sociale l'atteggiamento di coloro che cercano di riservarne l'uso esclusivamente a scopi di propaganda politica e di pubblicità economica, riducendo mezzi tanto nobili ad affare e commercio.

Parimenti non può essere accettata la teoria di coloro che, nonostante le evidenti rovine morali e materiali causate da simili dottrine nel passato, sostengono la più assoluta libertà di espressione e di diffusione: non sarebbe, questa, la giusta libertà, da noi sopra indicata, ma una sfrenata licenza di comunicare ad altri, senza alcun controllo, tutto ciò che si vuole, anche se immorale e gravemente pericoloso per le anime.

Ma la Chiesa, che protegge ed appoggia quanto influisce a sviluppare i veri valori spirituali-tanto le scienze quanto le arti l'hanno sempre avuta come Patrona e Madre-, non può permettere che si attenti ai valori che ordinano l'uomo verso Dio, suo ultimo fine. Nessuno si deve, quindi, meravigliare se anche in una materia così delicata essa si muova con vigilante prudenza, in conformità alla raccomandazione dell'apostolo: "Tutto esaminate, ritenete il bene, da ogni specie di male astenetevi" (I Ts 5,2122).

Sono, pertanto, certamente da condannarsi quanti affermano che devono essere favorite ed esaltate certe forme di diffusione, purché abbiano pregi artistici e tecnici, anche se offendono gravemente l'ordine morale. "E vero che all'arte-come abbiamo ricordato in occasione del V centenario della morte dell'Angelico-per esser tale, non è richiesta una esplicita missione etica o religiosa". Ma "se il linguaggio artistico si adeguasse, con le sue parole e cadenze, a spiriti falsi, vuoti e torbidi, cioè non conformi al disegno del Creatore, se, anziché elevare la mente e il cuore a nobili sentimenti, eccitasse le più volgari passioni, troverebbe spesso eco e accoglienza, anche solo in virtù della novità, che non è sempre un valore, e della esigua parte di reale che ogni linguaggio contiene; ma una tale arte degraderebbe se stessa, rinnegando il primordiale ed essenziale suo aspetto, né sarebbe universale-perenne, come lo spirito umano, a cui si rivolge".

Le autorità civili e i professionisti

L'autorità civile senza dubbio è tenuta a compiere il grave dovere di vigilare anche sui nuovi mezzi di comunicazione sociale; ma tale vigilanza non può limitarsi alla difesa degli interessi politici, bensì deve estendersi a tutelare la moralità pubblica, saldamente fondandosi questa nella legge naturale, che, secondo quanto afferma la Sacra Scrittura, è scritta in tutti i cuori (cf Rm 11,15).

La stessa vigilanza dello Stato non può essere considerata un'ingiusta pressione della libertà dei singoli individui, perché si esercita non circa la loro persona privata, ma rispetto a tutta la società umana, nella quale agiscono questi mezzi di comunicazione.

"E' ben vero che lo spirito del nostro tempo-come già abbiamo detto nel passato-insofferente più del giusto dell'intervento dei pubblici poteri, preferirebbe una difesa che partisse direttamente dalla collettività",  ma quest'intervento, in forma di autocontrollo esercitato dagli stessi gruppi professionali interessati, se può lodevolmente prevenire l'intervento dell'autorità pubblica e impedirci in radice eventuali danni morali, non può assolutamente avversare il grave dovere di vigilanza che ad essa compete. Perciò, come il nostro predecessore, così noi stessi abbiamo lodato i gruppi professionali per siffatti interventi cautelativi, in nulla tuttavia pregiudicando le competenze dello Stato.

Crediamo, infatti, che questi mezzi allora soltanto potranno diventare strumenti validi di formazione della personalità di quanti ne usufruiscono, quando la Chiesa, lo Stato e la professione uniranno opportunamente le forze e collaboreranno per raggiungere lo scopo; se ciò non avverrà, vale a dire, se questi mezzi saranno lasciati in balìa di se stessi e senza freni morali, allora favoriranno l'abbassamento del livello culturale e morale del popolo.

I mezzi della comunicazione audiovisiva

Criteri

Tra i vari mezzi di comunicazione sociale, un posto di particolare importanza occupano oggi, come abbiamo detto sopra, quelli audiovisivi, che permettono di comunicare notizie su vasta scala per mezzo dell'immagine e del suono.

Questo modo di trasmettere immagini e suoni anche per comunicare valori spirituali, secondo la sentenza di San Tommaso d'Aquino, è in tutto conforme alla natura dell'uomo: "E, infatti, nella natura dell'uomo di arrivare alla conoscenza intellettuale attraverso il sensibile; perché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi". Anzi, il senso della vita, essendo più nobile e più degno degli altri sensi, conduce più facilmente alla cognizione delle realtà spirituali.

Perciò i tre principali mezzi audiovisivi: il cinema, la radio e la televisione, non sono semplicemente mezzi di ricreazione e di svago, anche se una gran parte degli uditori e degli spettatori le considerano prevalentemente sotto questo aspetto, ma di vera e propria comunicazione di valori culturali ed educativi, che possono influire non poco nella retta istituzione e sviluppo della società odierna.

Finalità

Anche più della stampa, i mezzi audiovisivi offrono possibilità di comunicazioni e di scambi tra gli uomini; essendo, quindi, strumenti diretti di civiltà fra tutte le genti del globo, la Chiesa, che per divina istituzione è universale, desidera che vengano adoperati nel propagare e promuovere valori autentici.

Sia, pertanto, la prima finalità del cinema, della radio e della televisione quella di servire la verità e il bene.

Devono servire la verità in modo da stringere ogni giorno i legami tra i popoli, sicché fiorisca in essi la mutua comprensione, la solidarietà nelle prove, la collaborazione tra i pubblici poteri e i cittadini.

Servire la verità comporta non soltanto tenersi lontano dall'errore, dalla menzogna e dall'inganno, ma anche evitare tutto ciò che potrebbe favorire concezioni della vita e della condotta umana: false, o parziali o tendenziose.

Anzitutto, però, deve essere considerata sacra e inviolabile la verità rivelata da Dio. Anzi, non sarebbe questa la più alta vocazione di questi nobili mezzi, di far conoscere a tutti la fede in Dio, e in Gesù Cristo suo figlio, "quella fede che sola può dare a milioni di uomini la forza di sopportare con serenità e coraggio le indicibili prove e le angosce dell'ora presente"?

Oltre che servire la verità questi mezzi devono anche contribuire a perfezionare la vita morale dell'uomo. Ciò deve essere attuato nei tre settori di cui vogliamo trattare: l'informazione, l'insegnamento e lo spettacolo.

Ogni informazione, per quanto sia oggettiva, ha un suo fondamentale aspetto morale: "L'aspetto morale di ogni notizia, resa di pubblica ragione, non deve essere trascurato, poiché la relazione più oggettiva implica apprezzamenti e suggerisce decisioni. L'informatore degno di questo nome non deve opprimere nessuno, ma cercare di comprendere gli insuccessi e anche le colpe compiuti. Per spiegare non occorre necessariamente scusare, bensì suggerire rimedi e così operare positivamente e costruire".

A maggior ragione la stessa cosa si può dire dell'insegnamento, al quale il film didattico, la radio e più ancora la televisione scolastica, offrono notevoli vantaggi, non solo per i giovani, cui viene indirizzato, ma anche per gli adulti. Tuttavia bisogna assolutamente evitare che siffatto insegnamento venga a contrastare con la dottrina e gli imprescrittibili diritti della Chiesa e con la retta educazione della gioventù nella famiglia.

Vorremmo ugualmente sperare che questi nuovi mezzi di comunicazione sociale, siano essi in mano dell'iniziativa privata, siano essi in mano dello Stato, non impartiscano un insegnamento nel quale non ci sia posto per Dio e per i suoi comandamenti.

Sappiamo, purtroppo, che in certe nazioni, dominate dal comunismo ateo, i mezzi audiovisivi sono adoperati anche nelle scuole per sradicare la santa religione dalle anime. E evidente per ognuno, purché esente da pregiudizi, che con questo nuovo e subdolo sistema viene oppressa la coscienza dei fanciulli e dei giovani, ai quali viene negata la verità divina; ad essi, infatti, non è permesso di conoscere la verità rivelata, la quale, come dice il nostro Salvatore, ci fa liberi (Gv 8,32); e ciò costituisce una nuova e subdola forma di persecuzione religiosa.

E' quindi nostro vivo desiderio, Venerabili Fratelli, che questi mezzi, i quali da lontano, con facilità e piacere, raggiungono la vista e l'udito, vengano adoperati specialmente per completare la formazione culturale e professionale, e "soprattutto la formazione cristiana, base fondamentale di ogni autentico progresso anche umano". Vogliamo, quindi, esprimere il nostro compiacimento a quanti, educatori e insegnanti, usano del cinema, della radio e della televisione a tale nobilissimo scopo.

Infine, oltre a quelli dell'informazione e dell'insegnamento, il terzo settore, nel quale questi nuovi mezzi audiovisivi possono potentemente servire la causa del bene, è quello dello spettacolo.

Lo spettacolo, infatti, comprende generalmente non soltanto elementi ricreativi e informativi, ma anche educativi. Il nostro predecessore di felice memoria giustamente chiamò il cinema "scuola di vita"; può essere, infatti, chiamato "scuola" perché questo genere di spettacolo contiene la presentazione di immagini schermiche in movimento integrate, con particolare fascino, dal sonoro e dal parlato, in tal modo da colpire non soltanto l'intelligenza e le altre facoltà, ma tutto l'uomo, come soggiogandolo, e quasi obbligandolo a partecipare personalmente all'azione raffigurata.

Pure sfruttando i vari generi di spettacolo finora conosciuti, il cinema, la radio e la televisione usano, ciascuno, di nuovi procedimenti espressivi; costituiscono perciò un nuovo genere di spettacolo, non destinato a gruppi scelti di spettatori, ma a milioni di uomini, diversi per età, ambiente e cultura.

L'educazione agli audiovisivi

Ma perché lo spettacolo, in tali condizioni, possa compiere la sua funzione, occorre un'azione istruttiva ed educativa che prepari lo spettatore non solo a capire il linguaggio proprio a ciascuna di queste tecniche, ma specialmente a condurvisi secondo retta coscienza, sì da considerare e giudicare con maturo criterio i vari elementi offerti dallo schermo cinematografico e televisivo, e non, come spesso avviene, lasciarsi prendere e trasportare disordinatamente dalla loro forza fascinatrice.

Né una sana ricreazione, "diventata ormai, come diceva il nostro predecessore di felice memoria, una necessità per la gente che si affatica nelle occupazioni della vita", né il progresso culturale potranno essere pienamente assicurati senza siffatta opera educativa, alla luce dei principi cristiani.

La necessità di dare una tale educazione agli spettacoli è stata vivamente sentita dai cattolici specialmente negli ultimi anni e numerose sono oggi le iniziative che mirano a preparare tanto i giovani quanto gli adulti a meglio valutare i lati positivi e negativi dello spettacolo. Questa preparazione non può certo servire di pretesto alla visione di spettacoli immorali, anzi deve insegnare a scegliere i programmi in conformità con la dottrina della Chiesa circa la fede e i costumi e ad osservare le norme emanate dai competenti uffici ecclesiastici.

Dette iniziative, se, come speriamo, seguono i retti principi didattici ed educativi, non soltanto meritano la nostra approvazione, ma anche il nostro vivo incoraggiamento; perciò desideriamo che vengano introdotte nelle scuole di ogni ordine, nelle associazioni di Azione Cattolica e nelle parrocchie.

Tale sana istruzione ed educazione dello spettatore, mentre farà diminuire i pericoli morali, permetterà al cristiano di profittare di ogni nuova conoscenza per innalzare lo spirito verso la meditazione delle verità supreme.

Una parola di particolare compiacimento vogliamo rivolgere ai missionari, i quali, consapevoli del loro dovere di tutelare la integrità del ricco patrimonio morale dei popoli per il bene dei quali si sacrificano e a cui portano la luce della verità, cercano di iniziare i fedeli al retto uso del cinema, della radio e della televisione, facendo così conoscere praticamente le vere conquiste della civiltà. Desideriamo vivamente che i loro sforzi in questo settore siano appoggiati specialmente dalle pubbliche autorità, tanto ecclesiastiche quanto governative.

Va tuttavia notato che la sola opera di istruzione e di educazione non è sufficiente. Occorre che gli spettacoli siano adatti al grado di sviluppo intellettuale, di sensibilità, emotivo e morale delle singole età.

Questo problema è diventato particolarmente urgente quando, con la radio, e soprattutto con la televisione, lo spettacolo può aversi con tutta facilità tra le stesse pareti domestiche, minacciando le difese che devono tutelare la sana educazione della prole, sì da assicurare all eta evolutiva la virtù necessaria ad affrontare vittoriosamente le tempeste del secolo. A tale proposito scrivevamo tre anni or sono ai Vescovi d'Italia: "Come non inorridire al pensiero che, mediante la televisione, possa introdursi fra le stesse pareti domestiche quell'atmosfera avvelenata di materialismo, di fatuità e di edonismo che troppo sovente si respira in tante sale cinematografiche?".

Ci sono note le iniziative promosse e dalle pubbliche autorità e da enti privati di educazione a fin di allontanare, per quanto possibile, i giovani da spettacoli non adatti alla loro età, troppo spesso gravemente pericolosi. Ogni opera compiuta in questo campo merita il nostro incoraggiamento, purché si tenga conto che, ben più gravi di eventuali traumi fisiologici e psichici, sono da evitare i pericoli morali dei giovani; pericoli che costituiranno, se non prevenuti e allontanati tempestivamente, una vera e propria minaccia per la società.

Pertanto, ai giovani, a noi carissimi, va la paterna e fiduciosa ammonizione di esercitarsi, nella prudenza e nella temperanza cristiana, riguardo all'assistenza di spettacoli che potrebbero offuscare il loro candore. Essi sono seriamente tenuti a dominare l'innata loro curiosità di tutto vedere e di tutto sentire, a conservare libero il cuore da smodati piaceri terreni e ad innalzarlo alle gioie soprannaturali.

Sapendo che da questi mezzi audiovisivi possono derivare grandi beni e grandi pericoli secondo l'uso che ne fa l'uomo, anche in questo campo la Chiesa intende compiere pienamente la sua funzione, non direttamente di ordine culturale, ma religiosa e pastorale.

Le strutture della Chiesa:
gli uffici nazionali e le organizzazioni internazionali

Per meglio assicurare il compimento di questa funzione, Pio XI, di immortale memoria, dichiarò del tutto necessaria da parte dei Vescovi l'istituzione di un ufficio permanente nazionale di revisione, con lo scopo di promuovere i film buoni, classificare tutti gli altri e farne giungere i giudizi ai sacerdoti e ai fedeli; inoltre, che è necessario organizzare in un piano efficiente tutte le attività dei cattolici nel campo cinematografico.

In vari paesi i Vescovi, ispirandosi a queste norme, hanno istituito tali uffici non solo per il cinema, ma anche per la radio e per la televisione.

E noi, avendo ponderatamente considerato le possibilità apostoliche che questi mezzi audiovisivi offrono, e la necessità di tutelare la moralità del popolo cristiano, facilmente minacciato da certi spettacoli, desideriamo che in tutti i paesi dove ancora non esistono, tali uffici siano creati senza ritardo e vengano affidati a persone di specifica competenza sotto la guida di un sacerdote scelto dai Vescovi.

E vi raccomandiamo, inoltre, Venerabili Fratelli, che in ogni nazione i rispettivi uffici per il cinema, la radio e la televisione, o facciano capo ad un unico ente, o almeno collaborino tra di loro; e che i fedeli, soprattutto i membri delle associazioni di Azione Cattolica, siano debitamente istruiti sulla necessità di assicurare di buon grado il comune ed efficace appoggio a tali uffici.

E poiché molti problemi che in questo campo devono essere affrontati non potranno trovare facile soluzione nei singoli paesi, sarà molto utile che gli uffici nazionali diano la loro adesione alle organizzazioni internazionali già approvate, dopo matura considerazione, dalla Santa Sede.

Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che gli ulteriori sacrifici che farete per attuare queste nostre disposizioni saranno compensati da copiosi e salutari frutti, soprattutto se verranno osservate le raccomandazioni che desideriamo ancora dare separatamente per il cinema, per la radio e per la televisione.

Considerazioni specifiche

Il cinema

Sviluppi e possibilità

Il cinematografo, a sessant'anni dalla sua invenzione, è diventato uno dei più importanti mezzi di espressione del nostro tempo.
Abbiamo già avuto nel passato l'occasione di parlare delle varie tappe del suo sviluppo e delle ragioni per le quali esso esercita il suo fascino sull'animo dell'uomo moderno.

Tale sviluppo, verificatosi particolarmente nel campo del film a soggetto, ha fatto crescere un'importante industria, condizionata non soltanto dalla collaborazione tra numerosi artisti e tecnici di varie competenze, ma anche da complessi problemi economici, che difficilmente potrebbero essere affrontati e risolti da singole persone. Pertanto, a rendere il cinema "positivo strumento di elevazione, di educazione e di miglioramento", è necessaria la coscienziosa collaborazione di tutti coloro che hanno una parte di responsabilità nella produzione e nella diffusione degli spettacoli cinematografici.

Noi abbiamo già illustrato a quanti si dedicano all'attività cinematografica la gravità del problema, invitandoli alla produzione di film che con la loro nobiltà e perfezione artistica possano costituire un valido sussidio ed una sana educazione.

Sia vostra premura, Venerabili Fratelli, di non far mancare alle varie categorie interessate, mediante l'opera dei menzionati Uffici nazionali permanenti, i quali devono svolgere la loro attività sotto la votra autorità, informazioni, materiali, consigli e direttive, sicché, secondo e diverse circostanze di tempo e di luogo, venga promossa il più possibile questa nobilissima impresa, tanto utile per il bene delle anime.

Le iniziative della Chiesa

Perciò, a cura di una commissione di onesti ed esperti dipendenti dall'ufficio nazionale, "il più spesso possibile vengano redatti e stampati appositi elenchi dei film classificati..., in modo da portarli a notizia di tutti". Ovviamente, i componenti di detta commissione devono essere persone sicure per dottrina e per prudenza, essendo chiamate a giudicare ogni film relativamente alla morale cristiana.

Dovendo i membri di questa commissione trattare e giudicare un argomento sì strettamente connesso con la vita cristiana, e dovendo conoscere il particolare potere suggestivo degli spettacoli cinematografici, diverso secondo le condizioni degli spettatori, istantemente raccomandiamo loro di applicarsi assiduamente e seriamente allo studio di queste discipline e alla preghiera.

Nel giudicare i film rispetto alla morale, s'ispirino i revisori alle norme da noi esposte in varie occasioni, ed in particolare a quelle riguardanti gli argomenti religiosi, la presentazione del male ed il rispetto dovuto all'uomo, alla famiglia ed alla santità della vita, alla Chiesa di Cristo ed allo Stato, da noi toccate nei menzionati discorsi sul film ideale.

Dovranno inoltre ricordare che lo scopo principale della classificazione morale è di illuminare l'opinione pubblica, sicché tutti s'inducano ad apprezzare quei valori morali, senza i quali viene a mancare ogni idea di sana cultura e di vera civiltà. E, pertanto, indubbiamente da riprovare la condotta di quanti, con troppa condiscendenza, fanno passare dei film che, pur vantando pregi tecnici, offendono l'ordine morale, o rispettando, almeno in apparenza, il buon costume, contengono elementi contrari alla fede cattolica.

Se, invece, chiaramente indicheranno quali film sono leciti per tutti, quali per i giovani, quali per gli adulti, e quali pericolosi o positivamente dannosi, ciascuno potrà facilmente scegliere gli spettacoli dai quali uscirà "più lieto, più libero e, nell'animo, migliore", ed evitare quelli che potrebbero portare danno alla sua anima, danno aggravato dall'utile finanziario arrecato alle cattive produzioni e dallo scandalo occasionato agli altri.

Rinnovando le opportune istruzioni date dal nostro predecessore di felice memoria nell'enciclica Vigilanti cura, raccomandiamo vivamente che non solo in ogni occasione siano ricordati ai fedeli i loro doveri in questa materia, ma che essi osservino il grave obbligo d'informarsi sui giudizi morali dati dall'autorità ecclesiastica, e di conformarvi la loro condotta. A tale fine, là dove i Vescovi lo giudicheranno opportuno, potrà utilmente essere destinato un giorno festivo, dell'anno, in cui vengano seriamente ricordati ai fedeli i propri doveri in ordine agli spettacoli, specialmente cinematografici, e gli stessi vengano esortati ad offrire preghiere a questo fine.

Perché tutti possano conoscere facilmente i giudizi morali, occorre che le segnalazioni siano pubblicate tempestivamente, con una breve motivazione, e largamente diffuse.

I professionisti:

a) i critici

Molto utile sarà in questa materia l'opera del critico cinematografico cattolico, il quale non mancherà di porre l'accento sui valori morali, tenendo nel debito conto tali giudizi che saranno di sicuro indirizzo ad evitare il pericolo di scivolare in un deplorevole relativismo morale o di confondere la gerarchia dei valori.

Sarebbe deprecabile che i giornali e i periodici cattolici, parlando degli spettacoli, non informassero i loro lettori sul valore morale dei medesimi.

b) i proprietari delle sale cinematografiche e i distributori

Oltre agli spettatori, che con ogni biglietto d'ingresso, quasi scheda di voto, fanno una scelta tra il cinema buono e quello cattivo, una parte di responsabilità incombe agli esercenti delle sale cinematografiche ed ai distributori dei film.

Siamo a conoscenza delle difficoltà che devono attualmente affrontare gli esercenti per numerose ragioni, anche a causa dello sviluppo della televisione; ma anche in mezzo a difficili circostanze devono ricordare che la coscienza non permette loro di presentare film contrari alla fede e alla morale, né di accettare contratti che li obblighino a proiettarli. In numerosi paesi si sono impegnati a non accettare i film giudicati dannosi o cattivi. Noi speriamo che tale opportunissima iniziativa possa estendersi ovunque, e che nessun esercente cattolico esiti a darvi la sua adesione.

Dobbiamo anche richiamare con insistenza il grave dovere di escludere la pubblicità commerciale insidiosa o indecente, anche se fatta, come talvolta avviene, in favore di film onesti. "Chi potrebbe dire quali rovine di anime, specialmente giovanili, simili immagini provocano, quali impuri pensieri e sentimenti possono suscitare, quanto contribuiscano alla corruzione del popolo, con grave pregiudizio della stessa prosperità della nazione?".

E ovvio che le sale cinematografiche dipendenti dall'autorità ecclesiastica, dovendo assicurare ai fedeli, e particolarmente alla gioventù, spettacoli educativi ed un sano ambiente, possono presentare soltanto dei film che siano ineccepibili dal punto di vista morale.

Vigilando attentamente sull'attività di queste sale aperte al pubblico, anche se dipendenti da religiosi esenti, i Vescovi ricorderanno agli ecclesiastici responsabili che per conseguire gli scopi di questo apostolato, tanto raccomandato dalla Santa Sede, sono necessari da parte loro una scrupolosa osservanza delle norme emanate a tal fine e spirito di disinteresse. E poi vivamente raccomandabile che i gestori delle sale cattoliche si uniscano in associazioni, come è stato fatto in alcuni paesi con nostro plauso, in modo da poter più efficacemente tutelare gli interessi comuni, attuando le direttive dell'ufficio nazionale.

Le raccomandazioni che abbiamo fatto agli esercenti, si applichino anche ai distributori, i quali, finanziando non di rado le stesse produzioni, avranno maggiori possibilità, e conseguentemente più grave dovere di dare il loro appoggio al cinema moralmente sano. La distribuzione, infatti, non può in alcun modo essere considerata come una mera funzione tecnica, perché il film, come già più volte abbiamo ricordato, non può essere considerato semplice merce, ma deve essere stimato, anche e soprattutto, nutrimento intellettuale e scuola di formazione spirituale e morale del pubblico. Il distributore e il noleggiatore partecipano pertanto ugualmente dei meriti e delle responsabilità morali per quanto riguarda il bene o il male operato dalla cinematografia.

c) gli attori

Una non esigua parte di responsabilità per migliorare il cinema spetta anche all'attore, che, rispettoso della sua dignità di uomo e di artista, non può prestarsi a interpretare scene licenziose, né dare la sua cooperazione a film immorali. Quando poi l'attore sia riuscito ad affermarsi per la sua arte e per il suo talento, deve valersi della sua fama per suscitare nel pubblico nobili sentimenti, dando esempio di virtù anzitutto nella sua vita privata. "E ben comprensibile, dicevamo noi stessi in un discorso agli artisti, l'emozione intensa di gioia e di fierezza che invade l'animo vostro dinanzi a quel pubblico, tutto teso verso di voi, anelante, plaudente, fremente".

Però tale legittimo sentimento non può autorizzare l'attore cristiano ad accettare, da parte dello stesso pubblico, manifestazioni quasi idolatriche, essendo valido anche per lui il monito del Salvatore: "La vostra luce risplenda dinanzi agli uomini in modo tale che, vedendo le vostre opere buone, diano gloria al Padre vostro, che è nei cieli" (Mt 5,16).

d) i produttori e i registi

Le maggiori responsabilità però, sia pure su piani diversi, gravano sui produttori e sui registi. La coscienza di tali responsabilità non deve essere di ostacolo, ma piuttosto d'incoraggiamento agli uomini di buona volontà che dispongono di mezzi finanziari o di talenti richiesti er la produzione di film.

Spesso le esigenze dell'arte imporranno ai responsabili della produzione e della regìa difficili problemi morali e religiosi, che per il bene spirituale degli spettatori e per la perfezione dell'opera stessa richiederanno un competente giudizio ed indirizzo, prima ancora che il film sia realizzato o durante la sua realizzazione. Non esitino pertanto a chiede consiglio all'Ufficio cattolico competente, che si terrà volentieri a loro disposizione, delegando anche, se sarà necessario e con le dovute cautele, un esperto consulente religioso.

La fiducia nella Chiesa non diminuirà certo la loro autorità e il loro prestigio; "la Fede, fino all'ultimo, difenderà la personalità dell'uomo", ed anche nel campo della creazione artistica, la personalità umana non potrà che essere arricchita e completata dalla luce della dottrina cristiana e delle rette norme morali.

Non sarà tuttavia ammesso che gli ecclesiastici si prestino a collaborare con i produttori cinematografici senza uno specifico incarico dei Superiori, essendo ovviamente richieste per tale consulenza una particolare competenza e un'adeguata preparazione, la cui valutazione non può essere lasciata all'arbitrio dei singoli.

Paternamente invitiamo i produttori e i registi cattolici a non permettere l'attuazione di film contrari alla fede e alla morale cristiana: ma se questo (quod Deus avertat) succedesse, i Vescovi non mancheranno di ammonirli usando anche, se occorresse, opportune sanzioni.

Siamo però convinti che il rimedio più radicale per indirizzare efficacemente il cinema verso le altezze del film ideale è la piena adesione alle norme della legge cristiana da parte di quanti concorrono alla produzione dei film.

S'avvicinino gli autori dei film alle fonti della grazia, assimilino la dottrina del Vangelo, imparino quanto la Chiesa insegna sulla realtà dlella vita, sulla felicità e sulla questione sociale e sulle aspirazioni umane; allora vedranno aprirsi davanti a sé nuove vie luminose, e sentiranno nuove e feconde ispirazioni di capolavori imperituri.

Occorrerà, pertanto, favorire e moltiplicare le iniziative e le manifestazioni atte a sviluppare e a intensificare la loro vita interiore, e curare particolarmente la formazione cristiana dei giovani che si preparano alle professioni cinematografiche.

Le autorità civili e l'opinione pubblica

Terminando queste considerazioni specifiche sul cinema, esortiamo le autorità civili a non aiutare in nessun modo la produzione o la programmazione di film deteriori, e, anzi, a incoraggiare con appropriate leggi i film buoni, specialmente quelli destinati alla gioventù. Tra le ingenti spese sostenute dallo Stato per la pubblica istruzione non può mancare l'impegno alla soluzione positiva di un problema educativo di tanta importanza.

Siccome in alcuni paesi, ed anche in occasione di mostre internazionali, vengono giustamente conferiti dei premi ai film che si distinguono per il loro valore educativo e spirituale, vogliamo sperare che la collaborazione di tutti gli onesti, sensibili a questi nostri richiami, assicurerà ai film meritevoli il premio del favore e dell'appoggio del pubblico.

La radio

Sviluppi e possibilità

Con non minore sollecitudine desideriamo esporvi, Venerabili Fratelli, le nostre preoccupazioni relative all'altro grande mezzo di diffusione, coetaneo del cinema, cioè la radio.

Pur non avendo a sua disposizione la ricchezza di elementi spettacolari e i vantaggi delle condizioni ambientali che offre il cinematografo, la radio possiede altre grandi e non ancora del tutto sfruttate possibilità.

"Essa - come dicevamo al personale di un Ente radiofonico - ha il privilegio di essere come svincolata e libera da quelle condizioni di spazio e di tempo, che impediscono o ritardano tutti gli altri mezzi di comunicazione fra gli uomini. Con un'ala infinitamente più veloce delle onde sonore, rapida come la luce, essa porta, in un istante, superando ogni frontiera, i messaggi che le sono affidati".

Perfezionata da sempre nuovi progressi, essa rende inestimabili servizi nei vari campi della tecnica, permettendo perfino di dirigere a distanza, verso mete prestabilite, congegni senza pilota. Noi tuttavia consideriamo che il più nobile servizio al quale è stata chiamata è quello di illuminare e di educare l'uomo, dirigendo la sua mente ed il suo cuore verso sempre più alte sfere dello spirito.

Il poter sentire uomini e seguire avvenimenti lontani, pur rimanendo tra le pareti domestiche, e partecipare a distanza alle più varie manifestazioni di vita sociale e culturale, corrisponde ad un profondo desiderio umano.

Non fa quindi meraviglia che tante case si siano rapidamente provviste di apparecchi radiofonici, che permettono di aprire una misteriosa finestra sul vasto mondo, donde arrivano giorno e notte echi della pulsante vita delle varie culture, lingue e nazioni, sotto forma di innumerevoli programmi ricchi di notizie, interviste, conferenze, trasmissioni di attualità e di arte, di canto e di musica.

"Quale privilegio e quale responsabilità - dicevamo in un recente discorso - per gli uomini del presente secolo e quale differenza tra i giorni lontani, in cui l'insegnamento della verità, il precetto della fraternità, le promesse della beatitudine eterna seguivano il lento passo degli Apostoli sugli aspri sentieri del vecchio mondo, ed oggi, in cui la chiamata di Dio può raggiungere nel medesimo istante milioni di uomini! ".

E un'ottima cosa che i fedeli profittino di questo privilegio del nostro secolo, e godano delle ricchezze dell'istruzione, del divertimento, dell'arte e della stessa Parola di Dio, che la radio può apportare, per dilatare le loro conoscenze e i loro cuori.

Tutti sanno quanta virtù educativa possono avere le buone trasmissioni; ma nello stesso tempo l'uso della radio comporta delle responsabilità, perché anch'essa, come le altre tecniche, può essere adoperata per il bene e per il male. Si può applicare alla radio la parola della Scrittura: "Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini che sono stati creati a immagine di Dio. Dalla stessa bocca esce la benedizione e la maledizione" (Gc 3,910).

Gli obblighi dei radioascoltatori

Il primo dovere pertanto del radioascoltatore è un'oculata scelta dei programmi. La trasmissione radiofonica non deve essere un intruso, ma un amico che entra nel focolare dietro cosciente e libero invito. Guai a colui che non sa scegliere gli amici da introdurre nel santuario della famiglia. Le trasmissioni ammesse nella casa dovranno essere solo quelle portatrici di verità e di bene, che non distraggono, ma anzi aiutano i membri della famiglia nel compimento dei propri doveri personali e sociali, e che, se si tratta di giovani e di fanciulli, lungi dal nuocere, confortano e prolungano l'opera sanamente educativa dei genitori e della scuola.

Gli Uffici cattolici radiofonici nazionali cercheranno, con l'aiuto della stampa cattolica, di informare preventivamente i fedeli sul valore delle trasmissioni. Tali segnalazioni preventive però non saranno ovunque possibili, e sovente avranno solo un valore indicativo, perché l'impostazione di certi programmi non può essere conosciuta facilmente in anticipo.

I pastori di anime ricorderanno perciò ai fedeli che la legge di Dio vieta di ascoltare le trasmissioni dannose alla loro fede o alla loro vita morale ed esorteranno coloro che hanno la cura della gioventù alla vigilanza ed alla sapiente educazione del senso della responsabilità di fronte all'uso dell'apparecchio ricevitore collocato in casa.

I Vescovi inoltre hanno il dovere di mettere in guardia i fedeli dalle stazioni emittenti che notoriamente propugnano principi contrari alla fede cattolica.

Il secondo dovere del radioascoltatore è quello di far conoscere ai responsabili dei programmi i suoi legittimi desideri e le giuste obiezioni. Questo dovere risulta chiaramente dalla natura stessa della radio, che può facilmente creare una relazione a senso unico, da chi trasmette a chi ascolta.

I metodi moderni di sondaggio della pubblica opinione, permettendo di misurare il grado di interesse che hanno suscitato le singole trasmissioni, sono certo di grande aiuto ai responsabili dei programmi; ma l'interesse più o meno vivo suscitato nel pubblico può essere spesso dovuto a cause transitorie o a impulsi non ragionevoli, e non è quindi da considerarsi un sicuro indice della retta norma di agire.

Gli ascoltatori devono pertanto collaborare alla formazione di un'illuminata opinione pubblica che permetta di esprimere, nei debiti modi, approvazioni, incoraggiamenti ed obiezioni, e di contribuire a che a radio, conformemente alla sua missione educativa, si metta "al servizio della verità, della moralità, della giustizia,dell'amore".

Tale dovere spetta a tutte le Associazioni cattoliche che cercheranno di difendere efficacemente gli interessi dei fedeli in questo campo. Nei paesi dove le circostanze lo consigliano, potranno essere inoltre promosse apposite associazioni di ascoltatori e di spettatori, sotto la guida degli Uffici nazionali.

E dovere infine dei radioascoltatori appoggiare le buone trasmissioni e anzitutto quelle che portano Dio nei cuori umani. Oggi, quando sulle onde si agitano violentemente erronee dottrine, quando con appositi disturbi si crea nell'etere un sonoro "sipario di ferro", con lo scopo di non permettere che per questa via penetri la verità che potrebbe scuotere la tirannide del materialismo ateo, quando milioni di uomini *spettano ancora l'alba della buona novella od una più ampia istruzione sulla loro fede, quando gli ammalati o altrimenti impediti attendono ansiosamente di unirsi alle preghiere della comunità cristiana e al Sacrificio di Cristo, come potrebbero i fedeli, e soprattutto quelli che conoscono i vantaggi della radio per quotidiana esperienza, non dimostrarsi generosi nel favorire tali programmi?

I programmi religiosi

Sappiamo quanto è stato fatto e quanto si fa nei vari paesi per sviluppare i programmi cattolici alla radio. Numerosi sono, grazie a Dio, gli ecclesiastici e i laici che si sono fatti pionieri in questo campo, assicurando alle trasmissioni sacre il posto che corrisponde al primato dei valori religiosi sulle altre cose umane.

Considerando intanto attentamente le possibilità che ci offre la radio per l'apostolato, e spinti dal mandato del Divino Redentore: "Andate per tutto il mondo, predicate l'Evangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15), vi chiediamo, Venerabili Fratelli, di incrementare e perfezionare ancora, secondo le necessità e le possibilità del luogo, le trasmissioni religiose.

E poiché la dignitosa presentazione alla radio delle funzioni sacre, della verità della fede e delle informazioni sulla vita della Chiesa,richiede, oltre la debita vigilanza, anche talento e competenza particolari, occorrerà preparare con speciale cura i sacerdoti e i laici destinati a quest'importante attività.

A tale scopo saranno opportunamente indetti, nei paesi dove i cattolici dispongono di moderne attrezzature e di una più lunga esperienza, appositi corsi di addestramento che permetteranno ai candidati, anche di altre nazioni, di acquistare l'abilità professionale occorrente ad assicurare alle trasmissioni religiose un alto livello artistico e tecnico.

Gli stessi Uffici nazionali provvederanno allo sviluppo e al coordinamento dei programmi religiosi nella loro nazione, e collaboreranno, in quanto possibile, con i responsabili delle varie stazioni trasmittenti, vigilando attentamente sulla moralità dei programmi.

Circa la partecipazione degli ecclesiastici, anche se religiosi esenti, alle trasmissioni radiofoniche e televisive, i Vescovi potranno emanare opportune norme, affidandone l'esecuzione agli Uffici nazionali.

Le stazioni radiofoniche cattoliche

Un particolare nostro incoraggiamento va alle Stazioni radiofoniche cattoliche. Pur conoscendo le numerose difficoltà che esse devono affrontare, siamo fiduciosi che proseguiranno coraggiosamente in mutua collaborazione la loro apostolica opera che noi tanto apprezziamo.

Noi stessi abbiamo cercato di ampliare e perfezionare la nostra benemerita Radio Vaticana, la cui attività-come abbiamo detto ai generosi cattolici olandesi-corrisponde "all'intimo desiderio ed alla necessità vitale di tutto l'universo cattolico".

I responsabili dei programmi

Rivolgiamo inoltre a tutti i responsabili dei programmi radiofonici, di buona volontà, il nostro ringraziamento per la comprensione che molti di essi hanno dimostrato per i bisogni della Chiesa, mettendo volentieri a disposizione della Parola di Dio il tempo opportuno e i necessari mezzi tecnici. Così facendo essi partecipano ai meriti dell'apostolato che si svolge sulle onde delle loro trasmittenti, secondo la promessa del Signore: "Chi riceve un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta" (Mt 10,41).

Oggi le trasmissioni di qualità richiedono l'impiego di una vera arte; i registi pertanto e quanti partecipano alla preparazione e alla esecuzione dei programmi hanno bisogno di una vasta cultura. Anche a loro quindi va il nostro monito, analogo a quello già fatto ai professionisti del cinema, di profittare largamente delle ricchezze della cultura cristiana.

I Vescovi ricorderanno infine alle pubbliche Autorità il loro dovere di garantire nei debiti modi la diffusione delle trasmissioni religiose, tenendo particolarmente conto del carattere sacro dei giorni festivi e anche delle quotidiane necessità spirituali dei fedeli.

La televisione

Sviluppi e possibilità

In ultimo luogo vogliamo intrattenervi brevemente sulla televisione, che ha conosciuto, proprio sotto il nostro pontificato, un prodigioso sviluppo in alcuni paesi, introducendosi gradualmente anche in tutte le altre nazioni.

Abbiamo seguito questo sviluppo, che senza dubbio segna un'importante tappa nella storia dell'umanità, con vivo interesse, grandi speranze e gravi preoccupazioni, elogiandone fin dall'inizio gli alti vantaggi e le nuove possibilità, prevenendo e indicando pericoli e abusi.

La televisione ha molte prerogative proprie del cinema, in quanto offre uno spettacolo visivo di vita e di movimento; non di rado infatti ricorre all'uso del film. Sotto altri aspetti, partecipa della natura e delle funzioni della radio, rivolgendosi all'uomo, più che nelle sale pubbliche, nell'interno della sua casa.

Non è dunque necessario che ripetiamo qui le nostre raccomandazioni fatte a proposito del cinema e della radio, sui doveri degli spettatori, degli ascoltatori, dei produttori e delle autorità pubbliche. Non occorre neppure che rinnoviamo le nostre raccomandazioni circa la cura dovuta alla preparazione dei programmi religiosi e al loro incremento.

I programmi religiosi

Siamo a conoscenza dell'interesse con cui un vasto pubblico segue le trasmissioni cattoliche alla televisione. E ovvio che la partecipazione per televisione alla Santa Messa - come qualche anno fa abbiamo detto in merito alla radio  - non è la stessa cosa che l'assistenza fisica al Divin Sacrificio, richiesta per soddisfare al precetto festivo. Tuttavia i copiosi frutti che provengono per l'incremento della fede e la santificazione delle anime dalle trasmissioni televisive delle cerimonie liturgiche per quanti non vi potrebbero partecipare, ci inducono ad incoraggiare queste trasmissioni.

Sarà ufficio dei Vescovi di ciascun paese giudicare circa l'opportunità delle varie trasmissioni religiose e di affidarne l'attuazione al competente Ufficio nazionale, il quale, come nei precedenti settori, svolgerà una conveniente opera d'informazione, di educazione, di coordinamento e di vigilanza sulla moralità dei programmi.

L'influenza sulla famiglia e sui giovani: difficoltà e soluzioni

La televisione, oltre gli aspetti comuni alle due precedenti tecniche di diffusione, possiede anche caratteristiche proprie. Essa permette infatti di partecipare audiovisivamente nello stesso istante in cui succedono, ad avvenimenti lontani, con la suggestività che s'avvicina a quella di un contatto personale e la cui immediatezza è aumentata dal senso di intimità e di fiducia, proprio della vita familiare.

Va tenuto pertanto nel massimo conto questo carattere di suggestività delle trasmissioni televisive nell'intimo del santuario della famiglia, dove incalcolabile sarà il loro influsso sulla formazione della vita spirituale, intellettuale e morale dei membri della famiglia stessa, e anzitutto dei figli, che subiranno inevitabilmente il fascino della nuova tecnica."Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta" (Gal 5,9). Se nella vita fisica dei giovani un germe di infezione può impedire lo sviluppo normale del corpo, quanto maggiormente un permanente elemento negativo nell'educazione può comprometterne l'equilibrio spirituale e lo sviluppo morale! E chi non sa quanto spesso lo stesso bambino, che resiste al contagio di una malattia sulla strada, si mostra privo di resistenza se la sorgente del contagio si trova nella sua casa?

La santità della famiglia non può essere oggetto di compromessi e la Chiesa non si stancherà, com'è nel suo pieno diritto e dovere, di impegnare tutte le sue forze perché questo santuario non venga profanato dal cattivo uso della televisione.

Con il grande vantaggio di trattenere più facilmente tra le pareti domestiche grandi e piccoli, la televisione può contribuire a rafforzare i legami di amore e di fedeltà nella famiglia, ma sempre a condizione che non venga a menomare le stesse virtù di fedeltà, di purezza e di amore.

Non mancano però coloro i quali ritengono impossibile, almeno nell'ora presente, l'attuazione di così nobili esigenze. L'impegno preso con gli spettatori essi dicono richiede di riempire a qualunque costo il tempo previsto per le trasmissioni. La necessità di avere a disposizione una vasta scelta di programmi obbliga a ricorrere anche a quegli spettacoli che inizialmente erano destinati alle pubbliche sale. La televisione, infine, non è solo per i giovani, ma anche per gli adulti. Le difficoltà sono reali, ma la loro soluzione non può essere rimandata a un periodo ulteriore, quando la mancanza di discrezione e di prudenza nell'uso della televisione avrà procurato gravissimi danni individuali e sociali, danni oggi forse ancora difficilmente valutabili.

Perché tale soluzione si possa ottenere simultaneamente con la progressiva introduzione nei singoli paesi della tecnica stessa, occorrerà anzitutto compiere un intenso sforzo per preparare programmi che corrispondano alle esigenze morali, psicologiche e tecniche della televisione.

Invitiamo perciò gli uomini cattolici di cultura, di scienza e di arte, e in primo luogo il clero e gli ordini e congregazioni religiose, a prendere atto della nuova tecnica e a dare la loro collaborazione perché la televisione possa attingere alle ricchezze spirituali del passato e a quelle di ogni autentico progresso.

Occorrerà inoltre che i responsabili dei programmi televisivi non solo rispettino i principi religiosi e morali, ma tengano conto del pericolo che trasmissioni destinate agli adulti potrebbero rappresentare per i giovani. In altri campi, come ad esempio avviene per il cinema o il teatro, i giovani sono, nella maggior parte dei paesi civili, protetti con apposite misure preventive dagli spettacoli sconvenienti. Logicamente, e a maggior ragione, anche per la televisione dovranno essere garantiti i vantaggi di un'oculata vigilanza.Qualora non si escludano dalle trasmissioni televisive, come del resto è stato lodevolmente fatto in alcuni luoghi, spettacoli vietati ai minori, saranno almeno indispensabili misure precauzionali.

Tuttavia anche la buona volontà e la coscienziosa attività professionale di chi trasmette non sono sufficienti per assicurare il pieno profitto della meravigliosa tecnica del piccolo schermo, né per allontanare ogni pericolo.

Insostituibile è la sapiente vigilanza di chi riceve. La moderazione nell'uso della televisione, la prudente ammissione ai programmi dei figli secondo la loro età, la formazione del loro carattere e del loro retto giudizio sugli spettacoli visti, e infine il loro allontanamento dai programmi non adatti, incombe come un grave dovere di coscienza sui genitori e sugli educatori.

Sappiamo bene che specialmente quest'ultimo punto potrà creare situazioni delicate e difficili e il senso pedagogico spesso richiederà ai genitori di dare il buon esempio anche con personale sacrificio nel rinunziare a determinati programmi. Ma sarebbe troppo chiedere ai genitori un sacrificio quando è in gioco il supremo bene dei figli?

Sarà pertanto "più che mai necessario e urgente-come abbiamo scritto ai Vescovi d'Italia-formare nei fedeli una coscienza retta dei doveri cristiani circa l'uso della televisione", perché essa non serva mai alla diffusione dell'errore e del male, ma diventi "uno strumento di informazione, di formazione, di trasformazione".

Conclusione

Il ruolo e le responsabilità del sacerdote

Non possiamo concludere questi nostri insegnamenti, Venerabili Fratelli, senza ricordare quanto importante sia nell'azione che la Chiesa deve svolgere in favore e per mezzo delle tecniche di diffusione (come in tutti gli altri campi di apostolato) l'opera del sacerdote.

Egli deve conoscere i problemi che il cinema, la radio e la televisione pongono alle anime. "Il sacerdote in cura d'anime-dicevamo ai partecipanti alla Settimana di Aggiornamento pastorale in Italia-può e deve sapere quel che affermano la scienza, l'arte e la tecnica moderna, in quanto riguardano il fine e la vita religiosa e morale dell'uomo"

Deve sapere servirsene quando, a prudente giudizio dell'autorità ecclesiastica, lo richiederà la natura del suo sacro ministero e la necessità di giungere a un più gran numero di anime.

Deve, infine, se ne usa per sé, dare a tutti i fedeli l'esempio di prudenza, di temperanza e di senso di responsabilità.

Doni e pericoli dei media elettronici

Abbiamo voluto confidarvi, Venerabili Fratelli, le nostre preoccupazioni, da voi certamente condivise, sui pericoli che un uso non retto delle tecniche audiovisive può costituire per la fede e per l'integrità morale del popolo cristiano. Non abbiamo però mancato di rilevare i lati positivi di questi moderni e potenti mezzi di diffusione.

Abbiamo a tal fine esposto, alla luce della dottrina cristiana e della legge naturale, i principi informatori che devono regolare e dirigere tanto l'azione dei responsabili nelle cui mani sono le tecniche di diffusione, quanto la coscienza del pubblico che se ne serve.

Ed è proprio per orientare verso il bene delle anime questi doni della Provvidenza che vi abbiamo paternamente esortati non solo alla doverosa vigilanza, ma anche a positivi interventi.

Il compito infatti degli uffici nazionali, che ancora una volta vi raccomandiamo, non sarà soltanto quello di preservare e difendere, ma anche, e soprattutto, di dirigere, coordinare e assistere le molte opere educative, sorte nei vari paesi per lievitare di spirito cristiano il settore così complesso e vasto delle tecniche di diffusione.

Non dubitiamo, pertanto, fiduciosi come siamo nella vittoria di questa causa di Dio, che le nostre presenti disposizioni, la cui fedele esecuzione affidiamo alla Pontificia Commissione per la cinematografia, la radio e la televisione, varranno a suscitare uno spirito nuovo di apostolato in un campo così ricco di promesse.

Con questa speranza, che è avvalorata dal vostro, a noi ben noto, zelo pastorale, impartiamo di gran cuore a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo affidati alle vostre cure e specialmente a coloro che si adopereranno con zelo ad attuare i nostri desideri e le nostre disposizioni, propiziatrice di celesti grazie, l'Apostolica Benedizione.

Da S. Pietro, Roma, 8 settembre, in occasione della celebrazione della Natività di Maria, 1957, nel XIX anno del nostro Pontificato.
 PIUS PP. XII

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