CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO


CAPITOLO V.
Dello sviluppo delle facoltà intellettuali e morali durante i tempi primitivi ed i tempi inciviliti.

Progresso delle potenze intellettuali mercè la scelta naturale – Importanza della imitazione – Facoltà sociali e morali – Loro sviluppo entro la cerchia della stessa tribù – Scelta naturale come operante sulle nazioni incivilite – Prova che le nazioni incivilite erano un tempo barbare.

Gli argomenti che debbono essere discussi in questo capitolo sono del più alto interessamento, ma sono trattati da me in un modo molto imperfetto e a frammenti. Il sig. Wallace, in uno scritto ammirabile che ho già citato sopra arguisce che l’uomo dopo aver parzialmente acquistato quelle facoltà morali ed intellettuali che lo distinguono dagli animali sottostanti, sarebbe stato soltanto poco soggetto ad avere modificata la sua struttura corporea mercè la scelta naturale o qualunque altro mezzo. Perchè l’uomo a cagione delle sue facoltà mentali può “mantenere un corpo immutabile in armonia col mutevole universo”. Egli ha grande potenza di adattare i suoi costumi alle nuove condizioni di vita. Egli inventa armi, utensili, e vari stratagemmi coi quali si procura il nutrimento e si difende. Quando migra in paesi più freddi adopera vesti e coperte, si fabbrica ripari, e fa fuoco; e mercè il fuoco si cucina cibo che altrimenti non sarebbe digeribile. Aiuta in vari modi il suo simile, si anticipa futuri eventi. Anche in un periodo remoto egli praticava una certa suddivisione di lavoro.
Gli animali sottostanti, d’altra parte, debbono aver modificata la loro struttura corporea onde sopravvivere in condizioni grandemente mutate. Debbono esser resi più forti, o acquistare denti o artigli più robusti, onde difendersi dai loro nemici; o debbono scemare di mole per non venir scoperti o fuggire al pericolo. Quando migrano in regioni più fredde debbono venir ricoperti da un pelame più fitto, od aver alterata la costituzione: se non vengono modificati cosiffattamente, cessano di esistere.
Tuttavia il caso è grandemente diverso, come insiste a dire molto giustamente il signor Wallace, riguardo alle facoltà intellettuali e morali dell’uomo. Queste facoltà sono variabili; e noi abbiamo ogni ragione per credere che le variazioni tendono ad essere ereditate. Perciò, se primieramente esse erano di grande importanza per l’uomo primitivo o pei suoi progenitori simili alle scimmie, dovevano venir perfezionate mercè la scelta naturale. Non vi può esser dubbio intorno alla grande importanza delle facoltà intellettuali dell’uomo, perchè egli deve principalmente ad esse la eminente posizione che occupa nel mondo. Noi vediamo che, nello stato di società più rozzo, quegli individui, i quali erano più abili, che inventavano e facevano uso di armi e di trappole migliori, e sapevano meglio difendersi, allevavano un maggior numero di figli. Le tribù che contenevano un numero più grande di uomini cosiffattamente dotati dovevano crescere in numero e soppiantare le altre tribù. Il numero dipende in primo luogo dai mezzi di sussistenza, e questa dipende in parte dalla natura fisica del paese, ma molto più dalle arti che vi sono praticate. Mentre una tribù cresce ed è vittoriosa, sovente si accresce ancora dall’assorbimento che fa di altre tribù. La statura e la forza degli uomini di una tribù sono parimente di grande importanza per la buona riuscita di esse, e queste dipendono in parte dalla qualità e dalla quantità del cibo che si può ottenere. In Europa gli uomini del periodo del bronzo furono sostituiti da una razza più potente, e per quello che si può giudicare dall’impugnatura delle loro spade, fornita di mani più grandi; ma è probabile che il loro successo fosse dovuto in grado molto maggiore alla loro superiorità nelle arti.
Tutto ciò che sappiamo intorno ai selvaggi, o possiamo dedurre dalle loro tradizioni e da antichi monumenti, la storia dei quali è del tutto dimenticata dai presenti abitanti, dimostra che fino dai tempi più remoti certe tribù più fortunate hanno soppiantato altre tribù. Si sono scoperti nelle regioni più civili della terra, nelle selvagge pianure dell’America, nelle isole solitarie dell’Oceano Pacifico, avanzi di tribù estinte e dimenticate. Oggi le nazioni incivilite stanno ovunque sostituendosi alle nazioni barbare, tranne nei luoghi ove nei climi è un ostacolo mortale; e riescono principalmente, sebbene non esclusivamente, per le arti loro, che sono il prodotto del loro ingegno. È perciò probabilissimo che le facoltà intellettuali siano andate, nel genere umano, perfezionandosi gradatamente mercè la scelta naturale; e questa conclusione basta pel nostro intento. Non v’ha dubbio che sarebbe stato molto interessante segnare lo sviluppo di ogni separata facoltà dallo stato in cui si trova negli animali sottostanti a quello in cui esiste ora nell’uomo; ma non mi permettono di ciò tentare nè il mio sapere, nè le mie cognizioni.
Merita d’esser notato che appena i progenitori dell’uomo divennero socievoli (e ciò probabilmente è seguito in un periodo antichissimo), il progresso delle facoltà intellettuali deve essere stato aiutato e modificato in modo importante, di cui non vediamo che le tracce degli animali sottostanti, cioè dal principio della imitazione, unito alla ragione ed alla esperienza. Le scimmie sono molto inclinate alla imitazione, come sono pure i selvaggi più bassi; ed il semplice fatto riferito precedentemente, che dopo una volta non si può più prendere nessun animale nello stesso luogo e colla medesima sorta di trappola, dimostra che gli animali imparano dalla esperienza, ed imitano vicendevolmente le cautele l’uno dell’altro. Ora, se un qualche uomo di una tribù, più ingegnoso degli altri, inventava un nuovo tranello od una nuova arma, o altri mezzi di aggressione o di difesa, il più semplice interesse proprio, senza l’aiuto di molta potenza di ragionamento, doveva spingere gli altri ad imitarlo; e in tal modo tutti ne traevano profitto. La pratica consueta di ogni nuova arte deve parimente in qualche leggero grado rinvigorire l’intelletto. Se la nuova invenzione era importante, la tribù doveva crescere di numero, allargarsi e soppiantare altre tribù. In una tribù divenuta in tal modo più numerosa doveva essere sempre più probabile la nascita di altri membri superiori ed inventivi. Se uomini di tal sorta lasciavano figli per ereditare la loro superiorità mentale, la probabilità che nascessero altri membri ancor più ingegnosi doveva farsi in certo modo maggiore, e in una tribù piccolissima la cosa doveva seguire ancor meglio. Se anche quei membri non avessero lasciato figli, nelle tribù esistevano sempre i loro consanguinei; ed è stato riconosciuto da persone studiose di agricoltura, che conservando ed allevando individui appartenenti alla famiglia di un animale che dopo essere stato ammazzato era stato riconosciuto di valore, si otteneva il carattere desiderato.
Veniamo ora alle facoltà sociali e morali. Onde gli uomini primitivi, o i progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie, siano divenuti socievoli, essi dovevano avere acquistato i medesimi sentimenti istintivi di socievolezza che spingono altri animali a vivere in comune, e senza dubbio essi dimostravano la stessa disposizione generale. Dovevano sentirsi scontenti quando venivano separati dai loro compagni, pei quali dovevano provare una certa amorevolezza; si saranno avvertiti reciprocamente nel pericolo, e si saranno prestati scambievole aiuto nella aggressione o nella difesa. Tutto ciò richiede un certo grado di simpatia, di fedeltà e di coraggio. Cosiffatte qualità sociali, di cui nessuno contrasta la suprema importanza per gli animali sottostanti, sono state senza dubbio acquistate dai progenitori dell’uomo nello stesso modo di essi, cioè, colla scelta naturale, rinvigorita dall’abito ereditato. Quando due tribù di uomini primitivi, viventi nella stessa regione, venivano in lotta, se una tribù conteneva (dato che le altre circostanze fossero uguali) un numero maggiore di membri coraggiosi, dotati di simpatia e di fedeltà, sempre pronti a proteggersi scambievolmente contro il pericolo, ad aiutarsi, a difendersi a vicenda, questa tribù, non v’ha dubbio, doveva riescir vittoriosa e conquistare l’altra. Bisogna tenere a mente quanto in quelle continue guerre di selvaggi dovessero essere importantissimi il coraggio e la fedeltà. La supremazia che hanno i soldati disciplinati sopra le bande indisciplinate deriva principalmente dacchè ogni uomo ha fiducia nei suoi compagni. L’obbedienza, come ha molto bene dimostrato il signor Bagehot, è del più gran valore, perchè è meglio qualunque forma di governo che non nessun governo. Le genti egoiste e litigiose non si uniscono, e senza unione non si può compiere nulla. Una tribù fornita in alto grado delle qualità suddette doveva spargersi e divenir vittoriosa di altre tribù; ma coll’andar del tempo, secondo quello che possiamo giudicare da tutte le storie del passato, doveva venire a sua volta sopraffatta da qualche altra tribù ancor meglio altamente dotata. Così le qualità sociali e morali tendevano a progredire lentamente e a diffondersi pel mondo.
Ma si potrebbe domandare come seguisse che dentro la cerchia di una stessa tribù un gran numero d’individui potesse acquistare quelle qualità morali e sociali, e come andasse sollevandosi il livello del valore? È sommamente dubbio se i figli dei genitori meglio forniti di simpatia e di benevolenza, o di quelli che erano più fedeli ai loro compagni, venissero facendosi più numerosi dei figli di genitori egoisti e malvagi della stessa tribù. Quegli che era pronto a sacrificare la propria vita, come molti selvaggi hanno fatto, piuttosto che tradire i suoi compagni, sovente non lasciava prole che ereditasse la sua nobile natura. Gli uomini più coraggiosi, quelli pronti sempre a porsi in prima fila in guerra, a calcolo fatto dovevano morire in maggior numero che non gli altri uomini. Perciò non sembra quasi possibile (badiamo che qui non ragioniamo di una tribù vincitrice sull’altra) che il numero degli uomini dotati di quelle virtù, o che il livello della loro bontà, potesse venire accresciuto mercè la scelta naturale, la quale è la sopravvivenza dei migliori.
Quantunque le circostanze che producevano un aumento nel numero degli uomini cosiffattamente dotati nella cerchia di una medesima tribù siano troppo complesse perchè sì possa loro tener dietro con evidenza, possiamo segnarne alcuni dei più probabili stadi. In primo luogo, mentre si venivano migliorando le potenze del ragionare e del prevedere negli individui, ogni uomo avrebbe dovuto imparare dall’esperienza che se egli prestava il suo aiuto ai suoi compagni, ne avrebbe ricevuto comunemente un ricambio di assistenza. Da questo basso movente egli poteva acquistare l’abito di soccorrere il suo simile; e l’abito di compiere opere di benevolenza rinvigorisce certamente quel senso di simpatia, che dà il primo impulso alle azioni benevoli. Gli abiti, inoltre, seguiti per molte generazioni, tendono, probabilmente, ad essere ereditati.
Ma havvi un altro e molto più potente incitamento allo sviluppo delle virtù sociali, ed è la lode ed il biasimo dei nostri confratelli. L’amore della approvazione e il timore dell’infamia, come pure il dar lode o biasimo, sono dovuti primieramente, come abbiamo veduto nel capitolo terzo, all’istinto della simpatia; e questo istinto venne senza dubbio acquistato in origine, come tutti gli altri istinti, mercè la scelta naturale. Ben inteso, non possiamo dire in quale antichissimo periodo i progenitori dell’uomo nel corso del loro sviluppo siano divenuti capaci di sentire e di essere incitati dalla lode o dal biasimo dei loro simili. Ma sembra che anche i cani apprezzino l’incoraggiamento, la lode ed il biasimo. I selvaggi più rozzi sentono il sentimento della gloria, come lo dimostrano evidentemente i trofei che conservano delle loro prodezze, l’abito che hanno di tanto vantarsi, ed anche la somma cura che si prendono del loro aspetto e dei loro ornamenti; queste abitudini, qualora essi non tenessero conto dell’opinione dei loro compagni, non avrebbero senso.
Certamente provano vergogna quando infrangono una delle minori loro regole; ma fino a che punto sentano il rimorso, questo è molto dubbio. Io dapprima mi meravigliavo di non poter ricordare qualche esempio di questo sentimento nei selvaggi; e sir J. Lubbock asserisce che non ne conosce alcuno. Ma se noi ci togliamo dalla mente tutti i casi riferiti nei romanzi e nelle commedie di confessioni fatte ai preti al letto di morte, dubito che molti di noi abbiano veduto espresso il rimorso; sebbene abbiamo spesso veduto vergogna e contrizione per offese più piccole. Il rimorso è un sentimento profondamente nascosto. È incredibile che un selvaggio, il quale sacrifica la propria vita anzichè tradire la sua tribù, o quello che si lascia far prigioniero piuttosto che mancar di parola, non senta nel fondo dell’anima il rimorso, sebbene possa celarlo, quando abbia mancato a un dovere che considera sacro.
Noi perciò possiamo conchiudere che per l’uomo primitivo, in un periodo remotissimo, la lode o il biasimo dei suoi compagni debbano avere avuto importanza. Evidentemente i membri di una medesima tribù avrebbero approvata quella condotta che pareva loro fosse utile al buonessere generale e disapprovata quella che paresse dannosa. Fare il bene agli altri – fate agli altri ciò che vorreste fatto a voi – è la pietra fondamentale della moralità. Non è quindi possibile esagerare l’importanza che ebbero, durante i tempi più rozzi, l’amore della lode ed il timore del biasimo. Quell’uomo il quale non veniva spinto da nessun profondo ed istintivo sentimento a sacrificare la sua vita pel bene del prossimo, veniva tuttavia indotto a compiere cosiffatte azioni da un senso di gloria, ed il suo esempio doveva svegliare in altri uomini lo stesso desiderio di gloria, e mercè l’esercizio veniva così rinvigorito il nobile sentimento dell’ammirazione. Egli in tal modo recava un bene molto maggiore alla sua tribù che non generando figli dotati di una tendenza ad ereditare il suo nobile carattere.
L’uomo acquistando maggiore esperienza e ragione può scorgere le più remote conseguenze delle sue azioni, e le virtù riguardanti la persona, come la temperanza, la castità, ecc., le quali durante i periodi primitivi sono state, come abbiamo già veduto, tenute in poco conto, vengono ad essere grandemente stimate ed anche considerate come sacre. Perciò non ho bisogno di ripetere quello che ho detto intorno a questo argomento nel terzo capitolo. In ultimo ne deriva un sentimento molto complesso, che ha la sua prima origine negli istinti sociali, è grandemente guidato dalla approvazione dei nostri confratelli, regolato dalla ragione, dall’interesse proprio, e in tempi ulteriori da sentimenti religiosi, viene confermato dall’istruzione e dall’abitudine, e tutte queste cose riunite costituiscono il nostro senso morale o coscienza.
Non bisogna dimenticare che, sebbene un alto livello di moralità procuri solo poco od anche nessun vantaggio ad ogni individuo e ai suoi figli sugli altri membri della stessa tribù, tuttavia un progresso nel livello della moralità ed un maggior numero di uomini bene dotati darà certamente una immensa superiorità ad una tribù sopra un’altra. Non può esservi dubbio che una tribù che racchiude in sè molti membri i quali, possedendo in alto grado lo spirito di patriottismo, la fedeltà, l’obbedienza, il coraggio e la simpatia, fossero sempre pronti ad aiutarsi scambievolmente e sagrificarsi pel bene comune, sarebbe vincitrice di molte altre tribù; e questa sarebbe la scelta naturale. In ogni tempo nel mondo certe tribù ne hanno soppiantate altre; e siccome la moralità è un elemento di riuscita, il livello della moralità e il numero degli uomini nobilmente dotati tenderà così ovunque ad innalzarsi e ad estendersi.
Tuttavia è difficilissimo farsi un retto giudizio del perchè una particolare tribù e non un’altra sia stata vittoriosa, e siasi elevata nella scala dell’incivilimento. Molti selvaggi sono ora nelle stesse condizioni in cui erano parecchi secoli addietro quando furono scoperti. Come ha notato il sig. Bagehot, noi siamo inclinati a considerare il progresso come la regola normale dell’umana società; ma la storia ciò confuta. Gli antichi non avevano quest’idea, e neppure oggi le nazioni orientali l’hanno. Secondo un’altra somma autorità, il signor Maine, “la maggior parte del genere umano non ha mai dimostrato il benchè minimo desiderio che le sue istituzioni civili venissero migliorate”. Il progresso sembra derivare dal concorso di molte condizioni favorevoli, troppo complesse perchè si possa tener loro dietro. Ma è stato sovente notato che un clima freddo, creando il bisogno dell’industria e di varie arti, è stato per quel fine grandemente favorevole, e anche indispensabile. Gli Esquimali, spinti dalla dura necessità, sono riusciti in molte ingegnose invenzioni, ma il loro clima è stato troppo crudo per un continuo progresso. I costumi nomadi, sia nelle vaste pianure, o in mezzo alle fitte foreste dei tropici, o lungo le spiagge del mare, sono in ogni caso grandemente dannosi. Mentre io osservavo i barbari abitatori della Terra del Fuoco, rimasi colpito dal pensiero che il possesso di qualche proprietà, di una dimora fissa, e l’unione di molte famiglie sotto di un capo, fossero i requisiti indispensabili per l’incivilimento. Cosiffatti costumi richiedono quasi necessariamente la coltivazione del suolo; ed è probabile che i primi passi nella coltivazione siano stati l’effetto, come ho dimostrato altrove, di un incidente qualunque, come la caduta di alcuni semi di alberi fruttiferi sopra un mucchio di avanzi, e la nascita, in conseguenza di ciò, di qualche insolitamente bella varietà. Tuttavia il problema del primo progredire dei selvaggi verso l’incivilimento è oggi difficilissimo da sciogliere.
La scelta naturale operante nelle nazioni incivilite. – Nell’ultimo capitolo e in questo ho considerato il progresso compiuto dall’uomo da una primitiva condizione semiumana al suo stato presente di barbarie. Ma giova qui aggiungere alcune osservazioni intorno all’azione della scelta naturale sulle nazioni incivilite. Questo argomento è stato discusso dal signor N. R. Greg, e precedentemente dal signor Wallace e dal signor Galton. La maggior parte delle mie osservazioni sono prese da questi tre autori. Nei selvaggi i deboli di corpo o di mente sono in breve eliminati; e quelli che sopravvivono presentano comunemente una fiorente e robusta salute. D’altra parte noi, uomini inciviliti, cerchiamo ogni mezzo onde porre ostacoli al processo di eliminazione; fabbrichiamo ricoveri per gli idioti, gli storpi ed i malati; facciamo leggi pei poveri; e i nostri medici si stillano il cervello per salvare la vita di ognuno fino all’ultimo momento. Vi è ragione per credere che il vaccino ha preservato migliaia di vite, che con una debole costituzione sarebbero prima morte di vaiolo. Così i membri deboli delle società incivilite si riproducono. Chiunque abbia avuto che fare coll’allevamento degli animali domestici non leverà un dubbio che questo fatto non sia altamente dannoso alla razza umana. Fa meraviglia come la mancanza di cure, e le cure male dirette conducano alla degenerazione di una razza domestica; ma, eccettuato il caso dell’uomo stesso, forse nessuno può essere tanto ignorante da far generare i suoi peggiori animali.
Il sentimento che ci spinge a soccorrere gl’impotenti è principalmente un effetto incidentale dell’istinto di simpatia, che fu in origine acquistato come una parte degli istinti sociali, ma che divenne in seguito nel modo precedentemente indicato più tenero e più largamente diffuso. E noi non possiamo frenare la nostra simpatia contro i suggerimenti della dura ragione, senza deteriorare la parte nobile della nostra natura. Il chirurgo può cercare di indurirsi mentre compie un’operazione, perchè sa che opera pel bene del suo malato; ma se noi volontariamente trascuriamo i deboli e gl’impotenti, può derivarne soltanto un casuale beneficio, con un male grande e presente. Quindi dobbiamo sopportare senza lagnarci i sicuri cattivi effetti del sopravvivere dei deboli e del loro propagarsi; ma sembra che vi sia almeno un impedimento che opera efficacemente; cioè che i membri più deboli ed inferiori della società non si sposano così facilmente come i più sani, e questo ostacolo può essere indefinitamente accresciuto, sebbene sia forse solo una speranza più che non una certezza che i deboli di corpo o di mente siano per astenersi dal matrimonio.
In tutti i paesi civili l’uomo accumula proprietà, e le lascia ai suoi figli. Cosicchè questi figli in uno stesso paese non possono per nessun modo spingersi molto avanti nella corsa per la riuscita. Ma questo non è tutto un male; perchè senza l’accumulamento del capitale le arti non progredirebbero: ed è principalmente per opera loro che le razze incivilite hanno estesa e vanno tuttora sempre estendendo la loro cerchia, per modo da prendere il posto delle razze inferiori. E neppure l’accumulamento moderato delle ricchezze non impedisce il processo della scelta. Quando un uomo povero divien ricco, i suoi figli imprendono traffici e professioni, nelle quali v’ha sufficiente lotta, cosicchè i più abili di corpo e di mente riescono meglio. La presenza di una corporazione di uomini bene istruiti, i quali non hanno bisogno di lavorare pel pane quotidiano, è di tanta importanza che non si può troppo valutare perchè tutto il lavoro intellettuale più alto è compiuto da essi, e da quel lavoro dipende principalmente ogni sorta di progresso materiale, senza far menzione di altri e più elevati vantaggi. Senza dubbio la ricchezza soverchia tende a convertire gli uomini in inutili infingardi, ma il loro numero non è mai grande; e segue in quel caso un certo grado di eliminazione, come vediamo ogni giorno negli uomini ricchi, i quali alle volte sono pazzi e prodighi tanto da sciupare tutte le loro ricchezze.
La primogenitura colla sostituzione dei beni immobili è un male più diretto, sebbene possa essere stata in principio di grande vantaggio creando così una razza dominante; e qualunque governo è migliore dell’anarchia. I figli primogeniti sebbene potessero essere deboli di corpo o di mente, in generale si ammogliavano, mentre i figli minori, anche se per questo rispetto superiori, generalmente non si ammogliavano. Nè potevano mercè la sostituzione degli immobili i primogeniti inetti sciupare le loro ricchezze. Ma in questo come in tanti altri casi, le relazioni della vita civile sono tanto complesse che interviene qualche ostacolo compensatore. Gli uomini che mercè la primogenitura sono ricchi possono scegliere di generazione in generazione le donne più belle e più graziose, e queste, in generale, debbono essere sane di corpo e attive di mente. Le cattive conseguenze, qualunque esse possano essere, della continua conservazione della stessa linea di discendenza, senza alcuna scelta, vengono impedite da quegli uomini alto locati che desiderano di aumentare sempre più le loro dovizie e la loro potenza; e ciò fanno sposando ricche fanciulle uniche eredi. Ma le figlie di genitori che hanno prodotto figli unici van soggette esse medesime come ha dimostrato il signor Galton, ad essere sterili; e così nelle famiglie nobili la linea diretta si spegne continuamente, e le loro ricchezze scorrono in qualche canale laterale; ma per sfortuna questo canale non vien formato da nessuna sorta di superiorità.
Sebbene l’incivilimento arresti in molti modi l’opera della scelta naturale, esso favorisce apparentemente, mercè il miglior nutrimento, e il potersi liberare da fatiche incidentali, un più grande sviluppo del corpo. Questo si può dedurre da ciò che gli uomini civili sono sempre stati trovati, quando vennero comparati, fisicamente più forti che non i selvaggi. Sembrano pure avere uguale forza di resistenza, come è stato dimostrato in molte avventurose spedizioni. Anche il gran lusso del ricco non può essere gran che dannoso; perchè la longevità della nostra aristocrazia, in tutte le età e nei due sessi, è molto poco inferiore a quella dei ricchi inglesi nelle classi meno elevate.
Esamineremo ora soltanto le facoltà intellettuali. Se in ogni livello della società si dividessero i membri in due schiere uguali, di cui una contenesse quelli che sono superiori intellettualmente e l’altra quelli che sono inferiori, non vi può essere guari dubbio che i primi riuscirebbero meglio in ogni occupazione ed alleverebbero un maggior numero di figli. Anche nelle vie più umili della vita l’ingegno e la capacità debbono recare un certo vantaggio, sebbene in molte occupazioni, per la grande divisione del lavoro, questo vantaggio debba essere di pochissimo momento. Quindi nelle nazioni incivilite vi sarà una certa tendenza ad un aumento tanto nel numero come nel livello della capacità intellettuale. Ma non voglio asserire che questa tendenza non possa essere più che controbilanciata in altro modo, come per la moltiplicazione degli irrequieti ed imprevidenti; ma anche a questi l’abilità deve essere vantaggiosa.
È stata fatta sovente questa obiezione alle vedute sopra esposte, che gli uomini più eminenti che abbiano vissuta non hanno lasciato figli che ereditassero del loro grande ingegno. Il Galton dice: “Mi rincresce non saper sciogliere questa semplice questione se, e fino a che punto, gli uomini e le donne dotati di prodigioso ingegno siano sterili. Tuttavia ho dimostrato che uomini eminenti non sono sterili per nulla”. I grandi legislatori, i fondatori di religioni benefiche, i grandi filosofi e scopritori nella scienza, agevolano il progresso dell’umanità in un grado molto più alto colle loro opere che non lasciando numerosa prole. Nel caso delle strutture corporee si è la scelta degli individui lievemente meglio dotati e non la conservazione di bene spiccate e vere anomalie, che produce il progresso della specie. Così seguirà pure le facoltà intellettuali; cioè, gli uomini dotati in un certo modo un po’ meglio degli altri riusciranno piuttosto che non quelli meno bene dotati, e quindi cresceranno di numero, se non segue nessun altro impedimento. Quando in una nazione il livello dell’intelletto si è elevato ed il numero degli uomini intelligenti è cresciuto, possiamo aspettarci secondo la legge di deviazione, in media, come dimostra il signor Galton, che i prodigi di ingegno compariranno in qualche modo più frequentemente di prima.
Per ciò che riguarda le qualità morali, una certa eliminazione delle peggiori disposizioni va sempre progredendo anche nelle nazioni più incivilite. I malfattori sono giustiziati, o tenuti lungamente prigionieri, cosicchè non possono trasmettere liberamente le loro cattive qualità. Gl’ipocondriaci e gli alienati sono racchiusi o si suicidano. I violenti e i litigiosi spesso fanno una fine sanguinosa. Gli uomini irrequieti che non sanno occuparsi regolarmente – e questo avanzo di barbarie è un grande ostacolo allo incivilimento –emigrano in paesi di fresco costituiti, dove divengono utili coloni. L’intemperanza è tanto nocevole alla salute, che la probabilità della vita di un intemperante, giunto per esempio all’età di trenta anni, è solo di 13,8 anni; mentre pei contadini dell’Inghilterra a quell’età è di 40,59 anni. Le donne dissolute hanno pochi figli, e gli uomini dissoluti di rado si ammogliano; entrambi van soggetti a malattie. Nell’allevamento degli animali domestici, l’eliminare quegli individui, sebbene anche in piccol numero, che sono ben evidentemente inferiori, non è per nulla un elemento di poca importanza pel buon successo. Questo giova specialmente per quei caratteri dannosi che tendono a ricomparire pel regresso, come sarebbe il colore nero nelle pecore; e per ciò che riguarda il genere umano, alcune di quelle cattive disposizioni che incidentalmente ricompariscono nelle famiglie senza nessuna causa apparente, possono essere forse regressi verso uno stato selvaggio, dal quale non siamo separati da molle generazioni. Questa opinione sembra anche riconosciuta dalla espressione comune che uomini di tal fatta sono le pecore nere della famiglia.
Nelle nazioni incivilite, per ciò che riguarda un livello elevato di moralità, ed un maggior numero di uomini molto bene dotati, la scelta naturale pare essere molto piccola; sebbene gli istinti sociali fondamentali fossero in origine acquistati per opera sua. Ma ho già parlato abbastanza a lungo di ciò mentre trattavo delle razze più basse, delle cause che hanno prodotto un aumento di moralità, cioè, l’approvazione dei nostri confratelli – il rinvigorimento delle nostre simpatie mercè l’abitudine – l’esempio e l’imitazione – la ragione – l’esperienza ed anche il proprio interesse – l’istruzione durante la giovinezza, e i sentimenti religiosi.
Un ostacolo molto più importante nei paesi civili all’accrescimento del numero degli uomini di una classe superiore è stato grandemente dimostrato dai signori Grey e Galton, ed è il fatto che gli uomini molto poveri ed irrequieti, che spesso sono degradati dal vizio, quasi invariabilmente si sposano di buon’ora, mentre i cauti ed i frugali, che in generale sono ben più virtuosi, si sposano tardi, onde poter mantenere agiatamente se stessi e la loro famiglia. Quelli che si sposano giovani producono in un dato periodo non solo un numero maggiore di generazioni, ma, come ha dimostrato il dottor Duncan, anche molto più figli. I bambini, inoltre, che sono nati da madri nel fiore degli anni sono più grassi e più grandi e quindi probabilmente più robusti di quelli nati in altri periodi. Così quei membri della società che sono irrequieti, degradati, e sovente viziosi, tendono ad aumentarsi molto più presto che non i membri previdenti e generalmente virtuosi. Ecco come si esprime il signor Grey: “L’Irlandese incurante, squallido, meschino, si moltiplica come i conigli; lo Scozzese frugale, previdente, dignitoso, ambizioso, severo nella sua moralità, spirituale nella sua fede, sagace e disciplinato nella sua intelligenza, passa i suoi più begli anni nella lotta e nel celibato, si sposa tardi e non lascia molta prole. Data una terra popolata dapprima di mille Sassoni e di mille Celti, dopo una dozzina di generazioni i cinque sesti della popolazione saranno Celti, ma i cinque sesti della proprietà, della potenza, dell’intelletto saranno di quel sesto di Sassoni che rimangono. Nella eterna lotta per la vita sarebbe stata la razza inferiore e meno favorita che avrebbe prevalso, e avrebbe prevalso non in virtù delle sue buone qualità, ma pei suoi difetti”.
Vi sono tuttavia alcuni ostacoli a questa tendenza al peggioramento. Abbiamo veduto che gli intemperanti vanno soggetti ad una grande mortalità, e i dissolutissimi lasciano poca prole. Le classi più povere si ammucchiano nelle città, ed il dottor Stark ha dimostrato, secondo le statistiche di dieci anni in Scozia, che in tutte le età il numero delle morti è maggiore nelle città che non nei distretti rurali “e durante i primi cinque anni di vita nelle città il numero delle morti è quasi precisamente il doppio di quello delle campagne”. Siccome in questi calcoli entrano tanto i ricchi che i poveri, non v’ha dubbio che più del doppio del numero delle nascite avrebbero servito a tener alto il numero dei poverissimi abitanti delle città, relativamente a quelli della campagna. Per le donne, il matrimonio in età troppo giovanile è dannoso; perchè è stato osservato in Francia che “muoiono nell’anno un numero doppio di donne maritate sotto i venti anni, di quello che ne muoia di nubili”. Parimenti la mortalità degli uomini ammogliati al di sotto di venti anni è “sommamente elevata”, ma non se ne conosce bene la ragione. Infine, se gli uomini, i quali aspettano prudentemente finchè abbiano tanto da mantenere comodamente le loro famiglie, scegliessero, come fanno sovente, la moglie nel fiore degli anni, la statistica dell’accrescimento delle razze migliori sarebbe solo lievemente diminuita.
Da una sterminata raccolta di statistiche prese durante il 1853, era stato riconosciuto che gli uomini scapoli in Francia, fra i venti e gli ottant’anni, morivano in maggior proporzione che non gli ammogliati; per esempio, sopra 1000 uomini scapoli dell’età da venti a trent’anni, 11,3 morivano annualmente, mentre degli ammogliati ne morivano solo 6,5. Una legge cosiffatta venne osservata prevalere anche in Scozia negli anni 1863 e 1864 in tutta la popolazione verso l’età di venti anni; per esempio, di mille scapoli, fra i venti e i trent’anni, 14,97 morivano annualmente, mentre degli ammogliati ne moriva solo 7,24, vale a dire meno della metà. Il dottor Stark osserva a questo riguardo che “il celibato raccorcia la vita più di qualunque mestiere malsano o di qualunque dimora in una casa malsana o in un distretto dove non siasi mai tentato il benchè minimo risanamento”. Egli considera che la mortalità diminuita è l’effetto diretto del “matrimonio, e delle più regolari abitudini domestiche che derivano da quello”. Egli riconosce tuttavia che gli intemperanti, i dissoluti e i delinquenti di cui la vita è breve, per solito non si maritano: e bisogna pure ammettere che gli uomini di gracile costituzione, di cattiva salute, o afflitti da qualche grande infermità di corpo o di mente, sovente non vogliono ammogliarsi o non sono accettati. Sembra che il dottor Stark finisca per conchiudere che il matrimonio sia per se stesso una causa principale di lunga vita, avendo trovato che anche i vecchi ammogliati hanno, per questo riguardo, un notevole vantaggio sugli scapoli della stessa età avanzata; ma ognuno deve avere conosciuto casi di uomini i quali non godevano buona salute in gioventù, e non si sono sposati e tuttavia sono giunti alla vecchiezza, sebbene gracili e con poca probabilità di vita. Vi è pure un’altra circostanza notevole che viene in appoggio alla conclusione del dott. Stark cioè, che in Francia i vedovi e le vedove hanno una mortalità maggiore in riscontro a quella dei coniugati; ma il dottor Farr attribuisce questo fatto alla povertà ed alle cattive abitudini in seguito alla rottura della famiglia, ed al dolore. In complesso possiamo conchiudere col dottor Farr che la minore mortalità degli uomini ammogliati in confronto di quelli scapoli, che sembra essere una legge generale, “si deve principalmente alla costante eliminazione dei tipi imperfetti ed alla abile scelta degli individui più belli di ogni successiva generazione”; la scelta potendo solo farsi nello stato matrimoniale, ed operando tanto sulle qualità corporee, quanto sulle intellettuali e morali. Possiamo quindi dedurre che gli uomini sani e buoni che per prudenza rimangono per un certo tempo scapoli non hanno in media maggiore mortalità.
Se i vari ostacoli specificati nei due ultimi paragrafi, e forse altri ancora ignoti, non impediscono i membri irrequieti, viziosi od altrimenti inferiori della società dal crescere in maggior numero che non le classi migliori degli uomini, la nazione andrà indietro, come è accaduto troppo spesso nella storia del mondo. Dobbiamo ricordarci che il progresso non è una regola invariabile. È difficile dire perchè una nazione civile si innalza, divien più potente che non un’altra; o perchè la stessa nazione progredisce più in un tempo che non in un altro. Noi possiamo solo dire che ciò dipende dall’aumento nel numero attuale della popolazione del numero di uomini forniti di alte facoltà morali ed intellettuali, come pure dal livello della loro bontà. Sembra che la struttura corporea, tranne in ciò che la robustezza del corpo produce vigore di mente, abbia solo una piccola azione.
Parecchi autori hanno detto che, qualora la potenza elevata intellettuale fosse utile ad una nazione, gli antichi Greci, i quali erano superiori di qualche grado nell’intelletto a qualunque razza che abbia mai esistito, avrebbe dovuto elevarsi, se fosse vera la potenza della scelta naturale, sempre più nella scala, crescer di numero, e popolare tutta l’Europa. Qui noi abbiamo la tacita asserzione così sovente addotta rispetto alle strutture corporee, che vi è una certa innata tendenza al continuo sviluppo della mente e del corpo. Ma ogni sorta di sviluppo dipende dal concorso di molte circostanze favorevoli. La scelta, naturale opera soltanto come un tentativo. Gli individui e le razze possono aver acquistato certi vantaggi incontrastabili, e tuttavia esser periti per la mancanza di altri caratteri. I Greci possono essere retroceduti per mancanza di coesione fra i piccoli Stati per la piccola estensione del loro paese, per la pratica della schiavitù, o per una estrema sensualità: perchè non soccombettero se non quando furono “snervati e corrotti fino in fondo all’anima”. Le nazioni occidentali di Europa, che ora superano smisuratamente i loro primieri progenitori selvaggi e stanno alla cima dello incivilimento, non debbono che poco o forse nulla della loro superiorità alla diretta eredità degli antichi Greci; sebbene vadan debitori di molto alle opere scritte di quel popolo meraviglioso.
Chi può dire con certezza perchè la nazione Spagnuola, così dominante un tempo, sia rimasta tanto indietro? Lo svegliarsi delle nazioni d’Europa dai secoli tenebrosi è ancora un problema molto incerto. In quel periodo primiero, come osserva il signor Galton, quasi tutti gli uomini dotati di natura gentile, quelli che si dedicavano alla meditazione o alla coltura della mente, non avevano altro rifugio che la Chiesa che richiedeva il celibato; e questo non può a meno di aver avuto un’azione deteriorante sopra ogni successiva generazione. Durante quello stesso periodo la Santa Inquisizione sceglieva annualmente gli uomini più liberi e più coraggiosi per bruciarli od imprigionarli. Nella sola Spagna alcuni degli uomini migliori – quelli che dubitavano, investigavano, e senza il dubbio non v’ha progresso – furono eliminati per tre secoli in ragione di mille all’anno. Il male che la Chiesa Cattolica ha fatto così, sebbene controbilanciato senza dubbio in una certa e forse grande estensione in altri modi, è incalcolabile; nondimeno l’Europa ha progredito incomparabilmente.
Il fatto che gl’Inglesi sono, come colonizzatori, tanto superiori alle altre nazioni europee, ciò che è bene dimostrato dal confronto fra i Canadesi di razza inglese e quelli di razza francese, è stato attribuito alla loro “ardimentosa e persistente energia”; ma chi può dire il modo in cui gli Inglesi abbiano acquistata la loro energia? Vi è maggiore apparenza di verità nel credere che il progresso meraviglioso degli Stati Uniti, come pure il carattere del popolo, siano l’effetto della scelta naturale; mentre gli uomini più energici, più irrequieti e più coraggiosi, da tutte le parti d’Europa hanno emigrato durante le ultime dieci o dodici generazioni verso quel grande paese, e si sono colà bene propagati. Guardando nel lontano avvenire, non credo che l’idea del rev. sig. Zincke sia esagerata quando dice: “Ogni altra serie di avvenimenti – come quelli che seguirono nella coltura della mente in Grecia, e che risultarono nell’impero di Roma – sembrano avere scopo e valore quando sono osservate in rapporto con, o piuttosto come sussidiarie a la grande corrente dell’emigrazione Anglo-Sassone verso l’Occidente”. Per quanto sia oscuro il problema del progresso dello incivilimento, possiamo almeno vedere che quella nazione la quale durante un lungo periodo produce un numero maggiore d’uomini intelligentissimi, energici, coraggiosi, patriottici e benevoli, avrà generalmente la prevalenza sopra le nazioni meno bene favorite.
La scelta naturale segue dalla lotta per la vita; e questa da un rapido grado di accrescimento. Non si può a meno di rimpiangere amaramente, ma se ciò sia giusto è un’altra questione, il grado in cui l’uomo tende ad aumentare di numero; perchè questo nelle nazioni barbare mena all’infanticidio e a molti altri mali, e nelle nazioni civili alla povertà abbietta, al celibato, ed ai matrimoni tardivi dei prudenti. Ma siccome l’uomo soffre gli stessi mali fisici degli animali sottostanti, egli non ha il diritto di credersi esente dai danni che vengono in conseguenza della lotta per la vita. Se non fosse stato soggetto alla scelta naturale, certamente non sarebbe mai giunto al posto che occupa ora di uomo. Quando vediamo in molte parti del mondo immense aree della terra più fertile appena popolate da pochi erranti selvaggi, ma che potrebbero bastare al mantenimento di numerose famiglie felici, si può supporre che la lotta per la vita non è stata sufficientemente seria per forzare l’uomo ad elevarsi ad un livello ancor più alto. Giudicando da tutto quello che si sa intorno all’uomo ed agli animali sottostanti, vi è stata sempre una sufficiente variabilità nelle facoltà intellettuali e morali, perchè progredissero di continuo mercè la scelta naturale. Senza dubbio questo progresso richiede il concorso di molte circostanze favorevoli; ma si può ben dubitare se le più favorevoli avrebbero bastato, qualora il grado dell’accrescimento di numero non fosse stato così rapido, e la lotta per la vita che ne derivava non fosse stata in sommo grado dura.
Intorno all’evidenza del fatto che tutte le nazioni civili furono un tempo barbare. – Siccome abbiamo avuto da considerare gli stadi pei quali una qualche creatura semiumana è andata gradatamente sollevandosi fino a divenire uomo nel suo perfetto stato, non si può passar sotto silenzio il presente argomento. Ma esso è stato trattato tanto pienamente e così bene da sir J. Lubbock, dal sig. Tylor, dal sig. M’Lennan, e da altri, che non ho d’uopo qui che di dare un breve sunto dei loro risultati. Gli argomenti prodotti di recente dal duca d’Argyll, e più anticamente dall’arcivescovo Whately, in favore della credenza che l’uomo sia venuto al mondo come un essere incivilito e che tutti i selvaggi siano andati d’allora in poi degradandosi, mi sembrano deboli in confronto con quelli addotti dall’altra parte. Senza dubbio molte nazioni hanno indietreggiato nell’incivilimento, ed alcune possono essere cadute in una piena barbarie, sebbene io non abbia mai incontrato prove di quest’ultimo fatto. Gli indigeni della Terra del Fuoco furono probabilmente obbligati da altre orde conquistatrici a porre dimora nel loro inospite paese, ed essi in conseguenza possono essersi andati in certo modo degradando; ma sarebbe molto difficile dimostrare che essi sono decaduti più basso dei Botocudos che abitano le più belle parti del Brasile.
La prova che tutte le nazioni civili discendono da barbari si ha per una parte in ciò che esistono nei costumi ancora attuali, nelle credenze, nelle lingue, tracce evidenti della loro inferiore condizione; d’altra parte, da ciò che i selvaggi sono indipendentemente soggetti ad elevarsi di qualche passo nella scala dello incivilimento, e si sono attualmente in tal modo elevati. Sul primo fatto l’evidenza è strettamente curiosa, ma non può esser qui riferita; farò solo menzione di alcuni casi, come quello, per esempio, dell’arte della numerazione, che, come dimostra chiaramente il sig. Tylor, colle parole adoperate ancora in molti luoghi ebbe origine contando sulle dita, prima sopra una mano, poi su tutte e due, e finalmente sulle dita dei piedi. Abbiamo tracce di ciò nel nostro stesso sistema decimale, e nei numeri romani, che dopo di esser giunti al numero V, si mutano in VI, ecc., quando l’altra mano venne senza dubbio adoperata. Così pure, “quando parliamo di sessanta e dieci, contiamo col sistema ventesimale, mentre ogni ventina fatta così idealmente, sta come 20 – per “un uomo”, come metterebbe un Messicano o un Caribeo”. Secondo una scuola numerosa e sempre crescente di filologi, ogni linguaggio porta segni della sua lenta e graduata evoluzione. Così segue nell’arte dello scrivere, siccome le lettere sono rudimenti di dimostrazioni dipinte. È difficile, leggendo l’opera del signor M’Lennan, non ammettere che in quasi tutte le nazioni civili rimangono alcune tracce di qualche rozzo costume, come la forzata prigionia delle mogli. Di quale antica nazione chiede lo stesso autore, si può dire che fosse in origine monogama? La primitiva idea di giustizia, come lo dimostra la legge della battaglia ed altri costumi di cui rimangono ancora alcune tracce, era parimente molto rozza. Molte superstizioni che esistono ancora, sono gli avanzi di antiche false credenze religiose. La forma più alta di religione – la grande idea di Dio che odia il delitto ed ama la rettitudine – era nei tempi primitivi ignota.
Veniamo ora ad un’altra sorta di evidenza. Sir J. Lubbock ha dimostrato che alcuni selvaggi recentemente hanno un tantino migliorato le loro semplici arti. Dalla curiosissima relazione che egli dà delle armi, degli utensili e delle arti adoperate o praticate dai selvaggi in varie parti del mondo, non si può mettere in dubbio che queste siano state quasi tutte scoperte indipendenti, tranne forse l’arte di far fuoco. Il boomerang (sorta di balestra) australiano è una buona prova di cosiffatte scoperte indipendenti. Gli abitanti di Tahiti quando vennero visitati per la prima volta erano per molti rispetti più avanti che non gli abitanti della maggior parte delle isole della Polinesia. Non vi sono buoni motivi per credere che l’elevata cultura degli indigeni del Perù e del Messico fosse venuta dal di fuori: molte piante del paese erano colà coltivate, ed alcuni pochi animali indigeni addomesticati. Dobbiamo tener presente nella nostra mente che se fosse sbarcata sulle spiagge d’America una comitiva errante di qualche paese semicivile, non avrebbe, se giudichiamo dalla piccola influenza della maggior parte dei missionari, prodotto nessun effetto ben evidente sugli indigeni, a meno che fossero già divenuti in certo modo avanzati. Guardando ad un periodo remotissimo della storia del mondo, troviamo, per adoperare i vocaboli ben noti di sir J. Lubbock, un periodo paleolitico e neolitico; e nessuno pretenderà che l’arte di lavorare le rozze selci fosse un’Arte presa ad imprestito. In tutte le parti d’Europa fino alla Grecia, nella Palestina, nell’India, nel Giappone, nella Nuova Zelanda e nell’Africa, compreso l’Egitto, si sono trovati abbondantissimi gli strumenti di selci; e gli abitanti che esistono oggi non hanno nessuna tradizione intorno al loro uso. Vi è pure una indiretta evidenza del loro uso primiero dai Cinesi e dagli antichi Ebrei. Quindi non vi può essere dubbio che gli abitanti di tutti quei paesi, che comprendono quasi tutto il mondo civile, non siansi trovati un tempo in uno stato di barbarie. Credere che l’uomo fosse aboriginariamente incivilito e che in tante parti sia stato soggetto ad un così pieno degradamento, è avere una opinione ben meschina dell’umana natura. Sembra che sia un’idea molto più vera e più confortante quella di credere che il progresso sia stato molto più generale che non il regresso; che l’uomo da una bassa condizione siasi elevato, invero con passi lenti ed interrotti, al più alto livello finora da esso raggiunto, in sapere, cognizioni, morale e religione.

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