VARIABILITÀ

Prima di procedere all'applicazione dei principii da noi svolti nel capo precedente agli esseri organizzati nello stato di natura, dobbiamo esaminare brevemente se questi sono variabili o no. Per trattare convenientemente tale soggetto, sarebbe necessario redigere un lungo catalogo di fatti; ma io debbo serbarli per la mia opera futura. Io non posso inoltre discutere qui le diverse definizioni che si diedero del termine specie. Nessuna di queste definizioni soddisfece ancora pienamente tutti i naturalisti; frattanto ogni naturalista conosce almeno in modo vago che cosa intende, quando parla di una specie. In generale questa espressione sottintende l'elemento incognito d'un atto distinto di creazione. Anche il termine varietà è parimenti difficile a definirsi; ma qui l'idea d'una discendenza comune è generalmente implicata, quantunque ben di rado possa provarsi. Da ultimo sonovi le mostruosità; ma esse si fondono insensibilmente colle varietà. Intendo per mostruosità una deviazione ragguardevole di una singola parte che può essere o nociva o almeno inutile alle specie.

Alcuni autori impiegano la parola variazione, nel significato tecnico, per indicare una modificazione dovuta direttamente alle condizioni esterne della vita; e le variazioni in tal senso non si suppongono ereditarie: ora chi può affermare che le proporzioni minime delle conchiglie nelle acque salmastre del Baltico e la piccolezza delle piante sulle vette alpestri, oppure il fitto pelo degli animali della zona polare non siano in molte occasioni trasmissibili almeno per alcune generazioni?
In questo caso io presumo che la forma sarebbe considerata come una varietà.


È dubbio se le variazioni di struttura profonde e repentine, come quelle che assai spesso notansi nelle nostre razze domestiche e più particolarmente fra le piante, possansi propagare con un carattere di costanza nello stato di natura. Generalmente gli esseri organici sono tanto meravigliosamente adatti alle loro condizioni di esistenza da sembrare improbabile che ogni parte di essi sia stata improvvisamente formata nella sua intera perfezione, come una macchina complicata non potrebbe essere stata inventata dall'uomo con tutti i suoi perfezionamenti. Allo stato domestico appariscono spesso delle mostruosità che somigliano a produzioni normali di animali assai diversi; ad esempio, nacquero dei maiali forniti di una specie di proboscide. Se nel genere Sus esistesse una specie naturale fornita di proboscide, si potrebbe concludere ch'essa sia apparsa repentinamente come forma mostruosa; ma per quanto io abbia cercato, non rinvenni un solo caso, in cui una mostruosità somigliasse ad una forma normale in specie affini; e ciò solamente sarebbe d'interesse nella presente questione. Se allo stato dì natura apparissero siffatte forme mostruose, e se fossero trasmissibili (ciò che non sempre si verifica), essendo rare ed isolate, la loro conservazione dipenderebbe da condizioni straordinariamente favorevoli. Si aggiunga che esse nella prima e nelle successive generazioni s'incrocierebbero colle forme comuni, e si comprenderà che debbano perdere quasi inevitabilmente il loro carattere anormale. Ma in un capitolo seguente io riparlerò della conservazione e riproduzione di singole ed occasionali variazioni.

DIFFERENZE INDIVIDUALI

Vi sono leggiere differenze che potrebbero chiamarsi differenze individuali, siccome si trovano nei discendenti dai medesimi genitori, oppure fra individui riguardati per tali, perchè appartenenti alla medesima specie e viventi in una stessa località limitata. Nessuno suppone che tutti gli individui della medesima specie siano formati assolutamente sopra uno stampo eguale. Ora queste differenze individuali sono per noi della massima importanza, e perchè più frequentemente sono trasmissibili, come tutti sanno, e perchè forniscono degli elementi all'accumulazione per elezione naturale; nello stesso modo che l'uomo accumula in una data direzione le differenze individuali che si rilevano nelle razze domestiche.

Queste differenze individuali affettano generalmente quegli organi che i naturalisti considerano come poco importanti; ma io potrei dimostrare con un lungo catalogo di fatti che alcuni organi di una importanza incontestabile, sia che si considerino dal punto di vista fisiologico, sia che si riguardino sotto l'aspetto della classificazione, variano qualche volta fra gli individui della medesima specie. I naturalisti più esperti sarebbero meravigliati del numero delle variazioni che affettano le parti più importanti dell'organismo, delle quali potei prendere cognizione dalle più autorevoli sorgenti nel corso di un certo numero danni. Nè deesi dimenticare che i classificatori sistematici sono ben lontani dal dichiararsi soddisfatti quando trovano qualche deviazione in caratteri importanti.

D'altronde sonvene assai pochi che esaminino attentamente gli organi interni (che sono di tanto valore), e che li confrontino in molti campioni d'una medesima specie. Io non mi sarei mai aspettato che le biforcazioni del nervo principale presso il ganglio maggiore centrale di un insetto, fossero variabili in una stessa specie; ma avrei creduto piuttosto che cambiamenti di questa natura dovessero effettuarsi lentamente e gradatamente. Eppure ultimamente il Lubbock ha dimostrato che nel principale filamento nervoso del Coccus esiste una variabilità paragonabile alle irregolari biforcazioni del tronco di un albero. Lo stesso naturalista ha eziandio notato recentemente che nelle larve di alcuni insetti i muscoli sono tutt'altro che uniformi. I dotti s'aggirano in un circolo vizioso quando pretendono che gli organi importanti non variino mai; imperocchè essi cominciano a porre empiricamente fra i caratteri importanti tutti i caratteri invariabili, come alcuni in buona fede confessano. Ora, partendo da questo principio, nessun esempio di variazione importante si affaccerebbe mai. Pure da un altro punto di vista questi esempi sono all'opposto molto frequenti.

Esiste un fenomeno, connesso alle differenze individuali, difficilissimo a spiegarsi. Alludo a quei generi che si dissero proteici o polimorfi, perchè le specie che li costituiscono presentano una straordinaria variabilità. Appena trovansi due naturalisti concordi sulle forme che debbono considerarsi come specie e come semplici varietà. Tali sono i generi Rubus, Rosa e Hieracium fra le piante, parecchi generi d'insetti e di molluschi brachiopodi fra gli animali. Nella pluralità dei generi polimorfi alcune specie hanno carattere fisso e definito. Alcuni generi che sono polimorfi in un paese, a quanto pare lo sono altresì in tutti gli altri, salvo rare eccezioni, e ciò si verificò anche in altre epoche geologiche, come può desumersi dalle conchiglie dei brachiopodi fossili. Questi fatti sono di grave imbarazzo per la scienza, comechè tendano a provare che tale variabilità è indipendente dalle condizioni di vita, Quanto a me propendo a ritenere che nei generi polimorfi noi vediamo delle variazioni di struttura che per essere di niuna utilità, anzi di nocumento alle specie che ne sono affette, non si resero stabili per mezzo dell'elezione naturale, come esporremo.


Gli individui di una medesima specie offrono spesso, come è noto generalmente, delle grandi differenze di struttura, indipendenti da ogni variazione; così differiscono tra loro in parecchi animali i due sessi, oppure negli insetti le due o tre forme di femmine sterili od operaie, od anche in molti animali inferiori gli stadii immaturi e larvari. Si hanno anche esempi di dimorfismo e trimorfismo, tanto nelle piante come negli animali. Così il Wallace, che ha recentemente rivolto l'attenzione a questo soggetto, ha mostrato che le femmine di alcune specie di lepidotteri dell'Arcipelago Malese appariscono regolarmente sotto due ed anche tre forme affatto diverse, le quali non sono collegate insieme da varietà intermedie. Non è molto, Fritz Müller ci ha fatto conoscere degli esempi analoghi, ma ancora più sorprendenti, nei maschi di certi crostacei brasiliani: così il maschio di una Tanais apparisce sotto due forme molto diverse, possedendo l'una delle chele assai più forti e diversamente conformate, l'altra delle antenne assai più abbondantemente fornite di peli olfattivi.

Sebbene ora nel maggior numero dei casi le due o tre forme, tanto negli animali come nelle piante, non siano collegate insieme da anelli intermedi, è nondimeno probabile che fossero connesse in passato. Il Wallace, a mo' d'esempio, descrive un lepidottero, il quale in una medesima isola presenta una lunga serie di varietà collegate insieme da anelli, ed i membri estremi di questa serie somigliano assai alle due forme di una specie affine dimorfa che abita un'altra parte dell'Arcipelago Malese. Dicasi altrettanto delle formiche: le varie forme di operaie sono generalmente affatto diverse; ma in alcuni casi, come più tardi vedremo, le diverse forme sono congiunte insieme da varietà lentamente graduate, e la stessa, com'io potei osservare, avviene in alcune piante dimorfe.
Sembra certamente un fatto molto singolare, che una medesima femmina di lepidottero possa contemporaneamente produrre tre forme femminili ed una maschile; che una pianta ermafrodita da una stessa capsula produca tre distinte forme ermafrodite che contengono tre diverse forme di femmine e tre od anco sei diverse forme di maschi. Nondimeno questi esempi non sono che esagerazioni del fatto comune che la femmina produce dei discendenti di ambedue i sessi, i quali talvolta differiscono tra loro in modo sorprendente.

SPECIE DUBBIE

Di grande importanza, sotto vari aspetti, sono per noi quelle forme che hanno in grado considerevole il carattere di specie, ma presentano profonde rassomiglianze con altre forme, o sono tanto affini ad esse, per gradi intermedi, che i naturalisti esitano a farne altrettante specie distinte.
Noi abbiamo grandi ragioni per credere che molte di queste forme dubbie, o strettamente affini, hanno conservato costantemente i loro caratteri nel paese nativo abbastanza a lungo per essere credute buone e vere specie. Nella pratica, allorchè un naturalista può congiungere due forme qualsiansi per mezzo di altre forme dotate di caratteri intermedi, egli denota come specie la più comune, o quella che fu descritta per la prima, e classifica l'altra come varietà.

Frattanto si offrono casi, che non voglio enumerare in questo luogo, nei quali riesce sommamente difficile decidere se una forma debba mettersi come varietà d'un'altra, anche se le medesime siano strettamente legate da forme intermedie; e tale difficoltà non viene appianata dal riconoscere che le forme intermedie sono ibridi. Anzi avviene spesso che una forma si consideri come varietà d'un'altra, non dalla cognizione dei legami intermedi, ma dall'ipotesi formata per analogia dall'osservatore, che essi esistano in qualche luogo, o che possano essere esistiti in altre epoche, e allora apresi un'ampia porta ai dubbi e alle congetture.

Ne segue che ove abbiasi a determinare se una forma debba prendere il nome di specie oppure di varietà, 1'opinione dei naturalisti dotati di un raziocinio sicuro e di una grande esperienza è l'unica guida. In molti casi poi devesi decidere a pluralità di voti fra gli opposti pareri; perchè poche sono le varietà spiccate e ben conosciute che non siano state collocate fra le specie almeno da alcuni giudici competenti.

Inoltre ognuno deve convenire che queste varietà dubbie non sono rare. Se si confrontino le diverse flore d'Inghilterra, di Francia e degli Stati Uniti, descritte da vari botanici, si riconosce che un numero sorprendente di forme furono classificate dagli uni come vere specie, e dagli altri come semplici varietà. Il signor C. Watson, al quale io vado profondamente grato del concorso prestatomi in mille modi, mi diede una nota di 182 piante inglesi che in generale si riguardano come varietà, che furono innalzate da qualche botanico al rango di specie. E si osservi ch'egli trascurò molte varietà più semplici, che nondimeno sono considerate come specie da certi botanici, ed omise affatto alcuni generi assai polimorfi. Nei generi che comprendono le specie più polimorfe, Babington conta 251 specie e Bentham 112 soltanto; questa è una differenza di 139 forme dubbie.
Fra gli animali che si uniscono per ogni accoppiamento e che vagano assai, le forme dubbie oscillanti fra la specie e la varietà si trovano di rado nel medesimo paese, ma sono frequenti in luoghi separati. Molti uccelli ed insetti del Nord dell'America e dell'Europa, che differiscono assai poco fra loro, furono classificati da qualche naturalista eminente come altrettante specie ben definite e da altri come varietà, oppure come razze geografiche.

Il Wallace ha dimostrato in parecchie memorie pregevolissime che ha pubblicato recentemente sopra i diversi animali e principalmente sopra i Lepidotteri dell'Arcipelago Malese, che si possono suddividere in quattro categorie, e cioè in forme variabili, forme locali, razze geografiche o sottospecie, e varie specie rappresentative. Le prime forme o variabili variano notevolmente entro i limiti di una medesima isola. Le forme locali sono in ciascuna isola abbastanza costanti e distinte; se però si confrontino tra di loro tutte le forme delle diverse isole, le differenze si presentano talmente piccole e graduali, che torna impossibile classificarle o descriverle, benchè le forme estreme siano sufficientemente definite.

Le razze geografiche o sottospecie sono forme locali ben determinate ed isolate; ma siccome non differiscono tra di loro per caratteri molto marcati ed importanti, così non può essere stabilito da una prova, ma soltanto dall'opinione individuale, quali si debbano considerare come specie e quali come varietà. Le specie infine rappresentative occupano nella economia naturale di cadauna isola lo stesso posto come le forme locali e le sottospecie; ma siccome le distingue un maggior grado di diversità di quello che corre tra le forme locali e le sottospecie, così i naturalisti le considerano come buone specie. Nondimeno è impossibile indicare un criterio esatto, col quale si possano riconoscere le forme variabili, le forme locali, le sottospecie e le specie rappresentative.

Sono molti anni che, istituendo un confronto degli uccelli delle isole Galapagos fra loro o con quelli dell'America, rimasi vivamente impressionato dall'incertezza e dall'arbitrio di tutte le distinzioni delle specie e delle varietà. Sulle isolette del piccolo gruppo di Madera trovansi molti insetti descritti come varietà nell'ammirabile opera di Wollaston e che tuttavia sarebbero innalzati a livello della specie da molti entomologi. Anche l'Irlanda possiede alcuni animali che si considerano come varietà, mentre alcuni zoologi li riguardano come specie. Parecchi fra i nostri migliori ornitologi considerano il nostro gallo selvatico inglese solo come una razza ben distinta della specie di Norvegia, quando la maggior parte dei dotti ne formano una specie ben caratterizzata e particolare alla Gran Bretagna. Una distanza notevole fra i luoghi occupati da due forme dubbie predispone molti naturalisti a classificarle come specie distinte. Ma quale distanza può ritenersi sufficiente? Se la distanza fra l'Europa e l'America è grande abbastanza, lo sarà anche quella che passa fra l'Europa e le Azzorre, o Madera, o le Canarie, o parecchie isolette di questo piccolo arcipelago.


Il dott. Walsh, distinto entomologo degli Stati Uniti, ha descritto recentemente delle varietà fitofaghe e delle specie fitofaghe. La maggior parte degli insetti fitofagi vive di una specie o di un gruppo di piante: alcuni vivono indistintamente di molte specie, senza che in conseguenza ne sieno cambiate. Ora Walsh ha osservato altri casi di questo genere, d'insetti, cioè, i quali furono trovati sopra parecchie piante, e che allo stato di larva oppure di immagine, o in ambedue questi stati, presentavano delle differenze, piccole sì, ma costanti nel colore, nella grandezza o nella qualità delle secrezioni. In alcuni casi si trovarono solamente i maschi, in altri i maschi e le femmine diversi tra loro in grado leggero. Se le differenze sono piuttosto pronunciate, ed estese ad ambedue i sessi e a tutte le età, allora gli entomologi considerano queste forme come buone specie.

Nessun osservatore però può rispondere ad altri, come risponde a sè, della bontà di queste specie o varietà cui appartengono quelle forme fitofaghe. Il Walsh considera come varietà quelle forme, delle quali presuppone che, forzate, s'incrocierebbero; e come specie quelle che sembrano aver perduto tale facoltà. Siccome le differenze dipendono da ciò che gl'insetti si sono lungamente nutriti di diverse piante, non possiamo aspettarci di trovare degli anelli fra queste differenti forme. Perciò al naturalista viene meno il miglior criterio nel decidere, se forme così dubbie siano da ritenersi varietà o specie. La stessa cosa avviene necessariamente negli organismi molto affini che abitano continenti od isole diverse. Tutte le volte però che un animale o una pianta è ampiamente diffusa sopra un medesimo continente, od abita molte isole dello stesso arcipelago, e se presenta forme diverse nei diversi distretti; allora possiamo attenderci di rinvenire le forme intermediarie, le quali congiungono insieme le forme estreme; ed allora queste si fanno discendere al rango di varietà.


Alcuni naturalisti sostengono che gli animali non presentano mai delle varietà; per conseguenza considerano le più piccole differenze come aventi un valore specifico; e quando anche una identica forma si trovi in due luoghi lontani, o in due diverse epoche geologiche, essi vanno tant'oltre da supporre che due specie differenti siano nascoste sotto un medesimo abito.

L'espressione di specie diventa perciò una inutile astrazione, per la quale s'intende ed ammette un atto creativo particolare. È cosa certa che molte forme, considerate come varietà da giudici competenti, hanno tali caratteri di specie, che vengono classificate come buone e vere specie da altri giudici di uguale merito. E sarebbe fatica gettata il discutere, se coteste forme siano specie o varietà, infino a tanto che non vi sia una definizione di questi due termini. Molte di queste varietà ben marcate o specie dubbie meritano una particolare considerazione, imperocchè alla loro distribuzione geografica, all'analoga variazione, all'ibridismo, ecc., si attinsero degli argomenti per decidere del rango che loro appartiene. Ma lo spazio non mi permette di trattare qui quest'argomento. Un attento esame insegnerà in molti casi ai naturalisti quale rango sia da darsi a siffatte forme dubbie. Tuttavia dobbiamo confessare che precisamente nei paesi meglio esplorati s'incontra il maggior numero di tali forme. Io sono rimasto sorpreso nel vedere, come di tutti quegli animali e quelle piante, che vivono allo stato naturale e sono utilissime all'uomo, od attirano per altre ragioni la sua particolare attenzione, si conoscono quasi dappertutto delle varietà, le quali, oltre ciò, da alcuni autori sono credute specie distinte. Quanto non fu esattamente studiata la quercia comune! Eppure un autore tedesco stabilisce una dozzina di specie sopra quelle forme che i botanici hanno creduto fino ad oggi quasi generalmente semplici varietà; ed in Inghilterra possono citarsi le più alte autorità ed i migliori pratici sia in appoggio dell'idea che la quercia sessiliflora e la peduncolata sono specie ben distinte, sia per l'altra che sono semplici varietà.

Devo qui alludere ad un recente lavoro di A. De Candolle sulle quercie del globo. Giammai un autore ebbe tra le mani un più ricco materiale per la distinzione delle specie, nè potè studiarlo con maggior cura e sagacia. Egli espone dapprima in dettaglio i vari punti, ne' quali varia la struttura delle diverse specie, e calcola numericamente la frequenza delle variazioni. In particolare egli adduce oltre una dozzina di caratteri, i quali presentano delle variazioni, talvolta sopra uno stesso ramo, a seconda dell'età e dello sviluppo, spesso senza una causa conosciuta. Cotesti caratteri non hanno naturalmente alcun valore specifico; sono però di quelli, i quali, come dice Asa Gray nel suo rapporto sulla predetta memoria, entrano generalmente nella definizione della specie. De Candolle dice inoltre che considera come specie quelle forme, le quali diversificano fra loro per caratteri che non variano mai sul medesimo albero e non sono collegate insieme da forme intermediarie.

Dopo tale esposizione, che è il risultato di lunghi lavori, egli accentua le seguenti parole: «Sono in errore coloro, i quali vanno ripetendo che le nostre specie siano in generale ben limitate, e che le forme dubbie costituiscano una debole minoranza. Tale opinione poteva sostenersi, quando un genere era imperfettamente conosciuto, e le sue specie si fondavano sopra pochi esemplari, ossia erano provvisorie. Appena noi arriviamo a conoscerle meglio, si mostrano le forme intermediarie e nascono i dubbi sui confini delle specie». Egli soggiunge ancora che precisamente le specie meglio conosciute presentano il maggior numero di varietà e di sottovarietà spontanee. La Quercus robur, ad esempio, offre ventotto varietà, le quali tutte, ad eccezione di sei, si aggruppano intorno a tre sottospecie, che sono le Q. pedunculata, sessiliflora e pubescens. Le forme che collegano insieme queste tre sottospecie sono relativamente rare, e se esse si estinguessero, le tre sottospecie, come osserva Asa Gray, starebbero tra loro nello stesso rapporto, come le quattro o cinque specie provvisoriamente ammesse che si aggruppano strettamente intorno alla tipica Quercus robur. Infine De Candolle confessa che delle 300 specie che saranno accolte nel suo Prodromo come appartenenti alla famiglia delle quercie, ben due terzi sono provvisorie, ossia non tanto bene conosciute da soddisfare alla sopra citata definizione delle vere specie. Io poi devo soggiungere che il De Candolle non considera le specie come creazioni immutabili, ma arriva alla conclusione che la teoria della trasformazione delle specie è la più naturale, e quella «che meglio concorda coi fatti della paleontologia, della geografia vegetale, della geografia animale, della struttura anatomica e della classificazione».

Quando un giovine naturalista comincia a studiare un gruppo di organismi a lui completamente ignoti, sulle prime egli trovasi molto imbarazzato per distinguere le differenze ch'egli deve considerare come di valore specifico, da quelle che solo indicano le varietà; perchè egli non sa quale sia l'insieme delle variazioni di cui il gruppo è suscettibile; locchè prova la generalità del principio di variazione. Ma se egli concentri la sua attenzione sopra una sola classe in una regione determinata, egli giunge tosto a sapere come debba riguardare le forme dubbie. Egli sarà inclinato a formare molte specie, trovandosi sotto l'impressione della differenza delle forme che egli ha costantemente sotto gli occhi, come il dilettante di colombi o d'altri volatili di cui ho già parlato; e perchè egli ha ancora poche cognizioni generali delle variazioni analoghe in altri gruppi e in altri luoghi che potrebbero rettificare quelle prime impressioni. Nello estendere maggiormente le sue osservazioni egli troverà nuove difficoltà, abbattendosi in un numero grande di forme affini; ma potrà finalmente dopo altre esperienze determinare con certezza ciò ch'egli deve chiamare varietà o specie; però vi giungerà solo ammettendo una grande variabilità nelle forme specifiche, la quale sarà spesso combattuta da altri naturalisti. Inoltre, quando si faccia a studiare le forme affini derivate da regioni attualmente separate, nel qual caso egli non può aspettarsi di rinvenire i legami intermedi fra le forme dubbie, dovrà attenersi puramente all'analogia, e le difficoltà diverranno molto maggiori.

È indubitato che niuna linea di separazione fu ancora tracciata fra le specie e le sotto-specie, cioè fra quelle forme che nel concetto di alcuni naturalisti si avvicinano molto, ma non giungono al grado di specie; non meno che fra le sotto-specie e le varietà, ben caratterizzate, od anche fra le varietà meno decise e le differenze individuali. Queste differenze si fondono insieme in una serie insensibilmente graduata; ora ogni serie desta nello spirito l'idea di un vero passaggio.

Per questo io penso che le differenze individuali, quantunque siano di poca importanza per il sistematico, sono invece per noi del massimo rilievo, comechè formino il primo distacco verso quelle leggiere varietà che sono appena degne d'essere ricordate nelle opere di storia naturale. Io considero le varietà più distinte e permanenti come il primo gradino che conduce a varietà più permanenti e distinte, dalle quali poi si passa alla sotto-specie e alle specie. La transizione da un grado di differenza ad un altro più elevato può in qualche cosa attribuirsi semplicemente all'azione continua e protratta delle condizioni fisiche in due regioni diverse; ma non ho molta fiducia in questa opinione e amo attribuire le modificazioni successive di una varietà che passa da uno stato pochissimo diverso da quello della specie madre ad una forma che ne diversifica maggiormente, alla elezione naturale che agisce in modo di accumulare in una certa determinata direzione le differenze d'organizzazione, come spiegherò altrove più diffusamente. Ritengo quindi che una varietà bene staccata debba considerarsi come una specie nascente. Potrà giudicarsi del valore di questa opinione dal complesso dei fatti e delle considerazioni che si contengono nella presente opera.

Del resto non fa d'uopo supporre che tutte le varietà, o specie nascenti raggiungano necessariamente il rango di specie. Possono estinguersi nello stato nascente; possono anche durare come varietà per lunghi periodi, come lo hanno provato Wollaston per certe conchiglie terrestri fossili di Madera, e Gaston de Saporta per le piante. Se una varietà prosperi fino al punto di eccedere in numero la specie-madre, questa prenderà allora il rango di varietà e la varietà quello di specie. Una varietà può anzi esterminare e soppiantare la specie-madre; oppure entrambi ponno esistere come specie indipendenti. Ma noi ritorneremo altrove sopra questo argomento.
Dalle osservazioni esposte apparisce che io non considero il termine specie se non come una parola applicata arbitrariamente, per comodo, a un insieme di individui molto somiglianti fra loro e che questo termine non differisce sostanzialmente dall'altro varietà, dato a forme meno distinte e più variabili. Non altrimenti che la parola. varietà, in confronto alle differenze semplicemente individuali, viene applicata arbitrariamente ed anzi per sola convenienza.
LE SPECIE MOLTO ESTESE E MOLTO COMUNI VARIANO ASSAI.

Diretto da considerazioni teoriche pensai che potrebbero ottenersi importanti risultati, rispetto alla natura ed ai rapporti delle specie che variano maggiormente, formando delle tavole di tutte le varietà comprese nelle diverse flore bene studiate. Questo còmpito sembra assai facile sulle prime; ma il signor H. C. Watson, cui sono molto tenuto per gli importanti servigi e l'aiuto prestatomi in questa materia, mi convinse tosto delle molte difficoltà che presenta, come il dottore Hooker mi esternava poi in termini più precisi. Io serberò dunque per il futuro mio lavoro la discussione di queste difficoltà e le tavole dei numeri proporzionali delle specie variabili. Del resto io sono autorizzato dal dott. Hooker ad aggiungere che, dopo l'attenta lettura dei miei manoscritti e dopo l'esame di quelle tavole, egli crede che i principii che andrò svolgendo siano abbastanza ben fondati.

Però l'argomento che io debbo necessariamente trattare con tanta brevità è abbastanza complicato e perplesso, e richiede alcune allusioni alla lotta per l'esistenza, alla divergenza dei caratteri ed alle altre questioni che saranno discusse più innanzi.

Alfonso de Candolle ed altri hanno dimostrato che le piante che hanno una grande estensione geografica presentano in generale delle varietà. Nè sarebbe stato malagevole l'indovinarlo, considerando le differenti condizioni fisiche à cui sono esposte e la lotta alla quale prendono parte con altri gruppi di esseri organici, cosa della massima importanza, come vedremo. Ma le mie tavole provano altresì che in ogni paese limitato le specie più comuni, vale a dire di maggior numero di individui, e le specie più disseminate nella loro regione nativa (circostanza che non devesi confondere con una grande estensione e neppure fino ad un certo punto coll'essere comuni) sono quelle che danno più spesso origine a varietà abbastanza spiccate per essere enumerate nelle opere di botanica.

Dunque le specie più fiorenti o, come potrebbero chiamarsi, le specie dominanti, cioè aventi una grande estensione geografica, sono le più sparse nel paese da esse abitato e posseggono anche un numero maggiore di individui; e producono più spesso delle altre quelle varietà tanto distinte che io considero come altrettante specie nascenti. Ciò poteva prevedersi, dacchè le varietà debbono lottare necessariamente contro gli altri abitanti della medesima regione per acquistare un certo grado di permanenza. Ora le specie dominanti hanno anche una probabilità maggiore di lasciare una discendenza, la quale, benchè leggermente modificata, gode pure dei vantaggi che assicurano alla specie-madre la prevalenza sulle altre specie indigene. Queste osservazioni sul predominio delle specie non si applicano, s'intende, che alle forme organiche, le quali entrano in lotta fra loro, ed in ispecie ai membri dello stesso genere o della stessa classe che hanno analoghe abitudini di vita. Rispetto all'essere comuni, o al numero d'individui d'una specie, il confronto deve istituirsi soltanto fra i membri di uno stesso gruppo. Una pianta può riguardarsi come dominante, se si distingue per la quantità maggiore di individui e sia più diffusa di tutte le altre della medesima regione, le quali non esigono condizioni di vita troppo diverse. Tale pianta non è meno dominante, nel senso da noi attribuito a questa espressione, anche in confronto di qualche conferva acquatica o di qualche fungo parassita infinitamente più sparso e numeroso; ma se una specie di conferva o di fungo parassita supera tutte le affini, nelle predette condizioni essa diverrà la specie dominante della propria classe.

LE SPECIE DEI GRANDI GENERI IN OGNI PAESE VARIANO
PIÙ DELLE SPECIE DEI GENERI PICCOLI

Se si dividono in due serie le piante che popolano una regione e che sono descritte nella sua flora, ponendo in una di esse tutti i generi più ricchi e nell'altra tutti i generi più poveri, si troverà un numero prevalente di specie dominanti comunissime e molto estese dal lato dei generi più ricchi.
Anche questo poteva prevedersi; imperocchè il solo fatto che molte specie del medesimo genere abitano una stessa contrada, dimostra che avvi qualche cosa nelle condizioni organiche od inorganiche di questa contrada ad esse particolarmente favorevole; e quindi era da ritenersi che nei generi più grandi, cioè in quelli che contengono più specie, si sarebbe trovato un numero relativamente più forte di specie dominanti. Tante cause però tendono a nascondere questo risultato, che mi stupisco nel vedere tuttavia nelle mie tavole una maggioranza debole dal lato dei generi più ricchi.

Basterà che accenni a due di queste cause contrarie. Le piante di acqua dolce e quelle d'acqua salata hanno in generale una vasta estensione geografica e sono molto diffuse; ma ciò sembra derivi dalla natura dei paesi da esse abitati e non ha che ben poca o niuna relazione colla ricchezza dei generi a cui queste specie appartengono. Inoltre le piante collocate agli infimi gradi della scala dell'organizzazione sono generalmente assai più disseminate delle più perfette, ed anche in tal caso non esiste alcun rapporto necessario colla ricchezza dei generi. La causa della grande estensione delle piante di organizzazione inferiore sarà trattata nel capo della Distribuzione geografica.

Considerando le specie come varietà ben distinte e definite, io potei prevedere che le specie dei generi più ricchi in ogni paese debbono anche presentare un maggior numero di varietà delle specie appartenenti ai generi più scarsi; perchè là dove si produssero molte specie strettamente affini, cioè del medesimo genere, debbono generalmente trovarsi in via di formazione molte varietà o specie nascenti. Dove crescono molti alberi grandi possiamo attenderci di scoprire molti polloni.
Dove si formarono molte specie di un genere per mezzo della variazione, vuol dire che le circostanze hanno favorito la variabilità; e se ne può dedurre con fondamento che in generale esse continueranno ancora ad essere loro favorevoli. D'altra parte, se noi riguardiamo ogni specie come il prodotto di un atto speciale di creazione, non havvi alcuna ragione apparente, per la quale si abbia un maggior numero di varietà in un gruppo contenente molte specie di quello che in altro gruppo che ne racchiuda poche.


Onde comprovare la verità di questa induzione ho disposto le piante di dodici paesi e gli insetti coleotteri di due distretti in due masse quasi uguali, ponendo le specie dei generi più ricchi separatamente da quelle dei generi poveri; ed ho sempre trovato una proporzione superiore di specie variabili nei generi più abbondanti. Di più, fra le specie dei grandi generi che presentano delle varietà, il numero medio di queste è invariabilmente più forte di quello delle varietà spettanti alle specie dei generi più piccoli. Questi risultati sussistono anche quando si faccia un'altra divisione e si tolgano dalle tavole tutti i generi più scarsi, i quali non contengono più di quattro specie.

Questi fatti hanno un'altra portata nell'ipotesi che le specie non siano che varietà permanenti e bene staccate; perchè dovunque vennero formate molte specie dello stesso genere, oppure, se l'espressione è lecita, dove la fabbricazione delle specie era in corso, noi dobbiamo generalmente aspettarci di rinvenirla ancora in azione, tanto più che abbiamo ogni motivo di credere che il processo di fabbricazione delle nuove specie sia assai lento. Ciò avviene senza dubbio se le varietà sono da considerarsi come specie nascenti; mentre le mie tavole stabiliscono chiaramente che, in massima generale, dovunque formaronsi molte specie d'un genere, le medesime specie presentano un numero di varietà o di specie nascenti superiore alla media. Questo non toglie però che qualche genere abbondante non sia presentemente molto variabile e in grado d'accrescere il numero delle sue specie, oppure che qualche genere piccolo si trovi in uno stadio di variazioni e di aumento. Se fosse altrimenti, ciò sarebbe assai fatale alla mia teoria; tanto più che la geologia c'insegna chiaramente che alcuni generi piccoli sono cresciuti assai nel corso dei tempi e che altri generi grandi sono giunti al massimo loro sviluppo, indi declinarono e scomparvero. A noi interessa stabilire che nei luoghi in cui si formarono molte specie d'un genere, generalmente ne sorgono anche oggi molte altre: e
questo è un fatto.

MOLTE SPECIE DEI GENERI GRANDI RASSOMIGLIANO A VARIETÀ
PER ESSERE DIRETTAMENTE E DIVERSAMENTE AFFINI FRA LORO
E GEOGRAFICAMENTE CIRCOSCRITTE

Abbiamo altre relazioni fra le specie dei grandi generi e le loro varietà. Abbiamo veduto che non possediamo un criterio infallibile per distinguere le specie dalle varietà ben caratterizzate; e che quando i passaggi intermedi fra due forme dubbie non furono trovati, i naturalisti sono obbligati a determinarne il rango dall'insieme delle differenze esistenti fra loro, giudicando per analogia se siano sufficienti o no per contrassegnarne una od entrambe col titolo di specie. L'insieme di queste differenze è quindi uno dei criteri più importanti per decidere se due forme debbano considerarsi come specie o come varietà. Fries ha osservato nelle piante e Westwood negli insetti, che nei grandi generi la somma delle differenze fra le specie è alle volte eccessivamente piccola.

Ho cercato di stabilire numericamente questa proporzione col mezzo delle medie, e per quanto potei rilevare dai miei calcoli imperfetti, essi la confermano pienamente. Consultai anche alcuni osservatori esperti e sagaci, e dopo discussione, i medesimi aderirono a questi risultati, Sotto questo aspetto, dunque, le specie dei generi più abbondanti somigliano alle varietà più di quelle dei generi più poveri. Si può esprimere altrimenti questo concetto col dire che nei generi più ricchi, nei quali un certo numero di varietà o di specie nascenti superiori alla media sia per formarsi, molte specie già formate rassomigliano in qualche modo alle varietà, distinguendosi fra loro per una somma di differenze minore della consueta.

Inoltre le specie dei grandi generi stanno fra loro come le varietà di ciascuna specie. Nessun naturalista crede che tutte le specie d'un genere siano ugualmente distinte le une dalle altre; esse possono generalmente suddividersi in sotto-generi, sezioni o gruppi ancora minori. Come Fries notava, piccoli gruppi di specie sono generalmente raccolti come satelliti intorno a certe altre specie. Le varietà non sono forse gruppi di forme di disuguale affinità reciproca e che circondano certe altre forme che sono le loro specie-madri? Senza dubbio, havvi una distinzione più importante fra le varietà e le specie, ed è che la somma delle differenze fra le varietà, paragonate fra loro e colle specie-madri, è molto minore che fra le specie di un medesimo genere. Ma quando noi ci faremo a discutere il principio che chiamiamo divergenza del carattere, vedremo come ciò possa spiegarsi; e che le più piccole differenze fra le varietà tendono ad aumentare per dar luogo alle differenze più profonde fra le specie.

Ma havvi un altro fatto degno di attenzione. Le varietà hanno generalmente un'estensione molto ristretta: ciò è tanto evidente, che potremmo dispensarci dal constatarlo, perchè, quand'anche una varietà avesse una estensione maggiore di quella della specie-madre, le loro denominazioni sarebbero invertite. Tuttavia abbiamo anche qualche motivo di ritenere che le specie che sono vicinissime a qualche altra, e che per tale riflesso sembrano varietà, hanno spessissimo una estensione limitata. Così. H. C. Watson mi ha indicato nel catalogo delle piante di Londra (4a edizione), redatto con tanta accuratezza, sessantatre piante che vi figurano come specie, le quali egli trova tanto simili ad altre specie prossime, che il loro valore specifico rimane molto dubbio.
Queste specie, credute tali, si estendono in media sopra 6,9 provincie, nelle quali Watson divideva la Gran Bretagna. D'altronde, nel medesimo catalogo, troviamo 53 varietà ben determinate, le quali sono sparse sopra 7,7 di queste provincie; mentre le specie, a cui queste varietà appartengono, si estendono in 14,3 provincie. Per modo che le varietà certe hanno una estensione media approssimativamente uguale a quella delle forme affini registrate da Watson fra le specie dubbie, che sono però quasi generalmente considerate dai botanici inglesi come buone e vere specie.

SOMMARIO
Finalmente le varietà non ponno distinguersi dalle specie, eccettuato primieramente il caso della scoperta di forme intermedie che le rannodino insieme; in secondo luogo tranne una certa somma di differenze, perchè due forme assai poco diverse sono generalmente classificate come varietà, anche quando non si trovarono legami intermedi; ma la somma delle differenze considerata come necessaria per dare a due forme il carattere di specie è completamente indefinita. Nei generi che posseggono un numero di specie superiore alla media, in qualunque paese, le specie contengono pure un numero di varietà più alto della media. Nei grandi generi le specie sono suscettibili d'essere strettamente ma disugualmente affini fra loro, formando piccoli gruppi intorno a certe altre specie.

Le specie strettamente affini ad altre sembrano di estensione più ristretta. Sotto questi rapporti vari, le specie dei grandi generi presentano molta analogia colle varietà. E noi possiamo comprendere facilmente queste analogie, se ogni specie ha esistito dapprima come varietà e si è formata come questa; al contrario queste analogie rimangono inesplicabili quando ogni specie sia stata creata indipendentemente.
Abbiamo anche osservato che le specie più variabili sono in ogni classe le più fiorenti o le dominanti dei generi più ricchi; e le loro varietà, come vedremo, tendono a divenire specie nuove e distinte. I generi più grandi hanno pure una tendenza di accrescersi maggiormente. In tutta la natura le forme viventi, ora dominanti, manifestano una tendenza di dominare maggiormente, lasciando molti discendenti modificati e dominanti. Ma, come spiegheremo altrove, mediante fasi graduate i generi più grandi tendono anche a spezzarsi in generi minori. Per tal modo le forme viventi nel mondo intero dividonsi gradatamente in gruppi subordinati ad altri gruppi.

CAPO 3 >

INIZIO OPERA e INDICE