ALTRE
  TRE
PROFESSIONI

telegrafiste - telefoniste - maestre


TELEGRAFISTE


L'ammissione delle donne nella telegrafia fu molto più facile che negli altri ambiti essenzialmente per due motivi. 
Innanzi tutto erano lavori nuovi per cui non vi erano i tradizionali pregiudizi maschilisti e gli uomini non dovevano difendere posizioni precedentemente conquistate messe a repentaglio dalla volontà ambiziose delle donne.
Inoltre la paga per una telegrafista (3 lire al giorno) era talmente bassa che ogni uomo dotato di istruzione elevata o sufficiente per tale attività preferiva cercarsi un lavoro migliore. Le donne, invece, accettavano, pur di lavorare, tale condizione di sfruttamento.

Come si vede la maggiore liberalità nel settore non fu determinata da un'ottica libertaria ed egalitaria, ma semplicemente dalla necessità di continuare a perpetuare una forte discriminazione salariale tra uomini e donne nel settore.
Per preparare le donne a questi nuovi lavori si crearono apposite scuole di telegrafia femminile la cui frequenza era propedeutica per poter essere assunte nelle strutture pubbliche che svolgevano l'attività di telegrafia.
Potevano essere assunte tutte le donne con un'età compresa fra i 18 e i 50 anni senza precedenti penali e con buon comportamento alle spalle.
Alle minorenni serviva l'autorizzazione del padre (o di chi ne fa le veci), se sposate occorreva il consenso del marito in ottemperanza alla legge vigente.

Potevano svolgere non solo il lavoro d'ufficio, ma anche quello di ausiliarie che richiedeva una maggiore istruzione e limiti d'età più restrittivi.
Esistevano tre diverse categorie di assunzione: 1a, 2a e 3a categoria con diverse mansioni e diverso stipendio.

Potevano anche ricoprire il ruolo di direttrici della sezione telegrafica di un comune, ma ciò occorreva anni di esperienza ed una laurea.
L'istruzione delle giovani telegrafiste fu facilitata anche dallo stato che, in ogni località sede di un comparto telegrafico procedette ad istituire scuole e corsi di formazione professionale per le donne che ne avessero fatto richiesta.
Caso emblematico fu quello di Firenze alla cui locale sede dell'ufficio telegrafico nell'ultimo decennio del XIX secolo erano impiegate una direttrice, una vicedirettrice, 12 ausiliarie e 4 giornaliere che svolgevano lo stesso lavoro degli uomini anche se ciò avveniva in reparti accuratamente separati da quelli in cui operavano i colleghi maschi per evitare ogni forma di contatto tra i due sessi e ogni possibile promiscuità.
Come si vede la classe dirigente maschile fu ben lieta di cedere questi tipi di lavoro alle donne, ma non per un'idea di uguaglianza, ma semplicemente perché erano lavori intellettuali scarsamente retribuiti e che non erano ambiti dai giovani borghesi istruiti dell'epoca.

TELEFONISTE

Anche per quanti riguarda il lavoro di telefoniste si possono fare, seppur con qualche decennio di differenza, le medesime considerazioni che abbiamo fatto per le telegrafiste.
Alle donne fu permessa una rapida carriera in tale attività essenzialmente per la mancanza di personale alternativo. Gli uomini preferivano ambire ad attività più rinomate e meglio pagate.
Anche in questo caso la bassa paga (40 lire mensili contro le 600 di un telefonista uomo !!) fece si che in pochi anni l'attività di telefoniste fosse completamente ad appannaggio (!)  delle donne.

In tutta Europa e anche in Italia in pochi anni gli uomini furono tutti sostituiti dalle donne nello svolgimento di tale attività. Oltre che il tornaconto economico delle aziende che vedevano un risparmio dei costi con tale cambiamento, vi era anche un guadagno di immagine.
Le donne erano generalmente più pazienti dei loro colleghi maschi e la loro voce risultava più dolce e più armonica durante le telefonate.

La rivista "La Donna" nota in più articoli come in tutti gli anni in cui le donne hanno svolto le funzioni di telefoniste non vi siano stati, in tutta Europa, casi di lamentele o di scandali degni di nota. 
Ciò viene detto con un piglio di grande soddisfazione a cui si aggiunge, però, il rammarico che la presenza delle donne nel mondo della telefonia è dovuta essenzialmente e soprattutto ai risparmi economici che esse comportano.
Nel richiedere uguali salari per uomini e donne le redattrici de "La Donna" ribadiscono la loro rabbia verso la componente maschile della società che non perde occasione per continuare a rivendicare la propria superiorità e a mantenere le donne in una condizione di manifesta inferiorità.

Anche nel caso delle telefoniste furono rapidamente attuate delle norme per realizzare corsi e scuole di formazione professionale per le giovani che necessitavano dell'autorizzazione del padre o del marito per poter entrare in servizio.
Gli uomini e delle elites dominanti furono magnanimamente aperti nell'inserire le donne negli uffici telefonici pubblici poiché ciò non faceva perdere loro nessuna posizione di lavoro o di potere o di prestigio precedentemente conquistata, ma anzi li sollevava dallo svolgere un lavoro faticoso, per il quale occorreva una buona preparazione scolastica, ma che dava poche soddisfazioni e un salario molto basso.

Nel 1881 "La Donna" riporta in un suo articolo una parte di un pezzo pubblicato dalla "Venezia" nel quale si afferma di sapere che "uno di questi giorni la direzione del telefono a Venezia sostituirà le donne agli uomini nel servizio di commutazione all'Ufficio Centrale."
Si può desumere che tale servizio fosse già avvenuto in altre città del Regno d'Italia poiché il sopracitato articolo si conclude con le seguenti parole "Il cambiamento diede ottimi risultati da per tutto, sia per il timbro della voce (…), sia per la pazienza usata (…)(3)."

Anche a Bologna sempre nel 1881 "agli uomini si sostituiscono le donne nell'ufficio del Telefono (3) " come segno dell'efficienza di queste ultime, ma anche in virtù della paga minore che esse ricevono rappresentando un risparmio per l'erario pubblico. L'articolo analizzato prima citato usa gli stessi toni di quello Venezia, ma in più lancia la proposta di una lotta affinché "le donne domandino di essere retribuite come gli uomini (3)"

Nel medesimo articolo si sostiene la necessità del fatto che gli uomini abbandonino tutte quelle attività dove le donne possono lavorare dedicandosi, così, solo esclusivamente all'agricoltura, all'industria e al commercio. Questa idea è tipicamente inserita nel quadro non dell'uguaglianza, ma della divisione dei ruoli ("ideologia delle sfere separate").
La vera uguaglianza, infatti, prevede la possibilità che sia gli uomini, sia le donne operino contemporaneamente nelle medesime attività, senza il bisogno di ripartirsele o di creare aree di rispettiva influenza. Ma per il penultimo decennio del XIX secolo le proposte sopra citate erano sicuramente all'avanguardia e fortemente innovative, si potrebbe dire quasi rivoluzionarie.
L'efficienza delle donne negli uffici telefonici viene ribadita in un successivo articolo, sempre pubblicato da "La Donna", sempre del 1883 (3) in cui si afferma che in nessuna delle principali città europee che vedono le donne impiegate nella telefonia (Parigi, Londra, Berlino) sono mai avvenuti problemi e mai le donne hanno prodotto "nessun reclamo tanto bene adempiono e scrupolosamente il loro lavoro ." 

STENOGRAFE

L'attività di stenografa fu un'altra di quelle mansioni intellettuali che gli uomini permisero alle donne di svolgere fin dal principio senza troppe opposizioni.
Le motivazioni sono le medesime delle altre: basse paghe, molto lavoro impegnativo e poche soddisfazioni.
L'attività di stenografa, però, richiedeva di essere a conoscenza di nozioni peculiari acquisibili solo dopo aver frequentato una particolare scuola.

Come si legge su "La Donna" 25 gennaio 1874 (4) nel 1870 a Venezia la signora Linda Maddalozzo riusciva ad entrare a far parte del corso di stenografia in una apposita scuola della città lagunare.
Il consiglio direttivo di tale scuola si era diviso sull'opportunità che una donna frequentasse tale scuola. Il permesso alla Maddalozzo veniva dato su decisione autonoma e sicuramente innovativa del preside della scuola, il signor on. Busoni.

È interessante leggere la testimonianza diretta dell'interessata che, in una lettera a "La Donna" pubblicata sempre nel numero del 25 gennaio 1874 descrive tutta la propria felicità per il lavoro svolto e per il fatto di trovarsi in tale luogo. Ringrazia anche il preside on. sig. Busoni che con un discorso davanti a tutta la scolaresca della scuola "rendeva un atto di vera giustizia al nostro sesso e dava prova di non essere schiavo, come la maggior parte dei veneziani, d'idee e di pregiudizi falsissimi.(4)".
Ma la parte più emozionante della lettera è rappresentata dalle seguenti parole della sig. Linda Maddalozzo: "Sono lieta di annunciarti che nella seconda lezione altra donna veniva iscriversi al corso stenografico (5)."La signora Maddalozzo si rendeva forse conto in questo momento di essere stata una valida apristrada per tante altre donne.

La diffusione della stenografia e dell'impiego delle donne in tale attività fu così forte che poco tempo dopo venivano aperte molte scuole di stenografia femminile, una delle più importanti a Padova di cui parla anche "La Donna" annunciando che gli esami tenutisi in tale scuola videro tutte le undici ragazze candidate promosse. La redazione de "La Donna" si complimenta con la maestra di questo corso, la signorina Elnava Gloria che "deve a buon andare diritto del buon esito ottenuto." 
In poco meno di dieci anni l'attività di stenografa fu sempre più richiesta e molte donne vollero impararla ed esercitarla.

Fu così che, per fare fronte alle sempre maggiori richieste sia di frequentare i corsi, sia di avere delle brave stenografe, furono aperte apposite scuole di stenografia femminile. Le prime e le più famose furono, come visto, a Padova e a Bologna. Da queste scuole uscivano giovani ragazze molto preparate che trovavano presto impieghi di prestigio con buone possibilità di carriera e con un reddito soddisfacente.
A Bologna la scuola fu aperta dal cav. Giuseppe Buzzoni, membro dell'Unione Stenografica Pavese, la cui attività, animata da una grande fiducia nelle donne, viene lodata dalla redazione de "La Donna" che, in un articolo del 1886, da notizia di un incontro dagli esiti positivi avuto tra il cav. Buzzoni e la direttrice della rivista, sig.ra Gualberta Alaide Beccari.

In quattro diversi articoli apparsi su "La Donna" a firma di Bianca Giovannini, rispettivamente il 25 settembre 1885 (4) , il 25 ottobre 1885 (5) , 15 dicembre 1885 (6) , 30 marzo 1886 (7) si afferma l'importanza della diffusione della stenografia come mezzo e come strumento per velocizzare la scrittura e la presa degli appunti.
Non si tratta di articoli direttamente ed esplicitamente riconducibili al tema dell'emancipazione femminile, ma di una più ampia campagna di sensibilizzazione. Abbiamo ritenuto importante citarli perché ciò dimostra come la coscienza diffusa delle donne fosse molto matura e come esse volessero contribuire al miglioramento della società.

Si potrebbe, inoltre, affermare come la lotta a favore della diffusione della stenografia, attività in cui le donne erano già affermate, fosse considerata come un contributo determinante come ad una più ampia diffusione dell'attività professionale autonoma di concetto delle donne. Il sapere è uno strumento di potere e di emancipazione come si evince dalle seguenti parole di Ernesta Napollon-Margarita: "fatevi forti del vostro diritto e considerate un dovere l'istruirvi (…). L'istruzione della donna frutta sempre all'uomo, che nelle sue compagne troverà un aiuto sicuro e fedele (8) ."

Forse in queste parole si potrebbe leggere ancora un certo grado di sottomissione, ma soprattutto è evidenziata la volontà di assumere delle posizioni di responsabilità anche se ancora subordinata alla parte maschile della società. 



MAESTRE E PROFESSORESSE


anno scolastico 1876-1877

 

Il ruolo di educatrice e di insegnati a bassi livelli fu in breve tempo assunto dalle donne nel regno d'Italia a partire dagli ultimi anni del decennio 1870-80.
Inizialmente le condizioni di lavoro erano molto diverse rispetto a quelle dei colleghi maschi: alle donne spettavano soprattutto le sedi disagiate e gli stipendi erano di molto inferiori.
Alle giovani insegnati era preclusa ogni possibilità di carriera che andasse oltre il primo livello dell'istruzione elementare.

L'entrata delle donne nel mondo dell'insegnamento fu facilitato da una legge del Regno che permetteva anche alle giovani fanciulle di studiare almeno i primi anni delle elementari. Con un così grande aumento degli studenti, la cui maggior parte erano di sesso femminile, occorrevano insegnati in maggior numero, possibilmente anche donne.
Fu così che, seppur con molte discriminazioni, furono assunte le prime maestre comunali per le scuole elementari. Si deve tenere presente che le scuole elementari all'epoca dovevano essere organizzate e finanziate dagli stessi comuni che ne stabilivano i regolamenti e le modalità d'azione.
Le sedi in certi comuni rurali erano piuttoso fatiscenti.

Anche le condizioni delle maestre erano decise dagli enti locali così che, a seconda del comune e dall'amministrazione che lo governava, le condizioni di lavoro e i requisiti professionali (e personali) richiesti per le maestre variavano anche di molto.

In alcuni comuni, come ad esempio Udine, venivano assunte solo donne celibi (o vedove senza prole). In caso di matrimonio esse venivano immediatamente licenziate. Queste norme restrittive non esistevano in altre città d'Italia. La richiesta di maestre celibi serviva a mantenere viva l'idea della necessità di "castità fisica" come propedeutica ad un onestà nella formazione dei giovani.

Anche gli stipendi erano molto inferiori rispetto a quelli degli uomini. A discapito delle donne, inoltre, vi era una serie di pregiudizi e di volgari insinuazioni che le dipingevano spesso come donne dai facili costumi.  L'accusa di disonestà e di facile propensione alla corruzione e al furto era molto diffusa e molte donne furono spinte dalla vergogna a tentare anche il suicidio pur di non affrontare più queste infamanti calunnie.

Ma contrariamente ad altri ordini sociali e ad altre professioni le maestre trovarono una forte solidarietà da parte dei colleghi maschi che, in maggioranza socialisti, erano considerati dalle elites dominanti con maggiore disprezzo e diffidenza delle colleghe donne.
Grazie alle campagne di sensibilizzazione della rivista "L'Istitutrice" le donne ottennero, a partire dal 1880, alcuni miglioramenti di stato e di salario.

Pur continuando ad essere considerate valide solo per gli istituti femminili o per le scuole elementari, a partire da tale data furono nominate anche donne direttrici didattiche in modo che, forse per la prima volta nella nostra storia patria, delle donne ricoprivano anche ruoli direzionali.
L'accesso di alcune donne borghesi ai licei e alle scuole superiore cominciò a diffondersi, ma furono sempre poche fino agli anni successivi alla I Guerra Mondiale.

Le donne poeta e produttrici di arte letteraria erano molte, ma snobbate e boicottate dalle istituzioni e dalle accademie ufficiali. È questo il motivo per cui la maggior parte della produzione letteraria e poetica femminile veniva pubblicata (e elogiata) soprattutto e quasi esclusivamente sui giornali femminili dell'epoca.
Molto ardua fu l'entrata delle donne nel mondo accademico universitario. A ciò ci si è arrivati solo nel secondo dopoguerra e dopo anni di lotte e di sforzi notevoli.

Situazioni molto diverse vi erano in altri paesi occidentali: nei paesi scandinavi, in quelli anglosassoni e in Francia l'insegnamento femminile sia elementare, sia ad altri più alti livelli, erano possibili ormai da molti anni. Un caso emblematico è quello degli Usa in cui le donne, come nell'Università di Boston, potevano essere inserite fin dal lontano 1784. Sempre negli Stati Uniti tutto il corpo insegnate delle scuole di base (più lunghe e maggiormente potenziate di quelle italiane) era a maggioranza femminile. 

( di L. Molinari ) & (AA. VV.)

(1) da "La Donna", Anno XII, serie II, del 1880, p. 215
(2) da "La Donna", Anno II, sez. II, n. 13, 1 gennaio 1881, p. 207
(3) da "La Donna", Anno II, sez. II, n. 13, 1 gennaio 1881, p. 208
(4)da "La Donna", Anno XIV, n. 23, 25 settembre 1885, p. 158-359
(5)da "La Donna", Anno XIV, n. 24, 25 ottobre 1885, p. 378-379
(6)da "La Donna", Anno XIV, n. 4, 15 dicembre 1885, p. 52-53
(7)da "La Donna", Anno XV, n. 4, 30 marzo 1886, p. 52-53

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