Capitolo Primo



Cos’è l’Eurocomunismo

I protagonisti dell’Eurocomunismo.
I partiti che hanno dato vita a questa nuova stagione del comunismo sono principalmente il Partito Comunista Italiano (P.C.I.), il Partito Comunista Spagnolo (P.C.E.) e il Partito Comunista Francese (P.C.F.), ma il fenomeno ha interessato anche altri partiti comunisti come quello britannico, quello belga e quello greco dell’interno, tutti partiti di piccole dimensioni, il cui contributo originale all’Eurocomunismo è stato molto circoscritto. Da notare infine che anche il partito giapponese si è trovato nella seconda metà degli anni ’70 su posizioni politiche e dottrinali molto vicine a quelle dei tre partiti europei contribuendo così a rendere ancora meno idonea la definizione stessa di Eurocomunismo come fenomeno riguardante esclusivamente i partiti comunisti europei.

Quando è nato l’Eurocomunismo.

Il termine “Eurocomunismo”, è stato coniato per la prima volta non da un leader comunista ma da un giornalista jugoslavo, Frane Barbieri, su un quotidiano le cui posizioni ideologiche e politiche erano opposte a quelle di un partito comunista, «Il Giornale Nuovo» di Indro Montanelli.
L’articolo è del 26 -6- 1975 ed è intitolato “Le scadenze di Brezhnev” e il nuovo termine viene ad indicare il piano di Carrillo di voler conformarsi sempre meno alla visione strategica di Mosca, aprendo contemporaneamente alla Comunità Europea. Nell’inten-dimento di Barbieri il termine “Eurocomunismo” è stato preferito a “neo-comunismo” perchè ritenuto definito dal punto di vista geografico e indefinito da quello ideologico, mentre il secondo è apparso concetto ideologicamente troppo impegnativo.

Secondo Barbieri il carattere fondamentale di questo nuovo tipo di comunismo è proprio la sua fluidità, mentre la componente ideologica, pur presente, non va esagerata [Bettiza, 1978, 83].
Sulla paternità di questo neologismo è sorta una piccola disputa, essendovi alcuni, anche se non molti, più propensi ad attribuire l’origine del termine ad Arrigo Levi, anch’egli giornalista di matrice liberale, che lo avrebbe preferito a “neo-comunismo”, termine che presupporrebbe un salto di qualità ancora da verificare, a parere di Levi [Levi, 1979]. E’da notare che questo nuovo modo di intendere

il comunismo descrive per il momento l’evoluzione politica solo del P.C.E. e del P.C.I., mentre per il partito francese si dovrà attendere fino al novembre 1975, quando, improvvisamente, il suo leader Georges Marchais orienterà il partito da posizioni ortodosse e filosovietiche come l’episodio della solidarietà espressa al Partito Comunista Portoghese e al suo tentativo, in puro stile vetero leninista, di prendere il potere, verso gli smarcamenti politici e ideologici del P.C.I. e del P.C.E..
 
L’Eurocomunismo nelle definizioni dei leader dei tre partiti.

L’origine non comunista del termine ha creato non pochi imbarazzi ai leader dei tre partiti, con l’eccezione del segretario del P.C.E., Santiago Carrillo, l’autentica avanguardia di questo movimento.
In effetti è trascorso quasi un anno dall’articolo di Barbieri quando Berlinguer, per primo tra i segretari dei partiti eurocomunisti, pronuncia, virgolettandolo, il neologismo, in occasione della manifestazione comune tra il P.C.F. e il P.C.I. a La Villette, nei pressi di Parigi, il 3 giugno 1976. Il segretario del P.C.I. accenna soltanto al grande interesse di molti circoli della stampa internazionale ”borghese” attorno a questo ”Eurocomunismo”, definendolo genericamente come termine che si riferisce a certe posizioni convergenti di alcuni partiti comunisti [Berlinguer E., 1976c].
Qualche ragguaglio maggiore Berlinguer lo fornisce in occasione della Conferenza paneuropea dei partiti comunisti, tenutasi a Berlino Est il 29 - 30 giugno 1976:

“....E’ assai significativo che alcuni altri partiti comunisti e operai dell’Europa Occidentale siano pervenuti, attraverso una loro autonoma ricerca, a elaborazioni analoghe circa la via da seguire per giungere al socialismo e circa i caratteri della società socialista da costruire nei loro Paesi. Queste convergenze e questi tratti comuni si sono espressi recentemente nelle dichiarazioni che abbiamo concordato con i compagni del P.C.E., del P.C.F., del P.C. di Gran Bretagna. E’ a queste elaborazioni e ricerche di tipo nuovo che taluni danno il nome di “Eurocomunismo.””[Berlinguer E., 1976e].

In una precedente occasione, altrettanto importante, il XXV Congresso P.C.U.S. a Mosca, il 27 febbraio 1976, Berlinguer, senza utilizzare la parola, ne definisce comunque quelli che il P.C.I. considera i principi fondamentali, ovvero che i rapporti tra partiti comunisti devono essere improntati allo spirito di amicizia e di solidarietà, con un aperto e franco confronto delle diverse esperienze e posizioni, ovvero riconoscimento e rispetto della piena indipendenza di ogni partito comunista, e che la costruzione di una società socialista deve essere:
“il momento più alto dello sviluppo di tutte le conquiste democratiche e deve garantire il rispetto di tutte le libertà individuali e collettive, delle libertà religiose e della libertà della cultura, delle arti e delle scienze.” [Berlinguer E., 1976a].

Il leader del P.C.E., Carrillo, pronuncia per la prima volta il termine Eurocomunismo, lui pure virgolettandolo, in occasione della Conferenza di Berlino. Anch’egli proclama che il principio dell’internazionalismo va profondamente modificato:
“Per lunghi anni Mosca fu la nostra Roma e la grande rivoluzione socialista di Ottobre il nostro Natale. Era il periodo della nostra infanzia. Oggi siamo diventati adulti....
...la nostra vocazione è di essere una forza che esce dalle catacombe, e che aspira ad arrivare al governo là dove non c’è ancora riuscita...”
“...Ma è indiscutibile che oggi i comunisti non fanno capo ad alcun centro dirigente, non ubbidiscono ad una disciplina internazionale. Noi non accetteremo un ritorno alle strutture e alle concezioni dell’internazionalismo secondo le formule del passato.” [Carrillo, 1976].

Anche per Carrillo l’Eurocomunismo sottintende a una nuova concezione della democrazia:
“Recentemente, in ambienti lontani dai nostri, si è parlato di “Eurocomunismo”. Il termine non è esatto. Non esiste un Eurocomunismo. Ciò nonostante è evidente che i partiti comunisti dei Paesi capitalistici sviluppati, devono affrontare una problematica particolare, devono affrontare esigenze specifiche allo sviluppo della lotta di classe nel nostro ambiente.
Questo ci conduce verso vie e forme di socialismo che non saranno uguali a quelli di altri Paesi...
L’egemonia delle forze del lavoro e della cultura non sarà utilizzata attraverso forme dittatoriali, ma nel rispetto del pluralismo politico e ideologico, senza partito unico, e con un riferimento costante al risultato del suffragio universale.” [Carrillo, 1976].

Carrillo, infine, sarà anche autore di un libro intitolato “Eurocomunismo y estado”, pubblicato nell’aprile del ’77, opera che sarà al centro di forti critiche, specie da parte sovietica.
Infine il P.C.F., che si mostra il più prudente nell’adozione del nuovo termine. Il partito francese infatti è l’ultimo ad entrare nel nuovo movimento, anche se è quello che lo fa nel modo più clamoroso ed enfatico, abbandonando improvvisamente e in modo spettacolare il principio della dittatura del proletariato, e accogliendo quindi una nuova concezione di democrazia, in occasione del suo XXII Congresso nel febbraio 1976.
Alla Conferenza di Berlino il segretario Marchais, senza mai pronunciare il nome Eurocomunismo, ne afferma i principi:
“...noi seguiamo una via originale, indipendente, di lotta per il socialismo. Più in generale, il nostro partito definisce la sua politica, i suoi obiettivi e i suoi metodi d’azione nella più completa indipendenza... Al tempo stesso il nostro partito tenta di avere rapporti di amicizia, fraternità e cooperazione con tutte le forze democratiche e popolari che lottano contro l’imperialismo.” [Marchais, 1976b].

La Dichiarazione delle Libertà, pubblicata il 15 maggio 1975, è il documento che indica che anche una nuova concezione della libertà è stata fatta propria dal P.C.F. [Baudouin, 1978].
Tre sono le ragioni della maggiore reticenza del P.C.F. ad accettare il neologismo.
Innanzitutto ragioni geografiche: il caso del Partito Comunista Giapponese, anch’esso orientato, in quegli stessi anni, verso un’evoluzione democratica e liberale. 
In secondo luogo ragioni politiche: un partito che ha basato la sua strategia politica sulla volontà di costruire una via nazionale originale al socialismo, non può ora contribuire a fondare un nuovo centro sovranazionale del comunismo.
Infine ragioni di convenienza: il timore molto forte che l’Eurocomunismo sia l’inizio di una nuova eresia [Baudouin, 1978, 167]. Paradossalmente il P.C.F., così riluttante a utilizzare il gergo eurocomunista quando il fenomeno è su tutte le prime pagine dei giornali del mondo, si troverà ad essere l'unico partito a proclamarsi tale quando l’Eurocomunismo sarà praticamente morto.

I punti fondamentali dell’Eurocomunismo.

Le novità che l’Eurocomunismo propone nell’ambito del panorama comunista internazionale concernono tre diversi piani di analisi: internazionale, nazionale e interno al partito.
Sul piano internazionale, si propone una nuova concezione dell’internazionalismo, definitivamente depurato dai retaggi cominternisti e stalinisti. Non si riconosce più un centro internazionale del comunismo, nè un partito o uno stato sono più considerati un modello da seguire. I partiti eurocomunisti perseguono un obiettivo di più marcata autonomia da Mosca e dal comunismo di marca sovietica. Non vale più l’identità “antisovietismo = anticomunismo”. Anzi, sempre più spesso i partiti eurocomunisti prendono una posizione critica nei confronti dell’U.R.S.S. per i suoi gravi limiti nella democrazia, per il trattamento dei dissidenti, per le inquietanti mancanze nell’ambito dei diritti umani, o per il suo apparato burocratico sclerotizzato che paralizza ogni autentico processo di trasformazione sociale nel mondo, in particolare nei Paesi capitalisti occidentali [Timmermann, 1981, 112].

Inoltre il P.C.I. in modo particolare concepisce l’Eurocomunismo anche come tentativo di superamento dell’antica divisione delle forze operaie risalente alla creazione della III Internazionale, auspicando un internazionalismo non solo proletario, ma che concerne una pluralità di forze democratiche, anche non comuniste [Segre, 1977, 19]. In questo senso molti politologi e giornalisti hanno visto l’Eurocomunismo come una transizione, uno smarcamento reale dal comunismo sovietico, ma non ancora divenuto socialdemocrazia [Levi, 1979, 65].
Sul piano nazionale i tre partiti eurocomunisti elaborano analisi convergenti sulla crisi che ha colpito le società capitaliste avanzate dell’Europa Occidentale a partire dallo shock petrolifero. La crisi è definita globale, perchè non riguarda solo l’economia ma tutti gli aspetti della società, comprese la politica e la morale. Secondo i tre partiti la crisi è quindi strutturale e per uscirne occorre imboccare la via del socialismo. Ma la costruzione di questo nuovo tipo di società sarà del tutto originale, non si seguiranno modelli di Paesi che hanno già realizzato il socialismo, men che meno il modello sovietico.

Libertà e democrazia non sono più considerate vuote formule borghesi ma valori universali “indissolubili dal socialismo”.
Il dogma della dittatura del proletariato viene abbandonato anche dal P.C.F. durante il suo XXII Congresso, mentre il P.C.I. e il P.C.E. hanno compito questa svolta già da tempo. La democrazia diviene democrazia tout court, priva di connotazioni di classe; l’adesione ad essa non è più concessione tattica, come in Lenin, ma un valore fondamentale. Accettando il principio che ogni minoranza può divenire maggioranza e viceversa, secondo il voto sovrano dei cittadini, si ha la sostanziale rinuncia alla rivoluzione come mezzo per acquisire il potere [Flores d’Arcais, 1979].
Sul piano interno al partito, infine, pur restando strutturati secondo il principio del centralismo democratico di tradizione leninista i tre partiti eurocomunisti, sollecitati sia dai propri militanti che dall’ambiente esterno si aprono a riforme in senso più democratico, anche se in maniera molto differente tra loro. In particolare i cambiamenti del P.C.F. saranno molto timidi.
E’ questo il prezzo da pagare per fornire una prova convincente della veridicità della loro evoluzione democratica.

Ciò che ha reso possibile l’emergere dell’Eurocomunismo è stata tutta una serie di fattori che hanno agito in modo spesso concomitante e che verranno in seguito singolarmente analizzati.
Essi sono: -la cultura europea e il suo sviluppo economico.
-la distensione nei rapporti U.S.A. - U.R.S.S..
-lo sviluppo negli ultimi anni della C.E.E..
-la crisi generale del leninismo e l’appannamento dell’immagine dell’U.R.S.S. e del suo modello di socialismo.
-le difficoltà e la crisi, in politica estera dell’altra superpotenza, ancora molto scossa dalla sconfitta nel Vietnam.
-infine la già citata crisi economica che attanaglia l’Europa Occidentale dal 1973.

Gli incontri bilaterali e il vertice di Madrid: le dichiarazioni congiunte

Se il termine Eurocomunismo nasce con l’articolo di Barbieri del giugno ’75, la sua vera stagione inizia quando ne vengono fissati i principi comuni nei vertici bilaterali tra i partiti. Il primo di questi incontri è del luglio ’75, a Livorno, tra il P.C.I. e il P.C.E., all’epoca ancora fuorilegge. Nella dichiarazione congiunta si afferma che: 
“...i comunisti italiani e spagnoli dichiarano solennemente che, nella loro concezione di un’avanzata democratica al socialismo, nella pace e nella libertà, si esprime non un atteggiamento tattico, ma un convincimento strategico, il quale nasce dalla riflessione sull’insieme delle esperienze del movimento operaio e sulle condizioni storiche specifiche dei rispettivi Paesi, nella situazione europeo-occidentale...”
“...La prospettiva di una società socialista nasce oggi dalla realtà delle cose e ha come premessa la convinzione che il socialismo si può affermare, nei nostri Paesi, solo attraverso lo sviluppo e l’attuazione piena della democrazia. Ciò ha come base l’affemazione del valore delle libertà personali e collettive e della loro garanzia, dei principi della laicità dello stato, della sua articolazione democratica, della pluralità dei partiti in una libera dialettica, dell’autonomia del sindacato, delle libertà religiose, della libertà di espressione, della cultura, dell’arte e delle scienze.” [Valli, 1977, 217].

Il secondo vertice è quello tra il P.C.I e il P.C.F., del novembre 1975. E’indicativo che entrambe le dichiarazioni siano state fatte in Italia, come a suggellare il ruolo primario del P.C.I. in questa intesa tra i principali partiti comunisti occidentali. Nella dichiarazione comune si afferma:
“...I due partiti conducono la propria azione in condizioni concrete differenti, e per questo fatto ciascuno di essi realizza una politica che risponde ai bisogni e alle caratteristiche del proprio Paese. Al tempo stesso, lottando in paesi capitalistici sviluppati, essi constatano che i problemi essenziali che stanno loro di fronte presentano caratteristiche comuni e richiedono soluzioni analoghe...”
“...il socialismo constituirà una fase superiore della democrazia e della libertà; la democrazia realizzata nel modo più completo. In questo spirito, tutte le libertà, frutto sia delle grandi rivoluzioni democratico-borghesi, sia delle grandi lotte popolari di questo secolo, che hanno avuto alla loro testa la classe operaia, dovranno essere garantite e sviluppate...”
“...I comunisti francesi ed italiani si pronunciano per la pluralità dei partiti politici, per il diritto all’esistenza e all’attività dei partiti di opposizione, per la libera formazione e la possibilità dell’alternarsi democratico delle maggioranze e delle minoranze, per la laicità e il funzionamento democratico dello stato, per la libera attività e l’autonomia dei sindacati. Essi attribuiscono un’importanza essenziale allo sviluppo della democrazia nelle aziende, in modo che i lavoratori possano partecipare alla loro gestione con diritti effettivi e disporre di ampi poteri di decisione...”
“...Una trasformazione socialista presuppone il controllo pubblico sui principali mezzi di produzione e di scambio, la loro progressiva socializzazione, l’attuarsi di una programmazione economica democratica a livello nazionale...” [Valli, 1977, 218 - 219].

La differenza principale tra le due dichiarazioni è senza dubbio il doppio accenno all’essenzialità dello sviluppo della democrazia nelle aziende e alla socializzazione progressiva dei mezzi di produzione, temi entrambi molto cari al partito francese.
suggello definitivo alle convergenze tra i tre partiti è stato il vertice di Madrid del 2 - 3 marzo ‘77, considerato il primo, ma anche l’unico, vertice dell’Eurocomunismo. In realtà questo summit più che l’apogeo dell’Eurocomunismo ne rappresenta l’inizio della parabola discendente. I segretari dei tre partiti (in particolare Marchais e Berlinguer) sono infatti più preoccupati di affermare che il vero scopo del vertice è portare solidarietà al P.C.E., ancora formalmente non legalizzato, piuttosto che dare consistenza a questa ipotesi di nuovo centro del mondo comunista. Anzi, un’eccessiva prudenza, soprattutto nei giudizi sul comunismo sovietico, segna indubbi e sensibili arretramenti rispetto alle precedenti acquisizioni di autonomia:
“...I tre Paesi conoscono attualmente una crisi che è insieme economica, politica, sociale e morale...”
“...La crisi del sistema capitalistico richiede con ancor maggiore forza che si sviluppi la democrazia e si avanzi verso il socialismo.
I comunisti spagnoli, francesi e italiani intendono operare per la costruzione di una nuova società nel pluralismo delle forze politiche e sociali e nel rispetto, la garanzia e lo sviluppo di tutte le libertà individuali e collettive...”
“...Questa volontà di costruire il socialismo nella democrazia e nella libertà ispira le concezioni elaborate in piena autonomia da ognuno dei tre partiti. I tre partiti intendono sviluppare anche in avvenire la solidarietà internazionalistica e l’amicizia sulla base della indipendenza di ogni partito, dell’uguaglianza dei diritti, della non ingerenza, del rispetto della libera scelta di vie e soluzioni originali per la costruzione di società socialiste corrispondenti alle condizioni di ogni Paese...” [Segre, 1978, 213 - 214].

TORNA ALL'INDICE


   HOME PAGE STORIOLOGIA