Analisi e contributi critici allo studio della storia italiana     L’ITALIA DEL 1922-1936     
 e la crisi mondiale in Italia
    Le origini, i debiti, le spese, la realtà della vita economica


 * DALLA GUERRA MILITARE ALLA GUERRA DOGANALE
* LA REALTA' DI UNA CRISI 

Il debito pubblico e le spese militari sono stati chiamati i due paurosi pozzi si San patrizio; essi appaiono a noi come due grossi anelli che legano assieme i fattori economici e i fattori politici; e questa interferenza non è mai stata così intima come in questi anni del dopoguerra, ha reso più aspri gli antagonismi politici, e si può considerare anch'essa come una generatrice della crisi:
Il trattato di Versaglia, stipulato il 28 giugno 1919 tra la Germania a le potenze alleate, fece perdere alla Germania l'Alsazia-Lorena, lo Sleving settentrionale, la Ponsania e la Prussia occidentale, parte della Slesia, il territorio di Hultchin, i circoli di Eupen e Malmedy, la città libera di Danzica, in tutto 70 mila chilometri quadrati di superficie con oltre 6 milioni di abitanti; spezzò tutto l'impero austro-ungarico; creò dieci nuovi Stati. E questa nascita di nuovi Paesi generò nuovi protezionismi, provocò uno spostamento delle relazioni commerciali, favorì l'indebitamento europeo e spinse l'industria a uno sviluppo artificiale: Nuove barriere doganali hanno posto ostacoli nuovi a tutto il movimento commerciale; alla vecchia economia internazionale si è venuta sostituendo un'economia nazionale chiusa, e al principio economico della libera concorrenza, che si era andato regolando con trattati di commercio da Stato a Stato si è venuto sovrapponendo il principio del protezionismo.

Questa interferenza dei fenomeni politici su quelli economici si è andata intensificando in questi ultimi anni negli Stati Uniti d'America e doveva avere le sue ripercussioni in Europa. Una legge del 1925 limitò le immigrazioni e nel 1930 si frenò l'importazione delle merci. Il nuovo Presidente Roosevelt, assunto al potere il 4 marzo 1933, ebbe a rilevare che le alte tariffe doganali sono state una delle cause effettive della crisi e si propose di porvi rimedio; in sulla fine del 1933 iniziò il National Recovery Act,  l'atto che doveva risolvere la crisi: ha mutato, infatti, lo spirito dominante dell'industria negli affari, ha sostituito l'interesse della gran massa del popolo alle ingorde speculazioni dei banchieri; ma il new deal,  il nuovo patto, è ancora lungi dalla risoluzione della crisi.

In Itala si è sentito il bisogno di creare strumenti adeguati per appoggiare una politica economica espansionistica. Il 15 dicembre 1924 si costituì l'Istituto nazionale di credito per il lavoro italiano all'estero, con la finalità di finanziare imprese condotte da emigrati italiani, sottraendoli allo sfruttamento straniero e aggiungendo alla loro nuda forza di lavoro anche quella del capitale: una legge del 7 aprile 1925 creò l'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità, per la concessione di prestiti a imprese private aventi lo scopo di costruire impianti, ultimare lavori, sfruttare concessioni di riconosciuta pubblica utilità; un decreto-legge del 13 febbraio 1927 riordinò l'Istituto nazionale per i cambi, che agisce sotto la vigilanza del Ministero delle finanze e ha per scopo di acquistare e vendere a pronti e a termine divise estere, agevolando il commercio dell'Italia con l'estero.
Questi provvedimenti, adottati nel periodo di incremento della nostra attività economica, sono stati integrati, durante il periodo della depressione. con la creazione di due nuovi istituti: L'Istituto mobiliare italiano (IMI) e l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), dei quali parleremo fra breve.

L'intervento dello Stato per attenuare la crisi avrebbe dovuto essere regolato con criteri internazionali di reciproco scambio; invece alla guerra militare, che aveva provocato il disordine mondiale, si è venuta sostituendo la guerra doganale, che ha aggravato la crisi. In tutti gli Stati del mondo si sono introdotti nel biennio 1931-32, aumenti generali della tariffa dei dazi d'importazione o si sono adottate misure restrittive delle importazioni. I 22 Paesi che hanno aumentato le loro tariffe generali concorrono per una percentuale del 40-42  al commercio globale del mondo; o 55 paesi che hanno comunque aumentato i dazi vi concorrono per una percentuale dell' 89-90.

* LA REALTA' DI UNA CRISI 

Se, come è stato rilevato dai cultori severi della Statistica, al giganteggiare della grande ricchezza ha fatto riscontro il dilagare dell'eterna miseria, e se la crisi del 1929 ha costituito lo sbocco fatale di un periodo di follia collettiva, nel corso del quale si assiste al contrasto di un aumento di produzione e di un'azione persistente di diminuzione di consumo, noi riteniamo superfluo insistere nella ricerca delle cause quando ci assilla una cruda domanda: quali possono essere i rimedi a questa crisi tormentosa?
Possiamo rispondere subito che se essa è mondiale non si può risolvere con la cooperazione di tutti gli Stati. Ecco perché la Conferenza di Losanna, dopo aver firmato l'accordo per le riparazioni di guerra, subordinandolo al regolamento generale di debiti di guerra dell'Europa verso l'America, iniziò l'altro studio per far rinascere la fiducia indispensabile allo sviluppo delle relazioni economiche e finanziarie normali fra i popoli.
Ma dobbiamo, purtroppo, constatare che l'umanità non sa usare della propria capacità produttiva, si lamenta dell'abbondanza, non sa distribuire i mezzi di sussistenza di cui dispone. Se la capacità di produzione del mondo potesse essere realizzata e, insieme con essa, la riparazione dei prodotti tra gli uomini, nessuna tavola rimarrebbe senza pane, nessun uomo senza indumenti, nessuna famiglia senza tetto. E invece ci sono milioni e milioni di uomini che, non trovando lavoro, sono stati ridotti alla disperazione della fame. Perché? L'industriale frena la produzione perché il prezzo di vendita dei suoi prodotti risulterebbe inferiore al costo da lui sopportato, e la legge del tornaconto, che è l'applicazione economica della grande legge universale del minimo mezzo, verrebbe violata; l'imprenditore ha i magazzini pieni e non può mettere le merci sul mercato perché il consumatore, che pur ne sentirebbe vivo il bisogno, non ha moneta sufficiente per l'acquisto: la legge della domanda e dell'offerta risponde a un principio di correlazione, giacché non si può domandare economicamente una cosa senza offrirne un'altra;l'agricoltore chiude da quattro anni la sua azienda con una passività progressiva, e l'eccessivo costo delle spese culturali assorbe tutta la possibilità produttiva della terra e fa consumare i vecchi risparmi o costringe a nuovi debiti; e la svalutazione della terra porta all'abbandono della proprietà.
Agricoltori, industriali e commercianti limitano l'impiego della manodopera, perché la loro resistenza si va ultimando, e in tutti gli Stati i disoccupati hanno toccato cifre insolite, si contano a decine di milioni e chiedono aiuto e hanno minacciato moti rivoluzionari.

Ecco la realtà della crisi economica: crisi dell'abbondanza perché difettano i compratori; crisi della povertà perché i consumatori, nella stragrande maggioranza, non hanno la possibilità d' acquisto. Ed è questo disequilibrio stridente che bisogna risolvere con un orientamento fattivo della politica economica e finanziaria.
In tutti gli Stati le entrate pubbliche sono aumentate notevolmente, sono divenute quasi favolose rispetto all'anteguerra; e sono entrate derivate, che si prelevano dalle ricchezze dei privati con grave loro sacrificio. Queste entrate pubbliche dovrebbero trasformarsi in funzioni e servigi atti alla soddisfazione dei bisogni collettivi: ci dovrebbe essere un compenso adeguato tra il sacrificio sopportato nel pagamento dei tributi e il beneficio risentito nella soddisfazione dei bisogni. Ma fino a che le spese militari assorbiranno buona parte di queste entrate tale compenso non potrà verificarsi.

La Conferenza di Ginevra, riprendendo i lavori nel 1932 dopo l'accordo di Losanna, arrivò a questa conclusione: è giunta l'ora di adottare delle misure sostanziali più ampie per quanto concerne il disarmo, onde consolidare la pace nel mondo.Ma altri avvenimenti hanno costretto gli Stati ad aumentare le forze armate, hanno fatto uscire la Germania dalla Società delle Nazioni, hanno raffreddato i rapporti di amicizia fra l'Italia e l'Inghilterra, hanno oscurato l'orizzonte della pace mondiale, affievolendo il programma della ripresa economica.

Insieme alle spese militari gli interessi del debito pubblico gravano enormemente nei bilanci di tutti gli Stati. Gli Stati Uniti hanno complessivamente, all'interno e all'estero, un debito di 27 miliardi di dollari; e venendo agli Stati d'Europa, l'Italia figura per 105 miliardi di lire, senza tener conto dei debiti di guerra, la Francia per 460 miliardi di franchi, l'Inghilterra per 7 miliardi 860 milioni di sterline, senza tener conto anche per questi due Stati dei debiti di guerra: la Germania segnerebbe 11 miliardi 706 milioni di marchi, ma il dato è incompleto, perché non vi figurano né i debiti di guerra né i prestiti fatti all'estero nel 1924.
Riducendo a lire italiane i debiti dei cinque Stati si arriverebbe coi corsi medi attuali, ad una somma di un trilione 233 miliardi; e non ci occupiamo di tutti gli altri Stati del mondo, grandi e piccoli, che sono tutti, in varia misura, colpiti da debiti pubblici.

Il 30 giugno 1932 il Governo inglese decise la conversione del prestito di guerra 5 per cento in un nuovo prestito del 3,5 per cento, risparmiando 23 milioni di sterline all'anno, cioè 575 milioni di franchi-oro; nel settembre 1932 la Francia ne seguì l'esempio, e nel febbraio 1934 anche l'Italia convertì il suo consolidato dal 5 al 3,50 per cento.
Con la riduzione delle spese militari e con l'attenuazione dei debiti pubblici arriveremmo più facilmente a quella pace mondiale che è nell'augurio di tutti e potremmo riprendere i rapporti di scambio economico.

NEL PROSSIMO CAPITOLO  RISPARMIO, INVESTIMENTI, SPESE , ECONOMIE
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