RIVOLUZIONE FRANCESE

MARIA ANTONIETTA
E LA RIVOLUZIONE FRANCESE


M.ANTONIETTA - (Vienna 22-11-1755 - Parigi 16-10-1793) ( figlia di Maria Teresa d'Austria)
Consorte di Luigi XVI (23-8-1754 -  21-1-1793)

di Patrizia Figini


Le cause scatenanti della rivoluzione francese sono note: 
il malcontento popolare, la carestia, le tasse troppo esose.
 
Il 1° aprile 1790 fu poi reso di pubblico dominio il "Libro Rosso" con la lista  dei trattamenti di favore elargiti dal re.
Alcune cifre rilevate nel "Libro Rosso": - a favore dei fratelli del re: 28 milioni - doni e gratificazioni a terzi: 6 milioni
- pensioni e trattamenti di favore: 2 milioni - elemosine: 254.000 lire - indennita', prestiti, anticipi: 15 milioni
- acquisizioni, contributi: 21 milioni - interessi finanziari: 6 milioni - contatti con l'estero (altre corti?) e posta: 136 milioni(!)
- spese varie: 2 milioni - spese personali del re e della regina: 11,5 milioni
Il totale è di circa 230 milioni. Il salario ANNUALE di un operaio parigino era di circa 450 lire.
(re e regina hanno quindi speso in un anno pari a 500.000 anni di stipendio di un operaio)


Come tutti i grandi avvenimenti storici, la Rivoluzione Francese è il risultato, quasi incredibile, di un confluire di coincidenze e disgrazie.

La causa che a detta di tutti fu la scintilla che accese la miccia della rivoluzione: il malgoverno. 

Maria Antonietta? E' quell' "austriaca intrigante" che scialacqua soldi che s'immischia in politica pur non sapendone niente, che elargisce favori a destra e a manca al favorito o alla favorita di turno.
 
Il re Luigi XVI? Perche è un re? Quale rantolo di disperazione si alzerebbe dalla tomba del magnifico Re Sole se vedesse che il frutto della propria progenie, colui che dovrebbe detenere il potere nel magnifico regno di Francia, si frammischia agli operai, ai fabbri ai carpentieri. Tra l'altro gira voce che sia anche ..impotente...(* vedi più avanti).

Questi due personaggi, sono loro la causa del rovesciamento dei poteri e del massacro quasi incondizionato che seguì? 

Chi ama veramente la Storia non può fermarsi ad illazioni ormai accettate, ad esempio l'aneddoto di Maria Antonietta e la brioche, ma deve cercare di comprendere che i re, le regine, gli imperatori sono persone come le altre, nel senso umano, e come tali va loro concessa una possibilità di giustificarsi.

Conosciamo dunque Maria Antonietta. Principessa in un regno di fiaba, dove ai bambini è concessa una libertà quasi inconcepibile. Alla corte austriaca sua madre Maria Teresa ha disposto che i propri rampolli, al di fuori delle cerimonie ufficiali, crescano nella quasi totale assenza di formalismi. Tenuti lontani da tutto ciò che secondo la madre può essere fonte di turbamento, in primis il sesso (Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta, convolata a nozze, affronterà la prima notte, ignara di tutto, praticamente fu come uno stupro), la progenie cresce senza pensieri, e quindi senza conoscere il valore della responsabilità.

Ma i figli e soprattutto le figlie, per Maria Teresa, madre amorevole, per carità, sono un importantissima merce politica. Per rinsaldare o creare alleanze, niente di meglio di un matrimonio. E così, per il bene dell'Europa, la quindicenne Maria Antonietta, che fino al giorno prima sguazzava nel fontanone di palazzo, diventa la prescelta per diventare la moglie, nientemeno, del Delfino di Francia, e quindi importantissima. 

Si commissionano ritratti, si prepara un corredo da capogiro, e la principessina vede profilarsi all'orizzonte solo rose, non sapendo che dalla ferita causata dal contatto delle loro spine, potrebbe sgorgare sangue, il suo. Felice e spensierata, dopo che i ministri di Francia e Austria, hanno finalmente appianato" importantissimi" problemi d'etichetta, si avvia verso il principe azzurro che l'attende...forse. 
Dopo settimane di viaggio estenuante giunge a destinazione. La fanciulla viene letteralmente consegnata in mano ai francesi, non un austriaco la seguirà. Forse ora per la prima volta Maria Antonietta comprende cosa significhi essere in mezzo ad una folla e sentirsi sola...questa sensazione le diverrà purtroppo ben presto familiare.

In compagnia di mezza corte e della donna che assillerà i suoi giorni e le sue notti per molti anni, Madame de Noailles, ribattezzata per l'occasione Madame Etiquette, Antoinette vola ad incontrare il promesso sposo, che lei immagina, beh magari non un Adone, ma per lo meno un essere umano appartenente al sesso maschile. Si ritrova faccia a faccia un ometto squadrato, col capo chino, goffo ed impacciato, un pezzo di legno, un bamboccione di pezza, che ha bisogno dell'incitamento dello sgomento Luigi XV, notoriamente buongustaio in fatto di donne, per accennare un lieve e strozzato saluto all' incredula ragazza. 


M. Antonietta a 15 anni, al suo arrivo a Parigi
(Museo di Versailles)



Maria Antonietta apprende cosa vuol dire sentirsi nubile pur avendo un marito e purtroppo non solo metaforicamente. 
(*) Luigi infatti, tra gli altri milioni di difetti è affetto anche da una malformazione alle parti intime (fimosi). La caparbietà non è certo una sua caratteristica, e pur di non sottoporsi ad una semplice operazione, non consumerà il matrimonio per ben sette anni. (l'esuberante, volubile, sbarazzina  Maria Antonietta che aveva 15 anni, fino a 22 anni, poteva rimanere santa ?)

Bisogna però tenere conto di come si svolgevano questioni mediche in quel periodo, quando, per farsi estrarre un dente, si chiamava  una specie di "fabbro" fornito di pinze. 
Maria Antonietta, volubile ed emotiva di natura, passionale di carattere, non fa in tempo a mettere piede a corte che già si trova coinvolta in dispute ed intrighi. Le figlie del re le additano la contessa Du Barry, favorita del sovrano (favorita- un modo elegante per chiamare la "cocotte" del momento) come uno scandalo ed un bubbone da estirpare. La Du Barry non agevola certo le cose, assumendo arie da regina e padrona di casa. 

Inizia così una serie di ripicche, dispetti degni di un qualsiasi asilo infantile: se una ha un ventaglio ornato, l'altra lo vuole non solo tale, ma traboccante di zaffiri e perle... Ma questi giochi che avrebbero solo fatto ridere, se si fossero svolti tra due persone normali, in mano ad una Delfina ed a una favorita diventava una pericolosa danza di poteri, tanto che l'alleanza tra Austria e Francia rischia di incrinarsi. Alla fine la spunta la favorita (si sa, alla fine è sempre così) che ottiene che la principessina le rivolga la parola, essendo lei di grado inferiore ne era impossibilitata.
Antonietta ne era ben consapevole e nell'ennesimo dispetto era diventata priva della favella. Pur di piegarla, la Du Barry aveva smosso mari e monti, non perchè le interessasse ascoltare starnazzare la Delfina, anzi, ma per ribadire il suo potere.

Cocente di rabbia Antonietta farà malauguratamente tesoro di questa esperienza e si rifiuterà sempre di piegarsi a tutto ed a tutti. Avrà presto modo di rifarsi, Il re, anziano, muore di vaiolo. E' il 1774. Maria Antonietta a 19 anni sale sul trono con Luigi XVI che ne ha 20.

Antonietta è regina. Si, una regina adolescente ed anche un pò isterica, lui un re pigro e bonaccione, più  adolescente di lei, ma il popolo vedendoli, capisce che nel petto di entrambi batte un cuore speranzoso e delicato, ma pronto ad infrangersi alla prima crepatura. I nuovi sovrani sono beneamati, la gente li ama...si sa, la delusione è più forte dell'odio e i francesi lo capiranno presto.

La regina, ormai libera dalle vessazioni di Madame Etiquette, si dà alla pazza gioia, compra abiti su abiti, dà e partecipa a centinaia di ricevimenti, convinta che lo scettro non abbia un peso, ma sia solo dorato, ma lo è così tanto che finirà per accecarla. Del re non ci si preoccupa, intento a fare lucchetti nella bottega del fabbro, doveri coniugali da adempiere non ce ne sono, basta una firma per pagare tutti i creditori, ottenere gioielli, preziosi e tutto ciò che un'adolescente possa desiderare. 

Nel frattempo le chiacchiere di una relazione tra lei ed il bel conte svedese Von Fersen, che aveva conosciuto all'ennesimo ballo, iniziano a circolare. I due, probabilmente veramente innamorati, sono costretti a separarsi per salvaguardare le apparenze. Nuovo e bruciante dolore per la regina, che inizia ad essere stanca delle formalità e tende sempre più ad isolarsi con pochi eletti.



Si allontana perfino dalla reggia, si fa costruire e trasforma le Petit Trianon (adibito prima a giardino botanico) in un piccolo villaggetto con una casa rurale stile cascinale tirolese, con animali da cortile, una stalla di fortunate mucche, contadini, laghetto e fiori, ovviamente scevro dei lati negativi dei villaggetti veri, niente polvere, niente odori di stalla, niente muffa e ovviamente cibo prelibato a volontà.
Si diletta a fare la contadina di lusso; ma anche per essere lontana dagli sguardi indiscreti.

Ci si diverte a fare il burro, ma con addosso grembiuli di seta. Si "gioca" a far le "pastorelle" del villaggio e si mungono le mucche infiocchettate da nastri di seta, raccogliendo il latte in preziosi vasi di porcellana fabbricati espressamente a Sevres. 
Capricci insomma di una bimba austriaca, non certo di una parigina.

Questo allontanarsi dalla corte fa infuriare i nobili di alto lignaggio, che si videro esclusi dalla cricca della regina a favore di pochi arrampicatori che non esitarono a sfruttarla. Padrona assoluta di Antonietta è la contessa di Polignac, una donna come ce ne sono tante, fingendosi amica del cuore della regina è amica invece dei suoi soldi che non si fa problema di spillarle ora con la roulette (gioco bandito) ora con nomine di propri parenti, ora con appannaggi da capogiro per la sua famiglia, per sè? oh no, per se non oserebbe chiedere niente. 

Le spese di corte erano note e il comportamento di Antonietta le inimicò anche la nobiltà. Così, invece di coprirsi le spalle con la protezione dei nobili contro la bufera della rivoluzione, finirà per assiderarsi, circondata dallo sguardo glaciale di tutti, che la guarderanno cadere e morire senza batter ciglio.

Intanto per grazia divina e grazie alla sospirata operazione, Luigi ha reso madre Maria Antonietta, ma il primo Delfino, ammalato arriverà appena agli otto anni di vita, gli sarà così risparmiato il calvario riservato alla sua famiglia. Si profila all'orizzonte uno dei personaggi più grotteschi e più incredibilmente imbecille della Storia: il cardinale di Rohan.

Già osteggiato alla corte viennese per la condotta scandalosa, era stato preso e rispedito in Francia con tanti ringraziamenti. Preso all'amo da gran credulone quale era, da una discendente dei Valois, Jeanne, e da suo marito, era stato convinto da questi che grazie ai loro buoni uffici avrebbe potuto incontrare la regina, cosa a cui teneva moltissimo...chissà perchè. I due indebitati fino al collo, avevano dato a bere qualsiasi cosa al cardinale, avevano iniziato con lettere ovviamente false, poi avevano scovato una prostituta tutta somigliante ad Antonietta, l'avevano imbellettata e presentata al cardinale di notte in un bosco di Versailles. Quest'ultimo, pazzo di gioia aveva coperto d'oro i due furfanti e si era detto disposto a fare da garante per una collana carissima che Jeanne sosteneva essere bramata dalla regina.
Ovviamente era tutto falso e la truffa venne presto scoperta. Incurante delle suppliche del cardinale, effettivamente vittima, la regina fece arrestare tutti i coinvolti, ma non sa che da "il caso della collana" l'unica che uscirà condannata sarà lei. 

La bufera della rivoluzione avanza e la reggia viene travolta. Le troppe tasse per soddisfare i capricci di una donna bambina, l'inettitudine del re, la carestia e soprattutto la fame, spezzano le catene che legano i polsi e le caviglie dei parigini.

Sotto una pioggia scrosciante le donne armate di forconi si precipitano a Versailles ed ottengono che la regina si chini davanti a loro. Il giorno dopo la famiglia reale viene tradotta a Parigi, dove il sindaco dà un alquanto ironico benvenuto al re e alla regina.
Stanca delle umiliazioni e della prigionia Antonietta,, mentre il re sta vivendo la sua ora più terribile, organizza una fuga. Tutto è riuscito, non fosse per quella carrozza nuova di zecca, ingombrante, fornita di tutte le comodità che attira frotte di curiosi ad ogni sosta;  più che una fuga ha l'aria di una sana gita. Inevitabilmente attirano l'interesse anche di chi non è solo un curioso, un fanatico giacobino.
Li fa fermare a Varennes e manda un messaggio a Parigi, dove intanto si stanno strappando i capelli, dato che le parrucche sono fuori moda. In mezzo ad una folla urlante la famiglia reale è costretta a rientrare nella capitale, in un viaggio lungo e penoso.

Qui entra in scena un altro personaggio incredibile: Petion. Con l'incarico di salire sulla carrozza reale accompagna i prigionieri. In preda a chissà quali fumi, vede cose assurde. Convinto che madame Elisabette, sorella del re, abbia un debole per lui, quando lei si accascia sul sedile appoggiando la testa, crede che si accosti a lui in un accenno amoroso, quando lei sbuffa per il caldo lui crede che siano sospiri ispirati dall'amore. Coloro che hanno il compito di riportare i tiranni alla capitale rimangono esterrefatti quando vedono il re, considerato una delle cause della morte per fame di innumerevoli persone, una bestia praticamente, che come tutti i papà premurosi aiuta, in una sosta, il Delfino a fare pipì.
 Il dolore e la paura che Maria Antonietta provò in quell'interminabile viaggio le fecero diventare quasi tutti i capelli bianchi. Così ci appare nell'ultimo quadro che un pittore realista, ormai senza alcuna soggezione, gli fece poche settimane prima di salire sulla ghigliottina.

Ormai la popolarità dei sovrani era completamente compromessa e ora venivano considerati dalla Convenzione di Parigi come qualcosa di ingombrante di cui disfarsi. Robespierre, Saint Just, nomi legati indissolubilmente alla Rivoluzione, ne permisero l'avanzata ma anche la precipitarono in una bolgia di urla e sangue. Il Giuramento della Pallacorda, che proclamava l'indivisibilità del popolo fino al raggiungimento della Costituzione non aveva niente a che vedere con l'assassinio e le sofferenze che aspettavano la famiglia reale. Luigi XVI fu condannato a morte.

Quest'uomo che nella sua vita non aveva chiesto niente se non una esistenza tranquilla e pacifica, il re bonaccione che si toglieva la giacca di seta per aiutare gli operai, quest'uomo che non era nato per fare il sovrano, fu strappato dai suoi cari e fu condotto a morire.
A Maria Antonietta, la vera colpevole secondo tutti delle disgrazie della Francia, l'austriaca, dovevano toccare sofferenze enormi prima della morte. La sua migliore amica, la principessa di Lamballe, fu squartata e la sua testa fu condotta sotto la finestra della regina.

 Le vennero tolti i figli, suo bene più caro, e questa madre fu costretta ad aspettare ore per vedere il proprio bambino di sfuggita da una fessura. Tradotta in un'altra prigione per isolarla definitivamente, non le restava che una cosa da fare, se non era riuscita a vivere come tale (e aveva soli 38 anni!), doveva almeno morire come una regina, degna figlia di Maria Teresa. 

Sottoposta ad un processo già concluso prima di iniziare, fu interrogata per ore, giornate intere, mai un cedimento, vacillò quando le fu rivolta l'accusa più falsa e più infamante, l'incesto col figlio. Distrutta aspettò con impazienza la fine. L'ultima notte della sua vita scrisse una lettera a sua cognata (ovviamente mai recapitata) in cui le chiedeva perdono e le chiedeva di vegliare sui figli, non sapendo che il Delfino stava marcendo in una prigione.
 Mattina del 16 ottobre. Ecco la porta che si apre, c'è il confessore. Lei rifiuta in quanto è un prete votato alla causa rivoluzionaria. Regina di mille stanze, regina di milioni di sudditi alla quale bastava un cenno del capo per farsi obbedire, ora è costretta a cambiare la propria biancheria intima sporca del sangue delle emorragie mensili davanti ad un soldataccio che ha l'ordine di non lasciarla un attimo.

Le tagliano i capelli, le legano i polsi, cosa che fa ammutolire persino la folla, per l'evidente inutile crudeltà, come se una donna sola e desiderosa di morire potesse in qualche modo essere un pericolo per le centinaia di soldati schierati che le fanno ala verso la morte.

Il tutto dura pochi attimi, durante il tragitto - su una carretta sgangherata- dal carcere alla ghigliottina forse Antonietta avrà ripensato ai tempi dell'infanzia, alla sua famiglia, a ciò che è stato. Ma l'ora è giunta, la morte non è disposta ad attendete oltre. Come saliva un tempo i gradini marmorei dei palazzi ora sale quelli del patibolo.
Ha le mani legate e vogliono aiutarla  a salire, ma rifiuta, e da sola sale i gradini con un passo leggero simile a quelli dei balli di Versailles, giunta sul palco si volta e guarda immobile e in silenzio e senza nessuna emozione le migliaia di "spettatori", poi si gira, con un piede e inciampa con quello di Sanson in attesa, gli chiede "pardon", poi si abbandona serena al carnefice. China la testa, sente il freddo e rigido legno della panca dove è distesa, chiude gli occhi e già la testa rotola. Forse ancora cosciente per qualche secondo, forse ode le urla di gioia per la sua morte, la morte di una infelice che il fato aveva posto sul trono. 

Possono essere queste due persone Luigi XVI e Maria Antonietta essere considerate colpevoli?

 Hanno commesso errori enormi data la loro posizione sociale, ma il loro errore più grande è di essere stati troppo esseri umani. Lo sbaglio, forse, è il potere, l'accentrarlo nelle mani di una persona che in quanto tale non è infallibile. Cosa ne è ora di Maria Antonietta non lo sapremo mai, colpevole certo, colpevole e responsabile di tutti gli errori che ha commesso lo è, ma forse ha pagato a sufficienza, ed ora speriamo che finalmente, sia stata compresa e perdonata.

 La più bella biografia che io abbia letto su Maria Antonietta e sicuramente quella di Stephen Zweig, la consiglio caldamente a chi voglia approfondire. 

Patrizia Figini 

QUI UNA PAGINA TRATTA DALL'ORIGINALE VOLUME
(che "Storiologia" ha riprodotto integralmente (407 pagine) - VEDI QUI >>>
"LE MEMORIE DEL CARNEFICE DI PARIGI"
cioè di HENRY SANSON, il "boia" di Charlotte
"Dopo la morte di Luigi XVI, pareva che si fossero dimenticati i prigionieri reali della prigione del Tempio. L'odio del popolo parigino per Luigi XVI era stato tutto politico, si rivolgeva più al re che all'uomo. L'odio che questo popolo nutriva contro Maria Antonietta era invece ad un tempo politico e personale. I rivoluzionari avevano indovinato in lei una volontà ben altrimenti energica che quella del debole Luigi XVI; essi avevano compreso che, se vi fosse una resistenza contro i loro disegni, questa resistenza sarebbe stata l'opera di Maria Antonietta, e l'avevano rappresentata come la più accanita avversaria della libertà, come il vampiro della Francia e la complice dello straniero. Parecchie volte già il nome della regina era risuonato alla tribuna della Convenzione in tono di rimprovero alle commissioni esitanti; ma per lo più questo rimprovero era un'arma destinata a colpire gli uomini della Destra anzichè un indizio di reale sete del sangue di Maria Antonietta. Ma alfine la Montagna non potè negare al partito di Hébert la testa che esso, sulla piazza, chiedeva con grandi grida.

Il 1° agosto la Convenzione decretò che Maria Antonietta fosse tradotta dinanzi al Tribunale rivoluzionario. Il 2 agosto, alle due del mattino, questo decreto fu significato alla regina; ella ne ascoltò la lettura senza commuoversi, fece un pacchetto delle sue vesti, abbracciò sua figlia (dal 3 luglio le si era tolto il Delfino) raccomandò i suoi figliuoli alla cognata Elisabetta, e seguì di piè fermo le guardie municipali. Passando sotto una saracinesca, ella dimenticò di abbassare la testa e vi battè tanto violentemente da ferirsi a sangue. Il municipale Michonis le domandò se si fosse fatta male; ella rispose : -- No, ormai nulla mi fa più male...

I portieri del carcere della Conciergerie erano quei Richard sui quali Carlotta Corday aveva prodotto una così forte impressione; essi ricevettero la regina col rispetto e la compassione dovuta a una così grande sventura.
L'istruttoria si trascinò a lungo. Più si approfondivano i fatti rimproverati alla regina, meno si trovavano le prove dei reati dei quali si appariva tanto convinti. Fouquier-Tinville ci perdeva il sonno, e la redazione dell'atto d'accusa gli diventava un problema insolubile.

Tuttavia alcuni uomini di cuore erano risoluti di salvare la regina : disgraziatamente il terrore li condannava all'isolamento. Uno dei servitori della monarchia caduta, il cavaliere di Rougeville, penetrò nella cella di Maria Antonietta per l'intermediario del municipale Michonis : egli le presentò un garofano che portava all'occhiello. Questo garofano conteneva una carta nella quale egli offriva i suoi servizi alla regina. Questa, non dubitando che il coraggioso giovane non trovasse modo d'introdursi di nuovo presso di lei, e non volendo esporre la vita di nessuno per salvare una vita a cui assegnava sì poco valore, stava pungendo con l'ago una risposta negativa su una carta, quando uno dei gendarmi che la vigilavano, entrato all'improvviso, s'impadronì del biglietto. Denunciata dal gendarme, Maria Antonietta fu interrogata da alcuni membri del Comitato di sicurezza generale; si gettarono in carcere Richard, sua moglie, un tale Fontaine e il municipale Michonis; si tolse alla regina la donna che fino allora l'aveva servita, e la si trasferì in una stanza dove la vigilanza divenne più rigorosa.

Questo incidente fornì un elemento all'accusa, che si completò coi documenti che il Comitato di sicurezza generale aveva scelto tra le carte raccolte alle Tuileries.
Un gentiluomo aveva tentato di salvare la regina : due avvocati, Chauveau-Lagarde e Tronsan-Ducoudray, rivendicarono l'onore di difenderla : onore che non era senza pericolo, ma che associava nell'avvenire il loro nome a questa grande tragedia.

Il 13 ottobre (22 vendemmiale) la si avvertì che all'indomani ella sarebbe comparsa davanti ai suoi giudici.
Il decreto del 1° agosto, con cui si decideva di trarre Maria Antonietta davanti al tribunale rivoluzionario, ordinava che le spese dei Capeti fossero ridotte allo stretto necessario. Le vesti di lutto che si erano accordate alla regina cadevano a pezzi. Lo spettacolo della regalità ridotta agli stracci doveva commuovere e poteva riuscir toccante; ma Maria Antonietta disdegnò questo appello alla pietà dei suoi nemici e all'indignazione della gente dabbene e consacrò laboriosamente la notte a rammendare e a ricucire la sua veste nera.

L' indomani alle dieci la si venne a prendere. Ella portava alta la testa, il suo contegno era pieno di dignità. Nel viso non traspariva turbamento nè intenzione di sfidare i giudici; ella era fredda, calma, quasi indifferente; i suoi capelli bianchi, le rughe che le solcavano la fronte, quelle che accusavano più fortemente la piega del labbro inferiore, il largo cerchio rossastro che circondava i suoi occhi, il suo sguardo a volte atono, attestavano le torture morali subite, ma quel viso impassibile sembrava essersi appropriata la rigidità del marmo.
Ella sedette sopra una poltrona, dirimpetto al tribunale; Transon-Ducoudray e Chauveau-Lagarde si collocarono al suo fianco.

Il presidente Herinan rivolse all'accusata le domande di rito:
- Come vi chiamate?
- Maria Antonietta d'Austria-Lorena.
-- Il vostro stato?
- Vedova di Luigi, già re dei Francesi.
- La vostra età?
- Trentasette anni.

Dopo la lettura dell'atto d'accusa, si procedette all'audizione dei testimoni.
Il primo depose sulla fuga a Varennes; il secondo accusò la regina di aver dato da bere agli ufficiali degli Svizzeri nella giornata del 10 agosto 1791, e riferì chiacchiere udite su immense somme che l'accusata avrebbe mandato a suo fratello l'imperatore; il terzo testimonio chiamato fu Hébert. La sua deposizione è rimasta come un monumento di mostruosa assurdità e di impudente cinismo.
Ecco questa deposizione, come fu raccolta dal Moniteur:

« Giacomo Renato Hébert, sostituto dei Procuratore della Comune, depone che nella sua qualità di membro della Comune del 10 agosto, egli fu incaricato di parecchie missioni importanti che gli hanno provato la cospirazione d'Antonietta; e precisamente un giorno, al Tempio, egli ha trovato un libro da messa, appartenente a lei, nel quale stava uno di quei simboli controrivoluzionari consistenti in un cuore infiammato, trapassato da una freccia, con la scritta: Jesu, miserere nobis.

« Un'altra volta egli trovò nella camera di madama Elisabetta un cappello che fu riconosciuto essere appartenuto a Luigi Capeto; questa scoperta non gli permise più di dubitare che tra i suoi colleghi esistevano uomini capaci di degradarsi al punto da servire la tirannide. Egli si ricordò che Toular era entrato un giorno col cappello nella torre, e che ne era uscito a testa nuda, asserendo di averlo perduto. « Aggiunse che Simon avendogli fatto sapere di aver qualche cosa d'importante da comunicargli, egli si recò ai Tempio accompagnato dal maire e dal Procuratore generale della Comune. Essi vi ricevettero una dichiarazione da parte del ragazzo Capeto, dalla quale risulta che all'epoca della fuga di Luigi Capeto a Varennes, La Fayette e Bailly erano tra coloro che più si erano prestati a facilitarla; che essi avevano a quest'uopo passato la notte al castello; che durante il loro soggiorno al Tempio, le detenute non avevano cessato per molto tempo d'essere informate di ciò che avveniva fuori; si facevano passar loro delle corrispondenze negli stracci e nelle suole.

« Il piccolo Capeto nominò tredici persone come adoperatesi in parte a mantenere queste intelligenze; che una di queste avendolo chiuso con sua sorella nel vano di una torricella, egli sentì che la persona menzionata diceva a sua madre : « Vi procurerò ogni giorno il modo di saper notizie, mandando uno strillone a gridare presso la torre i giornali della sera. »
« Infine il piccolo Capeto, la cui costituzione fisica deperiva di giorno in giorno, fu sorpreso da Simon intento a polluzioni indecenti e funeste per il suo temperamento; quegli avendogli domandato chi gli aveva insegnato quel delittuoso maneggio, rispose che doveva a sua madre e a sua zia la conoscenza di questa viziosa abitudine.

« Dalla dichiarazione, osserva il testimonio, che il giovane Capeto ha fatto in presenza del maire di Parigi e del Procuratore, risulta che queste due donne lo facevano spesso dormire in mezzo a loro; che ivi si commettevano atti della più sfrenata licenza; che non c'era nemmeno da dubitare, a quanto si rilevò dal giovane Capeto, che vi fosse stata un'azione incestuosa tra madre e figlio.
« Si ha motivo di credere che questo criminoso suggerimento non fosse suggerito da carnalità, ma dalla speranza politica di snervare il fisico di cotesto ragazzo, il quale piaceva ancora raffigurarsi destinato a occupare un trono, e su cui si voleva assicurarsi con tale manovra il diritto di dominarne il morale; che per la stanchezza nervosa a lui procacciata, si è stati costretti a mettere al fanciullo un apparecchio medico, e che da quando egli non e più con sua madre, egli va riacquistando un temperamento robusto e vigoroso ».

Questa infame deposizione era stata pronunciata in mezzo a un cupo silenzio. Quando Hébert ebbe terminato, un fremito d'orrore corse nell'uditorio. Per quanto l'odio di tutti i presenti fosse implacabile, esso a questo punto cadeva e si rivoltava contro il miserabile. Maria Antonietta parve insensibile all'oltraggio; essa lo ascoltò senza lasciar cadere uno sguardo sull'autore di siffatta atrocità.
Il presidente chiese all'accusata. - Che avete da rispondere alla dichiarazione del testimonio?
L'accusata. Non ho alcuna conoscenza dei fatti di cui parla Hebert; mi consta soltanto che il cuore, di cui egli dice, fu regalato a mio figlio da sua sorella; riguardo al cappello, fu un presente fatto a madama Elisabetta dal fratello ancora vivo.
Il presidente. Gli amministratori, Michonis, Jobert, Marino e Michel, non conducevano persone con loro quando venivano da voi?
L'accusata. Sì, non venivano mai soli.
Il presidente. Appartenevano anche queste persone all"amministrazione?
L'accusata. Lo ignoro.
Il presidente. Non avete trasalito di gioia, vedendo entrare con Michonis, nella vostra stanza alla Conciergerie, un privato che portava un garofano?
L'accusata. Essendo chiusa da tredici mesi senza vedere alcuno che conoscessi, ho trasalito per il timore che egli non si compromettesse per riguardo a me.
Il presidente. Questo privato non era uno dei vostri agenti?
L'accusata. No
Il presidente. Non avete avuto un colloquio con Michonis? Non gli avete detto che temevate egli non fosse rieletto al nuovo Consiglio municipale?
L'accusata. Si.
Il presidente. Quale motivo avevate di temer ciò?
L'accusata. Lo dissi perchè egli era dolce e umano coi prigionieri.
Un giurato. Cittadino presidente, vi invito a osservare all'accusata che ella non ha risposto intorno al fatto di cui ha parlato il cittadino Hébert, riguardo a ciò che è avvenuto tra lei e suo figlio.
Il presidente fa la domanda.
L'accusata. Se non ho risposto, si è che la natura si rifiuta a un'incolpazione simile fatta a una madre. (Qui l'accusata pare vivamente commossa). Me ne appello a tutte quelle che si trovano qui.
Rilevando la commozione della regina, il Moniteur e i giornali del tempo si guardano bene d'aggiungere che questa commozione fu condivisa dal pubblico.

Il presidente Hernran si affrettò a chiamare altri testimoni. Essi furono numerosissimi. Tra questi l'ex calzolaio Simon, che il presidente nemmeno interrogò intorno ai fatti di cui Hébert asseriva che egli fosse il principale testimonio. Maria Antonietta ebbe almeno la consolazione di vedere i suoi stessi giudici riconoscere l' infamia dell' oltraggio recato ai suoi sentimenti di madre.

I quesiti sottoposti ai giurati, dopo gli eloquenti discorsi dei difensori, ascoltati in religioso silenzio, riguardavano i due primi il crimine d'intelligenza col nemico, i due ultimi quello di complotto e cospirazione.
I giurati li affermarono tutti, e Maria Antonietta fu condannata a morte.

Herman aveva raccomandato all'uditorio il rispetto della sventura, che doveva provare all'universo la dignità d'uomini liberi di quanti assistevano al giudizio. Ma per quanto una moltitudine sia docile, essa non si lascia mai imporre l'ipocrisia. I risentimenti che le erano stati ispirati contro la regina erano troppo violenti per potersi nascondere sotto la maschera di una generosità menzognera. Nel momento che Maria Antonietta abbandonava il pretorio, l'odio traboccò in applausi furiosi, salutanti la prossima morte.

La lunghezza dei dibattimenti aveva esaurito le forze della regina. Ella dormì per tre quarti d'ora, di un sonno placido e calmo. Poi chiese da scrivere, e scrisse una lunga lettera destinata a madama Elisabetta, ma che questa principessa non ricevette mai. Il portinaio, a cui l'aveva consegnata perché la recapitasse, gli rispose -che l'esaudirla non dipendeva da lui; egli era costretto a rimettere la lettera a Fouquier-Tinville, il quale si sarebbe incaricato di mandarla a destinazione.
La regina rimase muta; ella appoggiò il viso sulle mani che riposavano sulle sue ginocchia e restò lungamente in quell'atteggiamento.

Dopo l'allontanamento dei Richard, era la figlia maggiore dei nuovi portinai quella che aveva cura del vitto, della biancheria e delle vesti di Maria Antonietta. Ella entrò in quei momento; era così turbata che si lasciò cadere sopra una seggiola, mezzo soffocata dai singhiozzi che si sforzava invano di contenere. Uno dei gendarmi la ingiuriò brutalmente. La regina la consolò con bontà e le fece osservare sorridendo che ella aveva dimenticato l'oggetto più importante.
Era questo un abito bianco che ella aveva portato dal Tempio e che desiderava vestire per andare al patibolo.
Mentre la ragazza usciva per andare a cercare la veste, Maria Antonietta la pregò di portar pure un paio di forbici. Quest' ultima domanda sollevò difficoltà; i gendarmi non volevano permettere che si consegnasse alla condannata uno strumento che nelle sue mani poteva divenire un'arma. Fu convenuto che la figliuola del portinaio avrebbe tagliato i capelli della regina in presenza del padre e dei due guardiani.

Carlo Enrico Sanson non ci ha lasciato della morte della regina una relazione completa come della morte del re; i particolari che ho raccontato e che racconto son desunti da note da lui lasciate e dai ricordi di mio padre e di mia madre.
Mio nonno aveva passato la notte al tribunale rivoluzionario; all'uscita della seduta egli stava alla porta del gabinetto di Fouquier; questi, avvertito della sua presenza, gli fece dire d'entrare. C'erano là il presidente Herman e parecchi magistrati. Fouquier chiese subito a mio nonno se le disposizioni per la « festa » fossero compiute; di questa parola si servì.

Avendogli Carlo Enrico Sanson risposto che a lui incombeva aspettare le decisioni del tribunale e non prevenirle, Fouquier lo trattò brutalmente con la sua solita violenza e gli disse tra altre cose che forse egli avrebbe rimpianto un giorno di non aver prevenuto una decisione che concerneva certo cattivo patriota di sua conoscenza. Il colloquio volgeva male; per mettervi fine, mio nonno sollecitò l'ordine di requisire una vettura chiusa, simile a quella che aveva condotto il re al patibolo. Questa domanda mise Fouquier-Tinville fuor dei gangheri; egli rispose a Carlo Enrico che aveva meritato di andar lui stesso alla ghigliottina per aver osato fare una simile proposta : una carretta era ancora troppo buona per condurre a morte l'Austriaca. Ma altri presenti osservarono che prima di decidere su cosa tanto importante sarebbe stato pur buono sentire l'opinione di qualche membro del Comitato. Dopo tre quarti d'ora si ebbe la risposta di Robespierre e di Collot; entrambi dichiararono che la cura di queste disposizioni spettava soltanto a Fouquier-Tinville. Restò dunque deciso che la regina non avrebbe goduto del privilegio di Luigi XVI, e che sarebbe andata al patibolo con la carretta dei criminali ordinari.

Erano le cinque del mattino quando mio nonno lasciò il palazzo, e già si sentiva da tutte le parti lo strepito dei tamburi che chiamavano le sezioni sotto le armi.
Alle dieci, quando egli si partì alla Conciergerie insieme con mio padre, il carcere era già tutto circondato d'armati. La regina era nella sala dei morti, seduta sopra un banco, la testa appoggiata contro il muro; vestiva tutto di bianco, tranne un nastro nero alla cuffia. Vedendo mio nonno e la sua scorta, ella si levò e fece un passo per andare incontro agli esecutori; ma si fermò un istante per abbracciare teneramente la figliuola del portinaio. Mio nonno e mio padre s'erano tolto il cappello; molti dei presenti salutarono.

Prima che alcuno di loro avesse il tempo di prender la parola, Maria Antonietta si avanzò e disse con una voce breve che non tradiva alcuna emozione :
- Sono pronta, signori; possiamo partire.
Carto Enrico Sanson le fece osservare che era necessario che certe precauzioni fossero prese; Maria Antonietta si voltò, e mostrandogli la nuca da cui erano stati tagliati i capelli
-- Va bene così? - domandò.
E gli porse le mani perchè le legasse.
Mentre mio padre disimpegnava questo compito, un prete giuratario, l'abate Lothringer, entrò nella sala dei morti e chiese alla regina il permesso di accompagnarla. Ella lo aveva già respinto al pari di due altri, considerandoli, perché giuratari, « ministri di un'altra religione che la sua ». L'insistenza di Lothringer le parve visibilmente sgradevole; tuttavia ella rispose
- Fate come vi piace, signore.

Il corteo si mise immediatamente in cammino. Le porte s'aprironoo, la regina di Francia apparve sulla carretta in mezzo alla sua scorta sinistra, e tosto la moltitudine ammassata sulle rive della Senna e sui ponti ondeggiò come un torbido mare, gettando mille grida di maledizione e di morte.

Tanto compatta era la folla che il cavallo non poteva avanzare. Vi fu un momento di confusione così terribile che mio nonno e mio padre, i quali stavano sul sedile anteriore della carretta si levarono in piedi e si collocarono a difesa di Maria Antonietta. Alcuni furiosi, su due o tre punti, avevano rotto il cordone della scorta, e la maggior parte dei gendarmi invece di respingerli o di calmarli, mescolavano le loro ingiurie alle vociferazioni di costoro. II figlio di Nouny-Granmont, che comandava la scorta, ufficiale nell'esercito rivoluzionario al pari di suo padre, ebbe la viltà di tendere il pugno chiuso verso il viso della regina. L'abate Lothringer lo spinse indietro e gli rinfacciò con molta vivacità l'atto ignobile.

La scena durò due o tre minuti. Mai, mi ha ripetuto più volte mio padre, Maria Antonietta s'era mostrata più degna del suo altissimo grado. Nell'abiezione in cui la si era ridotta, ella giungeva con la sola forza della sua anima a comandare il rispetto a cuori incapaci di ogni pietà.

Quando la carretta si fu rimessa in movimento, i clamori si acquietarono. A quando a quando si udivano ancora delle grida di "Morte all'Austriaca! morte a madame Veto!" di tra la folla che stava dinanzi; ma quando il veicolo arrivava all'altezza dei vociferatori, questi facevano silenzio.
Man mano che il popolo si calmava, gli occhi della regina perdevano alcunchè della loro luce lampeggiante; ella li posava con indifferenza sulla folla e sui monumenti.
Quando si ebbe passato il palazzo Egalitè, ella parve inquieta; guardava i numeri delle case con un'espressione in cui c'era più che semplice curiosità.

La regina aveva prevveduto che non si sarebbe permesso a un prete della Chiesa romana di portarle i supremi conforti della religione; di ciò si era preoccupata, e un membro non giurato del clero, l'abate Magnier, che fin dai tempi di Richard era riuscito a penetrare alla Conciergerie, le aveva promesso di trovarsi il giorno del supplizio in una casa del sobborgo Sant'Onorato e di far cadere sulla sua testa quell'assoluzione in extremis, per cui la chiesa rimette ogni suo potere nel più umile dei suoi ministri. Il numero della casa era stato indicato a Maria Antonietta, e questo ella cercava: lo trovò, e allora ad un segno che ella sola poteva comprendere, avendo riconosciuto il prete, ella abbassò la fronte, si raccolse e pregò; poi un sospiro di sollievo le colmò il petto, e si vide un sorriso sulle sue labbra.

Giungendo sulla piazza della Rivoluzione, la carretta si fermò proprio dinanzi al grande viale delle Tuileries: per qualche istante la regina rimase sprofondata in una contemplazione dolorosa; ella ebbe un grande pallore, i suoi occhi s'inumidirono, e la si sentì mormorare con voce sorda :
- Mia figlia! figliuoli miei!
Nel momento che ella pose piede a terra, sostenuta da mio nonno e da mio padre, Carlo Enrico Sanson, chinandosi verso di lei, le disse a bassa voce:
- Coraggio, signora.
La regina si volse bruscamente, e quasi stupita di trovare un accento di pietà in colui che doveva metterla a morte, gli rispose
--- Grazie, signore, grazie.
Il tono non era alterato, la parola rimaneva ferma e vibrante.

Mio padre voleva continuare sorreggerla nei pochi passi che la separavano dalla ghigliottina; ella rifiutò dicendo
- No; avrò la forza, grazie a Dio, di andare fin là.
E mosse con un passo uguale, senza precipitazione nè lentezza, e salì i gradini con tanta maestà come se fossero stati i gradini della grande scalea di Versailles.
Il suo presentarsi sulla piattaforma produsse un istante di confusione. L'abate Lothringer l'aveva seguita fino a quel momento con le sue esortazioni inutili; mio padre lo respinse dolcemente per abbreviare alfine lo straziante supplizio.

Gli aiutanti s'impadronirono allora della vittima. Mentre la attaccavano sull'asse mobile, ella alzò gli occhi verso il cielo e gridò a voce alta
- Addio, miei figliuoli; vado a raggiungere vostro padre.
Ella aveva appena pronunciato queste parole, che già l'asse mobile era messa in posizione e la lama precipitava sulla sua testa.

Grida di «Viva la Repubblica» risposero allo scatto della lama : grida circoscritte alla immediata vicinanza del patibolo. Allora Granimont, che agitava la spada come un energumeno, ordinò ripetutamente a Carlo Enrico Sanson di mostrare la testa al popolo. Uno degli aiutanti fece il giro del patibolo con quell'orrendo trofeo, in cui le palpebre erano ancora agitate da un fremito convulsivo.
Il corpo della regina fu chiuso in una rozza cassa di legno bianco e consumato nella calce del cimitero della Maddalena; le sue vesti furono distribuite ai poveri degli ospizi.

Henry Sanson, il boia di Parigi.

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