GRECIA - STORIA - (315 - 311 a.C.)

LA 3a GUERRA DEI DIADOCHI
(315-311 a.C.)

ANTIGONO E SELEUCO (anno 315) - LA GRANDE COALIZIONE CONTRO ANTIGONO (315-314) - IL PROCLAMA DI TIRO (estate 314) - LA NUOVA FLOTTA DI ANTIGONO - LA LOTTA PER LA CARIA (autunno 313- estate 312) - LA SVOLTA (primavera 312) - IL RITORNO DI SELEUCO (estate 312- autunno 311) - LA PACE (autunno 311)
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ANTIGONO E SELEUCO (anno 315)


Antigono Monoftalmo, subito dopo la vittoria su Eumene si era trovato a disporre di un esercito in cui erano confluite tanto le sue truppe che quelle dei satrapi; militarmente era l’unica potenza della regione, e la vittoria aveva reso legittimo agli occhi dei satrapi il suo titolo di stratego d’Asia. Poteva eleggere o deporre satrapi a sua volontà e disporre dei tesori in Ectabana e a Susa. Questa situazione, unita al collasso del potere regale in Macedonia, aprì nuove prospettive ad Antigono. Se aspirasse subito ad un potere regale o almeno a sottomettere anche i suoi provvisori alleati (Tolemeo, Cassandro e Seleuco) non è dato di sapere, ma certamente si comportò nelle successive azioni ignorandoli completamente. Antigono riportò l’esercito a Ragae in Media: non era ancora finito l’inverno del 316-315 e le truppe avevano bisogno di riposo.

In Media trovò Pitone, suo alleato nella campagna contro Eumene, ma che ora venne sospettato di intessere intrighi con gli ufficiali dell’esercito per rovesciarlo e prenderne il posto. Antigono simulò amicizia e considerazione per Pitone invitandolo presso di lui con la promessa di conferirgli il comando superiore sulle satrapie Orientali. Pitone cadde nella trappola e invece di dare l’ordine agli ufficiali da lui corrotti di passare all’azione, si recò presso il campo di Antigono dove venne condannato a morte da un tribunale composto da amici e consiglieri di Antigono e giustiziato all’istante. La caduta di Pitone fruttò ad Antigono anche il tesoro di Ecbatana (5000 talenti) e il controllo della strategica satrapia di Media che venne affidata ad un indigeno , Orontobate, affiancato dal macedone Ippostrato come comandante militare (più tardi sarebbero stati rimpiazzati da Nicanore).

Gli ufficiali coinvolti nel complotto di Pitone riuscirono a fuggire e a scatenare una guerriglia che tenne per molto tempo impegnati i due nuovi governatori, ma infine anche questa resistenza venne sedata. Nella Primavera del 315 Antigono si recò in Persia, nella satrapia di Peuceste, dove completò la riorganizzazione delle satrapie superiori. Quasi tutti i satrapi furono lasciati ai loro posti: Tlepolemo in Carmania, Stasanore in Battriana, e Oxiatre, padre di Rossane, in Paropamisiade. Tutti avevano aiutato Eumene, mandandogli truppe, ma furono perdonati per la difficoltà ad intraprendere una campagna contro di loro. Stasandro, satrapo di Aria venne invece sostituito da Evagora, mentre Siburzio, che aveva lasciato Eumene molto tempo prima della battaglia finale, venne confermato a capo dell’Aracosia e gli furono dati in affidamento gli Argiraspidi. Antigono non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quest’infido corpo di fanteria che aveva in più occasioni assassinato o consegnato al nemico il proprio comandante; la loro spedizione in Aracosia e la loro estinzione in scaramucce contro i barbari della regione, fu la punizione per avere tradito Eumene di Cardia.

La mossa successiva di Antigono fu la deposizione di Peuceste satrapo di Persia. Egli aveva disertato Eumene dopo la battaglia di Gabiene, ma era rimasto ostile ad Antigono fino ad allora, e , soprattutto poteva disporre di un forte esercito (10000 uomini) e talenti in abbondanza provenienti dalla sua ricca satrapia. Il suo posto fu preso da Asclepiodoro, che, a sottolineare il suo minor potere rispetto al precedente governatore fu nominato ipparco e gli furono dati dei contingenti macedoni di soldati per non dovere più impegnare truppe persiane. Fu probabilmente il congedo forzato dei contingenti indigeni, unito alla popolarità che Peuceste aveva sempre goduto in Persia per avere adottato le usanze e i costumi locali a spingere i Persiani ad una rivolta spontanea: non avrebbero accettato nessun comandante diverso da Peuceste. Antigono represse abbastanza facilmente la rivolta, ma nacque un primo malcontento contro il suo operato.

Di tutti i centri di potere a est dell’Eufrate che potessero potenzialmente dargli fastidio rimaneva solo Seleuco che, come abbiamo detto nel precedente capitolo, era stato lasciato ad assediare l’ufficiale di Eumene Xenofilo a Susa con la carica provvisoria di satrapo di Susiana. Xenofilo, aveva poi capitolato, consegnadogli il tesoro e passando al suo servizio. Seleuco si era così venuto a trovare in possesso di un potere e di una ricchezza derivatagli dalle due ricche satrapie di Babilonia e Susiana almeno paragonabili a quelle di Peuceste. Non fa quindi meraviglia che Antigono cercasse ora di regolare la posizione del satrapo diventato piuttosto scomodo. Mentre muoveva alla volta di Susa Antigono fu raggiunto proprio da Xenofilo presso il fiume Pasitigri. L’ufficiale ora al servizio di Seleuco gli portava tutto il tesoro di Susa che assommava a 20000 talenti, una cifra enorme che testimoniava anche della buona fede del satrapo di Babilonia nel rendere i conti. Senza battere ciglio il Monofltalmo nominò Aspeisas satrapo di Susiana: era nei patti che Seleuco avesse dovuto occupare solo provvisoriamente tale regione, per cui non la sostituzione non dovette apparire uno sgarbo.

Seleuco accolse con grandi feste e ricchi doni lo stratego d’Asia, quando egli giunse finalmente a Babilonia, e per alcuni giorni le cose parvero filare per il verso giusto. Sennonché Antigono era rimasto diffidente, non poteva credere che Seleuco gli avesse consegnato davvero tutto il tesoro di Susa e insidiosamente gli chiese di vedere i conti dell’amministrazione della satrapia. Poteva farlo? Seleuco protestò di non dovere nessun rendiconto per la satrapia di Babilonia, che i Macedoni gli avevano concesso per i benefici da lui resi mentre Alessandro era in vita. Si riferiva evidentemente all’incontro di Triparadiso, l’ultima assemblea macedone legalmente riconosciuta. Naturalmente la base legale delle pretese di Seleuco aveva poco valore dal momento che Antigono poteva levarlo di mezzo in qualsiasi momento, per cui il satrapo di Babilonia decise di fuggire dalla satrapia con soli 50 cavalieri e cercò rifugio presso Tolemeo.

LA GRANDE COALIZIONE CONTRO ANTIGONO (315-314)

Per il momento Antigono approfittò del fatto che senza nessuna resistenza un’altra satrapia aveva capitolato: Pitone di Sind fu nominato satrapo di Babilonia al posto di Seleuco, gli amici di quest’ultimo vennero internati perché non creassero problemi, e l’esercito poté raggiungere la Cilicia per svernarvi: Antigono aveva intanto rastrellato quanto rimaneva del tesoro di Kinda, da cui già Eumene aveva prelevato ingenti somme durante il suo passaggio. Mentre era in Cilicia ebbe la sgradita sorpresa di trovare un’ambasceria congiunta di Tolemeo, Cassandro e Lisimaco, con in mano un ultimatum. Gli effetti nefasti della fuga di Seleuco si erano subito manifestati: l’ex satrapo di Babilonia era riuscito a convincere Tolemeo della pericolosità di Antigono, e Tolemeo aveva mandato a sua volta degli inviati a Cassandro e Lisimaco per informarli della situazione e per creare una coalizione da contrapporre al minaccioso Monoftalmo.

Il risultato era l’invio di una comune ambasciata ad Antigono, latrice di richieste piuttosto onerose: la Siria per Tolemeo, la Frigia ellespontica per Lisimaco, la Cappadocia e la Cilicia per Cassandro e il reintegro di Seleuco in Babilonia. Antigono che si sentiva più forte della coalizione e che non era certo disposto a rinunciare alla metà delle sue conquiste e a rimanere tagliato fuori dal Mediterraneo e dall’Europa, rifiutò sprezzantemente le richieste dei satrapi e si preparò al loro attacco. La lotta vedeva in campo le forze dell’Asia contro quelle dell’Egitto e dell’Europa. Cassandro, il membro più potente della coalizione controllava la Macedonia, l’Epiro e la Grecia con l’eccezione dell’Etolia e di alcune aree del Peloponneso ancora sottoposte a Poliperconte e a suo figlio Alessandro; Tolemeo signoreggiava in Egitto e in Siria e aveva forti influenze presso i Re di Cipro; Lisimaco che era appena uscito da una lunghissima guerra contro il tracio Seute, controllava la sponda europea dei Dardanelli.
Dal momento che aveva sposato Nicea, sorella di Cassandro e vedova di Perdicca, era legato indissolubilmente al signore della Macedonia e costituiva un formidabile ostacolo qualora Antigono avesse tentato di forzare gli stretti per penetrare in Europa. In verità né Antigono né i coalizzati avevano la possibilità di infliggere un colpo decisivo all’avversario, dal momento che il mare e il deserto li separavano, impedendo così lo spostamento di grandi masse di uomini. Per tre anni si combatté una sorta di guerra indiretta, in cui tanto Antigono che i coalizzati cercarono di scatenare in campo opposto, sedizioni, ribellioni o attacchi di barbari per impedire al nemico di concentrare le forze.

IL PROCLAMA DI TIRO (estate 314)

All’inizio del 314 Antigono aveva un grande esercito, grandi disponibilità finanziarie ma una flotta assai scarsa. Tolemeo si era impadronito in qualche modo della flotta che Antigono aveva avuto sotto il suo comando al tempo della campagna contro Poliperconte e Clito e aveva più di 100 navi sotto il suo comando. Il Monoftalmo doveva costruire una propria flotta ma aveva bisogno di un cantiere navale a portata di mano, e i migliori, quelli fenici, erano in mano a Tolemeo. Per questa ragione intraprese una campagna in Siria, ne occupò quasi tutte le città senza colpo ferire, ma trovò una inaspettata resistenza a Tiro, ripresasi molto bene dal terribile sacco subito dall’esercito di Alessandro e che dovette essere posta sotto assedio. Subito Antigono si accordò con le altre città fenice e con Rodi perché gli procurassero legname da costruzione per la flotta. Fu questa l’unica azione di rilievo dell’anno, perché gli altri coalizzati si limitarono a mandare una forza di disturbo in Asia Minore, efficacemente contrastata da Polemeo, nipote di Antigono.

A sua volta Antigono cercò di fomentare la sedizione tra i re di Cipro alleati a Tolemeo ed effettivamente ne fece passare alcuni dalla sua parte con la corruzione. Tolemeo dovette mandare la sua flotta, ora guidata da Seleuco ad aiutare i re fedeli, tra cui Nicocreonte di Salamina a ripristinare il controllo tolemaico sull’isola. Anche Cassandro dovette fronteggiare gravi problemi in Grecia, dal momento che il Monoftalmo aveva spedito un suo ufficiale in Peloponneso a reclutare mercenari e ad allearsi con Poliperconte che, pur essendo bloccato in Etolia, ancora teneva alcune posizioni chiave nel Peloponneso, tra cui Corinto, che Cassandro non era riuscito ad espugnare. Le trattative furono condotte a termine senza problemi e Alessandro figlio di Poliperconte giunse a Tiro nell’estate del 314 per suggellare l’alleanza. In quello stesso periodo Antigono preparò una grande offensiva propagandistica contro Cassandro: convocato l’esercito macedone ormai totalmente asservito alla sua volontà, accusò Cassandro dell’omicidio di Olimpiade, della segregazione di Rossane e Alessandro IV Re legittimo, di avere costretto Tessalonice a sposarlo e di avere riedificato Olinto e Tebe (andando quindi contro i voleri di Filippo e Alessandro che le avevano distrutte).

Secondo Diodoro Antigono
“redasse un decreto secondo al quale Cassandro sarebbe stato dichiarato nemico, se non avesse distrutto quelle città, non avesse restituito ai Macedoni, rilasciandoli dalla prigionia, il re e sua madre Rossane, e in conclusione se non si fosse sottomesso ad Antigono, che era stato eletto stratego ed al quale era stata affidata la cura dl regno. Inoltre tutti quanti i Greci dovevano essere liberi, senza guarnigioni ed autonomi”. Naturalmente nessuno fece notare ad Antigono che nelle azioni di cui accusava Cassandro egli aveva agito come suo complice, né che la distruzione di Tebe e Olinto era in palese contrasto i principi di libertà e autonomia che Antigono affettava di seguire. Nonostante che Poliperconte avesse già sperimentato che proclamare i Greci liberi era un’arma spuntata, dal momento che nessuna delle città elleniche avrebbe fornito un soldato alla causa del liberatore, Antigono si decise a questa mossa e indirizzò la sua azione politica a costituire una sorta di lega delle città greche come già aveva fatto Alessandro. A suggello dell’alleanza Alessandro figlio di Poliperconte ottenne altri 500 talenti da utilizzare per arruolare mercenari.

LA NUOVA FLOTTA DI ANTIGONO

L’assedio di Tiro proseguì fino all’estate del 313 quando la guarnigione capitolò per fame: per tutto quel tempo Antigono attese alla costruzione della flotta e trascurò gli altri impegni. Tolemeo mise a segno diversi successi con la ripulitura dell’isola di Cipro dai partigiani di Antigono e con l’alleanza con il satrapo di Caria Asandro. Cassandro, che personalmente aveva scarsissima attitudine alle campagne militari, ne intraprese una nel Peloponneso dove conquistò qualche piazzaforte e potè patrocinare i giochi nemei nel luglio del 313. Il suo maggior successo fu l’alleanza con Alessandro figlio di Poliperconte scarsamente dotato di ingegno politico come il padre che disertò la causa di Antigono dopo appena un anno dall’incontro di Tiro, e tutto per avere la carica di stratego del Peloponneso. Ma intanto Antigono aveva costruito una flotta di ben 240 navi ed era pronto per l’offensiva. 50 di esse si diressero verso il Peloponneso, mentre le altre 190 al comando di Dioscuride percorsero l’Egeo guadagnando le isole con le buone o con le cattive alla causa di Antigono. Rodi, Samo, Chio, Lemno, Imbro e Delo passarono sotto il controllo della flotta antigonide; soprattutto Atene doveva lamentare la perdita dell’ultima isola insieme a tutte le Cicladi.

Tutti questi successi furono soltanto intaccati da un modesto scacco subito da una frazione della flotta antigonide, battuta dall’ammiraglio tolemaico Policleto al largo della Cilicia. Il riscatto dei prigionieri catturati offrì a Tolemeo e ad Antigono l’occasione di un incontro presso Ekregma, tra Pelusio e Gaza, dove per qualche giorno i due satrapi cercarono invano un accordo separato per risolvere la contesa. Antigono si rivolse nuovamente contro Cassandro e seguì il solito sistema di finanziare i suoi nemici in Grecia Aristodemo fu inviato con un congruo numero di talenti e riuscì in breve a guadagnare l’alleanza degli Etoli e, con l’aiuto di mercenari, a strappare ad Alessandro alcune piazzeforti nel Peloponneso, guadagnando ulteriori posizioni quando il figlio di Poliperconte venne assassinato da un suo ufficiale.
Cassandro a sua volta si alleò con gli Acarnani, nemici naturali degli Etoli e loro diretti confinanti perché li attaccassero alle spalle. Grazie al loro aiuto con un’azione combinata insieme al suo stratego Licisco era riuscito a conquistare Leucade, Apollonia, Epidamno, battere Glaucia re degli Illiri e imporgli un’alleanza. Le turbative ai confini occidentali ripresero quando Eacide re d’Epiro, in esilio fin dai tempi in cui aveva tentato di aiutare Olimpiade, ritornò sul trono con un colpo di mano e cercò di unirsi agli Etoli. Filippo, uno degli strateghi di Cassandro riuscì a parare la minaccia sconfiggendo separatamente Eacide e gli Etoli. Le sue incursioni devastatrici in Etolia costrinsero la popolazione locale a rifugiarsi sulle montagne. Tuttavia nemmeno il saccheggio sistematico dei loro territori fece desistere gli Etoli dalla lotta.


LA LOTTA PER LA CARIA (autunno 313- estate 312)

Mentre Cassandro era impegnato in Grecia Antigono orchestrò un’ampia azione per liberarsi di Lisimaco e avere il passaggio libero per gli stretti. Kallatis, Istria e Odessos erano città greche inglobate nei domini settentrionali di Lisimaco ed erano situate a sud della foce del Danubio. Esse si ribellarono al satrapo di Tracia, per ottenere l’autonomia, la libertà e la cacciata dei presidii militari che erano stati loro imposti, tutte rivendicazioni fatte secondo i diritti promessi dal proclama di Tiro. Che il loro tentativo fosse serio e ben organizzato lo dimostra la loro alleanza con le tribù dei Traci e degli Sciti che popolavano la regione. Lisimaco aveva reagito fulmineamente riducendo alla ragione Odessos e Istria, dopo avere sbaragliato le forze alleate degli Sciti, ma Kallatis ancora resisteva e Antigono inviò due spedizioni di soccorso alla città assediata, una via mare, giudata dall’ammiraglio Licone, e l’altra via terra, guidata dal generale Pausania.

Antigono riuscì anche a tirare dalla propria parte Seute principe dei Traci Odrisi, che bramava di recuperare l’autonomia da Lisimaco, perduta dopo la lunga e logorante guerra. Seute occupò il valicò del monte Emo nell’attuale Bulgaria, tagliando fuori Lisiamaco dalla costa dell’Ellesponto. In questa situazione di isolamento Lisimaco non poteva essere di alcun aiuto a Cassandro che vedeva avvicinarsi il colpo decisivo da parte di Antigono. Per passare in Europa il Monoftalmo doveva controllare l’Asia Minore, per cui Cassandro decise di aiutare l’unico alleato attivo che possedeva da quelle parti, Asandro, dagli attacchi di Polemeo nipote di Antigono. 36 navi e 8000 uomini alla guida di Prepelao ed Eupolemo sbarcarono felicemente in Caria eludendo la flotta di Dioscuride, ma l’inetta condotta dei comandanti di Cassandro vanificò l’esito dell’impresa. Eupolemo, partito per sferrare un attacco a sorpresa contro le forze antigonidi che stavano svernando in caria, si fece scoprire dal nemico e cadde a sua volta in un’imboscata perdendo l’intero esercito.

Saputo del successo di Polemeo Antigono si convinse a sferrare un colpo decisivo a Cassandro in Asia per poi passare in Europa. Per far ciò lasciò una forza di copertura in Siria, guidata dal suo giovanissimo figlio Demetrio che era a sua volta aiutato da un ricco stuolo di veterani macedoni tra cui Nearco, l’ex ammiraglio di Alessandro Magno e Pitone figlio di Agenore, nominato satrapo di Babilonia al posto del decaduto Seleuco. La decisione sarebbe stata gravida di conseguenze. Dopo una difficile traversata Antigono raggiunse Celene in Frigia nell’inverno 313/312 e vi fece svernare le truppe. La situazione si era fatta difficile per i coalizzati dopo che anche la flotta di 36 navi di Cassandro era stata annientata dalla flotta antigonide in uno scontro al largo della Caria. Non fece quindi scalpore la decisione di Asandro di sottomettersi ad Antigono. Il suo successivo ripensamento e la richiesta d’aiuto che fece a Tolemeo e Seleuco perché lo aiutassero ebbero come effetto di accelerare la sua sparizione dalla scena, dal momento che Antigono con una rapida campagna invernale sottomise tutta la Caria prima del febbraio 312. Il tentativo di creare problemi ad Antigono in Asia l’aveva soltanto reso più forte di prima e non vi era più alcuna forza seria che lo contrastasse al di là dell’Ellesponto.


LA SVOLTA (primavera 312)

Ancora una volta Antigono scelse la strada della guerra indiretta, finanziando o aiutando con piccoli contingenti di navi e uomini tutti i possibili nemici naturali dei coalizzati. Lisimaco si trovava impelagato sulle coste del Mar Nero nell’assedio dei Callanziani mentre Seute premeva alle sue spalle occupando il valico dell’Emo, Tolemeo aveva appena dovuto fronteggiare una rivolta a Cirene che aveva preso alla lettera il proclama di Tiro che garantiva libertà e autonomia delle città greche; un nuovo corpo da sbarco di truppe antigonidi, comandato da Telesforo, aveva liberato dalle guarnigioni di Cassandro tutto il Peloponneso ad eccezione delle città di Sicione e Corinto, saldamente tenute dalla vedova di Alessandro, Cratesipoli. Gli Etoli e i Beoti, alleati di Antigono impedivano ora a Cassandro di recuperare le posizioni perdute nella Grecia meridionale. Il figlio di Antipatro sembrava ormai rassegnato a venire a patti e convenne ad un colloquio con Antigono per fare una pace separata.

Quali che fossero le condizioni che Antigono fece al suo avversario esse erano evidentemente troppo onerose perché le potesse accettare e la guerra continuò. Cassandro spostò l’asse della lotta sull’isola dell’Eubea, che correndo parallela alla costa della Beozia e dell’Attica poteva servire ad aggirare le posizioni degli Etoli e dei Beoti in Grecia centrale. Le forze di Cassandro posero l’assedio ad Oreo, ma gli ammiragli di Antigono, Medio e Telesforo raccolsero un numero ingente di navi che bloccarono lo stretto dell’Euripo tra la Beozia e l’Eubea. Antigono vide nella presenza di Cassandro in Eubea il momento buono per attaccare direttamente la Macedonia col suo esercito asiatico. Tuttavia la sua flotta era quasi tutta intorno all’Eubea e aveva bisogno dell’aiuto dei Bizantini per transitare in Europa. Tale aiuto sarebbe probabilmente arrivato se nel frattempo Lisimaco non fosse riuscito a forzare il valico dell’Emo e ad infliggere una dura sconfitta a Seute per poi piombare sulle forze antigonidi che vennero annientate insieme al loro comandante Pausania. Lisimaco aveva ottenuto un grande prestigio e autorità per via dei successi decisivi sui Greci ribelli, sui Traci, gli Sciti e sugli uomini di Antigono. Bastò quindi una sua ambasceria per indurre i Bizantini a rimanere neutrali vanificando il tentativo di Antigono di passare in Europa.

La mossa del Monoftlamo aveva tuttavia indotto Cassandro a ritornare precipitosamente in Macedonia e in sua assenza tutte le posizioni in Eubea e in Grecia centrale erano andate perdute eccetto Atene. Il mancato sbarco in Europa aveva reso tuttavia impossibile abbattere Cassandro, e la presenza del massiccio esercito asiatico sull’Ellesponto rendeva alquanto allettante per i coalizzati un attacco diretto contro il fronte meridionale. Seleuco, tornato dall’Egeo convinse Tolemeo, normalmente piuttosto prudente, a tentare conquistare la Siria distruggendo l’esercito di Demetrio. Tolemeo e Seleuco si divisero il comando e marciarono verso la Palestina, attraversando il deserto del Sinai. L’esercito tolemaico era composto di 18000 fanti e 4000 cavalieri, molti Egiziani erano impiegati come ausiliari e portatori, ma il nerbo delle truppe combattenti era costituito da mercenari e falangiti macedoni.

Demetrio fu informato in tempo dell’arrivo di Tolemeo, richiamò le sue truppe dai quartieri invernali e si preparò a sbarrare la strada agli invasori presso Gaza. Il suo esercito consisteva di 11000 uomini di fanteria pesante, 2000 o 3000 di fanteria leggera, 4400 cavalieri e 43 elefanti: le due armate erano quindi di pari forza. I consiglieri lasciati da Antigono cercarono di convincere il giovane generale ad evitare la battaglia, ma non avevano fatto i conti la sua ostinazione e brama di gloria. Demetrio prevedeva di decidere tutto con un attacco dell’ala sinistra, in cui erano stati concentrati 2900 cavalieri e tutti gli elefanti a cui erano intervallati le fanterie leggere, 1000 arcieri e 500 lanciatori di giavellotto, la fanteria doveva occupare il centro, protetta da altri 13 elefanti, mentre l’ala destra composta da 1500 cavalieri doveva rimanere in posizione arretrata, cercando di evitare lo scontro. Demetrio contava quindi di sfondare con gli elefanti lo schieramento nemico, ma non aveva tenuto conto che due veterani come Tolemeo e Seleuco sapevano benissimo come difendersi da una mossa simile.
Secondo il racconto di Diodoro:
Schierarono (Tolemeo e Seleuco) davanti alla formazione degli elefanti coloro che portavano una palizzata con parti in ferro e tenuta da catene che avevano preparato contro l’attacco degli elefanti; infatti sistemata la palizzata, sarebbe stato facile impedire agli animali di procedere.

Come era prevedibile gli elefanti, pur pungolati dalle loro guide si impantanarono tra le ostruzioni senza potere passare oltre, anzi alcuni di loro impazzirono per le ferite e portarono scompiglio tra le file della cavalleria di Demetrio che fino a quel momento aveva brillantemente tenuto il campo contro quella di Tolemeo. Allo scompiglio seguì ben presto lo sbandamento dei reparti che iniziarono a ritirarsi su Gaza, seguiti dalla fanteria, che non era stata nemmeno impegnata nello scontro. L’esercito antigonide perse ogni parvenza d’ordine nell’entrare in città e Tolemeo riuscì ad impadronirsi senza resistenza della postazione e di ben 8000 uomini di Demetrio. I caduti erano stati 500, ma fra di essi c’erano Nearco e Pitone; Demetrio dovette riconoscere la sconfitta e chiedere di seppellire i propri morti. Con i rimasugli del suo esercito Demetrio raggiunse Tripoli, da dove inviò notizie al padre e contemporaneamente chiese rinforzi alle truppe dislocate in Cilicia. A parte alcuni contingenti di truppe lasciati nelle città costiere la regione era indifesa di fronte all’invasione.

IL RITORNO DI SELEUCO (estate 312- autunno 311)

Tolemeo e Seleuco cavallerescamente rimandarono a Demetrio i suoi bagagli e i più intimi degli amici senza riscatto, facendo pubblicamente proclamare che non facevano la guerra per predare, ma per vedere riconosciuti loro quei territori che avrebbero dovuto essere spartiti dal Monoftalmo dopo la vittoria contro Eumene e per il reintegro di Seleuco come satrapo di Babilonia. Nel frattempo le posizioni antigonidi capitolavano senza opporre molta resistenza: Ace, Ioppe, Samaria e Sidone passarono nelle mani di Tolemeo senza combattere; la forte guarnigione di Tiro disertò in massa consegnando pure il comandante Andronico nelle sue mani; tutto il territorio siriano fino all’Amano era ormai in potere del satrapo d’Egitto che tuttavia non si faceva illusioni sulla provvisorietà del suo successo. Il suo esercito anche rinforzato dei disertori non poteva tenere testa a quello di Antigono, qualora fosse ridisceso, e in quel momento i suoi alleati erano impegolati nei loro problemi interni.

Seleuco aveva invece colto il momento favorevole per riprendere la satrapia di Babilonia, poiché il governatore Pitone era morto a Gaza, e molti simpatizzanti tanto tra le truppe di occupazione che tra gli abitanti locali erano pronti a mettersi ai suoi ordini, non appena fosse ritornato. Chiese alcune truppe e denaro a Tolemeo e ottenne da lui 800 fanti e 200 cavalieri con i quali partì alla volta di Babilonia. Il suo cammino si svolse quasi senza ostacoli: Diodoro narra la sua impresa
Quando Seleuco , avanzando, giunse in Mesopotamia, in parte persuase, in parte costrinse con la forza i coloni macedoni di Carre a combattere al suo fianco. Allorché giunse in babilonia, la maggior parte degli abitanti gli andarono incontro e, unitisi a lui, dichiararono che erano pronti a fare al suo fianco tutto ciò che gli sembrasse opportuno. Infatti, durante i quattro anni in cui era stato satrapo di quella regione si era comportato bene con tutti, assicurandosi la benevolenza della moltitudine e procurandosi per tempo seguaci, qualora gli fosse capitata l’opportunità di combattere per il potere.

Ciò che più sorprende è che persino tra gli ufficiali lasciati da Antigono a Babilonia non ferveva certo la fedeltà. L’amministratore delle finanze della satrapia, Poliarco, aprì le porte della città e si unì a Seleuco con più di 1000 soldati. Tutta Babilonia cadde senza combattere nelle mani di Seleuco, salvo la cittadella che venne quasi subito presa d’assalto. Tutti gli amici di Seleuco, i paggi e gli ufficiali che avevano servito sotto di lui quando era stato satrapo ed erano stati imprigionati ad Antigono vennero liberati, per costituire l’ossatura del nuovo governo.
In seguito, il momento del ritorno di Seleuco a Babilonia venne scelto come punto d’inizio dell’ERA SELEUCIDE, un sistema di computo degli anni avente come punto di partenza l’ottobre del 312 (secondo il calendario macedone) o aprile 311 (secondo il differente calendario babilonese) e che fu usato in tutto l’Oriente per la sua comodità.

La presenza di Tolemeo in Siria e di Seleuco in Babilonia costituivano una minaccia che Antigono non poteva permettersi d’ignorare: i suoi piani europei vennero definitivamente abbandonati e il grande esercito, accampato a Celene di Frigia, passò il Tauro nell’inverno 312/311. Demetrio di sua iniziativa aveva raccolto alcuni contingenti di truppe dalla Cilicia con le quali aveva sconfitto Cilla, un generale di Tolemeo presso la località di Mio. Tolemeo stesso ritenendo di non poter fare fronte alle forze riunite di Antigono e Demetrio evacuò la Siria, non prima di avere razziato il maggior bottino possibile e aver raso al suolo le fortificazioni delle città che aveva occupato. Antigono recuperò tutti i territori perduti, ma non avanzò né verso l’Egitto né verso Babilonia. Preferì invece intraprendere due spedizioni contro gli Arabi Nabatei, guidate da Ateneo e Demetrio, mentre diede ordine a Nicanore, satrapo di Media di raccogliere un esercito, con le truppe disponibili nelle satrapie superiori per cercare di stanare Seleuco da Babilonia.

Nicanore impiegò l’inverno 312/311 a raccogliere rinforzi, che gli giunsero dalla Susiana, dalla Persia e dall’Aria e che comprendevano anche numerose truppe persiane di dubbia fedeltà. L’esercito che raccolse con questi sistemi assommava a 10000 fanti e 7000 cavalieri a cui Seleuco non poteva opporre che un misero contingente di 3000 fanti e 400 cavalieri. Ma l’imponenza dell’apparato bellico fece dimenticare a Nicanore di procedere alla ricognizione una volta arrivato in territorio nemico. Sempre secondo Diodoro:

“[Seleuco] attraversato il Tigri e informato del fatto che i nemici erano a pochi giorni di cammino, fece nascondere i suoi soldati nelle paludi vicine, progettando di fare un attacco di sorpresa. Nicanore, giunto al fiume Tigri, non avendo trovato i nemici si accampò vicino a una stazione reale, credendo che quelli fossero fuggiti più lontano. Sopraggiunta la notte, mentre gli uomini di Nicanore erano disattenti e montavano la guardia senza impegno, Seleuco con un assalto improvviso creò gran confusione e spavento. Accadde infatti che, non appena i persiani ebbero ingaggiato la battaglia, cadessero il loro satrapo Evagro e alcuni degli altri comandanti. In seguito a ciò la maggior parte dei soldati, in parte atterriti dal pericolo, in parte scontenti di prendere gli ordini da Antigono, passarono a Seleuco. Nicanore, abbandonato con pochi uomini e temendo di essere consegnato ai nemici, fuggì con alcuni amici verso il deserto.”

Il risultato della battaglia fu totalmente disastroso per Antigono. L’insipienza di Nicanore e degli altri comandanti aveva praticamente consegnato un intero esercito nelle mani di Seleuco e gli aveva conferito una potenza e un prestigio che non solo gli avrebbero consentito di resistere in Babilonia, ma anche di costituire un pericolo per le altre regioni dell’Asia orientale ancora sotto il controllo dei governatori antigonidi.
Antigono ebbe gran parte delle proprie truppe impegnate nelle infruttuose spedizioni contro gli Arabi di Petra fino a tutta l’estate del 311. Quando finalmente riuscì a districarsi dalla campagna mandò Demetrio con un contingente di truppe a recuperare Babilonia, con l’ordine di tornare dopo una breve permanenza. Demetrio giunse incontrastato fino al suo obiettivo, ma non trovò Seleuco che dopo avere disfatto l’esercito di Nicanore era penetrato in Susiana e in Media, insediando propri governatori (che chiamò strateghi) al posto di quelli di Antigono. In Babilonia c’erano soltanto poche migliaia di uomini al comando dello stratego Patrocle. L’abile ufficiale seleucide lasciò campo libero a Demetrio spostando la popolazione civile e tutto ciò che poteva avere un interesse per gli invasori nelle regioni del sud o in Susiana e si accontentò di resistere nelle due cittadelle di Babilonia e nei dintorni delle città, usando i canali e le ostruzioni come fortini improvvisati. Demetrio prese d’assalto una delle due cittadelle ma non l’altra, e alla fine dovette ritornare in Siria, lasciando 6000 uomini al comando di Archelao col compito di completare l’occupazione della città. Antigono aveva così guadagnato una preziosa testa di ponte con cui condurre i successivi attacchi, ma non aveva ancora indebolito seriamente la posizione di Seleuco: la satrapia di Babilonia restava saldamente nelle sue mani e anche la Media, la Susiana e l’Aria erano cadute nelle sue mani alla fine del 311.

LA PACE (autunno 311)

La grave minaccia costituita da Seleuco imponeva ad Antigono di riversare le proprie risorse a neutralizzarla. Doveva quindi spezzare il fronte dei propri nemici e arrivare a paci separate almeno con Cassandro e Lisimaco. Il figlio di Antipatro era rimasto inattivo fin dal 312, occupato dalle spedizioni contro gli irriducibili Etoli e gli Epiroti. Eacide d’Epiro era morto in battaglia contro Filippo, il comandante mandato da Cassandro in Etolia, ma la fazione antimacedone aveva posto sul trono Alceta, fratello di Eacide. I due strateghi di Cassandro in Epiro, Licisco e Deinia, riuscirono dopo una serie di battaglie condotte con alterna fortuna intorno alla cittadella di Eurimene, sull’attuale lago di Giannina a sottomettere Alceta, che fu costretto ad allearsi con Cassandro e sparì dalla scena poco dopo, ucciso da una rivolta dei suoi sudditi. Sempre nello stesso teatro d’azione Cassandro perse il controllo di Apollonia e di Leucade che passarono sotto il controllo degli Illiri e dei Corciresi.

Tutte queste oscure guerre ai confini occidentali della Macedonia logorarono progressivamente le forze di Cassandro che aveva non aveva più ripreso il controllo della Grecia, saldamente nelle mani degli ufficiali di Antigono. I successi di Seleuco e Tolemeo nel remoto oriente non avevano per nulla alleviato la sua condizione e pertanto prestò una maggiore attenzione alle nuove offerte di Antigono. Alla metà del 311 Prepelao, lo sfortunato comandante di Cassandro nella spedizione in Caria, si recò da Antigono accompagnato da Aristodemo; aveva la possibilità di trattare sia a nome di Cassandro che di Lisimaco, e riuscì come diplomatico ad ottenere buone concessioni: una pace basata sullo status quo. Come Antigono stesso ci racconta in una sua lettera alla città di Skepsi, Tolemeo, preoccupato dall’iniziativa di Cassandro e Lisimaco, che, trattando separatamente la pace, lo lasciavano ad affrontare tutta la potenza di Antigono da solo, mandò a sua volta propri delegati che ottennero l’apertura di trattative che condussero ad una pace con il Monoftalmo.

I termini della pace noti attraverso Diodoro e la lettera di Antigono a Skepsi prevedevano che Cassandro sarebbe rimasto stratego d’Europa, fina a quando Alessandro IV avesse raggiunto la maggiore età e che i Greci fossero liberi ed autonomi. A Lisimaco fu riconosciuto il governo della Tracia e a Tolemeo quello dell’Egitto e della Cirenaica, ma ad Antigono fu riconosciuta la sovranità sul resto dell’Asia, compresi i territori su cui adesso governava Seleuco che non fu nemmeno menzionato nella pace e considerato quindi implicitamente un usurpatore e ribelle. Antigono aveva vinto su quasi tutti i fronti: in Grecia, in Caria e in Siria, ma proprio nel momento in cui gli veniva riconosciuta l’Asia di diritto, egli non l’aveva più sotto il suo completo controllo. Seleuco non aveva avuto un riconoscimento della sua posizione, ma aveva un esercito, ufficiali fedeli e le risorse di tre satrapie a sua disposizione. Il compito di abbatterlo non si presentava facile per il Monoftalmo, che dopo il fallimento dei suoi generali e di suo figlio si apprestò ad intervenire di persona contro il signore di Babilonia.

La clausola che riservava il potere supremo ad Alessandro IV una volta che avesse raggiunto l’età adulta, ben lungi dal garantirgli finalmente un vero potere, determinò la sua malinconica fine. Cassandro che lo teneva da anni in prigionia diede ordine alle sue guardie di farlo fuori di nascosto insieme alla madre Rossane e di nasconderne il cadavere. Il gesto riprovevole fu cinicamente approvato anche dagli altri diadochi
Secondo Diodoro:
“Dopo che quello ebbe eseguito l’ordine, Cassandro, Lisimaco, Tolemeo e Antigono furono liberati dai timori rappresentati per loro dal re. Non essendoci più nessuno che avrebbe potuto ereditare il regno, ciascuno poteva ormai sperare di diventare re dei popoli e delle città sulle quali dominava, e le regioni poste sotto la loro autorità erano per loro come un regno acquisito per diritto di guerra”.

 

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