GRECIA - STORIA

LA 2nda GUERRA DEI DIADOCHI
(319-315 a.C.)

I POLIPERCONTE E CASSANDRO - ANTIGONO ED EUMENE - LA GUERRA CIVILE IN MACEDONIA 318-317 - IL CONFLITTO IN GRECIA 318-317 - LA BATTAGLIA DEL BOSFORO (Estate 317) - EURIDICE DEPONE POLIPERCONTE (estate 317) - IL RITORNO DI OLIMPIADE 317-316 - EUMENE SI RIORGANIZZA 318-317 - LE SATRAPIE SUPERIORI - LA LUNGA CAMPAGNA (primavera 316- inverno 316/315) - LA CADUTA DI OLIMPIADE 315 - L’OPERA DI CASSANDRO IN MACEDONIA E GRECIA (316-315)

POLIPERCONTE E CASSANDRO

Antipatro, scegliendo Poliperconte come successore, aveva creduto di assicurare un valido sostegno alla vacillante dinastia Argeade ancora come quattro anni prima rappresentata da un infante e da un minorato mentale. Poliperconte aveva speso una lunga parte della sua vita al servizio di Filippo e Alessandro, e il raggiungimento dell’età più avanzata non sembrava avergli tolto la competenza militare, come gli Etoli avevano imparato a loro spese. I lunghi anni alle dirette dipendenze dello stratego d’Europa avevano affinato le sue capacità amministrative e gli avevano garantito la stima e il rispetto dei funzionari di corte e dei generali che avevano fatto in tempo a conoscere, tanto la sua abilità che la sua fedeltà alla dinastia.. Cassandro e suo fratello Iolla invece, non avevano ancora mostrato né attitudini militari sul campo, né un attaccamento particolare alla discendenza di Alessandro, e non sembrava che tra la corte o l’esercito fosse particolarmente popolare. Quali che fossero le motivazioni di Antipatro nel fare le sue scelte, il suo gesto di non favorire il figlio creò le premesse per una nuova sedizione. In realtà il reggente aveva sottovalutato sia le capacità diplomatiche del figlio e soprattutto la sua totale mancanza di scrupoli nel perseguire i suoi fini.

Mentre Antipatro era ormai in punto di morte, l’oratore Demade, leader dei filomacedoni ateniesi, dietro pressione del popolo ateniese si era recato alla corte reale per impetrare il ritiro della guarnigione di Munichia. Per sua sfortuna era stata trovata in mezzo al carteggio di Perdicca una sua lettera in cui esortava il reggente a passare in Macedonia e in Ellade che erano, a suo dire, appese ad un filo vecchi e marcio, cioè Antipatro. La prova del tradimento fu subito esibita davanti all’oratore ateniese che venne giustiziato insieme a suo figlio. L’uccisione di Demade aveva privato i Macedoni di un infido ma abile alleato e aveva indirettamente indebolito il loro controllo su Atene. Per fortuna di Cassandro, l’altro capo della fazione oligarchica, Focione, appariva ben disposto nei suoi confronti, e pronto ad accettare il cambio del comandante macedone di stanza a Munichia con Nicanore, un uomo di Cassandro ostile a Poliperconte. Dopo la morte di Antipatro, per un breve lasso di tempo Cassandro affettò amicizia e collaborazione a Poliperconte, ma poi fuggì in Asia presso Antigono. In precedenza si era già alleato a Tolemeo, con cui aveva avuto uno scambio epistolare.

Tanto il satrapo d’Egitto che quello di Frigia prestarono al figlio di Antipatro un aiuto molto interessato: essi lo volevano usare per minare l’autorità di Poliperconte, in modo da impedirgli di contrastare le loro azioni in Asia. Le mire di Tolemeo furono subito chiare quando senza aver ricevuto alcuna provocazione invase la Siria e ne depose il satrapo Laomedonte. Antigono invece agì contro Arrideo e Clito, satrapi della Frigia Ellespontica e della Lidia, avendo come pretesto l’attacco sferrato da Arrideo contro la città libera di Cizico, sul Mar di Marmara. Ben presto la corte Reale ricevette una serie di rapporti allarmati sul subbuglio in Asia e sul fatto che l’autorità del nuovo reggente non si estendeva oltre l’Ellesponto. Poliperconte si trovava in una situazione di grande debolezza perché Cassandro era molto popolare tra le truppe Macedoni di stanza in Grecia e aveva amici nei punti strategici, come Atene. Inoltre se si alleava con Antigono poteva avere tutto il supporto del formidabile esercito raccolto dallo stratego d’Asia, che , una volta incorporate le truppe dei Perdiccani, assommava a 60000 uomini.

ANTIGONO ED EUMENE

Per fermare Antigono, Poliperconte non poteva fare altro che appellarsi all’ultimo superstite dei suoi nemici: Eumene. L’ex segretario di Alessandro aveva languito per oltre un anno nella fortezza di Nora, finché non era venuto a patti con Antigono.

Secondo Plutarco Vita di Eumene 12

“Antigono abbracciò nei suoi piani la conquista di tutto l’impero. In tale impresa desiderò avere amico e collaboratore Eumene. Gli mandò pertanto Ieronimo con proposte di pace e sottopose alla sua approvazione una formula di giuramento che avrebbero dovuto scambiarsi per sanzionare la propria amicizia. Eumene la corresse, e si affidò al giudizio dei Macedoni che lo tenevano assediato: la forma che fosse sembrata più giusta a loro, egli l’avrebbe accettata. Nel testo proposto da Antigono, dopo una menzione formale dei re all’inizio, per il resto era a lui che Eumene avrebbe giurato fedeltà. Eumene invece, oltre ad aver scritto in testa alla formula del giuramento il nome di Olimpiade e dei re, s’impegnava a sostenere non soltanto Antigono, e ad essere amico e nemico, non solo degli amici e nemici di Antigono, ma pure di Olimpiade e dei re. Questa formula parve più giusta. I Macedoni fecero giurare Eumene in questi termini e tolsero l’assedio. Inviarono il testo anche ad Antigono, affinchè egli pure prestasse giuramento in favore di Eumene.“

Naturalmente Antigono aveva capito benissimo dove Eumene voleva andare a parare con l’insistente menzione di Olimpiade e dei Re nel giuramento. Giurando in questi termini, se lo stratego d’Asia fosse entrato in conflitto con costoro (e di fatto lo era già poiché attaccando Arrideo e Clito si era ribellato apertamente), Eumene non era tenuto a rispettare il giuramento, anzi era autorizzato a combatterlo. Pertanto Antigono, dopo aver rimproverato i suoi uomini per aver commesso la leggerezza di accettare il giuramento modificato, comandò loro di stringere nuovamente l’assedio a Nora; ma era ormai troppo tardi, perché Eumene era già uscito e stava velocemente raccogliendo un esercito da utilizzare contro lo stratego d’Asia.

LA GUERRA CIVILE IN MACEDONIA 318-317

Eumene aveva fatto menzione di Olimpiade nel giuramenti perché la madre di Alessandro era pienamente rientrata nel gioco politico, aiutata da Poliperconte che l’aveva richiamata dall’Epiro. La regina per il momento non andò a raggiungere la corte, ma iniziò ad appoggiare Poliperconte avviando un carteggio con Eumene e gli altri governatori. Il successore di Antipatro, preso atto della fuga di Cassandro e del formarsi di una coalizione ostile contro di lui, aveva cercato di formare un’alleanza il più estesa possibile per combatterla. Arrideo, Clito ed Eumene erano pronti a sostenerlo: Eumene aveva già ricevuto lettere sia da Poliperconte che da Olimpiade, che lo autorizzavano a combattere Antigono; la satrapia di Cappadocia gli veniva restituita e insieme ad essa la strategia sull’Asia, dalla quale veniva destituito Antigono.
Antigono naturalmente riconobbe di nessun valore l’autorità del successore di Antipatro, perché non era stato eletto dall’esercito macedone riunito e pertanto usurpava la reggenza. Il problema di Poliperconte consisteva nella fedeltà dei Macedoni lasciati nelle guarnigioni in Ellade che, insieme ai regimi oligarchici che sostenevano, parteggiavano tutti per Cassandro. Tramite un calcolo molto semplice Poliperconte decise che i nemici dei suoi nemici erano suoi amici e incoraggiò le fazioni democratiche (e antimacedoni) alla rivolta, ergendosi a campione della libertà greca.

L’editto da lui emesso, e che ci è stato tramandato da Diodoro, si compone dei seguenti punti: la revoca delle decisioni limitative della libertà e autonomia prese all’indomani dell’esito della guerra lamiaca, il ritorno degli esuli che, evidentemente, ancora non erano rientrati dopo il precedente decreto di Alessandro, ad eccezione dei soliti casi di coloro che avevano commesso sacrilegio, crimini di sangue o che appartenevano ad alcune poleis specificamente elencate;
Questa decisione incongrua con la politica fin lì seguita da Antipatro, di favorire le oligarchie e tenere sottomesse le città greche con la forza, generò una generale ondata di simpatie per il nuovo reggente, ma ben pochi vantaggi militari.

IL CONFLITTO IN GRECIA 318-317

Poliperconte nel suo proclama aveva inserito una clausola a favore degli Ateniesi in cui prometteva loro il reintegro dei loro possessi nell’isola di Samo, perduti a seguito della sconfitta nella guerra lamiaca. Costoro seguivano con molta attenzione l’evolversi della situazione, ma erano d’altronde preoccupati dai maneggi di Cassandro e del suo luogotenente Nicanore che, già possedendo una posizione di forza nel colle di Munichia, si impadronì anche del porto del Pireo, con la benevola connivenza di Focione. Gli Ateniesi, messi alle strette cercarono di accordarsi con Nicanore, che li rimandò a trattare direttamente con Cassandro: essi invece andarono a Pella per ottenere che Poliperconte prestasse loro soccorso applicando nei fatti l’editto di autonomia. Trovarono subito l’appoggio di Olimpiade che spedì una lettera a Nicanore in cui gli ordinava di restituire Piero e Munichia agli Ateniesi.

Messo alle strette, dato che Cassandro non si faceva vedere, Nicanore promise di restituire le due posizioni, ma continuò a tergiversare sui tempi e modi dell’evacuazione. Poliperconte mandò un esercito in Attica alla guida del figlio Alessandro; il suo arrivo diede coraggio ai democratici ateniesi guidati da Agnonide: in una concitata assemblea i magistrati in carica furono deposti e Focione, accusato di tradimento per avere coperto le azioni di Nicanore, si rifugiò proprio presso Alessandro a cui aveva promesso di collaborare. Alessandro lo mandò a suo padre, che a sua volta non ebbe remore a consegnarlo ai suoi nuovi alleati democratici, che infatti lo condannarono a morte insieme a molti altri filomacedoni che non avevano fatto in tempo a rifugiarsi presso Cassandro. Ma non erano più le decisioni dell’assemblea e le sentenze dei tribunali a decidere del destino della città, ma le flotte e gli eserciti. Cassandro si presentò davanti al Pireo con 35 navi e 4000 uomini forniti da Antigono e subito Nicanore gli aprì le porte.

Poliperconte non poteva rimanere inerte di fronte alla sfida lanciatagli da Cassandro e dalla Focide, dove si trovava insieme ai re, raggiunse tosto l’Attica con un esercito di 5 volte superiore a quello del rivale. Cassandro aveva già iniziato a intessere una fitta rete di contatti diplomatici con le città del Peloponneso per farle passare dalla propria parte, e Poliperconte doveva agire con rapidità per stornare la minaccia di una sollevazione della regione. Dopo avere lasciato parte dell’esercito sotto Alessandro ad assediare Munichia e il Pireo calò col contingente più grosso nel Peloponneso: convocata un’assemblea dei rappresentanti delle città, comunicò l’ordine di uccidere tutti coloro che avevano ricoperto delle cariche di governo sotto Antipatro, vale a dire tutti i rappresentanti dell’oligarchia.

Un po’ dappertutto scoppiarono dei conflitti intestini e delle purghe a danno degli oligarchi che vennero cacciati e uccisi, eccetto che a Megalopoli, che si mantenne fedele a Cassandro. Poliperconte strinse delle alleanze con i governi democratici appena installati, ma volle impegnarsi a fondo nella conquista di Megalopoli, per togliere a Cassandro l’unica città alleata. Le cose sembravano mettersi bene per il reggente che era anche riuscito a rintuzzare un attacco di Cassandro contro l’isola di Salamina; ma tale successo fu abbondantemente controbilanciato dalla disfatta in cui incorse l’esercito reale nel tentativo di impadronirsi di Megalopoli. Respinto dalla città con gravi perdite in uomini ed elefanti Poliperconte vide rapidamente crollare il proprio prestigio nel Peloponneso e le città greche passare nuovamente a Cassandro.

LA BATTAGLIA DEL BOSFORO (Estate 317)

Mentre in Grecia divampava la lotta in Attica e nel Peloponneso, e in oriente Eumene raccoglieva lentamente un esercito per conto del Re, un terzo fronte nevralgico era costituito dalla zona degli stretti, il cui controllo era indispensabile per Poliperconte per potere mantenere i contatti con Eumene, per impedire il passaggio degli eserciti nemici dall’Asia all’Europa e per dare una mano ad Arrideo, governatore della Frigia Ellespontica a riconquistare la sua satrapia. La flotta reale, affidata al valente Clito che aveva abbattuto la potenza ateniese ad Amorgo, prese posizione davanti a Calcedonia. Antigono richiamò Nicanore dal Pireo, unì la sua flotta a quella a sua disposizione e lo mandò ad affrontare Clito. Ma nello scontro che seguì l’armata di Antigono subì una disfatta in cui vennero perdute 57 navi di cui 40 catturate con tutto l’equipaggio.

Clito, dopo una così grande vittoria pensava che i nemici non avrebbero più osato scendere in mare, e allentò colpevolmente la sorveglianza della flotta. Antigono prese subito in mano la situazione e seppe rimediare allo smacco del suo subordinato: per supplire alla carenza di navi da battaglia dovuta alle precedenti perdite, racimolò delle navi da trasporto su cui caricò arcieri, frombolieri ed altri armati alla leggera. Sbarcati di notte sulla costa Tracia vicino a Bisanzio, i soldati diedero l’assalto all’accampamento dei marinai di Clito, mentre la piccola flotta da guerra di Antigono, all’alba attaccò gli avversari. Presi in mezzo dal duplice attacco anfibio gli uomini di Clito si sbandarono, quelli che riuscirono ad imbarcarsi sulle navi, sfuggendo all’attacco terrestre vennero affrontati e dispersi dalle navi di Antigono. L’intera flotta reale fu così annientata e Clito da solo cercò di fuggire in Macedonia: non riuscì nemmeno ad avvicinarsi alla sua meta perché venne ucciso da alcuni soldati di Lisimaco in cui si era imbattuto. Per fortuna di Poliperconte Antigono non fece sbarcare il suo esercito in Europa ma preferì dirigersi contro Eumene.

EURIDICE DEPONE POLIPERCONTE (estate 317)

La sconfitta delle forze di poliperconte per terra e per mare e la fame conseguente all’occupazione del Pireo da parte dei Macedoni, convinse gli Ateniesi a negoziare con Cassandro: questi concesse loro il reintegro territoriale e il Pireo, ma continuò a tenere Munichia. A dirigere la città fu chiamato Demetrio Falereo, già uomo di spicco del gruppo dirigente di Focione che per dieci anni avrebbe rivestito un potere tirannico in Atene, restaurando lo stato oligarchico che gli Ateniesi avevano sperato di abbattere uccidendo Focione. D’ora in avanti i poteri politici e la piena cittadinanza sarebbero stati riservati a coloro che possedevano un censo di almeno dieci mine. Nicanore l’ammiraglio di Cassandro ebbe il suo momento di gloria sfilando al Pireo con la flotta adorna dei rostri delle navi avversarie, ma cadde ben presto in disgrazia presso il suo signore che lo tolse di mezzo senza troppi complimenti. Poliperconte, continuando a mal gestire le proprie risorse dovette fronteggiare una rivolta dei propri ufficiali in Macedonia. Questi erano stati sobillati da Euridice: la giovane consorte di Filippo Arrideo aveva da sempre tentato di ascendere alla reggenza, e, vista l’opportunità offerta dal discredito in cui era caduto Poliperconte, ne trasse subito profitto, ordinandogli di deporre la carica e di consegnare l’esercito a Cassandro che venne eletto primo ministro di Re Filippo. Cassandro con una spedizione lampo raggiunse la Macedonia, lasciò in compagnia della regina una congrua scorta al comando del fratello Nicanore e infine ritornò in Peolponneso a combattere contro le forze fedeli a Poliperconte che, sotto la guida del figlio Alessandro, si erano arroccate a Tegea.

IL RITORNO DI OLIMPIADE 317-316

Poliperconte, incalzato da presso in Peloponneso, deposto in Macedonia, e senza possibilità di ricevere aiuti dall’Asia era in una situazione senza uscita; si rivolse allora ad Olimpiade che, pur collaborando con lui era finora rimasta in Epiro presso il cugino Eacide. La regina madre, preoccupata per le sorti del nipote Alessandro, che sicuramente sarebbe stato messo da parte, se non ucciso da Euridice, con un esercito costituito da contingenti Epiroti e da uomini forniti da Poliperconte invase la Macedonia, occupò senza colpo ferire la capitale e riportò sul trono Alessandro IV. Presso Evia si venne allo scontro contro le forze di Filippo ed Euridice, ma i Macedoni, non appena riconobbero la veneranda madre di Alessandro tra le truppe epirote, rifiutarono di combattere. Uno dopo l’altro Filippo ed Euridice vennero catturati e portati da Olimpiade, che, dopo averli sottoposti per giorni a torture fisiche e psicologiche, li fece trucidare. Seguì una purga di proporzioni massicce in cui trovarono la morte Nicanore, fratello di Cassandro e un centinaio di sostenitori di quest’ultimo. Olimpiade aveva mostrato una barbarie ed una spietatezza ben superiori a quanto i pur feroci Macedoni erano abituati, e alle simpatie di cui finora aveva goduto, subentrò una irriducibile ostilità. Alessandro IV era stato proclamato unico re, e venne battuta moneta in suo nome, ma il nuovo riassetto del regno sarebbe durato solo fino al ritorno di Cassandro.

EUMENE SI RIORGANIZZA 318-317

E’ necessario spostarsi ora sulla scena asiatica, dove importanti eventi stavano avendo luogo.
Dopo la “deposizione” di Antigono da parte di Poliperconte, Eumene era stato creato al suo posto stratego d’Asia, ed era stato scritto ai satrapi di dargli ogni appoggio. Il cardiano spese parecchi mesi a raccoglier un nucleo di truppe fedeli nella Cappadocia; quando esse assommarono a 2000 cavalieri e 500 fanti, partì dalla Cappadocia alla fine del 318 o all’inizio del 317 raggiunse la Cilicia.Qui incontrò Antigene, satrapo di Susiana che gli portò un rinforzo considerevole di ben 3000 argiraspidi, i veterani di Alessandro così chiamati per i loro scudi argentati. I nuovi alleati mostrarono subito una forte riottosità a porsi sotto il comando di Eumene, che era greco, appena scampato ad una condanna a morte inflittagli dall’unica assemblea macedone universalmente riconosciuta e investito di poteri da un’autorità più che dubbia. L’ingegnoso cardiano dovette far mostra di tutto il proprio carisma e personalità, e sfruttò appieno la superstizione dei Macedoni e l’adorazione che ancora provavano per Alessandro Magno.

Secondo Plutarco:
"Antigene e Teutamo, che comandavano il corpo degli Argiraspidi… in apparenza accolsero Eumene con grande cordialità, ma si palesarono poi traboccanti di gelosia verso di lui e litigiosi, ritenendo di essere superiori, e non inferiori ad Eumene. Eumene…per combatere la litigiosità e l’alterigia che li eccitava…ricorse alla superstizione. Raccontò loro che gli era apparso in sogno Alessandro e gli aveva mostrato una tenda addobbata lussuosamente come quella di un re, che conteneva un trono. Se si fossero riuniti là dentro – gli aveva detto- a discutere i loro affari, vi si sarebbe trovato anche lui e li avrebbe assistiti in tutte le decisioni e le imprese che avessero iniziato in suo nome. Antigene e Teutamo credettero senza difficoltà al racconto di Eumene. Siccome né essi volevano recarsi da lui, né lui riteneva dignitoso farsi vedere alla porta di altri, fecero erigere una tenda sfarzosa quanto quella di un re, vi collocarono un trono, che riservarono ad Alessandro, e s’incontrarono là dentro a discutere gli affari di maggiore importanza".

Grazie alle lettere di Olimpiade e Poliperconte Eumene si fece consegnare dalla guarnigione macedone di Kinda in Cilicia, il tesoro reale ivi custodito, col quale riuscì ad aggiungere alle truppe che aveva con sé altri 10000 fanti e 2000 cavalieri. Ancora una volta i diadochi coalizzati cercarono di staccare da Eumene le truppe macedoni, ma tanto i tentativi di Tolemeo, che quelli di Filota, mandato da Antigono, fallirono miseramente. Nella Primavera del 317 Eumene mosse l’esercito verso la Fenicia, che Tolemeo non cercò nemmeno di difendere, ed iniziò a raccogliere una flotta per andare in aiuto di quella di Poliperconte. Le navi così allestite, al comando dell’ammiraglio Sosigene vennero spedite a dare una mano a Clito, l’ammiraglio di Poliperconte. Ma arrivarono troppo tardi: la battaglia del Bosforo si era già conclusa con la schiacciante vittoria di Antigono e la flotta antigonide era pronta ad affrontare lo sparuto rincalzo di Sosigene. Non ci fu nemmeno bisogno di combattere: quando le flotte si incontrarono all’altezza di Rosos in Cilicia, le navi fenicie, vedendo quelle avversarie inghirlandate per la vittoria precedente, cambiarono subito bandiera, mentre l’ammiraglio di Eumene scappò per sparire dalla scena.

LE SATRAPIE SUPERIORI

Fresco della vittoria ottenuta per mare Antigono decise finalmente di regolare i conti con Eumene prima che questi si rinforzasse troppo. 20000 fanti e 4000 cavalieri furono il quantitativo di truppe che venne ritenuto sufficiente al bisogno. Le forze riunite di Eumene e Antigene, nonostante tutte le campagne d’arruolamento contavano a malapena 15000 fanti e 3000 cavalieri; ragione sufficiente perché il cardiano non tentasse neppure di sbarrare la strada al suo avversario, ma uscisse dalla Siria per andare verso est. Il calcolo era molto semplice: raggiungere le satrapie superiori per ottenere la collaborazione dei satrapi locali e raccogliere con il loro apporto un esercito sufficiente per dare battaglia ad Antigono. Il clima politico nelle regioni orientali era a dir poco infuocato. Alla morte del reggente Antipatro, Pitone satrapo di Media, aveva deciso di imitare l’esempio di Tolemeo e Antigono estendendo il proprio dominio a spese dei vicini. Con la connivenza di Seleuco, con cui era in rapporti di amicizia almeno fin dal tempo in cui avevano militato sotto Perdicca, iniziò una politica di intrighi, fece assassinare il satrapo di Partia, Filippo, ed insediò al suo posto il fratello Eudamo, senza chiedere il permesso né ai Re né ad Antigono.

La latitanza di un potere centrale, ridotto all’impotenza dalla lotta civile, non aveva impedito agli altri satrapi di coalizzarsi per fermare Pitone. Peuceste, governatore di Persia guidava una coalizione che schierava, Tlepolemo dalla Carmania, Siburzio dall’Aracosia, Stasandro dall’Aria e dalla Drangiana, mentre il governatore della Paropanisiade, Oxiarte aveva mandato un suo ufficiale, Artabazo. Infine dall’India era giunto un certo Eudamo, che aveva assassinato il re Poro, l’antico rivale di Alessandro per prenderne la satrapia. Il suo apporto era fondamentale perché aveva portato ben 120 elefanti indiani, di quella stessa razza che tanti dispiaceri aveva dato all’esercito macedone nella battaglia dell’Idaspe. Pitone non poteva resistere di fronte ad una coalizione così formidabile: sconfitto in una battaglia che si combatté in una località sconosciuta della Partia, dovette fuggire presso Seleuco a Babilonia, mentre i satrapi alleati, per non diventare a loro volta aggressori non entrarono in Media, mantenendo tuttavia uniti i propri eserciti, anche perché la guerra che divampava in occidente si faceva sempre più vicina. Eumene dopo aver valicato l’Eufrate entrò nella satrapia della Mesopotamia, dove ricevette l’appoggio del governatore Anfimaco; si diresse dapprima a est verso il Tigri, poi a sud, svernando nella Mesopotamia meridionale in una regione abitata da contadini originari della Caria.

Seleuco e Pitone disponevano di qualche migliaio di uomini in Babilonia, i satrapi alleati di quasi 20000: chi fosse riuscito a farseli alleati avrebbe chiaramente acquistato un vantaggio decisivo, nei confronti dell’avversario, perciò iniziò un complesso gioco diplomatico fra tutte le parti in causa. Eumene tentò dapprima di convincere Pitone e Seleuco di combattere dalla parte dei re e di Poliperconte contro Antigono, ma i due diadochi erano stati gli assassini di Perdicca e i più intransigenti nel chiedere la condanna a morte di Eumene a Triparadiso -condanna da cui dipendeva la legittimità della loro successiva condotta- perciò fecero sapere tramite ambasciatori che pur accettando di servire i re contro Antigono non si sarebbero mai posti agli ordini di un condannato a morte. Seleuco e Pitone non si contentarono di un diniego a collaborare, ma cercarono tramite ambasciatori e con un intervento personale di sabotare la fedeltà dei Macedoni ad Eumene, e come tutti gli altri che avevano provato prima di loro, fallirono nell’intento. Eumene si era portato ormai a soli cinquanta chilometri da Babilonia ed era accampato lungo il fiume Tigri. Aveva intenzione di giungere fino a Susa, dove si sarebbe incontrato con Peuceste e gli altri alleati.

La Susiana era anche la satrapia di Antigene, che militava già nel suo esercito e al suo interno si trovava il ricco tesoro reale custodito gelosamente dagli ufficiali di Antigene. Il guado del Tigri fu conteso fino all’ultimo da Seleuco: dovendo affrontare un esercito completo dotato solo di uno scarso contingente di cavalleria, mise tuttavia in grande difficoltà gli avversari facendone inondare l’accampamento con le acque di un canale inutilizzato di cui aveva fatto aprire le ostruzioni; Eumene riuscì a rimediare alla difficoltà dei suoi uomini facendo approntare trecento zattere per mezzo delle quali il suo esercito poté raggiungere la sponda orientale del Tigri e dirigersi verso la Susiana. Seleuco e Pitone mandarono dei corrieri ad Antigono pregandolo di intervenire; il suo esercito aveva svernato nel nord della Mesopotamia e lui stesso era rimasto inattivo dinanzi al gioco diplomatico che si era svolto. Senza alcun impedimento allora Eumene si incontrò con l’esercito di Peuceste e degli altri satrapi a Susa e, con un altro piccolo capolavoro di strategia, se ne facesse assumere il comando, pur mantenendo le apparenze di una direzione collegiale.

LA LUNGA CAMPAGNA (primavera 316- inverno 316/315)

Con l’inizio della stagione primaverile del 316 Antigono mosse verso la Susiana. Lungo la strada si unirono a lui Seleuco e Pitone, che lo aiutarono nell’attraversamento del Tigri. Eumene non stette ad aspettarlo, ma, dopo avere lasciato una guarnigione a Susa, al comando di Xenofilo, si diresse in Persia, varcò il fiume Pasitigri e lasciò un distaccamento in agguato sulle sponde per contrastare il passaggio dei nemici. Antigono, ebbe un facile cammino fino a Susa, che gli aprì le porte, ma non gli riuscì di convincere Xenofilo a consegnare la rocca e il tesoro reale ivi custodito. Per averne ragione lasciò Seleuco ad assediare l’ufficiale di Eumene, e gli conferì la nomina provvisoria di satrapo di Susiana. Poi si diresse verso il fiume Coprate, tributario del Pasitigri verso la fine del Luglio 316. Non appena i suoi reparti d’avanguardia ebbero posto piede con difficoltà sull’altra sponda, vennero attaccati e sopraffatti dagli uomini di Eumene che si erano posti in agguato sull’altra riva.

Il fallimento dell’attacco diretto spinse Antigono a cercare un passaggio più a nord superando la catena montuosa dei monti Zagros per raggiungere Ecbatana in Media dove un altro tesoro reale era custodito e dove avrebbe potuto trovare nuovi rinforzi di uomini. Il popolo dei Cossei, attaccato ma non sterminato da Alessandro nel 324, gli chiese un pedaggio per passare attraverso i passi da loro custoditi: Antigono rifiutò e dovette subire i loro incessanti attacchi che causarono gravi perdite all’esercito. Dopo altri nove giorni di penose avanzate attraverso quelle terre aride l’esercito esausto giunse ad Ecbatana dove godette del meritato riposo, mentre Antigono raccoglieva altri 500 talenti d’argento per pagare i suoi soldati e i nuovi rinforzi di cavalleria procurati da Pitone. Eumene intanto raggiunse Persepoli dove dovette affrontare la solita crisi di comando, dal momento che Peuceste, che aveva fornito il contingente più cospicuo, voleva detenere il comando. Con il solito dosaggio di astuzia e forza, Eumene riuscì a mantenere le redini dell’armata, che rimase tuttavia in ozio proprio nel periodo in cui Antigono era vulnerabile, e si mosse soltanto quando il loro avversario era ormai pronto per riprendere la lotta.

I due eserciti si scontrarono in Paretacene, una regione ai confini tra la Media e la Persia, in una battaglia che ci si aspettava fosse decisiva. L’ala destra di Eumene ebbe facilmente il sopravvento sull’ala sinistra di Antigono che era guidata da Pitone e le truppe scelte degli argiraspidi ebbero ugualmente ragione dei fanti avversari. Proprio mentre il suo esercito stava cedendo alla pressione, Antigono con una mossa indovinata attaccò nel punto di giunzione tra il centro avversario che nella foga dell’inseguimento si era spinto troppo avanti, e l’ala sinistra guidata da Eudamo, che era rimasta pericolosamente scoperta, mettendo in rotta in quel settore gli avversari. Eumene dovette richiamare le truppe che aveva lanciato all’inseguimento dei nemici sconfitti per salvare Eudamo e perse un’occasione per debellare Antigono una volta per tutte. La notte sorprese i due eserciti abbarbicati l’uno all’altro, ma fu quello dei satrapi il primo a ritirarsi, lasciando il campo e la vittoria ad Antigono. Si era trattato in realtà di una vittoria di Pirro perché le perdite del Monoftalmo erano superiori a quelle di Eumene (che lo fece accusare di avere volutamente nascosto la loro gravità facendo seppellire di nascosto la maggior parte dei caduti prima del “conteggio” ufficiale). Entrambi i contendenti tuttavia sembravano averne abbastanza delle operazioni militari per quell’anno e si ritirarono nei loro quartieri invernali; Antigono a Gadamarta in Media ed Eumene in Gabiene.

Antigono sperava ancora di chiudere la partita prima della primavera successiva, e dal momento che l’esercito di Eumene era stato disperso in più acquartieramenti, contava di sorprenderli con un attacco a sorpresa prima che potessero essere riuniti. L’impresa che avrebbe visto l’esercito del monoftalmo passare in soli nove giorni attraverso molte miglia di territorio desertico per raggiungere la Gabiene, non riuscì perché alcuni soldati, disobbedendo ad un esplicito ordine, accesero un fuoco per ripararsi dal freddo inclemente, rivelando così la loro presenza ai nemici. Eumene colse l’occasione per ingaggiare battaglia: aveva una netta superiorità sul nemico come fanteria, compensata parzialmente dall’inferiorità nella cavalleria :9000 e 6000. Il terreno scelto era una piana brulla e polverosa, una ideale piazza d’armi. Ancora una volta gli argiraspidi di Eumene sfondarono al centro, ma Antigono, con al suo fianco per la prima volta il figlio Demetrio, caricò vittoriosamente la cavalleria di Peuceste che venne messa in rotta. Il campo dei satrapi fu espugnato da un contingente di Medi e Tarantini, mandati da Antigono, che nella confusione della battaglia (come ad Arbela si era alzato un nugolo di polvere che impediva la visibilità) portarono via tutti i bagagli e le mogli degli argiraspidi.

Così, mentre Eumene dibatteva con gli altri satrapi sull’opportunità di rinnovare lo scontro o ritirarsi nelle satrapie superiori, i suoi soldati man mano disertarono ad Antigono, seguiti da Peuceste con tutto il suo seguito. Chi, come Tlepolemo satrapo di Carmania, non fu lesto ad allontanarsi, venne catturato e consegnato ad Antigono. Eumene, Antigene ed Eudamo vennero giustiziati dal Monocolo, la cui non grande pazienza e pietà era stata esaurita dalla logorante campagna. Al comandante degli Argiraspidi fu riservato un trattamento speciale poiché fu bruciato vivo, un gesto brutale piuttosto raro in quel pur violento periodo e di cui non ci sono date spiegazioni nelle fonti. Antigono invece avrebbe avuto qualche scrupolo a fare uccidere Eumene, ma i Macedoni al suo seguito furono irremovibili. Eumene pagò a caro prezzo la sua ambizione e l’attaccamento ad una causa ormai perduta, nonché la sua incapacità a tenere veramente fedeli a sé degli uomini pronti a tradirlo al primo colpo di vento contrario.

LA CADUTA DI OLIMPIADE 315

Mentre in Asia si concludeva la lunga lotta tra Eumene e Antigono, in Europa Olimpiade era rimasta apparentemente padrona del campo in Macedonia, ma l’eliminazione di Filippo ed Euridice aveva creato un grave malcontento tra i Macedoni, e la reazione di Cassandro non si era fatta attendere. Impegnato nell’assedio di Tegea nel Peloponneso, abbandonò l’azione quando gli giunsero le notizie da Pella; la coalizione a cui faceva capo Olimpiade contava un esercito nel Peloponneso al comando di Alessandro, figlio di Poliperconte, di un secondo contingente nella regione della Perrebia (tra la Macedonia e la Tessaglia), a cui capo era Poliperconte stesso, e sulle truppe alleate degli Epiroti di Eacide e degli Etoli. Questi ultimi bloccarono la marcia di Cassandro verso il nord occupando le Termopili, ma il figlio di Antipatro aggirò la loro posizione e, per mezzo di imbarcazioni e zattere che aveva requisito dalla Locride e dall’Eubea, trasferì il suo esercito in Tessaglia. Mandò un distaccamento a tenere impegnato Poliperconte in Perrebia, mentre col resto delle truppe marciò verso la Macedonia.

Poliperconte non riuscì ad arrestare la marcia di Cassandro in quanto si trovava a corto di fondi e con le truppe in tumulto. Costoro aderirono ben presto alla causa di Cassandro quando questi promise loro un soldo migliore. Giunto incontrastato in Macedonia Cassandro trovò che Olimpiade insieme ad Alessandro, sua madre Rossane e il resto della corte si era chiusa in Pidna che essendo sul mare poteva essere soccorsa da una flotta qualora Poliperconte si fosse deciso a mandarla. Monimo e Aristonoo, due generali fedeli alla regina si chiusero a loro volta in Pella e Anfipoli, sperando in un soccorso esterno che non arrivò mai. Eacide tentò di attaccare Cassandro, ma trovò bloccati i passi che dall’Epiro conducevano in Macedonia. Il suo esercito fu percorso da tumulti perché l’oro sparso a piene mani da Cassandro aveva seminato la corruzione anche tra i sudditi del re dell’Epiro che scatenarono una rivoluzione, lo dichiararono decaduto dal trono e si appellarono a Cassandro perché mandasse loro un governatore. I rifugiati di Pidna rimasero così senza possibilità di aiuto. L’assedio si protrasse per parecchi mesi fino alla primavera del 315.

La guarnigione si difese ad oltranza, finché i soldati iniziarono a morire per fame arrivando a cibarsi di cadaveri. Olimpiade tentò la fuga via mare, ma venne intercettata dalle triremi di Cassandro; infine si arrese a condizione che le venisse risparmiata la vita, dando ordine ad Aristonoo e Monimo di consegnare le altre piazzeforti. Ma Cassandro non aveva alcuna intenzione di risparmiarle la vita. Lasciò che i parenti delle vittime che Olimpiade aveva ucciso durante la sua permanenza al potere, le muovessero un’accusa di tradimento, a seguito della quale l’assemblea macedone la condannò a morte. Olimpiade mostrando fino in fondo il suo coraggio e la sua alterigia non si presentò nemmeno al processo protestando che soltanto l’intero esercito macedone (inclusi quindi i contingenti irrimediabilmente sparsi per l’Asia) aveva il potere di giudicarla.

Secondo Diodoro:

"Cassandro, temendo che la moltitudine, ascoltando la regina che si difendeva e ricordando i benefici di Alessandro e Filippo verso tutto il popolo, cambiasse parere, inviò presso di lei duecento soldati scelti tra i più adatti, con l’ordine di eliminarla al più presto. Costoro, fatta irruzione nella casa della regina, quando videro Olimpiade, colpiti dalla maestà di lei se ne andarono senza fare niente; ma i parenti delle persone da lei fatte uccidere, volendo ingraziarsi Cassandro e vendicare i loro morti, uccisero la regina, la quale non compì alcun gesto indegno, né rivolse suppliche femminili. Tale fu dunque la fine di olimpiade che aveva goduto del massimo prestigio fra le persone del suo tempo".

L’OPERA DI CASSANDRO IN MACEDONIA E GRECIA (316-315)

Alla caduta di Olimpiade, Poliperconte, che si trovava bloccato nella città di Azorio in Perrebia, riuscì a svicolare verso l’Etolia, trovandovi l’altro Re senza più regno, Eacide di Epiro. Gli Etoli erano abbastanza bellicosi da poter resistere agli attacchi di Cassandro, ma non potevano far nulla per Poliperconte se non accordargli ospitalità. L’ex reggente aveva finito di ricoprire un ruolo politico di rilievo, anche se sarebbe riuscito a conservare la vita per molti anni.

Cassandro si era impadronito della Macedonia e vi esercitava un potere sovrano, anche se non rivendicò apparentemente altro che il posto di stratego d’Europa che non aveva mai riconosciuto a Poliperconte. Alessandro IV e la madre Rossane furono posti sotto tutela, o meglio segregati ad Anfipoli. Temendo la pubblica opinione per il momento non li fece fuori, ma, secondo le parole di Diodoro, allontanò da Alessandro il seguito di paggi e di tutori e ordinò che venisse educato come un privato qualsiasi. Cercando di imparentarsi con la famiglia reale impalmò una delle figlie superstiti di Filippo, Tessalonice e fece seppellire in modo regale Filippo III ed Euridice ad Ege. La sua politica verso i Greci seguì dove possibile un indirizzo completamente opposto a quella dei suoi grandi predecessori. Filippo aveva devastato le città della Calcidica: egli con gli esuli Potideati e Olinti, edificò la città di Cassandreia sul luogo dove sorgeva Potidea.

Ma la sua creazione più duratura fu la città di Tessalonica (nome che con leggera storpiatura è diventata l’odierna Salonicco), il cui nome fu ovviamente dato in onore della figlia di Filippo. Entrambe le città erano organizzate col sistema greco delle tribù e dei demi, ma, come tutte le altre, non potevano avere una vita politica propria, restando soggette al fondatore. Anche la rifondazione da lui promossa di Tebe in Beozia fu vista come una ripicca verso Alessandro Magno che l’aveva distrutta diciannove anni prima. Gli Ateniesi pagarono il loro debito di gratitudine verso i Tebani ricostruendo parte delle mura, ma la città rimase per molti anni incompleta, nonostante i generosi contributi di altre poleis e dei dinasti.
Ben presto riprese la lotta tra Poliperconte e Cassandro, ma essa si ridusse ad un continuo assedio delle cittadelle dell’uno e dell’altro diadoco nel Peloponneso, che da anni veniva devastato dal passaggio di questi eserciti. La lotta proseguì con fasi alterne nell’Argolide, nell’Arcadia e nella Messenia, ma quello che contava era che Poliperconte e il figlio di costui Alessandro, da avversari per l’egemonia erano passati a fattori di disturbo d’importanza locale. Anche gli Etoli, pur tentando ogni volta di contrastare il passaggio di Cassandro dalle Termopili, sembravano incapaci di impensierirlo. Il nuovo stratego d’Europa dominava quasi incontrastato così come Antigono in Asia.

La grande coalizione tra Cassandro, Antigono e Tolemeo aveva completamente vinto e distrutto il potere centrale rappresentato dalla corte e dai reggenti. Il tentativo di Antipatro di conservare il trono alla famiglia Argeade eleggendo come reggente un uomo ad esso fedele come Poliperconte, era naufragata per le incapacità di quest’ultimo, la carenza di buon senso e moderazione di olimpiade e la mancanza della necessaria autorità sui soldati di Eumene. Dall’altro lato avevano prevalso la capacità di intrigo di Cassandro e la perizia militare di Antigono. Ma la pace per la Grecia era ancora lontana: come già era ccaduto in precedenza gli alleati di oggi si sarebbero trasformati nei più feroci nemici del domani. Antigono, forte delle immense risorse di uomini e materiali provenienti dalla vittoria, si sarebbe gettato in un’avventura che lo avrebbe condotto a quindici anni di lotte incessanti contro i suoi ex alleati per tentare di ricostituire a proprio profitto l’impero di Alessandro.

 

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