HITLER
PRIMA MOSSA: INVASIONE CECOSLOVACCHIA 

Subito dopo l'annessione dell'Austria, nella crisi in Cecoslovacchia, Chamberlain si era illuso che Hitler lavorasse per la pace, ma Hitler improvvisamente rompe la tregua e a Berlino il 26 settembre pronuncia uno dei suoi discorsi piu' violenti. Si scaglia contro Benes, il Presidente della Repubblica Ceca. E' un ultimatum.


La voce arrabbiata di Hitler

( clicca sopra )

(richiede plug-in RealAudio® o RealPlayer®)

" Ich habe Herrn Benes ein Angebot gemacht. Es ist nichts anderes als die Realisierung dessen, was er selbst schon zugegeben hat. Er hat jetzt in seiner Hand: Frieden oder Krieg! Er wird entweder dieses Angebot jetzt akzeptieren und den Deutschen... endlich... die Freiheit uns jetzt holen."

" Ho fatto un'offerta al sig Benes. Non e' altro che la realizzazione di quanto egli stesso ha gia' ammesso. Egli e' ora arbitro della pace o della guerra! O accettera' quest'offerta ora e dara' finalmente la liberta' ai tedeschi... oppure... questa liberta' ce la prenderemo da noi"

LA SPADA DI  HITLER...
... SOSPESA  SULL'EUROPA
( E ANCHE SU MUSSOLINI CHE DOVRA' SCEGLIERE CON CHI STARE )

 

di GIAN PIERO PIAZZA

Il 1938, per la Germania nazista, è l'anno della grande svolta. Come un plantigrado dalla mole minacciosa che si risveglia dopo un lungo letargo, la potenza militare tedesca si erge sull'Europa dei contrasti e delle debolezze per rivendicare e conquistarsi lo spazio vitale necessario alla fondazione di un nuovo "millenario impero germanico". Nelle sue mire di egemonia su un mondo dominato da una razza superiore, quella dei biondi ariani tedeschi, Hitler, in cinque anni di cancellierato che dall'agosto del 1934 si è tramutato in una dittatura con poteri assoluti, ha saputo accattivarsi l'incondizionato consenso di tutte le classi sociali.

Sotto il suo dominio la Germania, umiliata dalla disfatta della prima guerra mondiale e vessata dalle sanzioni del trattato di Versailles che avevano polverizzato l'impero di Guglielmo II, facendo precipitare il popolo tedesco in una gravissima crisi economica, si era miracolosamente risollevata. Grazie anche all'acume politico e alle doti "manageriali" del vicecancelliere FRANZ von PAPEN, che aveva saputo ottenere dalle potenze vincitrici l'assenso alla risoluzione dei pesantissimi debiti di guerra, una rovina per le già agonizzanti risorse finanziarie tedesche, e riorganizzare tutte le componenti vitali del Paese, forze armate comprese, il dittatore nazista era riuscito a far uscire prepotentemente la nazione dal tunnel dell'inflazione galoppante e da una lunga fase di ristagnante sviluppo e mortificante povertà.

Con la ripresa economica avviata a tappe forzate nel settore dei lavori pubblici (nel 1936 la Germania possedeva, unica in Europa, una organica e capillare rete di grandi comunicazioni autostradali realizzata ufficialmente per avviare il progetto di diffusione di massa dell'automobile, ma finalizzata in realtà ai rapidi spostamenti delle colonne militari ), in quello dell'industria pesante, dei cantieri navali e degli armamenti, la Germania aveva rapidamente riconquistato quel benessere interno ridotto al lumicino dalla farraginosa, contraddittoria e imbelle conduzione politica della Repubblica di Weimar.

Il clima di esaltazione popolare che era scaturito con il prorompente impatto di un'inarrestabile valanga intorno alla carismatica figura di Aldolf Hitler, salvatore della Patria e arbitro incontrastato dei fulgidi, futuri destini della rinata Germania, era il più gratificante avallo a proseguire sul cammino di un disegno politico e militare basato sulla rivincita e l'estensione del predominio nazista nel continente. Il cittadino tedesco, galvanizzato dalla riaffermazione dell'orgoglio nazionale, abilmente orchestrata dagli infuocati discorsi di Hitler e alimentata dal contagioso tripudio delle parate e dei riti delle adunate di massa, riassume la gregaria identità del personaggio descritto trent'anni prima dell'avvento al potere del dittatore nazista da uno dei padri del romanzo realista tedesco, lo scrittore Heinrich Mann, fratello di Thomas.

Protagonista dell'opera "Il suddito", data alle stampe nel 1914, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, è il dottore in chimica Diedrich Hessling, il modello ante litteram di colui che impersonerà, di lì a qualche decennio, il tedesco tipo sotto il nazismo. Il romanzo, ambientato in un suo passo alla fine dell'Ottocento, comunica al lettore le emozioni provate da Hessling, all'epoca ancora studente, al passaggio del corteo dell'imperatore Guglielmo II: " Un'ebbrezza più nobile e più sublime di quella che dà la birra lo sollevava sulla punta dei piedi e lo innalzava nell'aria. Egli agitava il cappello alto sopra tutte le teste, in una sfera di follia entusiastica, in un cielo dove muovono in giro i nostri sentimenti più esaltanti. Là, sul cavallo, sotto l'arco delle sfilate trionfali, con i tratti marmorei e folgoranti passava il Potere. Il Potere a cui baciamo i piedi se passa sopra di noi. Il Potere che calpesta la fame, la rivolta e il disprezzo. Colui contro cui non possiamo niente, perché tutti lo amiamo; che abbiamo nel sangue perché vi abbiamo la sottomissione".

"Noi siamo un atomo di lui, una infima molecola di qualche cosa che egli ha sputato. Ciascuno di noi è niente, ma in masse ordinate, come nuovi Teutoni, come esercito, come amministrazione, Chiesa, scienza, come organizzazione economica e associazioni del potere, noi ci innalziamo a piramide fin lassù, dove sta lui, pietrificato e folgorante. Noi viviamo in lui, ne siamo parte, spietati contro quelli che ne sono lontani e trionfanti anche se egli ci distrugge: perché è così che egli giustifica il nostro amore". 

Con tali presupposti, basati sulla cieca fedeltà e la sviscerata ammirazione nell'uomo che si era posto alla guida della Germania, era giocoforza per il nazismo ottenere quel grande seguito con cui attecchì coagulando intorno a sé e al suo capo un consenso che neppure lo straordinario potere di Bismarck e di Guglielmo II aveva mai potuto conseguire. Nella sua inarrestabile scalata al successo politico Hitler si era garantito il favore unanime di tutte le categorie sociali, strumentalizzando il malcontento e le frustrazioni soprattutto delle classi più deboli e numericamente determinanti all'affermazione stabile del nazismo al potere.

La piccola borghesia, uno strato della popolazione "geneticamente" incline ad accettare l'avvento di un regime autoritario, identificava nel nazismo il compenso a tutte le umiliazioni e il gratificante senso di rivalsa a tante aspirazioni accantonate da decenni.

Il ceto medio accolse la svolta hitleriana che si poneva in eguale misura in contrasto con il disumano appiattimento del bolscevismo e la spietata logica del capitalismo americano come il supremo rimedio e baluardo al pericolo di un avvenire comunista e a quello di una società dominata dalle grandi concentrazioni di potere economico. Le masse contadine, dal canto loro, furono fin dagli esordi del nazionalsocialismo i più strenui seguaci e sostenitori del nuovo movimento politico, nei cui slogan propagandistici intravedevano l'unica vera sfida al potere politico prevalentemente urbano, inconsistente e contraddittorio della repubblica di Weimar e di quei governi antecedenti al potere accentratore e senza rivali affluito poi nelle mani di Hitler. I grandi industriali, additati a torto come il braccio economico del nazismo, non erano stati agli inizi i fautori della NSDAP, il partito di Hitler sorto nel 1923 sulle ceneri della DAP, il partito operaio fondato dal fabbro Anton Drexler con mire popolarnazionaliste che si ispirava a una forma di socialismo moderato.

Il futuro dittatore nel suo programma politico degli esordi aveva espresso la determinazione di voler "distruggere il capitalismo" e di sostenere l'applicazione di ardite quanto rivoluzionarie e confuse teorie economiche che avevano seminato riprovazione e panico negli ambienti dei ricchi industriali del Paese. Resosi conto del grave rischio di alienarsi l'appoggio del potere economico, Hitler aveva perentoriamente accantonato ogni velleità di controllo sull'economia della Germania accontentandosi di perseguire l'affermazione essenziale, quella sul piano politico. In fin dei conti l'importante era la conquista del potere, da cui dipendeva tutto il resto. E alla fine anche la grande industria, anch'essa contraria alla democrazia popolare, alla pericolosa opportunità di contrattazione offerta ai partiti e alle organizzazioni sindacali operaie dalla repubblica di Weimar accettò a malincuore di schierarsi dalla parte di Hitler.

Anche gli intellettuali, fatta eccezione per una parte non indifferente di essi che pagarono tragicamente il loro rifiuto, dimostrarono una supina e accondiscendente forma di "allineamento" con il nazionalsocialismo. "Parecchi scrittori e uomini di cultura", scrive ancora Klaus, figlio di Thomas Mann, nella sua "Storia della Germania moderna", "si ritirarono nella loro sfera più intima, evitarono i giudizi sul presente e non delusero la cerchia dei loro lettori. Questo era possibile, ma molti altri intanto agivano diversamente. Conducevano una parte attiva, si ravvedevano, scrivevano nel modo insensato che ci si aspettava da loro. Lo facevano per debolezza, tanto più che sottomettersi al successo approvandolo era un antico vizio dello spirito tedesco, o per semplice ambizione, o più sovente per desiderio di guadagno.

Erano infatti imprese redditizie in quell'epoca il teatro, il cinema, la radio, la stampa, le pubblicazioni. Ed erano perciò facili prede dello Stato. Lo Stato nazista aveva la stessa acuta sensibilità per l'impresa culturale come strumento di potere che avevano dimostrato già prima i comunisti russi. Non si doveva scrivere, creare, rappresentare e offrire divertimenti al di fuori di quello che piaceva ai nazisti". Blanditi da irresistibili lusinghe e dal proprio tornaconto molti intellettuali si schierarono dunque apertamente con il partito hitleriano, che con insospettabile acume e una consumata astuzia riuscì anche a fornire loro gli alibi morali e patriottici necessari a farli capitolare. Il compito più arduo rimaneva la caccia al consenso della classe operaia, ma quando si piega l'intellighenzia di un'intera nazione che aveva potuto vantare i fasti intellettuali di una moderna Atene lo spazio per una protesta da parte dei lavoratori diventava inevitabilmente molto esiguo. Ciononostante non si può non rimanere perplessi di fronte all'adesione totalitaria se non alla sostanziale solidarietà dei lavoratori che si produsse a un certo punto nei confronti del nazismo.

Gli operai, che evidentemente non erano indenni dal contagio psicologico che man mano si estese a tutta la popolazione tedesca, erano pur sempre gli stessi che in poco meno di un secolo di lotte sociali e politiche si erano guadagnati un posto preminente nelle avanguardie europee delle conquiste sindacali. Tuttavia, nei dodici anni in cui la Germania fu dominata dalla ferrea morsa della dittatura nazista, quelle masse che avevano contribuito con milioni di voti all'affermazione della socialdemocrazia e delle sinistre rivoluzionarie stettero a guardare, preferendo assumere il ruolo di muti e consenzienti complici.
Hitler d'altro canto si era ben guardato dall'applicare soltanto il terrorismo contro la classe operaia.

Dopo avere spento l'ultimo sussulto della contestazione popolare al nazismo nelle trincee davanti a Madrid, dove i 500 miliziani tedeschi del battaglione Thalmann si fecero massacrare per difendere gli ultimi sprazzi della repubblica spagnola, il dittatore nazista riuscì a coinvolgere milioni di lavoratori tedeschi con una politica in cui diede ampio spazio alle speranze dei ceti meno abbienti che conquistò definitivamente al suo carro con il rilancio dell'occupazione e il ritrovato benessere.

A partire dal 1935, l'anno della grande ripresa favorita dal riarmo, la disoccupazione scomparve di fatto, come scomparvero i sindacati, determinando le condizioni favorevoli per l'irreggimentazione del popolo tedesco asservito nella sua stragrande maggioranza al giogo nazista. E' in questo clima di assoluta connivenza nazionale che Hitler il 4 febbraio 1938 destituisce il ministro della Difesa generale Blomberg assumendo personalmente il comando supremo dell'esercito. Il 12 marzo, con il consenso di Francia e Inghilterra suggellato dal patto di Monaco, truppe tedesche occupano militarmente l'Austria annettendola senza resistenza alla dominazione del Terzo Reich. La follia che sempre accompagnò il dittatore nazista nel perseguire il dominio del mondo era evidentemente suffragata da un finissimo intuito politico che lo indusse a inglobare a sé tutte le forze possibili con l'arte della mediazione politica prima di esporsi militarmente in un conflitto di forze.

La prima carta l'aveva giocata il 7 marzo 1936 con la rioccupazione militare della Renania, in cui era dislocata una parte consistente dell'industria pesante. Una concessione ottenuta a tavolino con l'arte della trattativa multilaterale. I governi di Francia e Inghilterra avevano preferito abbozzare alle mire espansionistiche interne del dittatore nazista ottenendo in cambio la promessa di non ingerenza tedesca sui territori delle nazioni confinanti dell'Est europeo. Ma l'ingordigia di Hitler diventava insaziabile. Con la stessa tattica il capo del nazismo aveva posto sul tavolo del negoziato la rivendicazione del territorio dei Sudeti, una zona della Cecoslovacchia popolata in prevalenza da cittadini di nazionalità tedesca. E nel settembre del 1938, la Germania la spunta annettendosi quel territorio. 

Hitler, elettrizzato dai successi ottenuti e dalla supina accondiscendenza delle controparti, tenta il tutto per tutto e pone la richiesta di occupare Danzica, il porto polacco sul Baltico per aprirsi uno sbocco al mare.
La Polonia si affretta a stipulare un trattato d'alleanza con gli inglesi nel timore di un'occupazione nazista. Ormai Hitler non può più tergiversare e giocare d'astuzia e decide di agire a carte scoperte. 

Il 1° settembre 1939 le divisioni del Reich invadono la Polonia. Comincia per il popolo tedesco la cruenta e tragica avventura del secondo conflitto mondiale che trascinerà la Germania nel baratro della sconfitta e della distruzione.

di GIAN PIERO PIAZZA

Storiologia ringrazia per l'articolo 
FRANCO GIANOLA, 
direttore di Storia in Network

FRASI SULLA GUERRA, SULLA PACE
DI MUSSOLINI E HITLER > > >

< < ritorno alla TABELLA di Hitler

OPPURE FAI RITORNO ALLA
PAGINA DI PROVENIENZA CON IL BACK

HOME PAGE STORIOLOGIA