indice QUADRO 22

* Premessa
* Emigrazione contingente e duratura
* Aumento della popolazione e povertà del suolo
* Vantaggi e svantaggi dell'emigrazione
* Snazionalizzazione degli emigrati


"New York - " ..sono 3000, sono arrivati, sono tutti sulla banchina, stanchi, affamati, con in mano le valigie di cartone e il "libretto rosso" (che li bolla come analfabeti) o il "foglio giallo" ("sa leggere!") che dà qualche maggiore speranza; ma per tutti c'è ora la quarantena, un attesa lunga, snervante; e per alcuni -che prima di partire hanno venduto case e podere, o si sono indebitati per fare il viaggio-  non è solo stressante ma è un'attesa angosciante".
(da un cronista dell'epoca - 1920)

Nel 1901 era peggio:


"Ammonticchiati là come giumenti
sulla gelida prua mossa dai venti
migrano a terre ignote e lontane
laceri e macilenti
varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero
vanno, oggetto di scherno, allo straniero
bestie da soma, dispregiati iloti
carne da cimitero
vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
(Edmondo De Amicis- 1901)

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ci siamo forse dimenticati dei nostri "barconi" ???

Fatta l'Italia, tra il 1870 e il 1970 dovettero emigrare all'estero
più di 26 milioni di italiani "scacciati" dalla miseria.
26 MILIONI !!!

“Siamo il disonore, la vergogna dei governi”, cantavano amaramente gli emigranti italiani costretti a lasciare la loro terra e i loro affetti, per cercare lavoro e “fortuna” all’estero, proprio ai tempi della Belle époque.
Si imbarcavano per la “Merica” (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, Venezuela) o per l’Australia, o varcavano le Alpi - anche da clandestini - diretti in Francia, Svizzera, Germania, Belgio, Inghilterra.
Andavano a fare i lavori più umili e più pesanti, spesso disprezzati, insultati, criminalizzati, talvolta persino linciati.

http://cursa.ihmc.us/rid=1217505830973_1845765462_7572/Emigrazione.cmap

seguono più avanti

Emigrazione negli Stati Uniti (1908)

Emigrazione nel Brasile (1923)

Emigrazione in Argentina (1932)

Colonizzazione
Emigrazione controllata
Terre di popolamento
Questa breve storia dell'emigrazione italiana prende lo spunto da un articolo pubblicato il 26 ottobre 2000, con uno sconcertante risultato uscito da un'indagine tra i ragazzi del Veneto; proprio una delle regioni italiane che è stata maggiormente colpita dall'emigrazione in anni non lontani, (1880-1925) verso l'estero....
(Vedi l'impressionante TABELLA  REGIONI - EMIGR.  1876-1900 - contenuta qui > > )
.... e in anni più recenti  (1946-1970) verso il triangolo industriale e le risaie del Nord-Ovest, o le miniere del Belgio. Proprio per il Belgio, nel Veneto c'è una punta dolente dell'emigrazione della sua gente nei primi anni '50. Fu la disumana e umiliante legge varata il 19 ottobre 1945. Questa era un'intesa del governo italiano con quello belga  che si impegnava a dare all'Italia (alle sue acciaierie!), 24 quintali di carbone fossile all'anno per ogni italiano che si recava a estrarlo nelle sue miniere, dove nessun belga  voleva più scendere. Il governo con il successivo accordo del 23 giugno del 1946 lo ampliò e sottoscrisse l'impegno per favorire l'invio in Belgio di 50.000 italiani. Il contingente necessario per questo scambio uomini-carbone, fu quasi interamente messo insieme con la popolazione Veneta (in territorio vicentino ben 23.000).
La rabbia dei Veneti viene mirabilmente descritta in un passo de I va' in Merica una poesia del grande Berto Barbarani, ricordando la prima massiccia emigrazione di fine secolo.
"Porca Italia - i bastemia - andemo via!"
Per coloro che rimasero fame, tasse (in particolare sul macinato, una vera e propria tassa sul pane e quindi sulla miseria) e la disperazione.
"nelle nostre campagne sono poveri tutti, i fittavoli, i proprietari di fazzoletti di terra; incredibilmente poveri i braccianti, i salariati, gli artigiani" così scriveva D. Lampertico.
E sentiamo cosa scriveva un  giornale da sempre nazional-tricolore  a pochi mesi dalla "liberazione" degli austriaci.
"Fra le mille ragioni per cui noi aborrivamo l'austriaco regime, ci infastidiva sommamente la complicazione e il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l'eccessivo numero di impiegati e specialmente di guardie e di gendarmi, di poliziotti e di spie. Chi di noi avrebbe mai immaginato che il governo italiano avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale, di pubblica sicurezza, tre volte tanto di carabinieri" (l'Arena di Verona, il 9 gennaio 1868)
Un battagliero giornale satirico dell'epoca così commentava l'unità "Noi l'abbiam fatta! l'abbiam fatta noi / -dicono in coro gli italiani eroi- / l'avete fatta, è vero, ma per Dio, / puzza che leva il fiato! dico io" (L'Asino, giornale satirico-  ripreso da l'Arena del 5-9-1988)

I "liberatori taliani" arrivarono al punto di proibire le tradizionali processioni religiose in quanto "assembramento pericoloso per l'ordine pubblico" (Dalla Difesa del Popolo, settimanale della Diocesi di Padova).
 
Tutto ciò non accadde solo a fine '800 e inizio '900. Altrettanto accadde dopo qualche decina di anni (nel secondo dopoguerra - 1946 ) non solo verso l'estero ma verso il Biellese, nel Vercellese e nella Lomellina, quando a metà anni '50, la risicoltura si ritrovò ad avere a disposizione per il trapianto e la monda del riso solo il 3% della manodopera locale rispetto al fabbisogno necessaria per le due stagioni. (l'autore che qui scrive è di Biella, quindi bene informato) 
Tutti i locali erano andati a lavorare nelle fabbriche. A Biella nei 450 lanifici, cotonifici, maglifici,  per ogni 100 biellesi c'erano a disposizione 160 posti di lavoro. Posti in abbondanza, stipendio tutto l'anno, e lavoro meno massacrante. Ecco perchè i locali  letteralmente svuotarono le campagne e le risaie.
"Ciao Baragia (le grandi risaie fra VC  Biella e NO) 'nduma a travajè a Biela".

Con una paga irrisoria (un terzo di un salario di un operaio in fabbrica a Biella) e un "regalo" in natura (un sacchetto di 10 kg di riso a fine stagione) si trovò una soluzione con il grande serbatoio di manodopera giovane e femminile del Veneto.

I nuovi "negrieri" procacciatori, trovarono e formarono interi "speciali" convogli di sane e prosperose ragazze di Rovigo, Vicenza, Padova. Erano perlopiù giovanissime e venivano alloggiate come mucche in grandi capannoni -con un materasso di lola di riso e lì a centinaia, una accanto all'altra con il loro fagotto di cenci accanto al letto. A nanna alle 8 di sera.
(essendo allora anch'io ventenne, con gli amici facevamo le incursioni notturne attorno alle baracche. Ma la viglianza delle "matrone" non perdonava. Guai a chi non era in "branda", come e peggio dei militari in caserma.

Pranzo sobrio a mezzogiorno nelle stesse risaie e grande minestrone di riso alla sera. Poi subito a nanna, per essere pronte il giorno dopo, per 9-10 ore di seguito.
Le mondine svolgevano un lavoro faticosissimo con le gambe nell’acqua fino al ginocchio, la schiena curva, le mani sporche di fango e nei mesi di giugno e luglio sotto il sole dovevano sopportare il caldo, i miasmi e il continuo tormento delle zanzare e dei tafani.

Questo sfruttamento negli anni '50 fu un un vero e proprio "laboratorio" per le prime rivendicazioni sindacali delle donne, con scioperi e rivolte contro i "padroni". Se ne fece anche un famoso film "Riso Amaro" (un po' "mondato") dove una delle mondine era Silvana Mangano.
Ma ci vorranno purtroppo ancora 20 anni ( il 1974 VEDI > > ) per le prime conquiste sociali e non solo della donna.

Per i padri o i fratelli, che invece andarono in Belgio negli stessi anni, la scelta non fu certo migliore: a Marcinelle o a Charleroi,  minatori a centinaia e centinaia, e sono ancora lì, ma sepolti per sempre dentro quelle fatiscenti miniere che ogni tanto crollavano. Solo quando le tragedie erano enormi (come quella dell' 8 agosto '56 dove come topi morirono 256 minatori ) i giornali italiani ne parlavano.

Eppure (anni 2000) un ragazzo su tre non ha mai sentito parlare di quel fenomeno che è stata l'"emigrazione" esterna e interna  che nell'ultimo secolo ha sconvolto l'Italia. A sentire questi giovani intervistati, dall'Italia non è mai partito nessuno, con buona pace dei 30 milioni di connazionali che hanno lasciato la penisola o dei 5 milioni sradicati dagli ambienti d'origine nelle stesse regioni (del Sud) di quella medesima Italia negli anni del secondo dopoguerra.

L'indagine è stata condotta su 890 ragazzi tra i 16 e i 24 anni, in occasione di una mostra sull'emigrazione organizzata a Padova dall'assessorato alle Politiche sociali della Provincia.
Ben il 32 % degli intervistati, sull'emigrazione italiana non sa nulla.
Il 37 %  che sanno di sfuggita appena qualcosa, lo devono alla TV. 
Il 22 % ne hanno sentito parlare sì, ma a casa dai vecchi (e "barbosi") parenti. 

Fra quelli che ne sanno qualcosa con una serie di imbarazzanti strafalcioni e confusione è scoraggiante: SOLO 10 % di giovani ne hanno sentito parlare a SCUOLA; che forse ha l'obbligo di NON far sapere la Storia negativa dell'Italia, e che "i giovani hanno bisogno di esempi positivi e che il resto è niente" (così mi scrive una professoressa. Ndr.).
Ma qualcuno non ha scritto che "chi controlla il passato controlla il futuro"? Cosa facciamo? insegniamo ai nostri giovani a mettere la testa sotto la sabbia?

Così assistiamo a questa vendemmia di ignoranza.
Il 49 % ritiene che fra le ragioni principali che ha spinto gli italiani a emigrare sia stata la Prima e la Seconda guerra mondiale (grabe errore - semmai è stato proprio l'incontrario - vedi più avanti).
Solo il 21 % ha indicato come causa la mancanza di lavoro (per l'altro l'80% andavano all'estero per fare i turisti!! Sic!). Gli altri nulla sanno della disoccupazione fra il 1880 e il 1922, o dei morti causati con i fucili, o le cannonate di Beccaris nella grande Milano su chi reclamava il pane, o il "brigantaggio" per la fame del Sud).
Mentre il 28 % sono convinti che l'emigrazione italiana si sia sviluppata con la cosiddetta apertura delle frontiere nel calcio, come  Vialli (il 24 % lo ha indicato come esempio di italiano che ha "emigrato" all'estero).

Approfondendo l'aspetto economico-sociale, il fenomeno non li riguarda perchè -dicono- l'emigrazione è solo una "fastidiosa" "storia" di curdi, di albanesi, di romeni, di libici ecc.ecc. 
Dei loro nonni che emigravano, i giovani della new economy non sanno nulla. Dalla Storia che apprendono, i "dotti" hanno "cancellato" un secolo di Storia.

Poi si lamentano se centinaia di loro per pochi euro sono sfruttati (come le mondine) nei Call Center !!!

IL PRIMO PERIODO 1880-1930

L'emigrazione era iniziata in sordina  nel 1820, subito dopo le guerre napoleoniche e la restaurazione. Nel 1830 in America si contavano appena 439 italiani e continuò il modesto esodo su queste insignificanti cifre fino alla costituzione del Regno d'Italia, quando o per il rapido aumento della popolazione o per le prime repressioni nel Sud (molti "briganti", ma tecnici, fuggirono in Egitto facendo decollare quel Paese), o per le sterili (e punitive) politiche d'intervento adottate dallo statuto "Piemontese" (come anche in Veneto, abbandonato a se stesso). Il movimento migratorio conobbe a partire dal 1880 una emigrazione di circa 100.000 unità l'anno (principalmente proprio dal Nord-Est - l'80%)
Poi - con il
"tallone dei Savoia" - andò crescendo in proporzioni impressionanti sul resto d'Italia, e toccò il massimo quando a partire dall'anno 1913 ogni anno emigrarono 872.598 individui. (Nel periodo 1906-1910 furono complessivamente  3.256.000. E nel periodo  1911-1915 ne partirono altri 2.743.000 - Quindi prima della Guerra Mondiale).
Appena insediatisi al potere, al Sud fecero subito rimpiangere i Borbone: ruberie dappertutto, assassinii, fucilazioni, debiti nei Comuni, nelle Province. 
Milioni di debiti, arricchimenti facili. Distrussero in poco tempo l'economia del Meridione. Fecero sparire tutto: i macchinari delle fabbriche, i beni religiosi, i beni demaniali, libri antichi e persino le rotaie dei binari ferroviari.
Così uomini validi, nel fiore dell'età, perseguitati, abbandonavano città e paesi, il lavoro dei campi, e andavano a rendere fertili le terre altrui, e ad accrescere la ricchezza di popoli stranieri, costruendo dighe, porti, gallerie, grattacieli, palazzi, musei, ferrovie, o trasformando i deserti in terreni fertili. 

Lo scoppio della guerra europea, nel 1914-15, interruppe il movimento migratorio, ma al termine del conflitto con la crisi della consistente precedente produzione bellica,  la corrente migratoria riprese il suo moto, tanto che nel 1920 emigrarono 614.611 italiani, e dal 1921 al 1930 il totale fu di 2.577.000.
(in dieci anni l'Italia perse una popolazione superiore a quella dell'intero Lazio - 2.385.000 ab.)
L'Italia del 1900 contava 33.778.000 abitanti, il reddito annuo pro capite era di 2259 lire; la popolazione attiva era il 49,4% di cui il 61,7% era addetta all'agricoltura, il 22,3% all'industria, il 16% nei servizi.

Da Il Mondo, corso di geografia per gli istituti magistrale, della editrice SAEI, del 1930, prendiamo le tabelle che riportano la demografia nazionale italiana secondo le statistiche ufficiali.

Nel 1927 gli Italiani all'estero erano già 9.163.367, così divisi: 7.674.583 in America; 1.267.841 in Europa; 188.702 in Africa; 27.567 in Australia e Oceania; 9.674 in Asia.
In nucleo maggiore negli Stati Uniti d'America con la cifra di 3.706.000 di italiani. Nella sola città di New York vivevano 1.070.355 nostri connazionali. E le aziende agricole con italiani al lavoro ammontavano negli Stati Uniti a 18.235, delle quali 4.400 nella sola California.
Mentre in Argentina gli italiani erano già diventati 1.797.000, e quelli residenti in Brasile 1.840.000.
Dal 1931 le cose mutarono aspetto: sia perchè gli Stati Uniti limitarono il numero degli stranieri ammessi (vedi più avanti), sia perchè il Governo Fascista oltre che frenare e disciplinare il movimento migratorio nell'interesse della nazione, il felice periodo economico degli anni d'oro del regime permise di diminuire e quasi eliminare del tutto l'esodo. Infatti nel 1934 si toccò la modesta cifra di 68.461 emigranti  che addirittura  permise di pareggiare in positivo il saldo con quelli che fecero ritorno in patria.
SECONDO PERIODO 1946-1971

Dopo la seconda guerra mondiale, dal 1946 fino al 1971, l'emigrazione è nuovamente ripresa con ritmo assai intenso con 1.128.000 di emigranti  nel periodo 1946-1950; 1.366.000 nel periodo 1951-1955;  1.739.000  nel periodo 1956-1960;  1.556.000 nel periodo 1961-1965; e di 1.076.000 dal 1966 al 1970.
in 25 anni 5.737.000 (una popolazione pari all'intera Austria)

Si calcola che nel corso del secolo il totale dei partiti furono circa 29.000.000, e solo 10.275.000 fecero ritorno in patria (soprattutto dai paesi europei, rari i rimpatri dalle Americhe, e ancora più rarissimi quelli dall'Australia).
Una perdita demografica netta di circa  18.761.000 di abitanti nell'arco di poco più di due generazioni, pari alla metà degli abitanti dell'intera Italia del 1911.
Non dimentichiamo l'enorme vantaggio ricavati dai paesi ospitanti, che così  non hanno dovuto provvedere alla crescita, all'educazione, all'istruzione professionale dei lavoratori, che invece la collettività nazionale ha investito con denari, mezzi ed energie.

A queste perdite effettive, si devono aggiungere i danni derivati dal dislivello creato nella popolazione tra maschi e femmine. Fortissimo quello del primo periodo (Ottocento- Primo Novecento) quando gli uomini che abbandonavano l'Italia rappresentavano l'85% e le donne solo il 15%. Un po' meno nel secondo periodo (a destinazione europea) con una proporzione del 65 % uomini e già un 35 % donne.

Ma più che il danno di questa proporzione tra i due sessi, il danno maggiore fu per la elevata proporzione nella composizione per età. L'emigrante del primo periodo con una età dai 15 ai 45 anni rappresentava l'80%.
Nel secondo periodo calò ancora,  dai 15 ai 30 anni rappresentavano il 78% nelle correnti europee, e l'87% nelle correnti transoceaniche.
Anche con dei conteggi molto approssimativi, la perdita potenziale dei mancati matrimoni e delle relative nascite evidenziano una perdita demografica considerevole, che ha enormemente contribuito all'invecchiamento della popolazione italiana come nessun altro paese al mondo.

IL FENOMENO - Tra le cause economiche e sociali che hanno determinato questo grande esodo:
la prima di queste (nel primo periodo) è quella dovuta a un incapace sistema politico-economico (liberal-borghese) di fare scelte mirate allo sviluppo dell'agricoltura (l'unica forza lavoro allora disponibile e possibile per mobilitarla nelle terre incolte);  mentre nel secondo periodo alla diminuzione degli occupati agricoli dovuti alla meccanizzazione non corrispose una pianificazione nazionale, nè l'incentivo per incrementare altri settori produttivi (ma anche quello della stessa agricoltura)  in altre regioni.
(personalmente mi rammento che nelle Puglie un piccolo anziano proprietario, partiti tutti i suoi tre figli per il Nord, dovette rinunciare a coltivare in proprio il suo podere non avendo braccia (i trattori erano allora ancora dei mezzi sconosciuti; e non solo al Sud, ma anche in Romagna, in Toscana, in Veneto, e paradossalmente anche in Piemonte e in Lombardia (entrambe con gli interessi sull'auto, non trattori o camion).
Anzi gli effetti  perturbatori  dell'industrializzazione di una sola zona del Paese (il famoso triangolo Nord-Ovest) provocarono subito dopo il secondo dopoguerra, bibliche migrazioni interne, sconvolgendo le stesse regioni italiane. In negativo da dove partivano, ma neppure positivo dove arrivavano.
Effetti negativi subito (con l'urbanizzazione selvaggia e il non decentramento delle industrie); fu poi negativo anche dopo a distanza di molti anni. Infatti, passato il "miracolo economico" nel Nord, con i 5 milioni  meridionali in età lavoro, dopo venti-trenta anni lo stesso Nord si è ritrovato le cambiali in bianco firmate negli anni '50 e '60, che sono poi i vari servizi sociali e le pensioni di vecchiaia degli anni 2000, alleggerendo non di poco il Sud attuale, da dove i 5 milioni erano partiti, lasciando nei loro paesi quella generazione che oggi è quasi tutta estinta. Un sottrazione di risorse umane dai propri territori non solo di manovalanza ma anche professionali.

Ma ritorniano ad analizzare l'emigrazione del primo periodo (1880-1925). Vi scopriamo che praticamente quasi tutte le regioni d'Italia contribuirono a questi grandi esodi, ma furono maggiormente  penalizzate da una politica economica squilibrata quelle regioni dove i governi  dimenticarono (volutamente - così restavano un buon serbatoio di manodopera a basso prezzo)  le economie locali; quelle a Sud come quelle a Est.
("Ma che diamine se mettiamo le industrie e est o nel sud, non solo noi non vendiamo più a loro i nostri prodotti, ma non abbiamo più il "serbatoio" di manodopera, che ci è utile a calmierare i salari nel nostro nord").

Dei 16.630.000 emigrati (1880-1925)  il 50 % erano del Nord (3.632.000 solo del Veneto); l'11 % del Centro (1.919.000);  il 39 % del Sud (6.503.000).
Queste cifre rispecchiano il carattere della formazione economica (oltre che amministrativa) del nuovo Stato Sabaudo. Cioè le "annessioni" e la "Piemontesizzazione" forzata. Mentre Genova, Torino, Biella, Vercelli esplodevano rispettivamente  con le prime grandi industrie ferroviarie, navali, elettriche, chimiche, meccaniche, tessili, agro-risicole e vinicole
.
Solo la Lombardia non cadde nelle spire della "Piemontesizzazione", ma alle spalle aveva già una grande vocazione e tradizione industriale che non poteva certo essere colonizzata dal regno Sardo che soli pochi anni prima del 1848 era uno degli stati  più arretrati e meno "illuminati" d'Europa.
Il Piemonte, che era anche lo Stato più indebitato d’Europa, si salvò dalla bancarotta ammortizzando negli anni dell’unificazione il “suo” debito pubblico con gli abitanti dei territori conquistati. Furono venduti, con prezzi irrisori, a una casta di privilegiati tutti i beni privati dei Borbone e gli stabilimenti pubblici civili e militari delle Due Sicilie. Tutte le spese per la “liberazione” e dei lavori pubblici (affidati alle speculazioni delle imprese lombardo-piemontesi) furono addebitate proprio alle regioni “liberate” (!!).
 
Anche l’arretrato sistema tributario piemontese fu applicato nel Napoletano ed in Sicilia, che fino allora avevano avuto un sistema fiscale mite, razionale, semplice e soprattutto efficace nell’imposizione e nella riscossione, indubbiamente tra i migliori in Europa (Lo Zar in visita a Napoli ne fu impressionato). Al Sud con la politica sabauda, fu applicato un aumento di oltre il 32 per cento delle imposte, mentre gli fu attribuito meno del 24 per cento della ricchezza “italiana”.

Per le bonifiche delle aree agrarie tra il 1862 e il 1897, si spesero 267 milioni al Nord, 188 milioni nelle regioni centrali e solo 3 milioni al Sud !.

Queste deliberate scellerate scelte politiche (e questo accadde sia nel primo periodo che nel secondo) favorivano con ogni mezzo gli espatri, spesso su pressioni dei paesi esteri, avallati dai politici italiani perchè alleggeriva il mercato del lavoro nazionale della manodopera superflua (causa in Italia di tante tensioni sociali), pur tenendo presente che il mondo industriale non voleva permettere di oltrepassare certe quote oltre un certo limite per non correre il rischio di dover aumentare i salari a causa della scarsa offerta di manodopera nelle fabbriche, soprattutto torinesi e milanesi.
Era insomma una valvola di sfogo economico e un mezzo per il controllo sociale.
Anche i cattolici temevano l'emigrazione per ragioni etiche e di controllo sociale: l'additavano sia come una causa di alcolismo, di dissolutezza, di adulterio e quindi di dissoluzione dell'istituzione familiare.

Fino al varo delle legge sull'emigrazione del 1888, l'emigrante era addirittura considerato un soggetto "pericoloso" e il controllo dei suoi movimenti rientrava in una normativa poliziesca di controllo dell'ordine pubblico. La legge poi riconobbe finalmente la libertà di emigrare.
E altrettanto fece poi la Chiesa nel 1900, quando monsignor Bonomelli creò l' Opera Bonomelli una specie di assistenza all'emigrante. Specularmente ne fecero una anche  i socialisti creando a Milano la Società Umanitaria.

Pro e contro l'emigrazione c'erano dentro sia nelle file della destra come in quelle della sinistra, e questo sta a significare che entrambi i politici non afferravano il problema.
Chi invece lo afferrava bene erano gli industriali, i manufatturieri; un po' meno i possidenti agrari che temevano la rottura dei patti colonici, la diminuzione di manodopera e ovviamente l'aumento dei salari dei loro contadini fino allora sfruttati.
Poi quando ci furono le prime rivolte, nel vederne partire un bel po' anche loro si rincuorarono.

Gli economisti (liberisti) dell'epoca (ma ancora oggi giustificano quelle scelte) consideravano il meccanismo emigratorio come un equilibratore nel quadro generale dei mezzi dell'economia, sostenendo che non si poteva tenere il passo con l'incremento demografico nonostante i progressi dell'industrializzazione; che non si potevano creare tanti posti di lavoro quante erano le persone in grado di occuparli. Che l'emigrazione (il riversare il surplus demografico in altri paesi) era insomma una valvola di sicurezza del sistema economico italiano. Ovviamente nemmeno presero in considerazione se era possibile inserire tale surplus nella vita economica nazionale operando allo stesso modo (lasciamo perdere i paesi transoceanici) come gli altri paesi europei, che si avvantaggiarono di questa manodopera, non perchè erano carenti demograficamente, ma perchè i nostri emigranti procuravano una fonte  di non indifferenti profitti a determinati settori economici; che così si avvantaggiarono enormemente fino al punto di avere un surplus non di uomini, ma nella produzione, che potevano così destinare all'esportazione nella stessa Italia, carente perfino di derrate alimentari sia nel primo periodo come nel secondo (e questo in un paese ancora essenzialmente agricolo; ma purtroppo carente di mezzi, di risorse e di attenzioni).

In Belgio più nessun locale voleva scendere nelle miniere, o in Svizzera a fare il cameriere, o in Francia a fare il contadino, o in Germania a fare il facchino. E allora tutti aprivano le porte agli emigranti italiani, disposti a fare i lavori umili e in 50 a dormire in fatiscenti baracche.
E proprio in Belgio oltre la tragedia di Marcinelle (del 8 agosto del '56 dove avvenne una tragedia agghiacciante, 256 minatori rimasero senza via di scampo, a profondità abissali (più di mille metri) , le fiamme si impadronirono di un pozzo e da lì si propagarono negli altri)
morirono dal 1946 al 1956 oltre seicento lavoratori in altri incidenti in miniera.
Il Corriere della Sera,del 9 agosto 1956, così scrisse: " L'Italia può esportare dei lavoratori, ma non degli schiavi. Se il contegno dei datori di lavoro stranieri di quei Paesi costringono i nostri uomini a lavorare in condizioni di estremo e continuo pericolo, è doveroso intervenire in loro difesa anche sul piano politico e diplomatico, perchè gli eccellenti rapporti che intercorrono tra l'Italia e il Belgio non finiscano col soffrirne. Sappiamo che la C.E.C.A. è intervenuta nella questione per trovare una formula, che possa conciliare gli interessi delle società belghe con i sacrosanti diritti alla vita dei minatori italiani e con le giuste esigenze delle nostre autorità tutorie".

 
Così mentre in Italia l'emigrazione provocava degli squilibri demografici e disfunzioni nelle economie regionali e nazionali (con le accennate ripercussioni dopo e tuttora), in altri paesi proprio con gli emigranti italiani venivano riequilibrate tutte le attività economiche della vita collettiva, sempre più interdipendenti i mestieri umili con quelli più qualificati.
Se non ci fosse stato il serbatoio della manodopera italiana, per far accettare un posto di spazzino o di minatore, a un locale questi Stati avrebbero dovuto dargli un salario superiore a un ingegnere, e per far accettare un posto di contadino avrebbero dovuto dargli un salario superiore a quello di un loro buon impiegato. Per fortuna che c'erano gli italiani!!
(come oggi per fortuna ci sono gli immigrati, in Italia più nessun giovane 20-30enne ha intenzione di occuparsi nei macelli, nei trasporti, nei mercati generali, nelle acciaierie, a far l'idraulico, l'edile, ecc. ecc.)

Oggi ci è facile capire (chi vuol capire) quel fenomeno; visto che la stessa situazione (questa volta) si presenta all'Italia con l'immigrazione degli stranieri, che non solo questi si occupano di lavori umili che nessun italiano vuol più fare; ma riescono i più validi a calmierare anche i bassi salari in moltissime altre attività, ed ora perfino in quelle professionali.
Ma come ci dicono alcuni politici, allo stato attuale, gli stranieri ci sono necessari, guai se non ci fossero, non saremmo competitivi nelle esportazioni; inoltre i prodotti e i servizi per l'interno costerebbero molto di più.
Che è poi quello che scoprirono appunto i francesi, i tedeschi e gli svizzeri molti anni prima, e riscoprirono ancora negli anni '50 e '60. Quando l'Italia produceva auto e ne esportava il 40 %;  loro le compravano ma nel frattempo producevano camion, trattori e infrastrutture. La miriade di grandi e produttive aziende agricole nacquero in quei paesi proprio negli anni '50 e '60.
N. AUTO costruite in un anno e (fra parentesi) NUMERO VEICOLI INDUSTRIALI
GIAPPONE 579.000 (1.122.815)(!) --- INGHILTERRA 1.867.000 (464.000)
FRANCIA 1.390.000 (245.000) ----- GERMANIA 2.650.000 (314.000)
STATI UNITI 7.745.000 (1.562.000) ---
ITALIA 1.108.000 (59.000)

Da non dimenticare infine che oltre queste speculazioni calmieratrici abbastanza diffuse nella grande industria italiana dell'epoca, c'erano alcuni settori economici che dagli emigranti ricavavano una fonte di profitto non indifferente; come le banche con gli ingenti movimenti di capitali con le rimesse degli emigranti; poi le compagnie di navigazione; poi le varie agenzie di espatrio e infine tutto quel sottobosco di abusivi (ma anche note società di navigazione) che effettuavano l'esodo (partenze settimanali!!) promettendo una collocazione nei vari paesi, ma che poi senza scrupoli ("noi facciamo i marinai mica gli addetti all'ufficio di collocamento"!!) abbandonavano i malcapitati al loro destino; oppure erano loro stessi come vampiri a curare il rimpatrio di gente rifiutata e che prima di partire aveva venduto casa, campi e bestie per pagarsi il viaggio, spesso per una destinazione ignota, spesso scaraventati su una costa deserta, millantata come l'Eldorado.
(come noi oggi vediamo a Lampedusa!!)

Per la "Frode in emigrazione", delitto molto diffuso fino agli anni trenta, Mussolini corse ai ripari emanando una legge nel 1931, che condannava da 1 a 5 anni e a una multa salatissima  "chi con mendaci affermazioni o con false notizie, eccitando taluno a emigrare o avviandolo a un paese diverso da quello nel quale voleva recarsi, si fa consegnare o promettere somme di denaro come compenso per farlo emigrare"..."...sfruttando l'ignoranza, il disagio economico, o perchè non riesce a trovare in Italia i necessari mezzi di sussistenza e civili condizioni di vita". Se fu emanata questa legge è perché la ignobile truffa di gente senza scrupoli era abbastanza diffusa. (gli "scafisti" senza scupoli nell'Italia di allora abbondavano).

Per gli stessi motivi alcuni provvedimenti li avevano presi nel 1917 gli Stati Uniti imponendo un controllo sull'emigrazione indiscriminata straniera, vietando l'ingresso agli italiani analfabeti. Poi nel 1921 fu operata una seconda e più energica stretta con l'istituzione del sistema delle quote, che ammontavano a sole 5.790 unità all'anno. Solo nel 1965 una nuova legge americana abolì le quote, che permise a circa 23.000 unità all'anno di sbarcare nuovamente negli Stati Uniti per cercarvi lavoro (quando in Italia stava finendo il "Miracolo")
Dall'annuario del Reader's Digest, che riporta le tabelle del Servizio Americano di Immigrazione riusciamo ad avere la situazione di 150 anni di immigrazione negli Stati Uniti.

Sono 44.789.313 gli immigrati ammessi in USA da questi paesi tra il 1820 e il 1969:

Germania 6.900.000; l' Italia al secondo posto con 5.149.000;
Gran Bretagna 4.777.000; Irlanda 4.712.000; 
Austria-Ungheria 4.296.000; Canadà 3.941.000; Russia 3.346.000;  Messico 1.547.000; 
Svezia 1.266.000; Indie occidentali 1.033.000; Norvegia 852.000; Francia 726.000; 
Grecia 557.000; Polonia 557.000; Sud America 469.000; Cina 436.000;
Turchia 374.000; Giappone 360.000; Danimarca 360.000; Paesi Bassi 350.000;
Portogallo 346.000; Svizzera 341.000; Spagna 220.000; Belgio 197.000.
ed altri paesi minori.
Il gruppo etnico di origine italiana si fa ascendere, includendo la seconda e la terza generazione nonchè gli oriundi, a circa 14-15 milioni di unità. Concentrati nello Stato di New York, nel New Jersey, Pensilvania, Illinois, Connecticut, California.

Più difficile stabilire quelli nati in Italia e oggi residenti in Usa; nel 1969 ammontavano a 229.498 unità, ma non dimentichiamo che tutti i nostri immigrati tendono ad acquisire la cittadinanza statunitense per naturalizzazione, visto che è permesso farlo dopo soli 5 anni di permanenza. Un conteggio più realistico li fa ammontare (quelli sopra e i naturalizzati) a circa 654.000.
 
IL TERZO PERIODO

Dal 1971 l'emigrazione dall'Italia è quasi del tutto cessata. Il numero dei pochi espatriati è pari a quello dei rimpatriati, con un saldo quindi in pareggio. Questo fino al 1980.
Poi si è invertita la tendenza; da Paese di emigranti l'Italia si è negli ultimi anni (a partire dal 1980 come fenomeno) si è trasformata in Paese di immigrati
Il consistente flusso proveniente dai paesi extracomunitari ha iniziato da questa data a riversare un consistente numero di immigrati che solo con una legge del dicembre 1986 (la 943 - la cosiddetta "sanatoria") permetteva di regolarizzare tutti i soggetti entrati clandestinamente, che quasi nella totalità erano appunto in quella condizione. Ma una stima del 1988 dava presenti in Italia  800-900.000 stranieri,  ma soli 100.000 avevano provveduto a sanare la loro posizione. 
Il 15 marzo del 1988 si poteva osservare che degli 86.448 stranieri regolarizzati il 79 % erano uomini, il 20,9 donne.
Il 92,8 % era di età inferiore ai 45 anni, di ben 118 diverse nazionalità.
Nel dicembre del 1989 un'altra legge (la "Martelli") fu emanata per consentire un'ulteriore sanatoria e per definire i nuovi criteri di accessi. Ma anche questa è andata disattesa. 
Nel 1990 uscirono nuove statistiche che davano presenti (a secondo le fonti, spesso discordanti) circa 1.000.000- 1.200.000 di stranieri in Italia.
Ma ancora nell'anno 2000, seguitano a circolare e ad essere pubblicate queste cifre, ma nel frattempo (alcuni sembrano ignorarli)  si  sono verificati i massicci esodi dai paesi dell'Est, i flussi ininterrotti dai paesi dell'ex Iugoslavia, poi quelli dell'Albania, Romania, e si sono aggiunti consistenti contingenti da tutti i paesi nordafricani, dell'Asia minore, oltre a un numero imprecisato di orientali, soprattutto cinesi.
Nel 1999 in base alle informazioni delle questure locali, riportate dai giornali locali, gli stranieri presenti in Italia erano circa 1.925.000, di cui circa un milione figuravano non ancora regolarizzati. (totale circa 3 milioni)
Ma nel frattempo il flusso è stato continuo, drammatico sia quello dei rifugiati come quello dei clandestini. 
Quanti sono gli stranieri in Italia oggi esattamente nessuno lo sa. Nel 2013 qualcuno ha accennato a circa 4.600.000.

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REPORT DEL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO
nel 1946

(Nell'ultima parte il Ministro Plenipotenziario (come del resto Badoglio prima e i successivi governanti dopo - e con loro molti italiani che avevano contribuito con la Resistenza alla vittoria (!?) era convinto (siamo ancora al 1946) che gli Alleati avrebbero lasciato all'Italia le colonie (Badoglio aveva perfino nominato un ministro per le colonie italiane in Africa - Generale Gabba).
Al trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 ci fu poi il brusco risveglio!

Nel 1949, ci fu anche la beffa, un ubriaco all'ONU, sciolse il nostro "Impero al sole"
L'IMPERO ITALIANO: COSTATO SANGUE,
RESE ZERO, FINI' NEL RIDICOLO > >

PREMESSA

Emigrazione negli Stati Uniti (1908)

Emigrazione nel Brasile (1923)

Emigrazione in Argentina (1932)

Colonizzazione
Emigrazione controllata
Terre di popolamento

FINE

Ringrazio tutti gli emigranti italiani che mi hanno scritto da ogni parte del mondo.
Sono commosso dalle loro struggenti lettere.
Purtroppo non posso rispondere a tutti.
Ma vi saluto con tanto affetto. Franco

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VEDI ANCHE -
EMIGRAZIONE ITALIANA IN AUSTRALIA > > >

IL PIANETA SCUOLA NELL'ANNO 1971
( DOPO UN UTOPISTICO '68 !! ) > >

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