STORIA DELL'INQUISIZIONE

LIBRO V.
( seconda parte )

 

L' « AUTO DA FE' »

« Auto da fé » venne denominato dal Santo Uffizio spagnolo il rito chiamato dall'antica Inquisizione « Sermon». (la parola di origine spagnola-portoghese "auto da fé" etimologicamente e storicamente è un atto di fede)
Nel suo pieno sviluppo era un rito sfarzoso, compiuto in pubblico, accuratamente studiato in ogni particolare, per suscitare il timore della misteriosa autorità dell'Inquisizione e per saturare la popolazione di odio e ripugnanza verso l'eresia. Per quanto era possibile, la manifestazione doveva simbolizzare il dramma dell'estremo Giudizio Universale. Gli inquisitori lo consideravano come un dovere religioso di primissima importanza. Ferdinando. quando, nel 1499, si felicitò con gli inquisitori di Saragozza per il favorevole resoconto dei loro « auto da fé », raccomandò loro di perseverare nella loro opera di servizio divino, alleggerendo le loro anime e la sua.

Il cardinale Adriano, nel 1517, sollecitò nello stesso senso il Tribunale di Sicilia, invitandolo ad organizzare quanto prima gli « auto da fé », che, oltre al servizio divino, servivano per l'edificazione del popolo.
All'apice del suo potere l'Inquisizione non risparmiava, né fatica, né spese per dare il maggior effetto possibile all' « auto da fé », che doveva servire come espressione più convincente della propria attività. Nelle epoche primordiali dell'Inquisizione il rito era abbastanza semplice, e si limitava ad una cerimonia senza molta pompa.

Al primo « auto da fé », tenuto il 16 Agosto 1486, le vittime furono condotte a piedi sulla Plaza, con le mani legate sul dorso, vestiti da un giallo sanbenito, con l'iscrizione del loro nome e con la mitria sul capo. Sulla Plaza venivano allineati per tre, su di un palco a gradinate, mentre gli inquisitori ed i dipendenti prendevano posto sul palco di fronte. Leggevano la sentenza di ciascun condannato e, sebbene fossero molti, tutta la funzione, che iniziava alle sei del mattino, veniva terminata per mezzogiorno. Allora i condannati venavano subito portati al brasero, od al quemadero.
Pare che i primi « auto da fé » venissero organizzati esclusivamente per i condannati al rogo, con l'esclusione di ogni altra pena. Inoltre in quelle epoche gli « auto da fé » non venivano tenuti esclusivamente dai Tribunali. In una lettera di Ferdinando, del 21 Novembre 1498, diretta all'Inquisizione, viene fatto cenno agli « auto da fé » tenuti nelle minori città e si apprende che i condannati venivano distribuiti tra le varie sedi vescovili, dove il rito di esecuzione veniva tenuto in proporzioni minori, ma sempre allo scopo di tenere desto il timore del Santo Uffizio e l'odio contro l'eresia.

Si può supporre che nel 1515 gli « auto da fé » venissero concentrati nelle maggiori città, poiché un ordine reale disponeva al Tribunale di Ursia che gli « auto da fé » fossero da tenersi esclusivamente in quella città. Evidentemente in quell'epoca tendevano a dare maggiore effetto al terribile rito, inquantoché ordinavano che tutti penitenti dovessero comparire agli « auto da fé ». Questa era una disposizione molto spietata, poiché la sola comparsa ad un « auto da fé », era già calcolata come una pena severa. Effettivamente più tardi vennero istituti gli « autos particulares », cioè « auto da fé » in forma privata, dove dovevano scomparire i minori colpevoli, ai quali veniva risparmiata l'onta della pubblica umiliazione.

Il mantenimento degli « auto da fé » era affidato al discernimento dei Tribunali, i quali li organizzavano generalmente quando l'affollamento delle carceri esigeva una rarefazione dei prigionieri. Allova veniva convocata la consulta de fé, si mettevano d'accordo circa le sentenze e fissavano il giorno del rito. Poco alla volta però, anche in questo come ín molte altre cose, la decisione spettò alla Suprema. Nel 1537 venne emanato l'ordine che dovunque si proponesse il mantenimento di un « auto da fé » bisognava richiedere anzitutto l'approvazione della Suprema. La Suprema generalmente procrastinava la risposta, tanto che, in un caso, Reynoso fu costretto a mandare un corriere particolare per sollecitare. Egli scrisse che il mantenimento dell'« auto da fé » era necessario, per via dei detenuti ammalati, poiché infieriva la peste, ma anche agli effetti del mantenimento dei prigionieri, poiché l'erario, già nell'ultimo mese, aveva stentato a liquidare le spese, dichiarando di non aver più mezzi a questo scopo. Dietro questa motivazione convincente non tardò ad arrivare il consenso della Suprema.

Già i primi « auto da fé » non mancavano, pur nella loro semplicità, di creare una notevole sensazione nel popolo. Venivano eretti due grandiosi palchi gradinati, uno di fronte all'altro. Su uno prendevano parte i penitenti, con la loro guardia macabra, sull'altro gli inquisitori, i dipendenti e tutte le autorità civili ed ecclesiastiche, mentre le finestre delle case adiacenti erano riservate alle notabilità del paese ed alle loro famiglie.
La partecipazione al corteo dei Prelati e delle autorità era obbligatoria. Sebbene questi generalmente fossero orgogliosi di poter occupare i loro seggi, molte volte sorgevano dei diverbi per le precedenze, ed in questi casi qualcuno, che si sentiva leso nella sua dignità, si asteneva dalla partecipazione.

Nel 1486 le notabilità di Valencia non presero parte ad un « auto da fé » e quando Ferdinando ne ebbe sentore le ammonì, ordinando loro di non mancare per l'avvenire ad ogni manifestazione del genere, poiché nulla era più importante del Servizio Divino. Nel 1588 il Presidente del Consiglio reale di Castiglia emanò un ordine generale a tutti i giudici civili di partecipare al corteo. Nel 1598 gli inquisitori vennero autorizzati ad imporre ad ogni persona che ricoprisse una carica pubblica, di partecipare agli « auto da fé » sotto pena di scomunica.

Nelle occasioni più solenni i palchi erano molto costosamente addobbati e , quindi non mancarono le discussioni a chi spettasse di sopportare queste spese. Nel 1553 la questione venne decisa a Cuenza, in modo che la città doveva sopportare le spese della costruzione dei palchi come era già d'uso a Toledo. Nel 1632 Filippo IV ordinò alle autorità comunali di Madrid di far costruire i palchi, per il grande « auto da fé » di quell'anno, secondo i progetti dei più abile architetto. Così avveniva anche nel 1680, quando vennero tenuti lunghi consigli per decidere una complicata costruzione, eretta sotto la sorveglianza dei più distinti architetti, i quali consideravano questo dovere come un particolare onore.
Era indispensabile la presenza di almeno due inquisitori, poiché se uno mancava era vietato di dar seguito alla manifestazione. Il giorno fissato per il rito era sempre festivo, generalmente una domenica, e ciò per attirare una maggiore affluenza di pubblico.

Gli inquisitori erano padroni della situazione sotto ogni aspetto. Essi erano autorizzati ad erigere nelle pubbliche piazze i palchi, a dar disposizioni alla polizia per quel giorno e la loro prepotenza arrivava al punto di assegnare alle autorità civili ed ecclesiastiche i posti che credevano opportuno. Ma tutto questo fu superato dall'ordine di Filippo II, col quale il Re autorizzava gli inquisitori a disporre persino delle finestre delle case private. Contro quest'ordine, nel 1595, protestarono i Giudici di Granada ed il Governatore stesso, chiedendo che i proprietari di case non potessero essere obbligati a cedere le loro finestre. Ma Filippo non cedette e si limitò ad istruire gli inquisitori, acciocché rispettassero le case dei Giudici e del Governatore.

Il grande « auto da fé » del 1559 a Sevilla, ci dà un ampio esempio della incondizionata autorità dell'Inquisizione sulla polizia, che ormai si poteva considerare nelle sue mani. Gli inquisitori ordinarono che sin dalla mezzanotte della vigilia, fino alla fine del rito, nessuno portasse armi, né montasse a cavallo nella città, comminando una pena di cento scudisciate per i poveri e trenta giorni di reclusione, nonché il sequestro delle armi, del cavallo o del mulo per le persone abbienti.
Veniva affisso un gran numero di manifesti, in cui era descritto ogni particolare dello svolgimento della cerimonia, per la cui alla coreografia nulla era risparmiato.
Al grande « auto da fé » di Madrid, nel 1632, i Francescani insoddisfatti del posto loro assegnato nel corteo, dopo vive proteste, si ritirarono nel loro convento, per cui vennero denunziati alla Suprema.

Quando si erano raccolti casi in numero sufficiente per la creazione di un « auto da fé », gli inquisitori ne facevano comunicazione alla Suprema, la quale ordinava l'organizzazione della solennità. Allora gli inquisitori sceglievano una giornata festiva, ma almeno ad un mese di distanza, per aver il tempo per i preparativi. Quindi, al momento opportuno, incaricati e cancellieri a cavallo annunciavano, a suoi di tamburo e tromba ed in determinati luoghi si suonava il campanello ed il messo comunale annunciava : « Sappia ogni abitante di questa città che il Santo Uffizio dell'Inquisizione, per gloria di Dio e della nostra Santa Religione Cattolica, si prepara a solennizzare un pubblico « auto da fé », in luogo ed in tempo da determinarsi ».

Fervendo i preparativi; artigiani competenti venivano incaricati della costruzione e dell'addobbo dei palchi; si provvedeva una enorme quantità di ceri, per il corteo della Croce Verde. Venivano invitati i Frati Questuanti, i Parroci, per partecipare al corteo; si mandavano citazioni a tutti i dipendenti, cancellieri, consiglieri e deputati distrettuali, minacciandoli di ammende, qualora non partecipassero a questa processione organizzata alla vigilia dell' « auto da fé ».
Venivano designati i frati che dovevano provvedere agli estremi conforti dei condannati. Se vi erano effigi da portare in processione, venivano ordinati i fantocci e se vi erano anche delle ossa, queste dovevano essere poste in cassette nere, ai piedi dei congiunti, durante l'« auto da fé ». Sulla testa dei fantocci, vestiti di un sambenito giallo, si mettevano delle mitrie, dipinte a fiamme, mentre sul dorso era segnato il nome, l'ultimo domicilio e la colpa dell'effigiato. In corteo si portavano molte bandiere verdi e molti ceri. In mezzo alla processione si portavano, in una cassetta rivestita di velluto rosso e di frange d'oro, le sentenze, le cui copie venivano consegnate alle autorità civili. In testa al corteo il Priore dei Domenicani, portava una grande croce verde, mentre il Majordomo della Cofradia portava una immensa croce bianca. La bandiera con la quale il Procuratore apriva il corteo era di damasco rosso ed aveva da una parte un ricco ricamo con lo stemma reale. Dal mezzo della Corona sorgeva una piccola croce verde e a destra e a sinistra un ramo d'ulivo, emblema di San Pietro. I muli sui quali montavano i dipendenti dell'Inquisizione erano ornati di bardature sfarzose. Gli organizzatori dirigevano il corteo, con le loro bacchette d'argento. I tappeti ed i drappi del palco venivano generalmente forniti dalla chiesa parrocchiale, come anche i cori per la processione della vigilia e per le altre funzioni. Veniva designato anche il predicatore, generalmente
un Domenicano, sebbene a Madrid questo compito spettasse al confessore del Re.

Il giorno precedente all' « auto da fé » veniva ornato l'altare eretto sul palco e si mettevano candele e fiaccole attorno al pozzo, dove doveva essere esposta la Croce Verde. Gli inquisitori compilavano la nota di tutte le finestre che davano sulla piazza, sospendevano la circolazione dei veicoli e determinavano i punti dove si doveva sbarrare l'accesso alla piazza dell'« auto da fé ». Le autorità cittadine consegnavano la città all'Inquisizione, perché ne disponesse a proprio agio. La sera precedente alla manifestazione si organizzava la processione della Croce Verde, la quale procedeva lungo le vie precedentemente stabilite verso la Plaza, mentre i Frati cantavano il Miserere. Arrivati alla Plaza il Priore dei Domenicani poneva al disopra dell'altare la croce verde, che era poi vegliata per tutta la notte dai Domenícani stessi. La croce bianca veniva portata al brasero ed affidata ad una determinata corporazione, la quale doveva anche fornire la legna per il rogo. Il palazzo dell'Inquisizione era piantonato per tutta la notte dai soldati, i quali prima dell'alba svegliavano la popolazione al suono del tamburo. Alle nove del mattino il più anziano inquisitore, col suo segretario, visitava uno per uno i condannati, comunicando loro la sorte che li attendeva, lasciando presso ciascuno un Frate per la sorveglianza.

Prima dell'alba si celebrava la Messa nella Sala di dibattimento ed all'altare della Croce Verde. Al sorgere del sole offrivano la prima colazione a tutti gli spettatori. I condannati venivano portati soltanto un'ora prima della esecuzione, quando i penitenti venivano schierati accanto al muro della sala di consiglio, nello stesso ordine che dovevano mantenere nel corteo; tutti indossavano il sanbenito, con i relativi emblemi. Indi il corteo si avviava preceduto da un distaccamento di soldati; seguiva la croce della parrocchia, coperta da un drappo nero, accanto alla quale un Cappellano tristemente suonava una campana. Seguivano i prigionieri, ad uno ad uno, con accanto un dipendente dell'Inquisizione per ciascuno. Venivano prima gli imbroglioni, poi i rinnegatori di Dio, i bigami, i protettori di ebrei, i protestanti ed infine le effigi dei condannati morti o fuggiti e le ossa racchiuse nelle cassette, portate da messi. Dopo di essi venivano i servi dell'Inquisizione, a due a due, a cavallo tenendo spiegate le bandiere dell'Inquisizione ed alla fine gli inquisitori stessi.

Così procedeva il corteo, attraverso le vie determinate dove si assiepava una fitta folla di gente, sino alla Plaza, dove i colpevoli venivano fatti sedere nell'ordine della loro colpevolezza, in modo che i minori colpevoli fossero meno in vista, sui gradini più bassi.

Sui palchi vi erano persino due pulpiti sui quali si dava lettura delle sentenze. Sotto i seggi riservati ai membri del Tribunale vi era una camera, nella quale si servivano rinfreschi e dove gli inquisitori, i dipendenti, gli impiegati comunali ed i funzionari ecclesiastici, di quando in quando, si ritiravano a rifocillarsi. Un altro locale del genere era riservato ai notabi. Dopo la predica, il Segretario saliva al pulpito e ad alta voce dava lettura del giuramento di rito, col quale ogni persona presente veniva obbligata all'incondizionata ubbidienza verso il Santo Uffizio, nonché alla persecuzione dell'eresia. A lettura ultimata tutti gli spettatori dicevano « Amen ». Mentre le sentenze venivano lette alternamente dai pulpiti, l'Alguasil mayor portava ad uno ad uno i colpevoli perché udissero la loro sentenza. Non poteva aver luogo un'interruzione e, quantunque numerose, tutte le sentenze dovevano essere lette, anche se ciò fosse durato fino alla mezzanotte. Per questa probabilità si tenevano sempre pronte delle fiaccole e del personale. Le sentenze dei conciliati venivano lette in ultimo.

Quando non si riusciva ad ultimare la cerimonia prima del sopraggiungere della sera, l' « auto da fé » veniva protratto per tutta la notte, fino alla mattina seguente, poiché era essenziale che le esecuzioni avvenissero alla luce del giorno. Un plotone di soldati circondava i condannati, conducendoli al brasero. Durante il tragitto era necessario difendere i condannati dalle ire della plebaglia, che, non appena poteva, si avventava contro di essi, e talvolta li uccideva. L'autorità comunale forniva gli asini, sui quali montavano i condannati, nonché le legna per le torce. Dei frati appositamente incaricati accompagnavano i condannati al patibolo, non risparmiando fatica per raccomandare il pentimento e la conversione ai disgraziati.

Il rito pubblico terminava con la cerimonia della conciliazione e dell'abiurazione, dopo di che l'Alguasil mayòr e gli incaricati riconducevano i penitenti al palazzo dell'Inquisizione, dove ricevevano una cena e poi venivano rinchiusi in tre o quattro per cella. I sacerdoti della chiesa parrocchiale toglievano il drappo nero dai Crocifissi, riportandoli nella chiesa, mentre i Domenicani portavano la Croce verde nell'edificio dell'Inquisizione, cantando dei salmi durante il cammino.
Alle dieci del mattino l'Alguasil mayor, con il segretario e gli incaricati dell'Inquisizione, montati a cavallo in compagnia del giustiziere e del messo comunale. portavano sulla pubblica via coloro che erano condannati alle scudisciate ed alla verguenza, facendo eseguire su di loro la sentenza, con tutte le dovute regole. Ritornati poi al palazzo dell'Inquisizione, compilavano i certificati per coloro che erano condannati alla galera ed indi li trasferivano alle carceri reali. Con ciò era terminata la pomposa cerimonia, la quale, nei tempi in cui il Santo Uffizio era all'apice del suo potere, diffondeva terrore tra le file della popolazione.

Il brasero o quemadero era generalmente eretto fuori dalla città. Il Tribunale dell'Inquisizione non aveva più nulla a che fare con questo procedimento ad eccezione che il segretario e l'Alguasil stendeva il certificato della sentenza eseguita. Di conseguenza gli incartamenti dell'Inquisizione non contengono particolari di tale procedimento e soltanto dalla descrizione del grande « auto da fé » di Madrid, nel 1632, si trova qualche cenno al riguardo. In quell'occasione il municipio fece erigere fuori Puerta Alcala, il brasero che aveva le dimensioni di cinquanta piedi quadrati ed era munito di pali e di strumenti per lo strangolamento. Vi assisteva una grande folla e difficile fu il mantenimento dell'ordine. L'enorme fuoco del rogo si spense soltanto verso le 11 della sera, quando i cadaveri erano già completamente inceneriti e con ciò scomparsa ogni traccia dei miscredenti. La dispersione delle ceneri sui campi o nelle acque correnti era un'antica prescrizione, per impedire ai discepoli degli apostati di conservarle come reliquia. Tuttavia ciò non era un compito facile, poiché la carbonizzazione dello scheletro umano esigeva un lungo fuoco, che probabilmente non veniva fatto in quelle località in cui la legna era molto costosa.

Erano così tanti gli eretici condannati al rogo, che furono costretti a inventarsi qualcosa di speciale che consumasse meno legna dei tradizionali autodafé: costruirono uno accanto all’altro quattro enormi forni circolari sopra una piattaforma di pietra ognuno dei quali poteva contenere fino a quaranta «dannati». Accendevano un po’ di legna sotto la piattaforma, buttavano dentro le povere creature e le cuocevano a fuoco lento: occorrevano dalle 20 alle 30 ore per crepare. Funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli. 300 anni. Vennero chiusi da Napoleone Bonaparte nel 1808. Questo è riuscito a fare la Santa Inquisizione, sublime spettacolo di perfezione sociale (come scrive Adriano Prosperi citando un numero di La Civiltà Cattolica del 1853).

L' « auto da fé » pubblico che con i suoi terrori turbava la fantasia del popolo, in realtà non era che un'esigua parte dell'attività degli inquisitori. Era una cerimonia in grande stile, con la quale il Santo Uffizio dava rilievo all'importanza della propria missione. Tuttavia fu assai maggiore il numero delle cause sistemate negli « autos particulares » che venivano tenuti nelle chiese, nelle sale di dibattimento o in qualunque altro luogo adatto alle circostanze. Nel resoconto del Tribunale di Toledo tra il 1575 ed il 1610 figuravano 12 « auto da fé » pubblici ai quali erano comparsi 386 colpevoli, mentre nello stesso tempo 786 cause erano state sistemate negli « autos particulare ». La Giustizia dell'Inquisizione agiva in un vasto campo ed in certo qual modo era considerata come « custos morum » occupandosi di infinito numero di piccoli reati e mancanze quasi insignificanti. Discorsi spregiudicati, bestemmie, proposte disoneste, scritti ed oggetti d'arte di carattere pornografico, stregoneria, esorcismi ed altre mancanze lievi del genere venivano evase agli « autos particoulares », senza convocare la popolazione.

Gli « autos particulares », ossia « auto da fé » in forma privata, venivano tenuti molte volte nelle chiese, dove non venivano invitate, né le autorità ecclesiastiche, né le notabilità civili, ma la popolazione poteva parteciparvi in quanto vi fosse spazio disponibile. Più frequentemente, però, si tenevano gli « autos particulares » nella sala di dibattimento e si distinguevano in riunioni a porte aperte ed a porte chiuse. Persino l'appartamento del più anziano inquisitore veniva talvolta adoperato a questo scopo. Trattandosi di monache come peccatrici, l' « auto da fé » generalmente veniva tenuto. nel rispettivo convento. Nel caso di Suor Josefa de Villegas, avvenuto l'8 Agosto 1658, accusata di superstizione e stregoneria, e condannata a diverse pene, l' « auto da fé » venne tenuto nel Convento delle Agostiniane, a San Torquato, in presenza di tutte le Suore.

Quando la miseria divenne sempre più insopportabile, i Tribunali evitavano sempre più i pubblici « autos da fé » costosissimi, quantunque essi tenessero a questa manifestazione del loro orgoglio. Effettivamente avrebbero rinunciato tempo prima, per evidenti ragioni finanziarie, se non fosse esistito il severo divieto di pronunciare sentenze mortali nelle chiese. In ogni modo facevano di tutto per evitare sentenze di morte, per non andare incontro alle spese della fastosa cerimonia. Più tardi però escogitarono il mezzo di rinviare i predestinati alla condanna a morte, a Tribunali civili. Così a Valencia, quando Geronino Buenaventura, capo moro, venne condannato per ostinazione a renitenza, non si trovava un « auto da fé » dove la sentenza potesse essere eseguita.
Il 19 Novembre del 1635, dietro ordine della Suprema, lo mandarono a Valladolid, supponendo che in quella città avrebbero trovato modo di bruciarlo. Ma due anni dopo quel Tribunale rispondeva che non vi era « auto da fé » pubblico in progetto dove poterlo giustiziare e così la Suprema ordinò il suo trasferimento a Saragozza. Non ci é dato di sapere se in quella città la sentenza fosse eseguita, ma il solo pensiero che questo disgraziato fosse sballottato per degli anni, da un'estremità all'altra della Spagna, per trovare un posto cui bruciarlo, economicamente, rende ripugnante il modo di procedere dell'Inquisizione.

Non vi era speranza che la situazione migliorasse ed era infinitamente umiliante per l'Inquisizione di non trovarsi in condizione di poter bruciare i propri condannati. Bisognava dunque provvedere ad abituare la Suprema al nuovo stato di cose, e le discussioni si protrassero per quasi un quarto di secolo, fino a che il bisogno di liberarsi dalle spese degli « auto da fé » pubblici indusse la Suprema a rinunciare ai propri pregiudizi, concedendo che anche agli « autos particulares » si potessero promulgare condanne a morte, sempreché non si svolgessero nelle chiese. Ma contro di ciò protestarono le autorità civili le quali erano offese di non essere più invitate e di conseguenza che, non fossero loro riservati dei posti d'onore.
Per conciliare le cose la Suprema, Il 7 Aprile 1690, indirizzò un messaggio al Re, in cui esprimeva il proprio rammarico di essere nell'impossibilità di festeggiare gli « autos da fé » con l'antico sfarzo.

Così ebbero fine per sempre i solenni « autos da fé » pubblici, con i quali l'Inquisizione, nelle sue giornate migliori, era riuscita ad ottenere un effetto tanto profondo nella fantasia delle masse. Dopo di ciò ogni sentenza di morte venne promulgata sui territori non consacrati delle chiese, con un rito assai semplice ed economico. Ma non sarebbe giusto dedurre da ciò che il fanatismo religioso si fosse spento. Come ultimo tentativo gli inquisitori si rivolsero al sostituto Governatore, Don Manuel de la Founte y Davila, dichiarandogli che il mantenimento dell'« auto da fé » era un sublime dovere religioso, di cui si sarebbe potuto occupare con orgoglio anche il primo nobil uomo del paese.
Gli offrirono che gli incaricati dell'Inquisizione avrebbero portato le effigi dei condannati alla chiesa, se Don Manuel e qualche altro gentiluomo fossero stati disposti a portarli di là fino al brasero. Don Manuel accondiscese ed il suo esempio fu seguito dal Governatore Marchese Torre Mexia e da altri. Anche gli incaricati civili vennero persuasi a prendere parte al rito e così si riuscì ad eliminare l'antica abitudine, contrastante con la santità della funzione, dato che le esecuzioni venivano fatte dalle autorità civili.

Queste saltuarie manifestazioni di fervore religioso, nonostante l'autorità dell'Inquisizione, cominciavano a non riscuotere più un grande tributo di plausi. Al Tribunale di Toledo l'ultimo « auto da fé » venne tenuto il 7 Marzo 1778, in una chiesa. Vi si presentò un unico penitente, il quale venne condannato alla verguenza per stregoneria. Dopo di ciò verso la fine del Secolo vennero tenuti ancora nove « auto da fé » nelle sale di dibattimento, talvolta a porte aperte e talvolta a porte chiuse, ma a ciascuno non si presentò più di un penitente.
Da un punto di vista l'« auto da fé » illustra a colori vivaci il fanatismo spagnolo. Gli spagnoli consideravano questo rito come un divertimento, per la solennità che certamente piaceva agli illustri spettatori che intervenivano, ciò nel convincimento che quella fosse una manifestazione religiosa altamente significativa, al servizio di Dio e che avrebbe portato gloria al paese che l'aveva istituita per primo. Quando Carlo V, nel 1528, durante un viaggio, attraversò Valencia, organizzarono un « auto da fé », in onore del matrimonio di Filippo II e d'Isabella de Valois, figlia di Enrico II, re di Francia.
Era uno spettacolo grandioso, poiché il matrimonio reale, la riunione della Cortes ed il giuramento di fedeltà al Sovrano, riunivano colà tutta la nobiltà della Spagna.
Quando Re Filippo, nel 1564, si recò a Barcellona all'assemblea della Cortes Catalana, vi organizzarono in suo onore un solenne « auto da fé ». condannandovi alla galera un gran numero di francesi di Saint Sulpice, che l'Ambasciatore di Francia aveva invano cercato di proteggere.

Anche l'ascesa al Trono di Filippo III fu festeggiato con un « auto da fé », il 6 Marzo del 1600, a Toledo, presente il Re, la Regina Margherita d'Austria, il Principe di Lerma e tutta la Corte; in tale occasione Filippo giurò che avrebbe difeso ed appoggiato sempre il Santo Uffizio.
A Toledo vi erano allora solo pochi imputati, tuttavia riuscirono a raccoglierne quarantasei fra Cordova, Granada, Cuenza, Valladolid e Sevilla.
Il grande « auto da fé » di Madrid, nel 1632, venne tenuto per espresso desiderio di Filippo IV, per festeggiare la guarigione dal puerperio di sua moglie Isabella di Borbone. La coppia reale, col figlio Don Carlos, onorarono della loro presenza il rito.

La lunga serie degli « auto da fé » pubblici venne degnamente chiusa a Madrid, per le feste di incoronazione, il 30 Giugno 1680, in onore anche del matrimonio del giovane Carlos II con Maria Luisa d'Orleans. Vi parteciparono 67 penitenti e 51 conciliati. Si formò una scorta militare di 250 soldati, con a capo il Capitano Francisco da Salcedo. Il 28 Giugno essi furono comandati alla Puerta de Alcala, dove ogni uomo ebbe un ceppo di legno; di là marciarono fin dinanzi al Palazzo Reale, dove Salcedo consegnò un ceppo espressamente preparato al Principe Pastrana, perché lo presentasse al Re. Carlo a sua volta lo presentò alla Regina e poi lo restitui al Principe Pastrana, dicendogli che a suo nome lo portasse al brasero e lo gettasse per il primo sul rogo.

Evidentemente l'istruzione religiosa del Sovrano non era stata trascurata. Ma fu un presagio di migliore avvenire per la Spagna quando Filippo V, nel 1701, si rifiutò di presenziare al grandioso « auto da fé » che si voleva organizzare in suo onore, facendo cadere con ciò tutto il progetto.

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