.

La bandiera italiana

alcuni articoli, il sistema dei partiti, ecc.



Circa la bandiera Ruini intervenne a nome della Commissione, sostenendo la scelta fatta da quest’ultima: “un tricolore puro e schietto, semplice e nudo, quale fu alle origini, e lo evocò e lo baciò, cinquant’anni fa, il Carducci; e così dev’essere la bandiera dell’Italia repubblicana” [160] .

 
L’articolo 31

L’art. 31 della Costituzione ricalca quasi alla perfezione quello corrispondente inserito nel progetto della Commissione; l’unica modifica che venne apportata dall’Assemblea riguarda infatti l’omissione, nel secondo comma, del termine “istituendo”, riferito agli istituti necessari alla protezione di maternità, infanzia e gioventù.

Ruini intervenne difendendo e spiegando i motivi che avevano portato la Commissione a tale stesura ma, nonostante le proprie perplessità, rinunciò a “far battaglie” su questo punto, accettando le teorie di chi sosteneva che l’aggiunta dei verbi “promuovere” o “favorire”, in questo contesto, avrebbe spinto troppo avanti l’ingerenza statale.

L’articolo 34


L’importanza che Ruini attribuiva all’istruzione ed alla possibilità di formazione personale che lo Stato doveva offrire a chiunque si evince dall’intervento che fece nella relazione al progetto della Commissione: lo statista reggiano sottolineò, infatti, come fosse fondamentale inserire, nella Carta costituzionale, l’impegno di aprire ai capaci e meritevoli, anche se poveri, i gradi più alti dell’istruzione.

Per mettere maggiormente in risalto l’importanza di questo articolo, Ruini fece notare all’Assemblea [161] come sarebbe stato necessario mettere a disposizione, senza esitare, grandi stanziamenti: “si tratta di una delle forme più significative per riconoscere, anche qui, un diritto della persona, per utilizzare, a vantaggio della società, forze che resterebbero latenti o perdute, di attuare una vera e reale democrazia”.

L’articolo 35

Dopo aver già discusso il diritto al lavoro durante il dibattito sugli articoli 1 e 4 della Costituzione, Ruini vi si soffermò nuovamente quando l’Assemblea giunse a trattare dei “Rapporti economici”; gli studi compiuti sulle altre Costituzioni del mondo mostravano, e questo era il punto fondamentale, da lui sempre sostenuto, che la democrazia non era esclusivamente politica, ma anche economica e sociale.

Non si avrebbe dovuto avere nessuno scrupolo, secondo Ruini, che, “un secolo e mezzo dopo i diritti dell’uomo e del cittadino, siano dichiarati i diritti dei lavoratori” [162] ; per questo la Costituzione, secondo il progetto della Commissione, non avrebbe dovuto parlare di protezione del lavoro, forza essenziale della società, ma porre il compito della Repubblica di provvedervi con la sua legislazione e di promuovere accordi internazionali per le conquiste e la regolazione dei diritti del lavoro.

L’iniziativa economica privata

I primi due commi di questo articolo non furono contrastati e l’Assemblea li approvò quasi senza discuterli; per il terzo comma, invece, l’On. Arata propose l’inserzione della parola “piani” dopo controlli, precisando che la sua proposta non aveva lo scopo di porre all’Assemblea un’alternativa tra il sistema liberale e quello socialista, tra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, tra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale, ma soltanto il fine di disciplinare “quegli interventi o interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i Paesi” [163] .

L’opposizione all’emendamento Arata venne dall’On. Taviani che dichiarò di non capire i motivi per i quali la parola “piani” avrebbe dovuto essere inserita nel testo costituzionale visto che, a suo avviso, già l’espressione “i controlli” prevedeva un intervento dello Stato.

La soluzione giunse grazie ad una formula concordata, poi successivamente approvata, che, a nome della Commissione, venne accettata dal suo presidente, Ruini, il quale osservò che “l’idea base è quella del coordinamento, in quanto nessuna economia può ormai prescindere da interventi statali; il comunismo puro ed il liberalismo puro sono due ipotesi e schemi astratti che non si riscontrano mai nella realtà… La realtà è sempre una sintesi, una risultante della vita economica” [164] .

L’On. Einaudi propose di aggiungere un ulteriore emendamento con l’intento di eliminare, o quantomeno sottoporre al pubblico controllo, i monopoli, ritenuti dall’economista “il male più profondo della società presente, il danno supremo dell’economia moderna”; Ruini, per la Commissione, fece notare come l’art. 43 della Costituzione già prevedesse la nazionalizzazione dei monopoli, e l’Assemblea non approvò l’emendamento.

La tutela del risparmio e l’esercizio del credito

La preoccupazione dei costituenti, di porre una remora di natura costituzionale ai gravi disastri monetari che il paese, nel giro di trent’anni, e al termine di due guerre mondiali, aveva dovuto subire, emerse chiaramente dalla discussione sollevatasi attorno alla conservazione di questo articolo.

La formula definitiva fu opera soprattutto dell’On. Zerbi che, nell’illustrarla, osservò come tale dicitura fosse esemplificativa delle più consuete forme di investimento popolare; l’Assemblea, contro l’opinione di Ruini, che vedeva nelle tre forme di investimento indicate, una limitazione della norma, accettò l’interpretazione di Zerbi. Altri due emendamenti, il primo, presentato da Einaudi e riguardante la clausola d’oro [165] , ed un secondo, presentato da Persico, circa l’impegno inviolabile dello Stato verso i suoi creditori, vennero, dapprima, rifiutati da Ruini e successivamente, posti in votazione, non approvati dall’Assemblea.


Tuttavia, al termine della discussione in Assemblea, l’On. Ruini osservò [166] che s’era fatto una specie “di esame di coscienza… in un momento così grave come questo in cui (il Paese) si accinge a darsi una nuova Costituzione” ed avvertì che la Carta rischiava di diventare “un memorandum e un elenco”: per questo motivo non sarebbe stato particolarmente contrario alla soppressione dell’articolo in questione che, comunque, venne conservato.

Il sistema dei partiti

La “partitomania” (la definizione é di Croce [167] ) fu uno dei grandi temi affrontati dall’Assemblea. Le affermazioni sulle quali si era giunti al compromesso in sede costituente, “lasciando in anticamera le diverse matrici ideologiche” [168] , costituivano il punto di partenza per successive convergenze tra i partiti e solo alcune minoranze intravidero il pericolo [169] .

Era indubbia la rilevanza che veniva attribuita nella nuova organizzazione costituzionale alle formazioni politiche; in esse la volontà popolare, fonte della sovranità, doveva essere filtrata e tradotta: il partito-istituzione consentiva ai cittadini di partecipare direttamente alla formazione della volontà politica della classe dirigente, di controllarne i comportamenti, di individuare quello che gli antichi chiamavano “il bene comune”. L’importanza storica che i partiti avevano rivestito nel movimento antifascista si tradusse, per la particolarità di quel momento, nella assegnazione agli stessi della funzione di “attori costituzionali decisivi”: gli interessi sociali, secondo un’ottica rigidamente statalista, non potevano non essere distillati e ricondotti al partito stesso, articolazione organizzativa dello Stato.

Secondo Basso [170] , l’esercizio dell’attività politica del cittadino doveva avvenire per mezzo della vita del suo partito; nel programma ufficiale della sua formazione, il leader politico socialista aveva inserito i seguenti punti: “avocazione alle direzioni dei partiti di tutti gli strumenti di democrazia diretta...mandato imperativo ai parlamentari con diritto di destituzione accordato alle direzioni dei partiti, nomina diretta dei parlamentari da parte delle direzioni medesime” [171] , ecc.

Per Saragat [172] , l’essenza del nuovo meccanismo democratico della partecipazione, garantito dalla pluralità dei partiti, stava proprio nello svolgimento da parte di questi del compito di distillare l’interesse generale dalle aspirazioni, tensioni e tendenze della società civile.

Mortati definiva i partiti “mezzi necessari per l’organizzazione della pubblica opinione e l’esplicazione da essa di una volontà politica...[tali da condurre], per loro stessa natura, al superamento delle istituzioni rappresentative quali erano state intese dalla concezione liberale, e ad una loro trasformazione che le avvicina nella sostanza agli ordinamenti della democrazia diretta” [173] .

Non mancarono voci che si levarono contro la centralità delle formazioni politiche; ancora una volta il Presidente dei “75” intervenne per spiegare ( e difendere) che gli istituti di democrazia diretta previsti dalla Carta avrebbero costituito le forme di bilanciamento (secondo Ruini [174] , fedele ad una concezione democratica dello Stato, il nuovo ordinamento si doveva reggere su “checks and balances [175] ) del prepotere dei partiti.

Rivedendo il proprio pensiero, successivamente all’entrata in vigore del nuovo ordinamento costituzionale, il politico reggiano ribadì la necessità di ridimensionare il ruolo dei partiti politici che, come ben noto, nella Costituzione materiale avevano espanso il proprio potere occupando la res publica al di là e al di fuori delle previsioni costituzionali: “Vi sono molti «programmi al balcone», di Governi, di partiti, di pensatori; è da tenerne conto, ma da pensare, fra noi, con la nostra testa. Nessuna pretesa, e sarebbe errore augurare un nuovo partitino, nell’eccessivo pluripartitismo foderato di partitocrazia che ci delizia” [176] .

Ferma restando la necessità di un “filtro” tra il popolo e le istituzioni (caratteristica delle democrazie rappresentative), Ruini propose anche una specifica modifica per attribuire al Presidente della Repubblica la formazione di “governi del Presidente” piuttosto che di “governi dei partiti”: “Ho ancora molti dubbi; ma credo che sia da considerare la tesi di governi, i cui membri non siano soltanto uomini di partito, di mutevoli ed instabili designazioni; ma tecnici non designati tanto dai partiti quanto dal Capo dello Stato, in governi condizionati sempre dal voto di fiducia e dal controllo del Parlamento; né si sopprimerebbe in questo la base dei partiti; che si rifletterebbe, pur anco attraverso la fiducia, nella composizione del governo; ma verrebbe meno un eccesso del partitismo e la conseguente instabilità del potere esecutivo (o, come io preferisco dire, «attivo»)… il sistema democratico-parlamentare, con tutti i suoi difetti, va conservato nelle sue esigenze essenziali, ma si può tentare di correggerne appunto gli eccessi e i difetti” [177] .

I principi del sistema impositivo

Questa formulazione dell’art. 53 venne presentata in Assemblea dagli On. Scoca, Luigi Meda, Grieco e Laconi; in particolare, fu l’On. Scoca a far notare come il primo comma facesse riferimento all’art. 25 dello Statuto Albertino [178] e come il secondo, invece, sancisse il nuovo principio della progressività del sistema tributario.

Rilevò inoltre come fosse socialmente ingiusto che i tributi indiretti, gravando maggiormente sulle classi meno abbienti, in quanto prevalentemente applicato ai consumi, dessero luogo, così come in passato, ad una distribuzione del carico tributario non in senso progressivo o proporzionale ma, addirittura, regressivo.

Ruini espresse il parere favorevole della Commissione nei confronti di questo testo specificando come, la parola “tutti”, nell’interpretazione dei 75, dovesse comprendere anche gli stranieri e come, nella formula “capacità contributiva”, fossero da ritenersi implicitamente comprese le esenzioni e le limitazioni, circa i non abbienti, già accennate dall’On. Scoca, senza il bisogno di ricorrere a formulazioni appesantite e facilmente equivocabili; Ruini sottolineò anche che il criterio della progressività sarebbe stato da intendersi nel senso della sua applicabilità non a tutti i singoli tributi, ma all’onere tributario complessivo gravante sul cittadino.

Alle affermazioni dell’On. Corbino, riguardanti le difficoltà inerenti all’applicazione della progressività, in un nuovo sistema unico di tassazione, Ruini rispose, per la Commissione: “Dissi all’On. Meda essere elementare che non tutti i tributi possono essere progressivi: e ve ne sono, di diretti e di reali, che debbono essere necessariamente proporzionali; ma ciò non toglie che il sistema debba essere, nel suo complesso, ispirato a criteri di progressività” [179] .


Atti Assemblea Costituente, seduta del 24 marzo 1947, p. 2426, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 63
[161] Atti Assemblea Costituente, seduta del 29-30 aprile 1947, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 122-123
[162] Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 126
[163] Atti Assemblea Costituente, seduta del 13 maggio 1947, p. 3934, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 141
[164] Atti Assemblea Costituente, seduta del 13 maggio 1947, p. 3936, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 141
[165] Si trattava di una norma per garantire i creditori contro le svalutazioni monetarie.
[166] Atti Assemblea Costituente, seduta del 19 maggio 1947, p. 4039, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 152
[167] Pombeni Paolo, La Costituente, Bologna, 1995, p. 127
[168] Così Elia, riportato da Bonini, I giudizi sulla Costituzione, in AA.VV., Il parlamento Italiano 1861-1988. 1946-1947: Repubblica e Costituzione. Dalla luogotenenza di Umberto alla presidenza De Nicola, Milano, 1989, vol. XIV, p. 320
[169] Il sistema della “coalizione” tra i grandi partiti di militanza (che il lungimirante Calamandrei aveva paventato in sede costituente) ha comportato una complicazione della dialettica democratica; la legislazione ordinaria ha ostacolato le forme di partecipazione (veramente) diretta dei cittadini e la crisi dei partiti, data dall’incapacità di rendersi interpreti della volontà popolare, ha minato la costruzione alla base.
[170] Atti Assemblea Costituente, seduta del 6 marzo 1947, pp. 1821 ss.
[171] Almirante Giorgio, Processo al Parlamento, Roma, 1971, I, p. 18
[172] Atti Assemblea Costituente, seduta del 6 marzo 1947, pp. 1842 ss.
[173] Mortati Costantino, in La Costituente. La teoria. La storia. Il problema italiano, Roma, 1945, p. 54
[174] Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia), p. 9; “...freni e bilance...”, in Il referendum popolare e la revisione della Costituzione, Milano, 1953, p. 26
[175] “...sistemi di garanzia, con ricorso ai principi della divisione dei poteri o dei pesi e contrappesi (checks and balances)”, Guarino Giuseppe, Il regime parlamentare, in Scritti dedicati a Raselli, Milano, 1971, vol. I, p. 874
[176] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[177] Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[178] “Essi (i cittadini) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato”
[179] Atti Assemblea Costituente, seduta del 23 maggio 1947, p. 4208, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 169

 

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