IL PIANO MARSHALL IN EUROPA (2)

Il Presidente Truman chiede al Congresso riunito in sessione straordinaria il 17 novembre 1947
di approvare il primo stanziamento di 597 milioni di dollari per il piano d'emergenza di aiuti all'Europa.

CAPITOLO SECONDO
Verso il piano Marshall
2.1- L'Europa nell'anno 1947
2.2 - Un programma di ripresa per l'Europa
2.3 - La reazione americana
2.4 - La reazione europea
2.5 - La reazione sovietica

< INIZIO CAPITOLI

2.1 - L’Europa nel 1947

Dopo un inverno molto rigido, che pesò negativamente sulla ricostruzione rendendo più pesanti i sacrifici delle popolazioni europee, stremate dalla mancanza di alimenti e fonti d’energia, la primavera del 1947 si presentava sotto molti aspetti come l’ultima occasione per migliorare la situazione prima che questa sfuggisse definitivamente di mano, ai governi occidentali.

In Francia, si era costretti ad utilizzare i crediti americani, anziché per gli investimenti richiesti dal piano di Monnet, per le spese correnti, la cui voce maggiore era rappresentata dalle importazioni dei beni di prima necessità. Non si riusciva ad arrestare, né l’inflazione, né il crescente consenso verso i movimenti comunisti.

In Italia, nonostante la rapida ripresa industriale, i disoccupati erano ancora un milione di persone, cosa che procurava un crescente malcontento e numerose dimostrazioni di massa. Lo stato, che per mancanza di potere non era nella condizione di imporre un razionamento alimentare, reagiva con disperati appelli agli Stati Uniti, perché inviassero in Italia almeno le risorse necessarie ad evitare tragiche conseguenze per la popolazione. L’inflazione era ancora molto alta (50%), e anche questo contribuiva a alimentare la situazione politica del tutto instabile, per lo sviluppo, di pericolose organizzazioni sia di destra (neo fasciste), che di sinistra (comuniste).era entrata in una crisi economica che il governo riusciva ad affrontare con difficoltà. L’inverno, aveva portato ad un disperato bisogno di carbone che veniva sottratto all’uso domestico per riservarlo ai trasporti ferroviari. Ci furono forti limitazioni all’uso della corrente elettrica e come se non bastasse, il fenomeno della disoccupazione stava assumendo una dimensione preoccupante. Anche qui come in Francia, i prestiti americani erano in gran parte destinati al pagamento delle importazioni.

Il problema della ricostruzione europea era stato affrontato in un primo momento dall’UNRRA tra il 1943 ed il 46 con forti motivazioni umanitarie, era poi diventato un problema finanziario, con i prestiti concessi dagli USA a Gran Bretagna, Francia, e altri paesi, e stava ora diventando sempre di più una questione politica.

Gli ambasciatori americani in Francia (Caffery) e Italia (Dunn), sottolineavano insistentemente, la relazione fra povertà e comunismo. In pratica, lo stesso concetto di cui parlò il Generale Clay, riferendosi alla situazione alimentare in Germania. Bastava un secchio di carbone, o un po’ di pane, per comprare le simpatie di una popolazione stremata da anni di sofferenze. Accadeva invece che la perdita di popolarità dei governi europei tra la popolazione, che non vedeva la fine delle sofferenze, alimentava i movimenti di opposizione comunisti, a beneficio dell’URSS.

Gli aiuti post UNRRA erano ridotti a 350 milioni di dollari, una cifra irrisoria se si pensa che i circa 13 miliardi precedentemente concessi attraverso i prestiti condizionati non avevano migliorato la situazione. Questa mancanza di risultati, rendeva improbabile la concessione di ulteriori somme a favore dei governi europei da parte del Congresso.

L’approccio paese per paese con cui gli Stati Uniti avevano affrontato la situazione europea fino al 1947, aveva ormai esaurito la sua credibilità.

Alla fine della guerra, con gli accordi di Potsdam, la Germania venne smembrata in quattro zone: sovietica, americana, britannica e francese. Quel trattato, prevedeva che la Germania fosse amministrata in maniera unitaria, nonostante le zone di appartenenza. Inoltre, livello dell’industria tedesca non doveva superare il 50% di quello del 1938, da questo ne conseguiva, che tutto il materiale industriale in esubero, dovesse essere rimosso dal territorio tedesco.

In realtà tali accordi furono subito disattesi, per due ragioni. La prima, era che i francesi, trascinati dai loro interessi (e dal loro spirito di rivalsa), pretesero e ottennero di dirottare gran parte della produzione di carbone tedesco in Francia, a titolo di riparazioni. Inoltre si rifiutavano di collaborare all’amministrazione unitaria della Germania nel comando alleato (ponendo il veto su numerose questioni), e avanzarono pretese riguardo l’annessione della Slesia (con i suoi giacimenti minerari) e sulla separazione della Renania, e della Rhur dalla Germania. Il comportamento francese, in parte condizionato dal non essere stati invitati alla conferenza di Potsdam, aggravava le condizioni dell’economia tedesca. L’esercito americano faceva notare, che non si poteva estrarre carbone dalle miniere della Rhur, solo per destinarlo alle esportazioni, soprattutto perché la necessità di quel materiale, era forte anche in Germania, come in tutta Europa. Nonostante le proteste del generale Clay, per il comportamento dei francesi, il Dipartimento di Stato americano, non prese alcun provvedimento efficace in merito a questo problema.

La seconda ragione, riguardava il livello dell’industria. Abbiamo già ricordato, che nonostante la sconfitta subita durante la guerra, la Germania era ancora la prima potenza industriale europea. Questo significava che fino a quando non fossero sorte nuove fabbriche da qualche altra parte, quelle tedesche erano indispensabili alla ricostruzione di tutto il continente. Per di più, l’economia tedesca era perfettamente integrata con quella di paesi confinanti come Olanda e Danimarca, che dipendevano per la ripresa economica, da una Germania in buone condizioni di salute. Questo significava, che il limite posto all’espansione dell’industria tedesca, si contrapponeva all’obiettivo della ripresa economica europea. Questo, naturalmente, non spaventava il regime sovietico, che approfittava dell’occupazione della Germania orientale per portar via ogni genere di bene come bottino di guerra. Si calcola che tra il 1948 ed il 1953 furono trasferiti in URSS dalla Germania orientale e dal resto d’Europa dell’est 14 miliardi di dollari in beni di ogni tipo [13].

Concludendo, la situazione tedesca era tale che parte degli obiettivi iniziali erano stati disattesi. Il comando degli alleati a Berlino non permetteva un’amministrazione unitaria delle quattro zone d’occupazione, mentre i russi stavano sempre più radicandosi politicamente nella zona di loro competenza. Inoltre, la riduzione del potere industriale tedesco si era dimostrato un obiettivo non auspicabile.

Era necessario un cambio di strategia nella politica estera americana, un’idea che convincesse il Congresso e servisse a contenere il pericolo comunista in Europa Occidentale. Un’idea, che permettesse di dare alla Germania un ruolo che fosse accettato dagli altri governi europei, in prima fila da quello francese.

2.2 - Un programma di ripresa per l’Europa

L’idea dell’abbandono della politica degli aiuti frammentari ai singoli paesi, proveniva, oltre che dalle necessità imposte della situazione, dalla volontà di numerosi ambienti economici e politici americani. E’ difficile dire da dove nascesse, o chi fosse stato il primo a proporre una strategia di ricostruzione economica applicabile all’Europa per intero. E’ certo che questo tipo di approccio era utile anche dal punto di vista psicologico, perché faceva leva su un ideale generalmente molto sentito (a dire il vero più in Usa che in Europa), di un continente europeo unito per uno scopo comune. L’idea arrivava fino all’utopia (per il tempo) di una federazione politica.- 

Una simile soluzione fu ampiamente discussa durante tutto l’inverno del 1946-47 dal Consiglio delle Relazioni Estere americano. Dal marzo 1947 all’interno del Dipartimento di Stato, in modo più sobrio e privo di utopie politiche, si incominciò a lavorare a un progetto di ripresa che coinvolgesse l’intera Europa. I primi sostenitori di quest’idea furono i collaboratori più giovani: Thomas C. Blaisdell Jr., Paul R. Porter e Theodore Geiger del dipartimento degli economisti americani a Londra, Charles P. Kindlegerger e Walt W. Rostow della divisione del settore tedesco e austriaco del Dipartimento di Stato, Harold Van B. Cleveland assistente capo della divisione sugli investimenti e lo sviluppo economico. Questi portarono la questione ai vertici dell’amministrazione Truman, dove i principali responsabili della realizzazione di questo progetto furono, oltre al Segretario di Stato George Marshall. Il Sottosegretario di Stato Dean Acheson, il direttore del dipartimento di programmazione politica George Kennan e il Sottosegretario di Stato per gli affari economici William Clayton.

Il 5 marzo 1947, tre mesi prima del discorso di Marshall ad Harvard, il dipartimento “State War-Navy Coordinating Committee” (SWNCC), iniziò, su richiesta di Acheson, uno studio che si occupava di verificare se in qualche parte nel mondo esistessero paesi che avevano bisogno di un aiuto analogo a quello che sarebbe stato concesso a Grecia e Turchia di lì a poco. Si trattava quindi di uno studio derivato dalla dottrina Truman. Lo studio avrebbe anche dovuto valutare gli obiettivi americani, il sistema di finanziamento, eventuali programmi militari, programmi d’aiuto, impatto sulla sicurezza nazionale, risorse interne disponibili a tale scopo e conseguenze di un possibile fallimento del programma. Il primo rapporto SWNCC è datato 21 aprile 1947: il risultato della ricerca era considerato modesto dagli stessi autori. Il documento era un insieme di osservazioni, raccomandazioni, suggerimenti e conclusioni, che il comitato stesso non considerava affatto un’analisi completa. Erano indicate otto nazioni che avrebbero avuto bisogno d’aiuto entro pochi mesi, tre di queste non dovevano essere incluse nel “European Recovery Plan” (ERP). Otto nazioni che non avevano urgente bisogno d’aiuto, cinque di queste sarebbero state eventualmente incluse nell’ERP.

Il rapporto, per stessa ammissione dello SWNCC, era basato su dati frammentari, ad uso interno al Dipartimento di Stato, e avrebbe dovuto essere rivisto con l’inserimento di ulteriori informazioni. Tuttavia, quei dati furono sufficienti a Acheson per proporre un discorso per i primi di maggio del 1947. “In questo discorso, Acheson elencava i funesti sviluppi che erano avvenuti nel mondo a partire dallo scoppio della guerra, e precisava che nel futuro immediato, i programmi di aiuto esistenti avrebbero colmato soltanto a metà la lacuna tra le importazioni degli Stati Uniti dall’estero, e le loro esportazioni nel resto del mondo. Le esportazioni degli Stati Uniti, si erano quadruplicate dal 1939, diceva Acheson, e avrebbero potuto essere molto più alte, se fosse stato possibile trovare i mezzi per pagarle, nei paesi europei e asiatici più minacciati dal disastro. Questi paesi, avevano un urgente bisogno di soccorsi d’emergenza, per assicurare la stabilità, promuovere la libertà e la democrazia, incoraggiare politiche commerciali più aperte, e rafforzare l’autorità delle Nazioni Unite” [14].

Ulteriori studi portarono al rapporto finale del 3 ottobre 1947, dove si osservava, che la rapida progressione degli eventi, rendeva obsoleti molti dei dati su cui quello stesso documento si basava, e che il rapporto non sarebbe rimasto attuale per molto tempo.

In data 23 maggio 1947 George Kennan e il dipartimento di programmazione politica, produssero un altro documento nel quale si sosteneva che era meglio concentrare l’azione degli Stati Uniti sull’Europa occidentale, ma rimandava ulteriori dettagli ad un secondo rapporto che sarebbe stato pronto per metà estate. Nel frattempo, si giudicava necessaria un’azione dalla forte connotazione psicologica, per fare capire agli europei che gli Stati Uniti stavano finalmente agendo. Quest’operazione poteva, ad esempio, essere un grande sforzo di produzione di carbone, dalle miniere della valle del Reno. Era possibile chiamarlo “Coal for Europe”. La riabilitazione dell’Europa sarebbe avvenuta in due fasi, una di breve periodo, per eliminare le strozzature del mercato e riavviare produzione (di prioritaria importanza), e una di lungo periodo che sarebbe stata lasciata in gran parte all’iniziativa europea. Il problema era di ispirare in qualche modo l’iniziativa europea, senza farla sembrare un’iniziativa americana. Il progetto avrebbe potuto svilupparsi nell’ambito della Commissione Economica Europea (ECE), anche se in questo caso era scontata l’opposizione dei delegati sovietici. Il rapporto consigliava allo SWNCC, di portare avanti i propri studi con gli altri dipartimenti, mentre i delegati USA in Europa, avrebbero dovuto chiedere l’opinione dei governi europei sui problemi principali che la ripresa presentava. Per finire, la strategia precedentemente esposta avrebbe dovuto essere segretamente discussa con il governo britannico.

Il secondo documento del dipartimento per la pianificazione politica, del 23 luglio, esaminava in dettaglio gli interessi americani nella ripresa europea, ma non presentava ulteriori suggerimenti per la realizzazione degli obiettivi di lungo periodo, che sarebbero stati esaminati da un altro rapporto da sviluppare in collaborazione tra Europa e America. Questo piano, proponeva programmi paralleli integrati che si sarebbero dovuti sviluppare allo stesso tempo in USA e Europa per assicurare l’autosufficienza dei partner nell’arco di quattro o cinque anni. Erano previsti anche un piano speciale per la Gran Bretagna, e protezioni contro i possibili sabotaggi comunisti. Gli europei avrebbero dovuto lavorare sulla base di una collaborazione economica interna, e anche con qualche forma di associazione politica regionale. La proposta doveva partire dagli stessi europei ed essere basata su di un accordo tra loro. Sarebbe poi stato chiesto, alle zone alleate di Austria e Germania, di dare il loro contributo alla ripresa.

William Clayton scrisse due “memoranda” in cui illustrava la sua opinione sulla questione dell’ERP. Il primo è del 5 marzo 1947, esattamente il giorno in cui iniziarono i lavori dello SWNCC. Clayton, come tutto il Dipartimento di Stato, era preoccupato per gli sviluppi della crisi in Grecia e Turchia, e pensava che la caduta in mano sovietica di uno di questi governi, oppure l’arrivo al potere dei comunisti tramite un colpo di stato, o con libere elezioni, avrebbe causato in Europa, quella che venne poi chiamata, la Domino thesis. La caduta di una zona fondamentale dello scacchiere europeo, avrebbe portato alla capitolazione conseguente di tutte le altre. Clayton era preoccupato anche perché l’Inghilterra stava perdendo il suo status di potenza mondiale, e non avrebbe potuto colmare il vuoto di potere creatosi in Europa. Questo sarebbe stato riempito in futuro dagli USA o dall’URSS. In quest’ultimo caso entro dieci anni era da prevedersi una terza guerra mondiale. Per evitare quest’ipotesi, gli Stati Uniti dovevano supportare l’Europa, finanziariamente e tecnicamente, con almeno 5 miliardi di dollari, e creare un Consiglio Nazionale per la Difesa.

Il secondo memorandum di Clayton, uscì a fine maggio, (la data è incerta tra il 27 e il 31). Clayton, di ritorno dal suo soggiorno in Europa, si era convinto che il continente fosse sull’orlo della disgregazione economica, sociale e politica. Lo preoccupavano la situazione produttiva, la possibilità che andasse male il raccolto di grano in Francia dove gli avevano rivelato che continuava l’attività del mercato nero. Clayton era anche convinto che la situazione sarebbe peggiorata. Per salvare dalla fame e dal caos le nazioni europee, erano necessari ulteriori aiuti massicci e en amministrati. Uno dei concetti più importanti del suo rapporto, inserito anche nel discorso di Harvard, riguardava la rottura del cosiddetto rapporto tra città e campagna. Tale fenomeno consisteva nell’interruzione della vendita diretta da parte dei coltivatori dei prodotti agricoli alle città. Questo succedeva perché la moneta con cui venivano ripagati era sempre più inutile. Inoltre, un ulteriore motivo di preoccupazione, riguardava da vicino gli USA. La scomparsa dei mercati europei per le loro eccedenze, avrebbe portato maggior disoccupazione, depressione economica e avrebbe aggravato le condizioni finanziare di un bilancio statale, squilibrato da un debito di guerra gigantesco.

Clayton, si oppose all’approccio di Kennan sull’iniziativa europea. Al contrario, richiedeva un approccio dove fosse esplicito che gli americani stavano salvando l’Europa. Riteneva che il presidente Truman avrebbe dovuto fare appello al popolo americano perché si sacrificasse per questa causa. Dai 5 miliardi di dollari in aiuti Clayton passò a una richiesta di 6-7 miliardi in tre anni. Per finire, il memorandum scartava l’idea di utilizzare la ECE per sviluppare l’ERP, perché il rischio era quello di trovarsi nelle stesse condizioni del precedente programma UNRRA, dove gli americani fornivano il 75% delle risorse, e l’allocazione degli aiuti era decisa da 17 differenti paesi, senza che gli interessi del maggior finanziatore fossero garantiti.

Dopo la conferenza dei ministri degli esteri di Mosca della primavera del 1947, dove fallirono i negoziati per trovare un trattato di pace accettabile con Germania e Austria, Marshall, che rientrò dalla Russia a fine aprile, rimase disgustato dal comportamento dei sovietici. Li chiamò “Troublemakers” e affermò che c’era da parte loro la volontà non di negoziare in buona fede. Qualcosa doveva essere fatto subito ”Il paziente muore mentre il dottore discute”.

Marshall, decise di fare un annuncio il 24 maggio 1947 all’Università del Wisconsin, ma in quell’occasione il sottosegretario Clayton sarebbe stato fuori dal paese, e comunque la data era troppo vicina per organizzare lo staff del Dipartimento per la programmazione politica. La successiva opportunità era all’Amhest College, il 15 di giugno ma come scrive Kindleberger, quella data era troppo lontana, e gli Stati Uniti non potevano aspettare così a lungo. Quindi Marshall decise di accettare una laurea ad honorem ad Harvard, più volte rifiutata, a causa dei suoi numerosi impegni.

Il discorso che avrebbe annunciato l’ERP fu dunque fissato per il 5 giugno 1947. Cosa avrebbe dovuto dire Marshall in quell’occasione, e quale sarebbe stato lo scopo di quell’annuncio? Prima di quel giorno, il Dipartimento di Stato, e gli uffici collegati avevano predisposto i seguenti documenti:

* quello dello SWNCC del 21 aprile (che per stessa ammissione dello SWNCC non era esaustivo né preciso);
* quello dell’ufficio per la programmazione politica di Kennan del 23 maggio 1947 (che per il poco tempo avuto a disposizione, era poco più di un piano per svilupparne un altro);
* i due memoranda di Clayton del 5 marzo e 31 aprile (che tra le altre cose contrastavano con l’approccio di Kennan).

Marshall, non aveva un progetto dettagliato da illustrare. Il piano non esisteva ancora, e il suo discorso fu un compromesso tra le idee di Kennan e quelle di Clayton. L’annuncio doveva essere ”una via di mezzo tra un suggerimento appena accennato e un’esortazione”[15]. Il luogo e l’occasione giusti erano quelli di Harvard, perché non era un appuntamento troppo importante, e non era troppo sotto i riflettori della politica. Questo permetteva a Marshall di parlare più liberamente, anche se avrebbe comunque dovuto tenere un atteggiamento di basso profilo, per non rischiare di attirarsi le critiche degli oppositori del governo, né quelle del regime sovietico. Allo stesso modo, avrebbe dovuto convincere i governi europei, che quella proposta era differente da tutte le altre.

Il Segretario di Stato iniziò il discorso ringraziando, come era consuetudine, l’università di Harvard, per il riconoscimento offertogli. Subito dopo continuò affermando che la situazione mondiale era molto seria, ma difficile da spiegare all’uomo comune americano raggiunto dalle notizie di radio e stampa, ma molto lontano da quelle zone del pianeta distrutte dalla guerra. A questo punto del discorso, Marshall, parlò dei danni provocati dalla guerra, sostenendo che, sebbene quelli materiali fossero stati ben calcolati, altri tipi di distruzioni si erano rivelate più importanti ”Considerate le richieste fatte dai governi, per la riabilitazione Europea dai danni fisici, come le perdite umane, le distruzioni delle città, fabbriche, miniere e ferrovie, i danni materiali erano correttamente stimati, ma è diventato palese a tutti, durante i recenti mesi, che le distruzioni visibili, erano probabilmente meno serie dei danni subiti dall’intero sistema economico europeo.


Per dieci anni, le condizioni sono state completamente anormali. L’attività febbrile della preparazione alla guerra, e quella più febbrile del mantenimento dello sforzo bellico, hanno inghiottito tutti gli aspetti delle economie nazionali.
I macchinari sono caduti in rovina o diventati completamente obsoleti.
Sotto le regole arbitrarie e distruttive del regime nazista, ogni impresa che fosse possibile sfruttare, è stata utilizzata per la macchina da guerra tedesca.
I rapporti commerciali, le istituzioni private, le banche, le compagnie di assicurazioni e di trasporti, sono scomparse a causa della perdita del capitale, assorbite attraverso la nazionalizzazione, o semplicemente distrutte.
In molti paesi, la fiducia nella moneta locale è severamente compromessa. Durante la guerra, il crollo della struttura degli affari europea è stato completo”.

Continuando descrisse la rottura della divisione del lavoro tra città e campagna, citata da Clayton nel suo secondo rapporto:
“C’è un punto di questa faccenda che è insieme interessante e serio.
I contadini, hanno sempre prodotto gli alimenti per gli abitanti delle città, scambiandoli con le altre necessità della vita. Questa divisione del lavoro, è la base della civiltà moderna. Attualmente, questo sistema è minacciato dal crollo della struttura economica. Le città e le industrie, non stanno producendo i beni adeguati allo scambio con gli alimenti prodotti dai contadini. Materie prime e carburante sono forniti solo in minima parte. I macchinari scarseggiano o sono assenti. Così i contadini non trovano in vendita le merci che desidererebbero comprare. Perciò la vendita dei prodotti in cambio di moneta, non utilizzabile, ai contadini, sembra uno scambio non conveniente. Per questo motivo (i contadini), hanno eliminato molti campi dalla coltivazione del raccolto, per utilizzarli nell’attività di pascolo. Inoltre destinano più grano alle provviste, in modo da aumentare la scorta di cibo per se stessi, e per la propria famiglia, pur sapendo che potrebbero rimanere a corto di vestiti, e di altri beni essenziali della civiltà.

Nel frattempo, la gente nelle città è a corto di cibo e di carburante. Perciò i governi sono obbligati ad usare la moneta straniera, e i prestiti, per procurarsi queste necessità all’estero. Questo processo, esaurisce le risorse che sono urgentemente necessarie per la ricostruzione”.

Di seguito Marshall, accennò agli effetti della crisi europea sugli Stati Uniti (già presenti nel secondo rapporto di Clayton), e al ruolo di responsabilità dell’America: “A parte l’effetto demoralizzante sul mondo e sulla possibilità di crescenti disturbi, come risultato della disperazione della popolazioni in questione, le conseguenze per l’economia degli Stati Uniti sono ovvie per tutti. E’ logico che gli Stati Uniti, dovrebbero fare qualunque cosa sia in loro potere, per assistere il ritorno alle normali condizioni di salute del mondo. Senza le quali non ci può essere stabilità politica, né pace assicurata”.

A quel punto Marshall passò a una parte fondamentale del discorso, dove dichiarò che la politica degli Stati Uniti non è rivolta contro nessuno, e avvertì l’Unione Sovietica di non ostacolare la ripresa europea. Era fondamentale, in quella situazione, dichiarare delle buone intenzioni, e nello stesso tempo far capire che per il governo Usa era giunta l’ora di agire:

”La nostra politica non è diretta contro nessun paese o dottrina ma contro la fame, la povertà, la disperazione e il caos. Il suo proposito dovrebbe essere, rianimare il sistema economico nel mondo, così da permettere alle emergenze della politica e sociali, le condizioni nel quale possano esistere libere istituzioni.
Tale assistenza, sono convinto, non deve essere basata su di un compromesso. Qualsiasi assistenza che questo governo potrebbe dare in futuro, dovrebbe essere una cura piuttosto che un mero palliativo.
Qualsiasi governo che voglia contribuire al compito della ripresa, troverà la piena collaborazione, io sono convinto, da parte del governo degli Stati Uniti. Qualsiasi governo che manovrasse per bloccare la ripresa di altri paesi, non si aspetti aiuto da noi. Inoltre, governi, partiti politici, o gruppi i quali cercano di perseguire la miseria umana, in modo da approfittare di questa situazione politica, incontreranno l’opposizione degli Stati Uniti”.

Per finire, Marshall risolse i dissidi interni al Dipartimento di Stato fra Kennan e Clayton, dichiarando, come prima cosa, che l’iniziativa per quanto riguarda il programma avrebbe dovuto essere presa in Europa, aggiungendo poi che gli Stati Uniti avrebbero dovuto partecipare insieme agli europei alla stesura del piano “E’ già evidente che, prima che il governo degli Stati Uniti possa procedere in ulteriori sforzi per alleviare la situazione, e aiutare a ricostruire il mondo europeo sulla via della ripresa, ci debba essere un accordo fra i paesi dell’Europa, sulle necessità e sulla situazione, e parte di questi paesi stessi, dovranno fare in modo di dare effetto a qualsiasi azione che possa essere intrapresa da questo governo. Non sarebbe né adatto né efficace, per questo governo, proporre un programma unilaterale progettato per rimettere in piedi l’economia europea. Questo è un affare degli europei. L’iniziativa, io penso, deve venire dell’Europa.Il ruolo di questo paese, dovrebbe consistere in aiuto amichevole nella stesura di un programma europeo, e dopo supportare tale programma tanto quanto fosse possibile fare nella pratica. Il programma dovrebbe essere una collaborazione fra un certo numero, se non tutte, le nazioni europee”.

Marshall, aveva realizzato il proposito per cui si era impegnato al ritorno dalla conferenza dei ministri degli esteri a Mosca, ovvero di agire rapidamente. Le reazioni al suo discorso non si fecero attendere, negli Stati Uniti e nel mondo.

2.3 - La reazione americana

Come già detto, al momento del discorso di Marshall ad Harvard, non esisteva ancora alcun piano preciso. Quasi tutto era da fare. Qualcuno aveva proposto l’idea di chiamarlo piano Truman, ma il presidente non voleva che si confondesse con l’omonima dottrina, e quindi accettò che al piano venisse presentato con il nome del generale e Segretario di Stato George Marshall. Il problema più grande era far passare la legge sui finanziamenti dal Congresso, e per questa battaglia si trovarono di fronte due schieramenti opposti: gli “isolazionisti” (in genere, contrari alla proposta del governo) e gli “internazionalisti” (favorevoli).

Nel Dipartimento di Stato, la preparazione del piano Marshall continuò con l’organizzazione del “Recovery Committee”, chiamato anche “Board of Directors” e nel dipartimento responsabile della programmazione politica di Kennan. Il “Recovery Committee” era presieduto da Willard Thorp, assistente segretario per gli affari economici e composto da rappresentanti di tutti gli uffici che si occupavano dell’ERP. Tra i membri c’era accordo sul bisogno di integrare le economie delle nazioni europee e sul periodo di durata del programma, tre o quattro anni. Per il resto, il “Board of Directors” si divise tra Planners e Traders. I secondi volevano sostituire le monete non convertibili, e gli accordi commerciali bilaterali, con un modello basato su di una “Clearing Union”, cioè con dei cambi fissi tra le monete europee, un’istituzione che si occupasse delle compensazioni fra i pagamenti, e persino un’unione doganale. I Planners invece, sostenevano che prima di ogni altra cosa era indispensabile riavviare la produzione. Il compromesso che ne risultò avvantaggiò l’approccio dei Planners, con un piano internazionale di mercato che incentivava l’integrazione e incrementava la produzione.

Il 22 giugno 1947, il presidente Truman istituì tre comitati per analizzare la fattibilità della proposta di Marshall. Il più importante, era quello di Averell Harriman e fu chiamato con il suo nome. Questo era un comitato bipartitico composto di 18 membri appartenenti al partito democratico e a quello repubblicano. Lo scopo era di dare un giudizio in merito all’assistenza economica verso l’Europa. Le conclusioni furono: la speranza per l’Europa dipende dalla capacità produttiva industriale e dal comportamento della popolazione, che non deve cedere alla propaganda dei partiti comunisti rivoluzionari. Gli Stati Uniti avevano un interesse molteplice, umanitario, economico, strategico e politico, nell’aiutare l’Europa, l’ERP avrebbe comportato un certo sacrificio per la nazione. Gli aiuti avrebbero dovuto raggiungere la cifra di 5,75 miliardi di dollari per il primo anno, e consigliava un approccio alla ripresa attento al pericolo dell’inflazione.

Il 21 luglio 1947 anche il Congresso creò un proprio comitato bipartitico lo “Herter Committee”. Avrebbe dovuto studiare la situazione economico sociale europea, e riferirne poi al Congresso. Lo scopo del Congresso, era di informarsi sulla situazione europea e su di un eventuale programma americano a favore di quella regione. I membri di questo comitato si imbarcarono su una nave diretta in Europa, il 28 agosto, e visitarono tutto il continente ad eccezione di Russia, Iugoslavia e Albania. Lo “Herter Committee”, era diviso in sottocomitati che lavorarono in tutta l’Europa, e raccolsero informazioni non solo da personalità politiche di governo, ma anche da privati cittadini.

Nel novembre 1947 venne prodotto il documento conclusivo che constava di 883 pagine, e con sorpresa le divergenze che si verificarono tra i membri furono poche e lievi. C’era un piena unanimità di vedute sul fatto che si notavano evidenti segni di pericolo dell’espansione del comunismo in Europa, e molti erano convinti della necessità di un programma di aiuti controllato dagli USA. Un membro del comitato dichiarò, che bisognava aiutare l’Europa “wheter we like or not” [16]. Tra i più importanti suggerimenti dello “Herter Commettee” c’era il meccanismo dei “Fondi della controparte” (somme di denaro in valuta del paese aiutato, depositati e utilizzabili solo con l’autorizzazione di un’apposita organizzazione internazionale). Paul G. Hoffman, amministratore a Washigton dell’ECA “Economic Cooperation Administration”, disse che senza l’apporto del comitato Herter non sarebbe mai stato possibile far approvare dal Congresso il piano Marshall.

Per la divulgazione degli obiettivi e della necessità dell’ERP fu creato un comitato a favore del Piano Marshall, di cui facevano parte più di trecento illustri cittadini di ogni parte degli Stati Uniti. Lo scopo di quest’organizzazione era di promuovere attraverso la stampa e la televisione la causa dell’ERP. I risultati ottenuti furono i seguenti: in soli 4 mesi la percentuale di chi non aveva mai sentito parlare del piano Marshall passò dal 51% al 36%, e i favorevoli al piano toccarono la percentuale del 56% contro il solo 17% dei contrari.[17]

Coloro che si opponevano al piano Marshall, vennero chiamati, forse erroneamente, “isolazionisti”. Erano presenti sia nel partito Democratico che in quello Repubblicano. Questo impedì loro un’unità d’azione nella protesta. Tra di essi c’erano persone di grande importanza e prestigio come il senatore Robert A.Taft, l’economista Henry Hazlitt, l’ex vice presidente Wallace. Anche il partito laburista e numerose altre associazioni americane, si schierarono contro l’ERP.

Il giornalista William S.White scrisse sul New York Times ”Ostilità latenti al piano Marshall sono un fatto reale nel paese benchè nei comizi politici sia generalmente supportato” [18].

Gli oppositori di sinistra (del partito Democratico), come Henry Wallace, vedevano l’ERP come una proposta imperialista e monopolista, che cercava di promuovere gli interessi nazionali e internazionali americani, a scapito della giustizia sociale e della pace mondiale. Wallace sosteneva che la proposta del governo non mirava a ricostruire l’Europa bensì, in pratica, a colonizzarla. Era contrario ai fondi contropartita, che a suo parere, avrebbero violato la sovranità dei paesi europei, bloccando i provvedimenti per il benessere sociale, il controllo governativo sul commercio, e le nazionalizzazioni, che Wallace riteneva essenziali per la ricostruzione europea. Inoltre, sosteneva che il piano Marshall, avrebbe contribuito a dividere l’Europa, impedendo il commercio tra l’est e l’ovest, e ad aumentare la tensione internazionale. Per finire, l’ERP sarebbe stato dannoso anche per l’economia americana, perché avrebbe creato carenze di beni, inflazione, provocando così una reazione governativa, che si sarebbe manifestata con politiche anti inflazionistiche (basate sull’aumento delle tasse), che avrebbero pesato sui lavoratori e sugli uomini d’affari americani.

Wallace proponeva un programma molto più costoso dell’ERP, 50 miliardi di dollari, amministrati dalle Nazioni Unite. Gli aiuti di questo programma avrebbero dovuto essere destinati a tutte le vittime del nazismo, anche nell’Europa orientale, allo scopo di prevenire la pericolosa bipolarizzazione dell’atlante geopolitico mondiale.

Al contrario di Wallace e dei Democratici, i repubblicani, con un gran numero di emendamenti, proposero senza successo di ridurre gli stanziamenti per l’ERP, salvaguardare l’economia americana, prevenire la crescita del socialismo in Europa.
L’ex presidente Herbert Hoover voleva accentuare il compito dell’ERP di contenere i sovietici, “A dam against Russian aggression” [19]. Enfatizzava il compito che gli aiuti avrebbero dovuto avere nello sforzo produttivo, e nell’integrazione dell’economia europea, necessaria per renderla indipendente dagli aiuti americani.

Il senatore Taft criticava la teoria, sostenuta dal governo, secondo cui le esportazioni sotto forma di aiuti, avrebbero permesso di sostenere l’economia americana. Al contrario il senatore sosteneva la tesi che il governo avrebbe creato, in questo modo, una falsa prosperità, che non si sarebbe potuta mantenere in futuro con la fine del programma. Sia Taft che Hoover pensavano che il piano Marshall avrebbe imposto una dura tassazione ai cittadini americani, che avrebbe causato l’aumento dei prezzi e la penuria di alcuni prodotti.

L’economista e commentatore del Newsweek, Henry Hazlitt, elaborò una critica all’ERP, che convergeva con quella di Taft e Hoover per quanto riguardava l’inflazione. Inoltre denunciava quella serie di comportamenti dei governi europei, rivolti alla nazionalizzazione delle industrie, al controllo dei prezzi e alle misure di welfare, che rallentavano la produzione, generavano inflazione e peggioravano le condizioni della bilancia dei pagamenti, soprattutto per la parte di deficit dovuta al commercio con le nazioni appartenenti all’area del dollaro. Secondo Hazlitt la ripresa europea doveva partire dalla ricostruzione dell’impresa privata. Gli europei dovevano eliminare quei provvedimenti economici che comportavano spese che non potevano permettersi di sostenere, stabilizzare la loro situazione finanziaria, porre fine alle quote sulle importazioni, e a tutte quelle misure che sfavorivano il commercio internazionale. Gli aiuti dell’ERP avrebbero dovuto essere la metà di quelli concessi dall’amministrazione Truman. Per il resto i governi europei avrebbero dovuto ricorrere al finanziamento concesso dalle banche private americane.

Le critiche degli oppositori al piano Marshall, erano numerose e ma non c’era una visione unanime degli “isolazionisti”, i quali erano convinti di una sola cosa: l’ERP avrebbe portato sulla strada della rovina gli Stati Uniti.

L’unico documento approvato da un’ampia rappresentanza di oppositori, fu quello firmato da Hazlitt, Wallace, e da altri esponenti sia Democratici che Repubblicani. Tale rapporto, avendo controllato tutte le risorse americane disponibili, proponeva un adeguato programma di ripresa europea, senza che questo costasse troppo alle tasche dei contribuenti americani. Il programma previsto sarebbe stato della durata di due anni. Il governo avrebbe dovuto intervenire sul sistema dei prezzi, prevenendo il manifestarsi dell’inflazione. Il progetto non avrebbe dovuto essere sovvenzionato con l’indebitamento dello stato, ma mantenendo il bilancio in pareggio. Ciò avrebbe spinto i governi europei a seguire l’esempio americano, e non avrebbe provocato un aumento delle tasse per i cittadini USA. Questo documento, che era un compromesso tra oppositori Democratici e Repubblicani, non ebbe grande successo al Congresso. Le commissioni parlamentari che avrebbero dovuto discutere la fattibilità del piano Marshall iniziarono i lavori l’8 gennaio 1948, e si ritrovarono davanti alle migliaia di pagine scritte dai tre comitati istituiti dal presidente Truman sull’argomento. I problemi di cui discutere erano: il tipo di aiuti da concedere ai richiedenti (donazioni o prestiti), se del piano Marshall si sarebbe dovuto occupare un’apposita agenzia e eventualmente, stabilire le sue competenze e le relazioni con il Dipartimento di Stato.

Nell’approvazione della legge sull’ERP fu di grande aiuto l’intervento del senatore Vandenberg, un ex isolazionista che in un celebre discorso al Congresso difese il piano Marshall. La legge sul piano Marshall affermava che qualunque paese che avesse firmato il documento di impegno della CEEC si assicurava il diritto a essere parte dell’ERP. In questa maniera fu possibile accettare la partecipazione della Germania occidentale che come paese occupato, non aveva avuto la possibilità di partecipare alla riunione della CEEC a Parigi.

Si decise di concludere accordi bilaterali con ogni paese aiutato, dove il governo di quest’ultimo si impegnava ad aumentare la produzione per raggiungere la stabilità finanziaria, e a cooperare per l’eliminazione delle barriere commerciali.

Il contributo del primo anno fu fissato a 5,3 miliardi di dollari.

Il Congresso decise anche due misure protettive nell’interesse nazionale: il 50% degli aiuti doveva essere trasportato da navi USA, il 25% di tutto il grano fornito dagli Stati Uniti doveva essere sotto forma di farina.

Si stabilì che, ad occuparsi del piano Marshall da parte americana, sarebbe stata la ECA, presieduta di Paul Hoffman a Washington e con un distaccamento in Europa. Il compito di quest’istituzione sarebbe stato di controllare, ed approvare, i programmi di sviluppo dei paesi aderenti al piano, e provvedere alla loro efficiente esecuzione.

Della gestione finanziaria dell’ERP, si sarebbe occupato il “National Advisory Council on International Monetary and Financial Problems” (NAC). Il “Public Advisory Board” composto di 12 membri con esperienza sulle questioni di pubblico interesse, avrebbe svolto la funzione di controllo sul Piano, e diventò noto come il “Watchdog committee”.

Riguardo alle relazioni tra ECA e Dipartimento di Stato, si concluse che l’amministratore dell’ECA era da considerarsi come qualsiasi altro membro dell’esecutivo, e dunque sarebbe stato responsabile solo verso il Presidente, ma che il Dipartimento di Stato sarebbe stato informato in maniera continuativa, della situazione del programma, dei risultati e delle prospettive.

La legge sul piano Marshall fu approvata al Senato con 69 voti a favore contro 17, al Congresso 329 contro 74 e anche da parte Repubblicana il contributo all’approvazione fu notevole. La proposta diventò finalmente legge il 3 aprile 1948[20]. Senza dubbio, a questo successo parlamentare, contribuì la paura del regime sovietico cresciuta d’intensità dopo il colpo di stato comunista in Cecoslovacchia all’inizio del 1948.

2.4 - La reazione europea

Le precarie condizioni economiche del continente europeo, ed il bisogno degli aiuti americani, fecero sì che le nazioni dell’Europa occidentale rispondessero rapidamente alla proposta di Marshall. I primi ad agire furono inglesi e francesi.

Il primo ministro britannico Ernest Bevin volò a Parigi per discutere con il collega francese Georges Bidault della nuova proposta americana, ed insieme organizzarono una riunione che si sarebbe tenuta a Parigi durante l’estate.

Tuttavia la proposta di Marshall non era la soluzione del problema economico europeo, ma solo la volontà americana di finanziare uno sforzo organizzativo, e ideativo, che gli stessi europei avrebbero dovuto avere, e per il quale si sarebbero dovuti accordare. In Europa c’erano ancora molte ragioni di disaccordo tra le nazioni. Nessuno, ed in particolare il Regno Unito, desiderava che l’integrazione europea avesse una ricaduta sulla sovranità nazionale dei governi. I francesi volevano ancora essere arbitri della ripresa della Germania, e non accettavano di modificare il piano di Monnet, per la ricostruzione della Francia, in funzione delle necessità dell’ERP. I paesi scandinavi volevano che ad occuparsi del programma fossero le Nazioni Unite. Per finire, l’Europa era divisa tra est ed ovest, tra due superpotenze straniere, in due rispettive aree d’influenza o d’occupazione.

Alla conferenza dei ministri tra Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, a Parigi, fu invitato anche il ministro degli esteri sovietico. Molotov accusò gli americani di non voler effettivamente discutere liberamente di un programma di ripresa, ma di voler solo imporre il proprio. Molotov e la sua delegazione, abbandonarono Parigi pochi giorni dopo il loro arrivo, escludendo l’URSS dal piano Marshall.

La proposta americana fu estesa anche ai paesi dell’Europa dell’est, ma non alla Spagna, a causa della dittatura di Franco, né alla Iugoslavia, il cui esercito aveva abbattuto tre aerei americani nel 1946. Polonia e Cecoslovacchia dimostrarono di essere interessate al piano Marshall ma furono costrette a rinunciare dopo il no russo. Alla fine, sedici nazioni crearono un Comitato per la Cooperazione Economica Europea (CEEC), che avrebbe preparato una lista di priorità per la ricostruzione dell’Europa, si sarebbe occupato delle richieste americane sull’integrazione e la liberalizzazione del commercio. I partecipanti erano: Austria, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Francia, Germania occidentale, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia, Turchia, Regno Unito. A quel punto, la divisione dell’Europa e della Germania diventarono un dato acquisito.

Il 12 luglio, la CEEC si riunì a Parigi. La riunione andò avanti tutta l’estate tra mille difficoltà. A molti paesi partecipanti mancavano i collaboratori, le statistiche o la mentalità per un compito di quel genere, e il fatto che si dovesse mettere a punto un piano comune, che tenesse conto delle necessità e delle risorse di tutti, rendeva la situazione ancora più complicata. Inoltre, la Germania, nonostante avesse un ruolo di primo piano nella ricostruzione europea, a Parigi, non era rappresentata perché era ancora un paese occupato.

Invece di collaborare insieme alla preparazione di un programma integrato, i delegati europei prepararono una serie di richieste nazionali. La CEEC non conosceva l’ammontare della somma che gli americani avrebbero concesso al finanziamento del programma. La prima richiesta, che fu calcolata sottraendo la produzione reale al consumo ed agli investimenti, fu di 29 miliardi di dollari. Tuttavia, il Dipartimento di Stato americano, fece sapere, che tale richiesta era troppo elevata, e che la proposta della CEEC non possedeva i requisiti essenziali richiesti dagli Stati Uniti riguardanti l’integrazione europea. Le negoziazioni andarono avanti per tutta l’estate. Gli americani dovettero intervenire più volte, e sempre più pesantemente, per arrivare ad una proposta che rispecchiasse le loro richieste iniziali.

I lavori della CEEC finirono a settembre, e si risolsero in un compromesso poco chiaro, in cui le nazioni europee si impegnavano a istituire dei comitati per studiare le proposte relative all’integrazione europea (che portarono all’istituzione dell’OECE). Sulla difficile questione tedesca, nel documento finale, la CEEC si limitò a dichiarare che la Germania era di fondamentale importanza per la ripresa europea e che le sue risorse sarebbero state attentamente protette nel reciproco interesse. Inoltre, i partecipanti si accordarono per la cooperazione nello sviluppo dell’energia idroelettrica, la standarizzazione di certi tipi di macchinari, stabilirono degli obiettivi comuni per la ricostruzione della flotta navale, si impegnarono riportare al livello prebellico la produzione agricola, ad incrementare la produzione di fertilizzanti e macchine agricole, a raggiungere una produzione compresa tra il 33% e il 250% di carbone, elettricità, petrolio raffinato e acciaio. La richiesta del comitato CEEC, riguardante i finanziamenti americani, si ridusse a 19 miliardi di dollari, di cui 8,3 per il primo anno.

Con la conferenza di Parigi, e con la creazione dell’ OECE, erano stati mossi solo i primi passi di un lungo cammino verso la ripresa economica europea, e di un altro, molto più lungo, verso l’integrazione europea. Nel frattempo, un altro inverno era alle porte, e paesi come l’Italia e la Francia avrebbero potuto superarlo solo con altri aiuti americani.

Secondo i rappresentanti europei, c’era sicuramente da parte di Marshall e del Dipartimento di Stato americano, la volontà di venire in soccorso delle popolazioni europee e confermò Lord Franks presidente della CEEC a Parigi con queste parole: “Io penso che gli americani lo abbiano fatto in buona parte per motivi umanitari. Il generale Marshall era profondamente impietosito dai milioni di individui che dalla Germania orientale si erano rifugiati nella Germania occidentale e vi si affannano disperatamente, privi di mezzi di sostentamento, sopravvivendo grazie ai viveri acquistati con dollari dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti; era profondamente spaventato dalla tragica situazione delle popolazioni dell’Europa occidentale. Nella primavera del 1947, i contadini francesi e quelli italiani avevano cominciato ad accumulare il loro grano invece di mandarlo alle città, e lo usavano per nutrire il bestiame […]. Ricordatevi che nel novembre del 1947 in Italia i cereali per alimentazione umana erano ormai finiti; in Francia finirono nel marzo o aprile del 1948. Scoppiò una crisi. Questa era la situazione in cui intervennero gli Stati Uniti. E intervennero sia per salvare gli europei, sia per assicurare che l’Europa occidentale continuasse a essere una terra di popolazioni democratiche e amanti delle libertà, prosperose e amiche degli Stati Uniti. Fu a questo punto, secondo me, che l’impegno degli americani nei confronti dell’Europa venne deciso” [21].

Tuttavia, negli Stati Uniti, i motivi che spinsero i parlamentari americani all’approvazione dell’ERP, furono soprattutto quelli che riguardavano le implicazioni politiche, piuttosto che umanitarie. Questa dichiarazione di Acheson conferma questa ipotesi: “Quello che i cittadini e i deputati nel congresso volevano sempre sapere, in ultima analisi, era in che modo gli aiuti del piano Marshall agissero per bloccare l’espansione del potere sovietico e per impedire l’adesione al sistema economico e all’allineamento politico comunista” [22].

2.5 - La reazione sovietica

Quali fossero le reali intenzioni americane nella proposta del piano Marshall, e perché sovietici la rifiutarono, è ancora oggi argomento di discussione fra gli storici. Sembra certo, che l’amministrazione americana, non vedesse di buon occhio la partecipazione russa all’ERP, anche se nel suo discorso ad Harvard, Marshall aveva affermato che l’iniziativa non era rivolta contro nessun governo e nessuna ideologia.

Il discorso di Harvard fu scritto attingendo ai rapporti di Kennan e Clayton, e uno dei più accesi punti di discussione tra i due era stato come organizzare la distribuzione degli aiuti concessi dal Piano Marshall.

Il precedente programma di aiuti dell’ UNRRA, che venne pagato al 75% dagli Stati Uniti, era gestito da 17 paesi (tra cui gli USA), che su base maggioritaria decidevano la destinazione degli stessi. Gli americani, si lamentarono a più riprese che le risorse concesse dall’UNRRA, finivano troppo spesso a paesi appartenenti all’area di influenza sovietica. Questo il motivo principale del fallimento di quell’iniziativa. Gli americani, ed in particolare Clayton, non volevano certamente che l’ERP, riproponesse una soluzione tale per cui i principali finanziatori del programma non potessero poi gestire secondo le loro volontà e la loro convenienza le risorse offerte.

La paura americana, nel caso che i sovietici fossero entrati a far parte del piano Marshall, era che lo sabotassero dall’interno. Questo timore derivava dalla constatazione che Stalin traeva vantaggio dall’inefficacia degli aiuti americani. La debolezza economica e politica europea, rafforzava i partiti comunisti, in particolare Italia e Francia. Questa era anche la tesi che sostenne Marshall, al ritorno dall’ultima conferenza dei ministri degli esteri a Mosca nella primavera del 1947.

La situazione politica di allora non permetteva, nel discorso di Harvard, un atteggiamento aggressivo nei confronti dell’URSS. Questo avrebbe reso più esplosiva una situazione mondiale gia molto calda, e inoltre avrebbe offerto molti argomenti di propaganda negativa all’ERP e a favore delle fazioni politiche comuniste. La situazione desiderata era quella di un cordiale invito a tutti, ed un successivo rifiuto da parte sovietica.

George Kennan scrive nelle sue memorie che il nuovo approccio americano al problema prevedeva che sarebbe toccato agli europei proporre una soluzione. Se non fossero stati capaci di farlo, gli Stati Uniti non avrebbero potuto fare niente per aiutarli. Se i russi avessero accettato questa soluzione, gli americani avrebbero testato la loro reale volontà di collaborazione. Nel caso che l’Unione Sovietica non avesse collaborato secondo gli accordi, sarebbe stata esclusa di fatto. In nessun caso gli Stati Uniti per primi, avrebbero dovuto rifiutare la cooperazione con i russi.

L’incontro di Parigi tra gli americani, Bidault, Bevin e Molotov, che portò al ritiro della delegazione russa dall’ERP, è descritto da Acheson con questa frase che denota da una parte la soddisfazione americana per il rifiuto russo, e dall’altra la sorpresa nel constatare che tutto fosse andato, quasi per caso, nel verso giusto: “Ancora una volta le decisioni del Generale Marshall e la fortuna insieme hanno prodotto il risultato desiderato”[23].

Infatti non occorse molto tempo, per “convincere” i russi a rinunciare a partecipare al piano Marshall.

C’è anche chi sostiene che l’invito a tutte le nazioni fosse in qualche modo sincero anche verso i sovietici, e che una loro reale collaborazione era considerata possibile. Nelle sue memorie Harry Truman scrive: “Anche la reazione della Russia fu immediata. Per un certo tempo parve che la proposta di Marshall potesse condurre non solo a una ricostruzione economica, ma anche a un’apertura della Cortina di ferro” [24].

Ma nonostante le parole di Truman difficilmente si può immaginare che per Stalin, sarebbe stato possibile accettare di fare parte di un programma come quello dell’ERP le cui soluzioni proposte per l’economia europea, miravano tra l’altro, a contenere l’avanzata dei comunisti in Europa.

Analizzando la questione da parte russa, Molotov si ritirò dalla conferenza di Parigi pochi giorni dopo l’inizio della stessa, ufficialmente a causa dei già citati motivi propagandistici ideologici che dividevano l’oriente dall’occidente. Il ministro degli esteri russo, respingeva il piano Marshall, perché esso prevedeva un bilancio unificato delle nazioni europee, cioè un ingerenza negli affari interni delle nazioni. Perché il piano non teneva conto della separazione fra nazioni alleate, neutrali, e nemiche (Germania). Perché, secondo Molotov, il problema tedesco, si sarebbe dovuto risolvere in un consiglio dei ministri separato da quello in corso che riguardava invece il resto dell’Europa.

Molotov stesso, aveva presentato al suo arrivo una proposta dove si chiedeva a ciascun paese europeo di fare delle richieste dettagliate, di aiuti, da sottoporre poi ad una speciale organizzazione che avrebbe chiesto i finanziamenti agli americani. Questa proposta non era naturalmente accettabile dagli Stati Uniti. In primo luogo, non teneva conto della richiesta di cooperazione tra stati europei, che oltre a rendere l’Europa più forte economicamente, avrebbe ridotto la spesa americana nel programma. Inoltre, il programma proposto da Molotov, era molto simile a quello dell’UNRRA che, come già detto, non si adattava alla volontà americane di avere il controllo sull’allocazione degli aiuti.. Questa volta, gli americani fecero sapere che “He who pays the piper calls the tune” [25]. Dunque, chi era disposto a pagare per l’impresa, guadagnava il diritto di decidere su come questa doveva essere attuata.

Kindleberger ritiene che la collaborazione russa fu la causa del malfunzionamento di molti programmi di aiuto del primo dopoguerra. A sostegno della sua tesi, porta l’esempio la ECE (Economic Commission for Europe), dove l’atteggiamento sovietico non era collaborativo. Questo rendeva difficile la progettazione e l’implementazione di qualsiasi tentativo di aiuto. Anche se le parole di Kindlebeger, sono da prendersi come quelle di una delle parti in causa, è ovvio che le opinioni di USA e URSS, erano sempre diverse su qualsiasi questione riguardante il nuovo assetto europeo, e per tale ragione la loro partecipazione a qualsiasi organizzazione rendeva praticamente impossibile ogni azione costruttiva.

Truman, descrisse così il comportamento di Molotov a Parigi: “L’ambasciatore Bedell Smith ci avvertì giustamente da Mosca che Molotov non aveva alcuna intenzione di prender parte ad alcuna impresa costruttiva. Egli cercava soltanto di sfruttare la situazione per gli scopi propagandistici della Russia. Tentò di indurre Bevin e Bidault a chiedere agli Stati Uniti di fissare in una cifra in dollari e cents l’ammontare totale dell’aiuto che l’Europa poteva aspettarsi. Naturalmente il Dipartimento di Stato si sarebbe trovato costretto a rispendere che noi non potevamo impegnarci in una forma simile, e i sovietici avrebbero potuto proclamare al mondo che noi cercavamo di evitare ogni promessa concreta è […] Molotov non desidera che questa faccenda abbia successo, ma d’altra parte i suoi satelliti affamati su leccano le labbra nella speranza di ricevere un po’ di denaro. E naturalmente non sanno come cavarsela” [26].

In effetti, Polonia e Cecoslovacchia si erano dichiarate disponibili alle trattative sul piano Marshall, e questo rischiava di mettere in difficoltà la politica sovietica in due importanti paesi dell’area d’influenza russa. Era chiaro che l’URSS non poteva concedere a due paesi satelliti di partecipare ad un’operazione che si muoveva in direzione opposta alla strategia comunista.

Sull’improvvisa ritirata della delegazione russa da Parigi, Aga Rossi e Victor Zaslavsky, scrivono: “Fino all’apertura degli archivi sovietici le ragioni di questo improvviso ripensamento rimanevano incomprensibili. La nuova documentazione rende ora possibile ricostruire questo passaggio mancante del processo decisionale sovietico. Alla mattina del 30 giugno Molotov ricevette da Mosca un telegramma cifrato in cui i servizi segreti riferivano l’informazione dell’agente Donald Maclean, membro del gruppo dei "cinque di Cambridge", primo segretario dell’ambasciata britannica a Washington.

Secondo Maclean, gli aiuti del piano Marshall dovevano sostituire le gravose riparazioni tedesche all’Urss richieste da Stalin. Dal punto di vista sovietico, inoltre, il controllo internazionale cui sarebbero stati soggetti gli aiuti americani "era assolutamente inaccettabile perché avrebbe impedito il consolidamento del controllo nell’Europa orientale [...] dove i partiti comunisti sarebbero stati privati delle leve economiche del potere" [27]. Ciò inaspriva sicuramente il disaccordo tra Stati Uniti e Unione Sovietica su due punti già ricordati: la separazione fra il problema tedesco e quello europeo, e la distinzione nell’ERP fra paesi alleati, neutrali e nemici.

L’Unione Sovietica non aderì al piano Marshall e convinse, o costrinse, Polonia e Cecoslovacchia a fare lo stesso. Inoltre, nell’ottobre del 1947, Stalin istituì il COMINFORM, un’organizzazione che aveva il compito di controllare i partiti comunisti dei paesi satelliti, e di diffondere e di sostenere la propaganda comunista anche in occidente.

[13] www.marshallfoundation.org/about_gcm/marshall_plan.htm
[14] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.111
[15] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.119
[16] H.B. PRICE, The Marshall Plan and its meaning , Ithaca (N.Y.) 1955, p.53
[17] H.B. PRICE, op. cit., p.60
[18] H.B. PRICE, op. cit., p.58
[19] M.J. HOGAN, The Marshall plan, Cambridge 1987, p.95
[20] H.B. PRICE, op. cit., p.70
[21] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.127
[22] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.127
[23] C.P. KINDLEBERGER, op. cit., p. 92
[24] H.S. TRUMAN, Memorie di Harry S. Truman, Milano 1956, p.138 volume 2
[25] C.P. KINDLEBERGER, op. cit., p.100
[26] H.S. TRUMAN, op. cit., volume 2, p.138
[27] http://www.ideazione.com/Rivista/1998/marzo_aprile_1998/agarossi_zaslavski_2_98.htm

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