LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1915
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3a e 4a BATTAGLIA SULL'ISONZO - IL PRIMO INVERNO (1915)

LE OPERAZIONI DI GUERRA DAL 23 AGOSTO AL 17 OTTOBRE DEL 1915 - LENTI, MA COSTANTI PROGRESSI DELLE NOSTRE ITALIANE SU TUTTO IL FRONTE - IL GENERALE JOFFRE VISITA IL FRONTE ITALIANO - PROVVEDIMENTI ANNUNZIATI DAL GOVERNO PER PROTEGGERE I COMBATTENTI DAI RIGORI INVERNALI - L'OFFENSIVA TALIANA DELL'AUTUNNO DEL 1915 - CONCETTO INFORMATORE - LO SCHIERAMENTO DELLE FORZE - LE VICENDE DELLA LOTTA SUL FRONTE V. GIULIA - PROGRESSI DELL'OFFENSIVA SUL FRONTE TRENTIN - IN CARNIA - SCARSI I RISULTATI DEL PRIMO ANNO DI GUERRA


Verso la conquista del Cevedale

LE OPERAZIONI DI GUERRA
DAL 23 AGOSTO AL 17 OTTOBRE DEL 1915

L'azione offensiva italiana non si esaurì in agosto con la seconda battaglia dell'Isonzo iniziata il 18 luglio, né, terminata questa, ebbe sosta quello stimolo iniziale dovuto agli entusiasmi patriottici e all'idea di una guerra breve.

Il bollettino del 23 agosto annunciava, infatti, che "…di notte e di sorpresa le truppe dell'ala sinistra sul Carso hanno espugnato alcune forti trincee nemiche; nella zona di Monte Sei Busi e sono stati respinti alcuni attacchi nemici; le operazioni per l'offensiva su Tolmino si stanno sviluppando metodicamente; ma un'improvvisa irruzione austriaca contro la linea italiana a difesa del costone che dal Col di Lana scende su Salesei, è fallita nonostante sostenuta da un'intensa azione d'artiglierie".

Il bollettino del 24 registrava: "…duelli d'artiglieria in vari punti del fronte con il sopravvento delle nostre batterie, e attacchi austriaci respinti nell'alto Cordevole e alle testate della valle della Rienz e del vallone di Bòden".

Il bollettino del 25 diceva: "Nella zona del Tonale, dopo adeguata preparazione di fuoco con le artiglierie, le nostre truppe s'impadronirono il giorno 21 della testata di Valle Strino (Noce) e obbligarono reparti nemici che la occupavano a ritirarsi lasciando in nostro possesso otto baraccamenti. Contro le posizioni conquistate, l'avversario aprì subito un intenso fuoco d'artiglieria, indi lanciò all'attacco le fanterie sostenuto con mitragliatrici, fu respinto ma dopo aver sofferto sensibili perdite. Rimasero nelle nostre mani molte armi, munizioni e materiale vario. Nell'alto Cordevole il nemico tentò ieri di danneggiare con tiri d'artiglieria e lanci di bombe a mano le nostre posizioni del Col di Lana verso Salesei ed Agai; ma efficacemente controbattuto dal nostro fuoco dovette presto desistere. Sull'Isonzo, e specialmente attorno a Tolmino, Plava e sul Carso, l'avversario spiegò grand'attività di fuoco d'artiglieria contro i nostri lavori. Un suo tentativo di riattare un'interruzione ferroviaria da noi precedentemente operata lungo la linea di Nabresina, ad est di Monfalcone, fu mandato a vuoto dall'assidua vigilanza dei nostri reparti".

Su tutti i fronti, le truppe italiane dunque progredivano ma il nemico non concedeva pause. Sul fronte trentino, il 25 agosto, le truppe italiane della Val Sugana dalla linea Monte Civaron-Torrente Maso spingevano l'Occupazione fino alle posizioni di Monte Armentera-Monte Salubio; reparti d'alpini assalivano le posizioni di Passo di Lago Scuro (2968 m.) e di Corno Bedole (3.009 m.) e, fiaccata l'accanita resistenza avversaria, se ne impadronivano; le batterie, come risposta a quelle nemiche che si accanivano contro l'ospedale civile di Pieve di Livinallongo, bombardavano Arabba e Cherz ove erano visibili intensi movimenti di truppe; il 26, il nemico tentava attacchi di viva forza contro le posizioni italiane del Seikoff, di Monte Pioneva e dello Zellonkofel, ma veniva ovunque respinto; il 27 gli austriaci insistevano a bombardare vari punti della Val Sugana e assalivano le posizioni italiane di Monte Armentera, anche se prontamente respinte; il 28 gli italiani attaccavano Cima Cista, in Val Sugana e dopo un duro combattimento la conquistavano; il 30 assalivano la forte posizione di Monte Maronia, a nord-ovest di Arsiero, e l'occupavano.

Sul fronte Carnico, eccetto i continui tiri delle opposte artiglierie e qualche attacco austriaco respinto, nulla di notevole nell'ultima decade di agosto; però sull'Isonzo ci fu una lenta ma discreta avanzata. Il 25 agosto, nell'alto Isonzo gli alpini prendevano d'assalto forti trinceramenti nemici lungo le balze meridionali del monte Rombon, e sul Carso l'ala sinistra occupava altre trincee austriache; il 26 sul Carso, il nemico, accortosi che le truppe italiane si erano impadronite di un boschetto attiguo alla strada da Sdraussina a San Martino, apriva contro di loro un intenso fuoco di artiglieria, indi lanciava le truppe all'assalto; ma dopo una mischia violenta gli Austriaci venivano messi in fuga e gli italiani si rafforzavano sulla posizione conquistata.

Dal bollettino del 27 agosto:
"…azioni di artiglieria nella zona di Plezzo e sul Carso; e nell'alto Isonzo un reparto da montagna, dalla posizione di Monto Kukla ad occidente di Monte Rombon, tentava un ardito colpo di mano sulle trincee nemiche disposte in fortissima posizioni ed in più ordini sulla sommità del Rombon (2208). A causa delle gravissime difficoltà del terreno e dell'accanita resistenza del nemico che si opponeva con fuoco di fucileria, lancio di bombe a mano e perfino con rotolamenti di macigni, le truppe italiane riuscivano ad impadronirsi soltanto di alcune delle trincee"

Tra il 28 e il 30 le truppe italiane si spingevano oltre la borgata di Plezzo e la coprivano da forti posizioni sbarrando gli accessi del Predil, dell'alto Isonzo e dal Vallone dello Slatenik; nel settore di Tolmino progredivano sulle alture delle fronti occidentali della piazza; sul Carso il nemico sferrava attacchi, ma veniva respinto e abbandonava alcune trincee nella zona del Monte Sei Busi e ad oriente delle Cave di Selz; vivace azione di pattuglie, il 31, intorno a Plava e un tentativo infruttuoso d'attacco nemico contro le posizioni italiane sulle pendici del Rombon.

Non meno intensa fu l'attività italiana nel settembre. Il mese si apriva con azioni d'artiglieria nemica da Borgo di Val Sugana a Roncegno e, da parte italiana, con bombardamenti contro il forte Hermann e posizioni nemiche in Val Sexten e in Val Seebach.
Nella zona di Paralba, il nemico occupava l'aspro massiccio di Monte Chiadenis e di Monte Avanza. Tra le truppe italiane di Val Sesis e quella di Val Degano fu combinata una serie di operazioni intese a scacciare gli Austriaci da quelle importanti posizioni. L'azione ben preparata e condotta con ordine e tenacia assicurò il possesso di tutto il massiccio nonostante la viva resistenza del nemico che dovette essere snidato di vetta in vetta e, infine, dalle due guglie del Chiadenis, dove s'era fortemente trincerato.
La sera del 1° settembre gli Austriaci, salendo con numerose forze dalla Valle di Fleons, tentarono di riconquistare le posizioni perdute, ma furono completamente respinti.
Anche un attacco al Monto Piana fu il 2 settembre respinto con gravi perdite del nemico. Quel giorno stesso gli Austriaci tentarono di danneggiare alcuni dei ponti sull'Isonzo con una mina galleggiante abbandonata alla deriva, ma non vi riuscirono. Sul Carso, l'abile manovra di un reparto italiano rese possibile l'occupazione, quasi senza contrasto, di altre trincee nemiche nella zona del Monte Sei Busi. Due violenti attacchi sferrati dagli Austriaci, l'uno nella Valle di Doden, l'altro alle posizioni dello Slatenik furono nettamente respinti. Intanto l'artiglieria italiana, continuando ininterrottamente la sua azione, insieme con quella delle fanterie nella parte montana della zona d'operazione, otteneva nuovi risultati, specie nell'alto Cordevole. Il forte La Certe, già danneggiato e riattato in parte dagli Austriaci, veniva ancora efficacemente bersagliata dalle artiglierie italiane.

Il bollettino del 5 settembre accennava a "…scontri di piccoli reparti avvenuti sul costone di Redival in Val Strino, fra Serravalle e Marco in Val d'Adige, e presso Cima Cista in Val Sugana; nostre avanzate in più punti sul fronte carsico con occupazione di trinceramenti nemici e progressi specialmente sensibili nel settore di Doberdò".

Il 3 settembre era giunto al Quartiere Generale Italiano il generalissimo francese JOFFRE, giunto per ossequiare il RE, conoscere il Generale CADORNA e farsi un'idea del fronte italiano. Il 4, dopo una visita a Monfalcone sotto il fuoco delle artiglierie nemiche di Doberdò, il Re, Jofre e i generali Cadorna e Porro si recavano dal Duca d'Aosta e, da lui accompagnati, visitavano alcuni punti della difesa verso gli avamposti; il 5 il generalissimo francese assisteva alla messa del soldato celebrata da padre Semeria, e il 6 partiva alla volta di Modane, donde telegrafava al Cadorna, dicendogli fra l'altro di essere stato felice di aver passato qualche giorno a contatto delle superbe truppe italiane. "Fraternamente unito all'esercito francese - continuava - che plaude calorosamente ai vostri primi e brillanti successi, l'esercito italiano marcerà con passo sicuro alla vittoria definitiva che le nazioni alleato sapranno riportare insieme con lo stesso slancio e con lo stesso cuore per la libertà e per la civiltà".

Il giorno stesso della partenza del generale Joffre, il bollettino annunziava scontri di truppe italiane con reparti avversari in Val d'Adige e in Valle S. Pellegrino, piccole vittoriose azioni di reparti contro le posizioni nemiche di Monte Rombon, e l'occupazione da parte dei nostri di un bosco in Val Coritnica. Il 7 nella Val Camonica l'artiglieria bombardava baraccamenti nemici nella cava di Presena; dal settore di Tolmino giungeva notizia che, nella notte sul 6, il nemico, favorito dalla nebbia e dall'oscurità, dopo un'intensa preparazione di fuoco delle artiglierie, aveva sferrato un violento attacco contro le posizioni italiane di Cina Mrzli, ma era stato respinto con gravi perdite.
Intense azioni di artiglieria, l'8 e il 9, nell'alta Val Camonica, dove il tiro delle artiglierie italiane scacciava il nemico dal Rifugio Mandrone sulle alte quote dell'Adamello e Presanella; sulle posizioni del Monto Maronia, che rimanevano in saldo possesso; in Valle Avisio, dove ricoveri e baraccamenti nemici venivano distrutti; nell'alto Cordevole, dove venivano danneggiati il forte, La Corte e l'officina elettrica di Ruaz; nella Conca di Plezzo, dove i tiri facevano retrocedere colonne nemiche provenienti da Predil e dalle Kashutte, e all'estrema destra della fronte orientale dove il bombardamento austriaco provocava un incendio a Monfalcone.
Unitamente all'azione delle artiglierie avevano luogo qua e là azioni di fanterie italiane e nemiche, conte quella invano tentata dagli austriaci, la mattina del 9, contro le posizioni italiane di Kastrein Spitz.

Piccoli ma importanti scontri, favorevoli all'Italia, dovuti all'attività offensiva dei suoi reparti in ricognizioni o agli attacchi di sorpresa tentati dal nemico, segnalavano i bollettini del 10 e dell'11 settembre sul Nagler Spitz (3248 m.), a Malga Val Piano, nella Val Camonica, nella Val di Ledro, al Monte Maronia, al Monte Piana, a Monte Croce Carnico, allo Slatenik e nel settore di Tolmino.
In quei giorni essendo avvenuto un repentino generale abbassamento di temperatura ed essendo su certe montagne del fronte già caduta la neve, alta quasi un metro, veniva diramato dalla Stefani questo comunicato ufficioso:


"Ad eliminare ogni preoccupazione sulle condizioni in cui i nostri soldati si trovano e si troveranno di fronte alla rigidezza dell'entrante stagione, è bene sia noto che, indipendentemente da quanto il paese, con nobile iniziativa, sta facendo per i suoi figli; il Ministero della Guerra ha provveduto e sta provvedendo con la necessaria larghezza a quello che può occorrere a difesa del soldato dai rigori del freddo. Predisposta fin dallo scorso inverno e già da qualche tempo in corso di distribuzione, a giudizio e dietro richiesta dei singoli comandi mobilitati, ad ogni uomo è assegnata una speciale dotazione di capi di corredo invernale (calze, camicie, mutande, cravatte, guanti, cappuccio, il tutto di lana, fasce di panno, mollettieres, seconda coperta da campo). A tutte le truppe dotate di mantellina, questa verrà gradatamente sostituita con un cappotto pesante. Oltre a questi provvedimenti generali, altri speciali sono stati predisposti per le truppe che sono nelle regioni più elevate. Saranno loro distribuiti cappotti speciali pesanti in pelliccia, colletti e manopole in pelliccia, doppi pettorali (stole) in pelle di agnello o di capretto che già fecero ottima prova presso i nostri alleati, sacchi a pelo del tipo usato dalle truppe alpine e dalle guardie di finanza. E' già avanzata la costruzione di baraccamenti e ricoveri, e sono già state impartite istruzioni e saranno largamente e sollecitamente forniti i mezzi per la protezione delle truppe stazionanti nelle trincee. Tutti questi provvedimenti, studiati in base ad un programma organico già in corso di attuazione ed integrati dal mirabile slancio della popolazione, assicurano che, anche tra i disagi del clima, i nostri soldati, difesi contro i rigori, potranno continuare a compiere serenamente il loro dovere".

( NOTA - Un calcolo postbellico, mette in evidenza che i provvedimenti di questo primo inverno in trincea (e sulle altissime montagne) erano discrete anche se non certo generose; le calorie di una razione giornaliera, erano di 3.846. (Un fante riceveva 750 grammi di pane al giorno, 300 grammi di pasta o di riso, 375 grammi di carne, varie verdure).
I guai - con vere sollevazioni di proteste - iniziarono nell'inverno 1916-17, quando si ridussero queste razioni (il pane ridotto a 600 grammi, la carne a 250 grammi, le verdure pressoché dimezzate) portando le calorie inferiori alle 3000. Ridurre le razioni fu un errore grossolano specialmente in quelle compagnie alpine impiegate non solo in alte quote, ma nei rigori invernali delle stesse. Sul gruppo del Cevedale, o sul gruppo dell'Adamello, le temperature sfioravano costantemente i 20 e anche i 30 gradi sotto zero e 3000 calorie si consumavano anche stando fermi).

Le azioni belliche intanto non avevano soste. Nel Trentino, durante la notte del 12 settembre il nemico pronunciava due inutili attacchi contro le linee italiane dell'alta valle della Rienz; il 14 i reparti in ricognizione attaccavano e respingevano forti nuclei nemici appostati presso Cimego (Val Giudicaria) e Fossernica (Val Cismon); il 15 il nemico, che aveva ricevuto notevoli rinforzi, tentava in più punti di esercitare una forte pressione contro le linee italiane mediante attacchi di fanterie preceduti ed accompagnati da violente azioni di artiglierie; nella notte del 17 gli Austriaci furono respinti dalle posizioni di Monte Caston che avevano attaccato dopo intensa preparazione di fuoco; il mattino del 18, le truppe italiane assalivano e disperdevano forze nemiche a monte Volpiana; nella zone a nord-ovest di Arsiero; e falliva completamente un attacco austriaco alle posizioni italiane di Osteria Fiorentini; dopo parecchie ore di accanito combattimento, il 19 e il 20 avevano luogo scontri con esito a favorevole per gli italiani a Monte Lavanek, sulle Tofane, sul Rautkoff e nel vallone di Travenanzes.

Dal 21 al 23, quella zona montuosa a nord-ovest e a nord-est di Cortina d'Ampezzo, con maggiore sviluppo nella zona del Cristallo, venivano svolte ardite e ben combinate operazioni per scacciare reparti nemici, che, insinuatisi poi valloni del massiccio della Tofana e del gruppo del Cristallo, disturbavano l'occupazione italiana: nella notte del 21 un reparto, spinto sul Monte Melino, raggiungeva e sconvolgeva reticolati e trinceramenti nemici; durante la giornata del 22 e la notte del 23 furono respinti attacchi austriaci contro le posizioni italiane di Malga Prà del Bertoldi e del Sasso di Stria sul Passo Falzarego; il 23 la forte posizione di Monte Coston cadeva completamente in potere italiano e quella non meno forte del Torrione, nella zona del Tonale, era teatro di un furioso combattimento, ma non poteva esser tenuta a causa del violento tiro delle opposte artiglierie, né dagli Austriaci né dagli italiani; veniva invece occupata dagli alpini con ardita e difficile azione la Sulden Spitze (3376 m.); il 24 una colonna nemica che cercava di toglierci nella zona del Cevedale la capanna Cedeh era contrattaccata e respinta e ancora respinti erano nei giorni successivi reparti austriaci che ritentavano la prova; il 26 scontri avvenivano a Dosso Cassina, sulle pendici settentrionali dell'Altissimo; e sullo scorcio di settembre, pur imperversando le tormente e nonostante le abbondanti nevicate, continuava l'azione delle artiglierie nello alte montagne ed aveva luogo qualche piccola operazione.

Sul fronte carnico, il 14 settembre gli Austriaci sferravano attacchi, miseramente falliti, lungo le creste alpine tra l'alto Degano e l'alto Chiarzo; il 16 un reparto italiano metteva in fuga truppe nemiche in Val Folla; il 20 avvenivano piccole operazioni controffensive nella Valle Boite e al passo di Valaia; il 23, dopo intensa azione di fuoco di artiglieria contro tutto il fronte italiano dal Pal Piccolo al Pizzo Avostanis, il nemico sferrava tre successivi attacchi, che furono tutti respinti; il 27 venivano segnalati piccoli combattimenti a Malga Secondo, nella zona di Monte Coston.

Sul fronte dell'Isonzo, il 12 settembre, le truppe italiane attaccavano le forti posizioni ancora in possesso del nemico nel versante orientale della conca di Plezzo e con tenacissimi sforzi generosamente compiuti, nonostante l'asperità del terreno e l'accanita resistenza austriaca appoggiata da numerose e potenti batterie, conseguivano sensibili risultati; nella zona di Plava, nuclei nemici portati con un treno blindato da Gorizia, tentavano nella notte del 12 un colpo di mano contro le trincee italiane a sud della galleria meridionale di Zagora, ma erano respinti. Nella zona di Plezzo, compiuto l'assetto difensivo delle posizioni recentemente conquistate, l'offensiva italiana diretta a completare lo sbarramento degli accessi alla conca era ripresa il 15 con rinnovato vigore e lungo tutta la linea, dalle balze del Rombon alle pendici boscose del Javorcek e alle rocce del Lipnik, le fanterie italiane riuscivano ad avvicinare le fortissime trincee nemiche protette da profondi ordini di reticolati e ad aprirvi larghe brecce.
Sull'Javorcek alcuni trinceramenti venivano espugnati, l'osservatorio e due blockhouses fatti saltare e preso buon numero di prigionieri. Nella notte del 17 due attacchi nemici nella zona del Carso erano respinti. Sul Carso il nemico era rimasto fortemente trincerato nell'intorno di un bosco detto Ferro di cavallo, nella zona del monte San Michele. Alternando azioni di sorpresa con attacchi di viva forza le fanterie italiane riuscivano ad occupare, il 18, tutto il bosco, nonostante l'accanita resistenza avversaria e i ripetuti contrattacchi.

Azioni di artiglieria nei giorni seguenti nella conca di Plezzo e nella zona di Gorizia; piccole azioni controffensive a Plezzo e sul Rombon; attacchi austriaci respinti il 23 presso la collina di S. Marco nel settore di Tolmino e al bosco Ferro di cavallo e ancora nella zona di Tolmino il 25. Il 27, all'estrema ala sinistra della linea italiana carsica, le fanterie, avanzando di sorpresa, riuscivano a compiere sensibili progressi in direzione di Peteano: il 28 un attacco nemico in direzione di Selz fu respinto e la stessa sorte subivano altri due attacchi sferrati nella notte sul 28 e la notte del 29 contro le posizioni italiane della- collina di Santa Maria di Tolmino; riusciva invece un attacco di un reparto di alpini italiani, contro le posizioni nemiche dei contrafforti del Monte Nero che scendono verso Tolmino.

Una delle più vivaci azioni del mese di settembre fu compiuta la notte del 30 sul settore di Tolmino. Dal Mrzlì al Vodil ed alle alture di Santa Maria e di Santa Lucia le truppe italiane attaccavano le linee avversario e, nonostante le straordinarie difficoltà del terreno e l'inclemenza della stagione, riuscivano a prendere d'assalto fortissimi trinceramenti. Manifestatosi un violento contrattacco di numerose forze nemiche, i successi aspramente conseguiti all'ala sinistra sui contrafforti del Mrzli e del Vodil non potevano essere mantenuti; all'ala destra, sulle colline di Santa Maria e di Santa Lucia invece era possibile rafforzare e mantenere il terreno conquistato.

All'inizio di ottobre, la guerra che si combatteva su quasi tutto il fronte era diventata una guerra infernale, quindi lenta e di operazioni ridotte. Eppure qua e là i soldati italiani continuavano a mostrare un contegno aggressivo. Nella zona del Passo Tonale, la sera del 3 ottobre, un reparto alpino, scalata la ripida vetta del Torrione, ne cacciava nuclei nemici che vi si erano annidati e ne distruggeva le difese. In val Terragnolo una colonna occupava, il 5, Camperi e Alla Volta, sulle pendici meridionali del Doss del Sommo, e reparti in durissimi scontri col nemico fra Monte Maronia e Valle Fonda riportavano brillanti successi; tra l'Adige e il Brenta, ardite irruzioni di nuclei, il 10, contro le posizioni avversarie e, la notte, attacco austriaco respinto alle trincee italiane di Malga Pioverna Alta sul Monte Maronia. All'alba dell'11 era ricacciato con grosse perdite un attacco nemico a Malga Secondo Posto, a nord del Monte Coston; il 12 avvenivano vittoriosi scontri di reparti italiani con nuclei nemici in Valle Ribor (Chiese), sul Pianoro di San Giorgio (Val di Ledro) e in Val Campelle (torrente Maso-Brenta).

Il bollettino ufficiale del 17 ottobre, riportava un'ardita e ben condotta operazione:
"Le nostre truppe hanno occupato la forte e munita posizione di Pregasina, importante punto avanzato del gruppo fortificato, nell'aspra zona montuosa ad occidente del Lago Garda. L'azione fu iniziata nella notte del 13. Mentre sulla sponda orientale delle balze dell'Altissimo nostri reparti avanzavano dimostrativamente su quella occidentale, le truppe destinate all'attacco muovevano verso Pregasina e, nonostante le difficoltà del terreno, le avverse condizioni atmosferiche e il violento fuoco delle potenti batterie delle opere di Riva, riuscirono a portarsi fin sotto ai trinceramenti nemici. Nella notte, favoriti da fitta nebbia, nostri arditi drappelli si avvicinavano ai reticolati e vi aprivano larghe brecce. Il mattino del 15, ripresosi l'attacco sotto il vivo tiro nemico di fucileria, di artiglieria e di bombe asfissianti, le nostre truppe conquistarono Pregasina e avanzarono vittoriosamente sulle alture a settentrione del paese dominanti la valle di Ledro sulle quali vi si stabilirono saldamente".

In Carnia il nemico tentava la notte sul 4 ottobre un attacco contro le posizioni italiane sul torrente Pontebba, ma era respinto; stessa sorte subivano, il 6 ottobre, irruzioni austriache in Val Fella, le quali, ritentate due giorni dopo, non avevano esito migliore.

Il bollettino del 14 ottobre riportava:
"Il giorno 11 e 12 il nemico tentò un attacco della nostra fronte dal Monte Pal, ad est del Passo di Monte Croce, al Monte Sàlinchiet sul torrente Pontebbana. Dopo intensa preparazione di fuoco di artiglieria, cominciata il giorno 11 e durata tutta la notte successiva e parte del 12, nel pomeriggio di questa giornata l'avversario lanciò colonne di fanteria all'assalto delle nostre posizioni alla testata del torrente Chiarzo. Il contegno delle nostre truppe, l'efficace fuoco di artiglieria, mitragliatrici e fucileria e felici controffensive, da noi spinte nei settori laterali dal Pal Grande al Pal Piccolo, e dal Monte Pigul a Monte Salinchiet, valsero dopo una lunga lotta a ricacciare, sul cader del giorno, l'avversario, infliggendogli perdite gravi .... Nonostante l'entità delle forze impiegate dall'avversario e la lunga preparazione del fuoco di artiglieria, lo slancio dell'attacco fu dal nostro fuoco calmo e preciso rotto a notevole distanza dalle nostre posizioni che l'avversario con ogni suo sforzo non riuscì neppure ad avvicinare. Nuclei nemici, rimasti annidati nella zona boschiva del Lodinut, all'inizio del torrente Chiarzo, sono stati nella giornata del 13 efficacemente battuti dai tiri di fucileria e di artiglieria e fatti segno ad attacchi di nostri drappelli che hanno preso anche alcuni prigionieri".
Il 16 ottobre, piccole offensive di nostri reparti alla testata di Val d'Assa.

Così il bollettino del 3 ottobre sul fronte orientale: "… il nemico attaccava di fronte a Peteano le nostre posizioni, ma era validamente respinto; il giorno dopo invece un nostro reparto di fanteria irrompeva dai trinceramenti verso il Costone che dal San Michele scende su Peteano, attaccava i nemici che l'occupavano e li metteva in fuga. Sul Carso goriziano, sull'ala sinistra delle nostre posizioni, nella notte sul 7 e nella giornata seguente avvenivano attacchi di nostri piccoli reparti coronati da buon successo; nel pomeriggio del 7 poi, dopo violento e intenso connoneggiamento, il nemico tentava con molte forze un attacco in direzione di Selz, ma veniva arrestato e ricacciato con perdite dai nostri tiri. Altri attacchi in forze, nella giornata del 9 e nella successiva notte sul 10, dopo intensa preparazione di fuoco, tentava contro le nostre posizioni sulla destra dello Slatenik, sul Mrzli, a Dolie, a Plava e a Zagora, ma dovunque veniva respinto con perdite rilevanti. Il nemico, non contento di questi insuccessi, attaccava ancora: la sera dell'11, con intensa preparazione di fuoco di artiglierie e numerose forze, le nostre posizioni a est di Vermegliano e sul Monte Sei Busi; la sera del 13 i nostri approcci sul Mrzli; il pomeriggio del 12 le nostre linee ad est di Monfalcone; ma sempre veniva respinto sulle trincee di partenza, lasciando sul terreno morti e feriti e nelle nostre mani non pochi prigionieri".

L'OFFENSIVA ITALIANA DELL'AUTUNNO DEL 1915
CONCETTO INFORMATORE
LO SCHIERAMENTO DELLE FORZE
LE VICENDE DELLA LOTTA SUL FRONTE IN GIULIA
PROGRESSI DELL'OFFENSIVA SUL FRONTE TRENTINO E IN CARNIA
I RISULTATI DEL PRIMO ANNO DI GUERRA - FIGURE DI EROI

Desiderata dagli alleati, voluta dal Governo, reclamata dal paese, promessa al JOFFRE dal CADORNA nei primi di luglio e poi nei primi di settembre, l'offensiva su tutto il fronte italiano, ma specialmente sul fronte Giulia e nell'alto Cordevole, ebbe inizio il 18 ottobre e durò un mese e mezzo.
Concetto informatore dell'offensiva era: azione di fuoco e attacco alle ali nel tratto Salcano-Rubbia; guadagnato terreno alle ali, si sarebbe attaccato il Podgora e si sarebbe passato l'Isonzo presso il margine settentrionale dell'altipiano carsico per proteggere la III Armata che avrebbe dovuto passare il Vallone e puntare su Oppacchiasella.
Obiettivo della grande offensiva italiana era quella di tentare di sfondare il "confine militare austriaco", cioè la linea difensiva stabilita prima del conflitto dal comando nemico (ma era già un anno che gli austriaci si erano dati da fare -senza sosta- per rendere questa "linea" impenetrabile, salvo compiere delle azioni suicide. Dopo i primi sbarramenti di reticolati e fossati, gli austriaci avevano allestito il secondo, il terzo, il quarto e in alcuni punti critici erano arrivati all'ottavo sbarramento come il "trincerone" di Monte Nero.

Di conseguenza, la IIa Armata doveva da Plava avanzare verso il Monte Kuk e passare l'Isonzo fra Canale ed Auzza; quindi doveva procedere sul Monte Santo e sul Monte San Gabriele ed occupare fortemente il margine dell'altopiano della Bainsizza. La IIIa Armata, prima doveva allargare la sua fronte verso il Kosich, Deboli e il San Michele, poi doveva oltrepassare il Vallone e avanzare su Oppacchiasella.

Lo schieramento delle truppe era il seguente: la IIa Armata, forte di 167 battaglioni, teneva il fronte da Plezzo a Mocchetta, con il IV Corpo d'Armata dalla Conca di Plezzo al Monte Globoeak; l'VIII Corpo da Monte Globocak al Monte Corada; il II° Corpo del Monte Corada a San Floriano e il VI Corpo da San Floriano a Mocchetta; la III Armata, forte di 79 battaglioni teneva il fronte da Mocchetta al mare con il XIV Corpo da Mocchetta a Sagrado, il X Corpo da Sagrado a Redipuglia e il VII Corpo da Redipuglia al mare.

Contro i 312 battaglioni italiani schierati sul fronte Giulia stavano, a quanto pare, 147 battaglioni austro-ungarici. Sullo stesso fronte quello italiano avevamo riunito circa 300 bocche da fuoco di grosso e medio calibro, ma non avevano la quantità di munizioni necessaria per sfondare un fronte così vasto, bel fortificato con le opere di guerra come detto sopra, forte per la natura dei luoghi, e per il gran numero di artiglierie, munizioni, mitragliatrici, lanciabombe ecc. di cui era provvisto il nemico.

La terza battaglia dell'Isonzo...
... come fu detta l'offensiva dell'autunno del 1915 - ebbe inizio con una preparazione di fuoco di artiglieria durata tre giorni, dal 18 al 20 ottobre. Al mattino del 21, da Caporetto al mare, le truppe italiane cominciarono l'attacco delle posizioni nemiche, coperte da estesi reticolati, guarnite -come detto- da più linee di trincee e difese da numerose forze.

Così il bollettino del 22 ottobre:
"Sotto il violento e concentrato fuoco nemico di artiglieria, di fucileria e di bombe a, mano, - - le nostre fanterie, avanzando con slancio e tenacia, conquistarono alla baionetta importanti posizioni; nella zona di Monte Nero il fortissimo "trincerone" sottostante alle vette del Mzrli; nel settore di Tolmino numerose e ben munite trincee sulla collina di Santa Lucia; al nord di Gorizia una solida ridotta sulle falde del Monte Sabotino. Anche sul Carso le robuste linee avversarie furono rotte in più punti, reparti nemici annientati e dispersi 1184 soldati e 25 ufficiali fatti prigionieri".

Il 22 ottobre nell'alto e medio Isonzo, lo truppe italiane progredirono sul piccolo Javorcek, sulla collina di Santa Lucia e ad Oslavia; due violenti contrattacchi nemici furono respinti al MrzIi; sul Carso, nonostante la resistenza nemica, le fanterie italiane, dopo alterne vicende di lotta accanita e sanguinosa, riuscirono a progredire, specie verso San Martino. Caddero nelle nostre mani 2009 prigionieri, 60 ufficiali, 7 mitragliatrici, grande quantità di munizioni ed altro materiale".

Il bollettino del 23 ottobre annunciava che
"… nella zona di Monte Nero è stata completata l'occupazione del costone a sud-est del Mrzli e sono stati respinti due violenti attacchi alle posizioni italiane del Vodil; sul Sabotino e sul Podgora sono stati presi d'assalto, con una lotta vivace e con grande impeto alcuni trinceramenti; sul Carso si combatte tutto il giorno con reciproco accanimento.
"Incuranti dei micidiali effetti delle artiglierie nemiche, le nostre fanterie più volte avanzarono impetuosamente alla conquista delle posizioni nemiche già sconvolte dai tiri efficaci e precisi delle nostre batterie. Tuttavia l'avversario smascherava il fuoco violento e celere di numerosi pezzi e di mitragliatrici e lanciava nuove colonne al contrattacco. Importanti posizioni furono così più volte occupate, perdute e riprese. A sera però le nostre truppe mantenevano saldamente i progressi compiuti all'ala sinistra ad est di Peteano e al centro verso Marcottini. 1003 prigionieri, fra i quali 16 ufficiali, tre mitragliatrici ed altro materiale da guerra catturato, segnavano il successo delle nostre armi nella dura giornata lungo il fronte dell'Isonzo".

Dopo i primi giorni ci fu una sosta nell'offensiva, per colmare i vuoti e rafforzare le posizioni conquistate; ma il fuoco d'artiglieria continuò più o meno intenso a seconda i punti e qua e là si ebbero azioni di fanterie italiane che portarono, il 24, alla conquista della trincea di "casa diruta" nella zona di Plava, a qualche progresso, il 26, sulla collina di Santa Lucia e all'occupazione, lo stesso giorno, del fortino di Globna. Molti contrattacchi, di cui alcuni violenti e in forze, furono respinti.
Ripresa l'offensiva, ricominciò, lentamente ed ostacolata dal nemico, l'avanzata. Fortini e trincee furono espugnati sulla collina di Santa Maria, sul Peuma, sul Podgora e sul Carso, dove il 29 fu conquistato, nella zona del San Michele, un altro "trincerone". Sulla collina di Santa Lucia, il 30, fu conquistata una trincea e sul Podgora respinto un violentissimo attacco nemico inteso ad arrestare gli italiani verso la contrastata altura.

Sotto una pioggia dirotta, il 1° novembre, l'offensiva italiana rinnovò gli attacchi lungo il fronte dell'Isonzo. Nella zona di Plava fu occupato il villaggio di Zagora e catturato un buon numero di prigionieri, sul Podgora fu sfondata e superata una quarta fortissima linea di trincee nemiche e fu respinto con gravi perdite un contrattacco austriaco; sul Carso, dopo avere durante la notte respinto violenti contrattacchi nemici, nel corso della giornata le truppe italiane riuscirono a progredire lungo le falde settentrionali del San Michele e verso San Martino.

Il nemico, ricevuti rinforzi, tentò con insistenti contrattacchi di arrestare la offensiva italiane per riprendere le posizioni conquistate. Ma gli attacchi, in prevalenza notturni, sul Mrzli, a Zagora e sul San Michele, s'infransero sempre contro la dura resistenza delle truppe italiane, le quali dopo aver sopraffatto il nemico il 2 novembre, in un sanguinoso combattimento avvenuto nella terribile posizione di Oslavia e sul Carso conquistarono altre trincee.

II giorno dopo fu ripresa con maggiore accanimento la lotta ad Oslavia, e sul Carso furono prese d'assalto varie trincee. Gli austro-ungaricí, imperversando il maltempo, tentarono, il 4, furiosi attacchi sul Calvario e sui contrafforti del Carso, il 5 contro Zagora e il 6 nella zona del San Michele, ma sempre furono respinti e contrattaccati furiosamente. Un altro attacco, violentissimo e in forze, fu ributtato dopo accanito combattimento sulle alture ad occidente di Gorizia la notte del 7.

Il 9 novembre fu respinto un attacco nemico sul Mrzli e furono eseguite dagli Arditi, irruzioni contro le difese avversarie. Il 10, nel settore di Plava, le fanterie italiane iniziarono una risoluta avanzata; piccoli progressi furono fatti sulle alture a nordovest di Gorizia, e sul Carso, nonostante la pioggia torrenziale, le fanterie riuscivano a prendere d'assalto alcuni importanti trinceramenti a sud-ovest di San Martino.
Questo nuovo attacco diede inizio alla QUARTA BATTAGLIA DELL'ISONZO

L'11 Novembre si combatté accanitamente nella zona di Plava, sul Peuma, sul Grafenberg, sul Podgora e sul Calvario. Qui un attacco nemico, giunto a pochi metri dalle trincee italiane fu respinto da un fuoco micidiale; quindi le fanterie scattarono al contrattacco, e incalzando il nemico in fuga, si impadronirono di un forte trinceramento. Anche sul Carso si combattè tutto il giorno e fu conquistato un ridotto nemico tra il Bosco Cappuccio e San Martino.
Altri accaniti combattimenti avvennero il 12 ad Oslavia e sotto la cresta del Calvario, e sul Carso nuovi progressi verso Boschini impadronendosi di nuovi trinceramenti e ridotti che furono poi mantenuti contro i violenti ritorni offensivi. Progressi si fecero ancora il 13 sull'Javorcek e sulle alture a nord-ovest di Gorizia, e sul Carso fu presa a forza la famosa trincea delle "Frasche", sulla quale, il 14, l'artiglieria nemica concentrò violento ed un ininterrotto fuoco con pezzi d'ogni calibro.
L'avevano espugnata i sardi della brigata "Sassari" con un attacco alla baionetta che era giunto fin sotto l'altra trincea austriaca detta dei "razzi". Avrebbero conquistato anche questo trinceramento se non avessero ricevuto ordine di rafforzarsi sulla trincea delle Frasche e qui passarono la notte, tempestati dal fuoco nemico, e alcune ore del giorno dopo finché, mossi all'attacco, con slancio s'impadronirono della "trincea dei razzi".

Nel bollettino del 15 novembre Cadorna citò il nome dell'intrepida brigata. Per la prima volta la guerra usciva dall'anonimo e giustamente il Comando Supremo additava al paese ed all'esercito i reparti che più si distinguevano.
Contrattacchi nemici furono respinti il 15 sul San Michele; nel Vallone dell'Acqua, quel giorno, espugnarono un forte trinceramento e nella notte sul 16 respinsero ancora il nemico che tentava di riprendersi le posizioni conquistato sul San Michele, dove, - così diceva il bollettino del 19 novembre -
"...il 18 la brigata "Perugia" riuscì a conquistare tutto il costone che dalla terza vetta del monte degrada sull'Isonzo, tra Peteano e Boschivi. Scacciata da tale posizione per un violento contrattacco del nemico, contrattaccava a sua volta riconquistando le perdute trincee. Tutta la notte l'avversario rinnovò furioso gli assalti riuscendo per sette volte ad arrivare fino alle linee italiane; ma sette volte falciato da tiri precisi di artiglieri e fucilieri, fu respinto in disordine con enormi perdite. Infine, logori ma indomiti i valorosi fanti del 129° reggimento, fasciatisi i piedi con dei sacchi, in silenzio nelle tenebre irrompevano dalle trincee sull'avversario e lo disperdevano completamente".

Oramai era trascorso un mese dall'inizio dell'offensiva. Il piano della "Terza Offensiva" non era riuscito, nè aveva in verità probabilità di successo l'inizio della "Quarta Offensiva"; perché l'VIII Corpo (nella "terza") non aveva potuto varcare l'Isonzo presso Canale ed era svanita la possibilità di raggiungere l'altopiano della Bainsizza e di estendere l'occupazione di Plava verso il Vodico e il Monto Santo. Anche l'azione della III Armata, pur conseguendo alcuni successi, non era riuscita a passare i1 Vallone e a puntare su Oppacchiasella. La grande battaglia pertanto perdeva il suo carattere unitario e si frazionava in tante azioni, le quali non avevano un unico obbiettivo, ma avevano di mira il raggiungimento di una posizione, l'espugnazione di una trincea, la conquista d'una quota, che pur importanti, erano influenti in quella che doveva essere la vera strategia della guerra in atto..

Sebbene frazionata, la battaglia tuttavia si trascinò ora lenta e fiacca, ora vigorosa fino ai primi di dicembre.
Il 19 novembre, a Zagora, fu preso d'assalto uno sbarramento in fondo valle; fu iniziato l'attacco delle alture a nord-est di Oslavia e
"sul Carso -diceva il bollettino del 19 novembre - dopo un brillante assalto, le nostre fanterie misero piede su di un tratto della cresta del Monte San Michele fra la terza e là quarta vetta. Violenti contrattacchi nemici diretti a riprendere le perdute posizioni, benché preceduti ed accompagnati da fuoco intenso e concentrato di numerose batterie, si infransero tutti contro la ferma resistenza dei nostri".

La giornata del 20 novembre, riportata dal bollettino del 22 novembre "…segnò importanti successi per le nostre armi lungo il fronte dell'Isonzo, e specialmente sulle alture a nord-ovest di Gorizia. L'azione cominciò nella notte con l'aprire arditamente numerose brecce nei profondi reticolati antistanti i fortissimi trinceramenti nemici. All'alba le fanterie italiane, assecondate con accordo perfetto dalle artiglierie, attaccarono il villaggio di Oslavia e le alture a nord-est e a sudovest del paese, a cavallo della strada da San Floriano a Gorizia. L'avversario oppose tenace resistenza, ma travolto infine dall'impeto dei nostri assalti, dovette cercare scampo nella fuga, abbandonando le trincee piene di cadaveri e 459 prigionieri, tra i quali molti ufficiali. Successivi violenti contrattacchi nemici, alcuni dei quali preceduti da alte grida di "Savoia" per trarre in inganno i nostri reparti, furono tutti respinti con incredibile audacia. Anche sulle alture del Podgora e del Calvario, a mezzodì di Oslavia, a prezzo di sforzi ammirevoli, compiuti sotto l'infuriare del fuoco delle artiglierie nemiche, furono sfondati altri due ordini di trincee.
Sul Carso continuò l'avanzata lungo le falde settentrionali del Monte San Michele ed a sud-ovest di San Martino, cacciando l'avversario di trincea in trincea".


Sull'Isonzo la lotta continuò il 21 novembre "...con crescente accanimento nella soglia formata dalle basse colline di Peuma, Oslavia, e quota 188 che si affacciano a Gorizia tra il Podgora e il Sabotino. Il nemico intraprese una ostinata controffensiva diretta a riprendere le posizioni perdute. I contrattacchi, preceduti ad accompagnati da raffiche intense di numerose artiglierie, raggiunsero una maggiore violenza sulle alture a nord-ovest di Oslavia. Più volte l'avversario irruppe e penetrò anche nelle linee da noi conquistate sempre però ne fu respinto in mischie convulse. Le nostre valorose truppe, e specialmente quello della 4a divisione, non cedettero un palmo delle insanguinate posizioni. Più volte si gettarono sul nemico alla baionetta infliggendogli gravi perdite". "…Con le truppe della 43 divisione gareggiò la brigata "Granatieri di Sardegna" in slancio e valore nell'assalire e in tenace resistenza nel contrastare i violenti, incessanti ritorni offensivi dell'avversario".

Sul Carso, respinti quattro contrattacchi notturni, fu ripresa all'alba del 21 novembre l'offensiva e furono compiuti alcuni progressi tra le vette del San Michele. Verso San Martino fu preso d'assalto un trincerone sulla posizione detta dell'"albero isolato".

Il 22 novembre proseguiva il bollettino "…sul Calvario raggiungemmo e mantenemmo la cresta e presso la chiesa di San Martino del Carso prendemmo d'assalto un forte trincerone; nella notte sul 23 e nella successiva giornata respingemmo violenti contrattacchi nel settore di Zagora e sulle alture a nord-est di Oslavia; nella zone del San Michele, tra la quarta vetta del monte e la Chiesa di San Martino conquistammo estesi e profondi trinceramenti catturando mezzo migliaio di prigionieri".

Tra il 24 e il 27 novembre i bollettini registravano altri successi; ampliamento dell'azione, il 24, l'occupazione sul Calvario con la conquista di nuove trincee, progressi tra Boschini e Peteano e verso San Martino del Carso, il 24 e il 25; scontri favorevoli sul Mrzli il 26; occupazione di robuste trincee ad oriente della quota 188 e di un costone a nord-est di Oslavia il 27.

Il 28 novembre le truppe italiane rinnovarono gli attacchi su per i ripidi fianchi del Mrzli e del Vodil e dopo una lotta accanita strapparono al nemico forti trinceramenti. Sulle alture a nord-ovest di Gorizia il nemico, ricevuti ingenti rinforzi, pronunciò tutto il giorno violenti contrattacchi, riuscendo in qualche punto a penetrare nelle nuove trincee fatte dagli italiani, ma con furiosi corpo a corpo furono respinti. Sul Carso, altra offensiva italiana lungo le falde settentrionali del Monte San Michele e verso San Martino, dove furono occupate altre trincee.
Il 29 novembre violenti ma inutili attacchi nemici alle nuove posizioni italiane del Merzli e del Vodil; progressi nella zona tra il torrente Peumica e la strada da S. Floriano a Gorizia; sul Carso, occupate alcune trincee, la linea italiana giunse, per la vigorosa avanzata a poche decine di metri dal caseggiato di San Martino.

Qualche attacco austriaco di sorpresa presso Oslavia e lungo le falde settentrionali del San Michele il 1° dicembre; la conquista da parte italiana di qualche elemento di trincee sulla collina di Santa Maria il giorno 2,
"… sul contrafforte del Mrzli la notte sul 3, dopo intensa preparazione con fuoco di artiglieria di ogni calibro, dense masso di fanteria a ondate incalzanti irruppero contro i nostri trinceramenti. Nonostante gli effetti sterminatori del nostro fuoco, preciso e celere, nuclei dell'avversario penetrarono qua e là nelle nostre linee, presto ricacciati in violenti corpo a corpo. Dopo mischia accanita l'avversario fu messo in fuga e lasciò più di 500 cadaveri sul terreno e 131 prigionieri dei quali 3 ufficiali, in nostro possesso".

Con il bollettino del 15 dicembre, si accennava a "…Irruzioni nemiche qua e là il giorno 5 dicembre; azioni offensive, il 6 e il 7, delle nostre truppe sul Carso dove, ad est di Peteano, fu conquistato un forte ed esteso trinceramento, piccole nostre operazioni, l'8, sul Calvario e sul San Michele; ripetuti attacchi nemici respinti ad Oslavia nella notte sul 9; irruzioni delle nostro fanterie sul Carso il 10 e sul Calvario il 12; attacchi del nemico respinti il 12 a Oslavia e Selz, il 15 a Oslavia e sul Carso, il 17 sulle alture a nord-ovest di Gorizia; conquista da parte delle nostre truppe di una trincea nemica sul San Michele il 18, e rioccupazione il 20 di una nostra trincea perduta nella conca di Plezzo".

Con l'ultimo bollettino di guerra, oramai la TERZA e la QUARTA BATTAGLIA DELL'ISONZO erano finite, perché la stanchezza delle truppe, l'inclemenza della stagione e le notizie che da parecchie fonti giungevano di spostamenti di massa austriache dalla Galizia sull'Isonzo e di concentramenti di truppe austro-tedesche nel Trentino avevano consigliato CADORNA di sospendere l'offensiva. Contemporaneamente alla grande offensiva sulla fronte Giulia, anche allo scopo di non fare accorrere qui truppe dislocate in altri fronti, furono svolte operazioni di guerra nel Trentino e nella Carnia.
Il 18 ottobre, iniziandosi l'offensiva (la TERZA), in Valle Lagarina furono occupati Brentonico e il castello sulla strada di Mori; nell'alto Cordevole la quota 2249 e il contrafforte che degrada sulla riva destra del torrente tra Soraruaz e Ornella, e sulla sponda opposta i contrafforti che dal Col di Lana cadono su Livine; nella zona di Falzarego fu completata la conquista del Passo di Stria. Il 19 in Val Giudicaria fu espugnata Cina Palone; in Val Lagarina furono conquistate le alture a nord-est di Crosano; nell'alto Cordevole la conquista di Sief; e nella zona di Falzarego gli alpini raggiunsero il piccolo Lagazuoi.

Continuando nell'avanzata, il 20 ottobre fu espugnato Monte Melino, allo sbocco di Val Daone; in Val Sugana fu occupato il Monte Setole e, il 21, il Monte dei Pini e la borgata di Tiarno inferiore; alla testata della Rienz le truppe italiane avanzarono per l'alto massiccio di Monte Cristallo raggiungendovi l'aspra cresta del Rauhkoff e il piano verso Schluderbach; il 22 altri progressi nell'alto Cordevolo e nel massiccio del Cristallo; sulla sponda occidentale del Garda occupazione di Monte Nodic e, penetrati nella conca di Bezzecca, del villaggio e delle alture che lo dominano a nord.
Nella zona tra Garda ed Adige, le truppe italiane, scendendo dal monte Altissimo di Nago sotto i fuochi incrociati delle artiglierie nemiche dal Biaena e dalle opere di Riva, occuparono, il 24, le posizioni di Dosso Casina e Dosso Remit, completando così, con le alture conquistate il 18 e il 19 a nord di Brentonico e di Crosano, il dominio sulla strada da Nago a Mori. Durante la notte del 24, contro le nuove posizioni nell'alta valle della Rienz, il nemico sferrò tre attacchi, che però furono tutti respinti.

Nella giornata, del 25 ottobre, in Val di Ledro fu completata la conquista della riva sinistra del Rio Ponale, occupando le località di Mezzolago, Milina e Biacesa. La sera, contro le posizioni italiane di Val Torra (Astice) il nemico sferrò un violento attacco, ma fu respinto con gravi perdite. Nei giorni successivi furono conquistati monte Giovo e le alture di Tiarno, Besagno e Talpina. Intanto le operazioni contro il famoso Col di Lana procedevano inesorabilmente, prendendo d'assalto dal 22 al 27 cinque ridotte; e il 28 il caposaldo della difesa frontale, una ridotta fiancheggiata e protetta davanti da più ordini di trincee che si ergevano sulla sommità del costone di Salesei (2200 m.) era conquistata alla baionetta.

Un attacco nemico in Val Torra, il 29 ottobre, finì con la completa rotta dogli assalitori. La notte del 30 sormontanti forze austriache riuscirono ad occupare la posizione italiana avanzata di Sexten-Stein, ma il mattino dopo, ricevuti rinforzi, le truppe italiane rioccuparono la posizione perduta, ed invano il nemico tentò di ricacciarci il 2 novembre.

Il 5 novembre reparti italiani s'impadronirono di Malga Stabolone, a nord di Monte Lavanech e il 7 finalmente l'offensiva contro il formidabile baluardo del Col di Lana fu coronata da successo.
Così il bollettino:
" …le eccezionali difficoltà del terreno, accresciute da numerose e potenti difese, l'accanita resistenza nemica, i rigori precoci dell'inverno non valsero ad arrestare l'avanzata delle nostre truppe", che nel pomeriggio del 7, dopo efficace preparazione delle artiglierie, "con un ultimo furioso attacco conquistarono le posizioni nemiche piantando la nostra bandiera sull'aspra vetta che si eleva fra le nevi a 2464 m.".
"La notte dell'8 novembre, il nemico tentò in forze rilevanti di riprendersi la cima del Col di Lana. I nostri, respinto l'attacco, passarono al contrattacco ed incalzando l'avversario in fuga raggiunsero ed espugnarono la vetta del monte Sief (2426 m.). Il 9 attaccarono la cortina montuosa tra i picchi del Siof e del Settsass e riuscirono a passarli in più punti".
"Il 10 novembre attacco austriaco respinto alle nostre posizioni di Col S. Giovanni, nell'alta valle di Campolle; il 12 occupammo in Val Lagarina il paese di Marco e la costa montuosa che da Zugna Torta degrada verso Lizzana; il 13 e il 15 respingemmo violentissimi attacchi sferrati dal nemico contro le nostre posizioni a nord della conca di Bezzecca e ampliammo i nostri possessi in Vallarsa. Il 18 ancora un attacco nemico alla cima del Col di Lana fu respinto e invano fu rinnovato il 23. La sera del 24 altro infruttuoso attacco lanciò il nemico contro le nostre posizioni del monte Vies".

Nel dicembre le azioni offensive italiane sul fronte del Trentino diminuirono di numero e d'intensità: piccoli scontri favorevoli in Val Sugana, nella valle del Rimbianco e in Val Scebach il 2; nella zona del Tonale e in Val di Ledro il 3; attacchi nemici respinti il 6 in Val di Ledro e in Val Terragnolo; scontri di piccoli reparti l'8 nella Val Cameras, in Val Calamento e in Val Seebach.
Nell'aspra ed elevata zona tra Val Giudicaria e Val Concel successive brillanti azioni portarono al possesso delle forti alture che assicuravano e completavano a nord-ovest l'occupazione della conca di Bezzocca.
Così il bollettino a fine dicembre:
"L'attacco, iniziato il giorno 7, si svolse misurato e calmo per la necessità di controbattere le potenti artiglierie del gruppo di Landro e di rimuovere le numerose difese accessorie collocate dal nemico. Nella notte del 10 dicembre nostri reparti di fanteria e di alpini giungevano a portata degli obiettivi: vette occidentale ed orientale del monte Vies; costone di Monte Mascio, a sud-ovest del Nozzolo. Nel mattino seguente, dopo efficace azione delle artiglierie, le nostro fanterie espugnavano le forti posizioni nemiche, conquistando alla baionetta successive linee di trincee e infine i ridotti che la coronavano".
"Attacchi nemici respinti il 15 dicembre a Monte Coston, il 16 al passo di Amoretta e sul Lagazuoi. Il 17 riuscimmo ad occupare cima Norre che domina l'alto corso dell'Astice. Ancora attacchi nemici respinti il 18 a Monte Cocca e a Millegrobe e il 21 in Val Terragnolo. Nell'ultima decade di dicembre attività di piccoli reparti in Val Cameras, in Val Sella, in Vallarsa, in Val Lagarina e nella regione del Col di Lana.
"Sul fronte della Carnia fu il nemico che attaccò il 18 ottobre, accanendosi invano contro lo nostre posizioni della valle del Folla; ma subito dopo noi prendemmo l'offensiva, assalendo con successo il 20 nella valle Pontebbana, il 21 in Val Folla e in Val Seisera, il 22 nelle alto valli Dogano, But e Chiarzo, il 25 ancora in Val Pontebbana dove una nostra incursione raggiunse la cresta del Rosskofel e il 1° novembre ancora in Val Folla, dove il 3 fu respinto un attacco nemico, il 6 fu respinto un reparto austriaco "incamiciato" e il 15 fu disperso, presso Lugora, un reparto austriaco".

"Scarsi furono però i risultati dell'offensiva dell'autunno del 1915 e in generale del primo anno di guerra; comunque non proporzionati alle nostre perdite di quei primi sette mesi: noi avemmo, infatti, 66.000 morti e 180.000 tra prigionieri ammalati e feriti. Più delle nostre furono però le perdite subite dal nemico che tra morti, ammalati e prigionieri sofferse 300.000 uomini fuori combattimento".

"La nostra superiorità veramente notevole - scrive il Cadorna - stava nelle fanterie, ma questa non poteva prevalere, sia perché le fanterie nemiche erano ormai da più di un anno esercitate a questo genere di guerra, sia perché nelle odierne battaglie occorrono una grande superiorità di artiglierie e abbondante munizionamento, che a noi invece mancavano".

La superiorità italiana era notevole come impiego di uomini, ma nettamente inferiore come mezzi.

Nel prossimo capitolo oltre che ricordare tanti manipoli di eroi, leggeremo l'impiego degli aerei, D'Annunzio su Trento, i metodi dei nemici....

... e il riassunto dei sette mesi di guerra

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