LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1915

EROI - AEREI - D'ANNUNZIO - I METODI - BILANCIO dei 7 mesi (1915)

FIGURE DI EROI - L'AZIONE DELLO FORZE AEREE NEGLI ULTIMI QUATTRO MESI DEL 1915 - IL MESSAGGIO DI D'ANNUNZIO AI TRENTINI - I METODI DI GUERRA AUSTRIACI DENUNCIATI DAL COMANDO SUPREMO ITALIANO - AFFONDAMENTO DEI PIROSCAFI "ANCONA", "FIRENZE", "BOSNIA", "UMBERTO I" - ESPLOSIONE DELLA "BENEDETTO BRIN"
RIASSUNTO UFFICIALE DELLE OPERAZIONI NEI PRIMI SETTE MESI DI GUERRA


Pezzi d'artiglieria sulle alte vette del gruppo del Cevedale-Ortles

Di quella "superiorità" italiana, rispetto a quella nemica, che nel precedente capitolo, accennava CADORNA, veramente si abusò non poco, credendo di poter supplire con lo spreco delle vite umane alla deficienza delle artiglierie e degli altri strumenti di guerra che l'Italia non possedeva. Tuttavia i soldati italiani generosamente (ma spesso mandati allo sbaraglio) si prodigarono nei primi mesi e, pur sapendo che il fuoco delle nostre artiglierie non intaccava minimamente i reticolari nemici, e che era una follia tentar di aprire i diabolici e plurimi varchi di reticolati con le pinze da giardiniere o con i tubi di gelatina (che bisognava andarci a mettere, sfidando le martellanti mitragliatrici nemiche), andarono sempre con caparbietà all'assalto, ma purtroppo solo con la patetica baionetta del fucile '91, seminando prima lo stupore per tanta audacia e poi lo sgomento in mezzo al nemico (ricordiamo che l'altezza del pesante fucile '91, superava di quasi mezzo metro la statura di molti soldati italiani, soprattutto meridionali).

"Se l'esercito italiano - lasciò scritto il generale Ludendorff - durante i primi sei mesi di guerra non ha fatto grandi conquiste, esso ha però contribuito potentemente al logoramento dell'esercito austriaco e ne ha prodotto il dissolvimento finale".

Voler narrare qui tutte le prove di valore date dai nostri semplici anonimi soldati sarebbe impossibile. Tutti, fucilieri, alpini, bersaglieri, artiglieri, genieri, carabinieri, guardie di finanzasi distinsero e si comportarono valorosamente; tutti, soldati di leva o volontari, giovani ufficiali inferiori che precedevano i plotoni e le compagnie all'assalto con la mitica sciabola sguainata (poi si ordinò che le sciabole fossero brunite, poi furono abolite del tutto e sostituite con le più efficienti pistole); ed infine anche molti ufficiali superiori che diedero un larghissimo tributo di sangue in quei primi mesi.

Fra i generali persero la vita nel novembre FERRUCCIO TROMBI e CARLO MONTANARI, e nel dicembre GABRIELE BERARDI; furono feriti nell'ottobre i generali FARA e PAOLINI; quest'ultimo si ebbe la medaglia d'oro. Anche EZIO GARIBALDI fu ferito e suo fratello PEPPINO, distintosi alla presa del Col di Lana, fu il 10 novembre promosso Colonnello.
Fra coloro che più si distinsero, e furono centinaia, va qui ricordato il sottotenente GIORGIO TOGNONI, che nell'ottobre del 1915 sul Sabotino tra i fanti della "brigata Pavia" si coperse di gloria, meritandosi la medaglia d'oro con questa motivazione:
"Nell'assalto di un'aspra e tenacemente difesa posizione nemica, alla testa del proprio plotone, ferito una prima volta al braccio destro, proseguiva nella lotta incitando i suoi soldati con la parola e con il suo valoroso esempio. Un secondo colpo, che gli asportò la falange di un dito della mano sinistra non lo fermò dal continuare l'avanzata; anzi, sempre alla testa dei suoi, seguitava ad animarli. Colpito una terza volta da un proiettile che, gettandolo a terra, gli toglieva per sempre la vista, non volle essere trasportato in luogo riparato, per non distogliere i suoi dal combattimento, ma continuava ad incitarli gridando: - Avanti, avanti, ragazzi! - Sempre bocconi, alle parole d'incoraggiamento rivoltegli, esclamava: - Non vi preoccupate di me; anche se ora muoio non importa; basta dare tutto se stesso alla Patria ! - Benchè cieco, tornava poi in trincea a far opera di propaganda patriottica fra i soldati".

Fra i morti ricorderemo GIACOMO VENEZIAN, GIOSUÈ BORSI e FILIPPO CORRIDONI. Il triestino VENEZIAN, professore di diritto nell'università di Bologna, patriota nobile, puro, fervente, interventista accanito e fondatore di un battaglione di volontari, aveva preso parte a tutte le azioni più arrischiate, trascinando con l'esempio ufficiali e soldati. Il 14 novembre, all'assalto del "ridottino dei morti" sul Carso, "...caduto il colonnello, aveva preso lui, ch'era maggiore, il comando del reggimento e pur ferito a una spalla, ritto sopra una trincea conquistata, incitava i soldati al grido di Viva l'Italia ! Celata la ferita per timore di essere esonerato dal comando, il 20 Giacomo Venezian, alla testa dei suoi, tornò all'attacco del ridottino con magnifico slancio, ma nei pressi dei reticolati, colpito un fronte da una palla nemica, cadde, mentre i soldati, suggestionati dal nobile esempio, assalivano con maggior furore la posizione e la conquistavano".

GIOSIÈ PORSI, pubblicista e figlio di quel battagliero giornalista che fu Averardo Borsi, ebbe stroncata la calda giovinezza, e la bella speranza delle lettere italiane, il 1° novembre, a Zagora, mentre guidava all'assalto il suo plotone di fanti.
Il Grande Caduto della terza battaglia dell'Isonzo fu FILIPPO CORRIDONI, di Pausula (Macerata), famoso organizzatore sindacalista, che da tribuno si era fatto fante, aveva combattuto valorosamente e il 23 ottobre fu stroncato da palla austriaca mentre, ritto sulla conquistata "trincea delle frasche", all'avvicinarsi di rinforzi agitava lieto il berretto e gridava Vittoria ! Vittoria !.

"Corridoni - scrisse di lui Benito Mussolini - era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni, e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla. Qualche volta un'ombra di malinconia gli oscurava la fronte, qualche volta la stanchezza delle piccole cose e dei piccoli uomini gli tremava nelle voce. La guerra fu sua, perché era una guerra di liberazione e di difesa; ma anche perché la guerra chiede ed impone la tensione, lo sforzo, il sacrificio. In questa guerra che deve decidere le sorti dell'umanità per almeno un secolo, in questa guerra, convenientemente rivoluzionaria, non nel senso politicante della parola, ma per il fatto che tutto è in giuoco, che tutto è in pericolo e molto andrà sommerso, e molto sarà, rinnovato, il posto di Filippo Corridoni non poteva essere fra i negatori solitari e infecondi in nome delle ideologie di ieri, e fra i pusillanimi che sono contrari alla guerra, perché la guerra interrompe e turba le loro abitudini, o documenta la loro infinita vigliaccheria.
Filippo Corridoni fu l'anima dell'interventismo popolare. Convinse, commosse, trascinò. Volle che alla sua predicazione seguisse l'azione, e ne partì volontario. Volle deliberatamente entrare in combattimento. Era in lui, mentre correva alla prima trincea austriaca sul Carso, una disperata volontà di immolazione, e quando la trincea fu espugnata, egli balzò in piedi sul parapetto gridando nell'oblio totale di se stesso: - Vittoria, Vittoria ! Viva l'Italia ! - E cadde fulminato nella morte dolce che non corrompe le carni, e non fa più soffrire...".

 

L'AZIONE DELLE FORZE AEREE NEGLI ULTIMI QUATTRO MESI DEL 1915
IL MESSAGGIO DI D'ANNUNZIO AI TRENTINI
I METODI DI GUERRA AUSTRIACI DENUNZIATI DAL COMANDO SUPREMO
AFFONDAMENTO DEI PIROSCAFI
"ANCONA" , "FIRENZE", "BOSNIA", "UMBERTO 1"
ESPLOSIONE DELLA "BENEDETTO BRIN".

Più intensa che nel giugno, nel luglio e nelle due prime decadi di agosto fu l'azione delle forze aeree italiane negli ultimi quattro mesi del 1915. Il campo austriaco di aviazione di Aisovizza fu bombardato dai velivoli italiani il 21 e il 28 agosto, il 19 e il 20 ottobre, e il 20 e 23 novembre e dai dirigibili il 18 settembre.
Inoltre in agosto, il 24, bombardamento delle opere fortificate di Riva; il 29 la stazione ferroviaria di Voghersco, accampamenti presso Castagnevizza e un deposito di munizioni a Lesana; in settembre, il 10, accampamenti sulla strada da Castagnevizza a Vojocica, l'8 la stazione di Klause e il vicino ponte sul Baca, l'11 accampamenti presso Oppacchiasella, il 18, con dirigibili, la ferrovia di Nabresina; in ottobre, l'8 Nabresina, Oppacchiasella e un comando austriaco a Castagnevizza, il 20 colonne nemiche presso Burhulo e Tennica, la stazione di Duino e appostamenti di artiglieria presso Doberdò, il 28 alcuni punti della Bainsizza e del Carso, la ferrovia di Valle Baca e la ferrovia Gorizia-Trieste, il 28 le stazioni di S. Lucia, Tolmino e S. Pietro, il 31 le stazioni di Duino e Nabresina; in novembre, il 3, con un'aeronave, accampamenti nella piana di Gorizia, il 12 un comando austriaco a Volano, l'8, con un dirigibile, trincee e batterie presso Savogna, il 9 le stazioni di S. Daniele e Nabresina, il 12 le stazioni di Reifenberg, S. Daniele e Doltagliano, il 23 le stazioni di Vogerseo, Aidussina. Reifenberg e S. Daniele; in dicembre, il 14, accampamenti nemici nella Valle di Chiapovano, il 20, con azione combinata di artiglierie e aeroplani, il forte Por del gruppo di Lardaro; il 21 sull'altipiano di Asiago un aeroplano nemico.

Il 20 settembre, su un "Maurin Farman", di fabbricazione italiana, pilotato dal capitano Ermanno Beltramo, GABRIELE D'ANNUNZIO volava su Trento e lanciava agli abitanti un lungo messaggio:
(che riportiamo fedelmente e quasi integralmente)


"Trentini, - scriveva il poeta - gente nostra d'amore e di dolore, fratelli in Dante eterno, oggi è la prima festa romana della Unità vera d'Italia, oggi è la consacrazione solenne della più grande Italia, della perfetta Italia, celebrata dalla volontà sicura di tutto il popolo in armi. Oggi, sopra le ossa dei martiri commemorati e sopra il fresco sangue versato a gara, la volontà del popolo giura che Trento nei nostri monti, come Trieste nei nostri mari, è città d' Italia, italiana e sacra quanto il petto di Narciso Bronzetti, quanto quel tricolore votivo, tagliato e cucito dalle nostre donne che il profugo di Strigno si avvolse alla viva carne e per voi recò in salvo di là da Peschiera a Garibaldi"

"Oggi il tricolore sventola in tutte le città sorelle, in cima a tutte le torri e a tutte le virtù. Più si vede e fiammeggia il rosso, riacceso con la passione e con le vene degli eroi novelli. Branche ignobili, violando le nostre case hanno profanato il segno, l'hanno strappato, arso e nascosto? Ebbene, oggi non vi è frode, né violenze di birro imperiale che possa spegnere la luce del tricolore nel nostro cielo. Esso è invincibile.
"Questi messaggi, chiusi nel drappo della nostra bandiera e muniti di lunghe fiamme vibranti, sono in memoria di quei ventuno volontari presi a Santa Massenza dalla soldataglia austriaca e fucilati nella fossa del Castello il 16 di aprile 1848. Ne cada uno nel cimitero, sopra il loro sepolcro che siamo alfine per vendicare! Bisogna che i precursori si scuotano e risuscitino, per rendere più luminosa la via ai liberatori. E i morti risuscitano. Erano là, fin dal primo giorno di guerra, a Ponte Caffaro, alla gola di Ampola, a Storo, a Lodrona, a Tiarno, a Ledro, a Condino, a Bezzecca, in tutti i luoghi dove rosseggiarono le camice e le prodezza garibaldine. E i Corpi Franchi in Val di Sole e i Legionari di Monte Stino, tutti i nostri messaggeri disperati aspettavano la gioventù d'Italia risanguinando".

"Ebbene, sì, l'esempio è superato. Che la maschia Trento palpiti di allegrezza! Vi ricordate voi di Emilio Blenio? Da solo, con la paziente audacia, prese il fortino di Ampola. Noi abbiamo oggi cento Blenii, mille Blenii, che soli, dove l'altura è più vertiginosa, dove la roccia è più aspra, dove il ghiacciaio è più crudo, tra picco e picco, tra masso e masso, tra crepaccio e crepaccio, soli pigliano una trincea, espugnano una baita, bruciano un rifugio, tagliano un reticolato, fanno saltare un'opera, tentano imprese da gran numero e le compiono".

"Il vostro sublime Narciso Bronzetti, a Seriate, con una compagnia di 105 uomini assale alla baionetta 1400 austriaci e li pone in fuga dirotta. Ogni giorno il suo demone rinasce e si moltiplica in uno dei nostri alpini indomabili; uno contro dieci, uno contro venti e tatti contro la montagna. Dove trascinarono i loro pezzi i cannonieri della brigata Dogliotti? Al Fustaccio? al Monte Croce? Dove portò il suo, Tancredi Alasia, per battere Ampola? Questi d'oggi issano i loro a 3000 metri e oltre. Dove si congela l'alito dell'uomo, le bocche da fuoco lampeggiano e tuonano. Impervio non è più parola latina, se bene accesa. Chi di voi conosce la punta d'Ercavallo? Vi è una bella batteria italiana, dal 7 agosto: e la bisogna è fornita. Taluno di voi stupisce, forse? Or quali frottole e menzogne sono ammannite nel Castello del Malconsiglio e sul lordato Verruca?".

Il messaggio continuava esponendo particolareggiatamente la storia delle operazioni guerresche e dei progressi dei soldati italiani; indi proseguiva:

"Queste sono le nostre notizie, o fratelli; ignude ed esatte. Questo è lo sforzo stupendo fino ad oggi fornito dagli uomini che conduce l'onnipresente spirito di un Capo chiamato Luigi Cadorna: il quale porta sul suo fermo volto i solchi di sapienza ond'è arata la maschera antica di Aristide. Voi lo vedrete quel volto, per non più dimenticarlo.
"L'amplissima cintura di forti, di batterie, di trincee, predisposte dall'Austria non tanto a difesa contro una nostra irruzione quanto a sostegno di una sua calata in Italia, il crudele cerchio d'acciaio è già spezzato, e già per entro le rotture il nostro ardimento s'insinua e si rafferma. Non temete, fratelli, d'essere percossi un'altra volta dalla parola dolorosa e sublime che all'ordine inatteso fu risposta potente ed alta come il più alto comando. Questa parola non scritta, ma vivente, sta su ciascuno di noi non come un segno di divieto o di rinunzia, ma sì d'incitamento a operare e a patire cose più grandi che le nostre forze stesse.

"Noi non obbediamo, non possiamo più ubbidire se non a un genio inesorabile che ci spinge sempre più oltre. Non torneremo più indietro, se dalla Chiusa di Verona l'Adige non rifluisca verso la sorgente. Questa è la legge marziale che Roma stabilisce oggi sopra l'altare della Patria. Questa è la legge che il nostro Capo consolida sul confine già corretto, costruendo una insuperabile frontiera militare contro cui il più numeroso e veemente sforzo nemico si romperebbe senza scampo.
"Noi siamo ormai signori del nostro destino, signori dei destini fraterni. Oggi il pugno bronzeo di Dante si chiude sul tuo capo curvato, o popolo di Trento. Levati a riguardarlo. Il tuo Bronzetti, a Castenedolo, rotto il braccio manco, rotto anche il destro, levava tuttavia in alto la spada e iterava il grido della vittoria. Non v' è piombo né acciaio che spezzi il braccio della silenziosa promessa proteso su te. La promessa è per compiersi. Ed ecco, fra poco, incoroneremo la tua fede, simile alla pietra d'Arco ond' è costrutto il tuo fonte, quanto più annosa tanto più dura. È una virtù d'amore la tua durezza. Incontro alla durezza delle tue rupi e dei tuoi ghiacciai si avanza il nostro amore armato. Sembra che i combattenti si riscolpiscano. Sembra che vogliano ritrovare dentro il sasso la tua pura bellezza latina. Quasi sembra che l'angoscia michelangiolesca travagli oscuramente questo esercito d'artieri anelanti. Tagliano la tua Alpe, sotto il rombo della morte, come il Buonarroti tagliava l'apuana, per un'ansia di rinvenire nel profondo una forma di magnanimità che li inebri. Sei tu che sfavilli sotto il piccone, anima di Trento: e par che tutto il tuo martirio si scrolli nella possa della mina.
"Avanti ! Avanti ! Il grido dei prodi, che dorme leggero nel cuore di Brescia fedele è il loro assiduo grido, ma dentro, chiuso, ma trattenuto dietro i denti. Pur ieri, alla testata del torrente Noce e della Conca di Presena nell'Alta Valle di Genova, in silenzio superarono se stessi dove il pericolo non aveva mai conosciuto lo sguardo diritto dell'uomo. Di là dai ghiacci e dai picchi, a Villacorna, raggiunsero i trinceramenti austriaci, li assalirono e distrussero. Poi se ne tornarono disegnando un'altra fazione. Oggi forse vorranno compiere un prodigio, in gloria di te. Su tutto il fronte i combattenti oggi, nel sasso e nel gelo, ti scolpiranno con una passione men silenziosa. Intoneranno il canto di Roma".

"In queste mobili fiamme, che per l'aria scendono nelle tue strade aspettanti, odi vibrare una nota di quel canto, riconosci gli spiriti di Roma. I volontari di Luciano Manara, i futuri eroi di San Pancrazio e del Vascello s'erano abbeverati al torrente Ambiès, avevano udito stormire i pioppi del Sarca; e il loro sangue se ne ricordava. Oggi Roma a te consacra nel Foro un'urna riempita coll'acqua della tua fonte santa e un ramo di lauro colto lungh'essa la Casa delle Vestali, perché sa come nessuna altra acqua oggi ti disseti e nessun'altra fronda di consoli".
"Non soffrirai più l'arsura, e sarai inghirlandata di allegrezza. Chi ti reca questo messaggio ha un nome da te ben conosciuto. Negli anni squallidi, quando la terza Italia pareva rassegnata per sempre all'obbrobrio e al servaggio, quando le tue corone votive erano spazzate fuor del Tempio e gettate alla immondezza, egli solo ti chiese perdono dell'infamia e confortò la tua disperazione.

Verrà, verrà sul suo cavallo,
con giovane chioma.
Torrà il nero e giallo
vessillo dal tuo sacro monte
che serba il vestigio di Roma ....

"Ti sovviene ? Invittamente egli ti annunziava quel che oggi è per compiersi. Se la sorte vuole che il suo sangue sopra te si sparga, non lo commiserare".

Intensa fu anche l'attività aerea austriaca che non solo ebbe come obbiettivo la zona italiana di operazione, ma continuò ad essere diretta contro le città d'Italia.
In agosto i nemici bombardarono Schio, il 22, uccidendo una donna a Pievebelvicino, e Brescia il 25 uccidendo 6 persone e ferendone parecchie; in settembre: il 7 fecero due incursioni sul basso Isonzo, l'11 lanciarono bombe su Asiago e Bassano, dove molti cittadini rimasero feriti, il 12 e il 14 su Vicenza, il 23 su Toneglia, il 28 su Porto Buso; in ottobre: il 7 bombardarono la stazione di Cervignano, l'8 Cormons, il 24 Venezia danneggiando il soffitto della Chiesa degli Scalzi pregevole per i dipinti del Tiepolo, il 25 ancora Venezia ch'ebbe molti feriti; in novembre: il 14 Verona, dove uccisero 35 persone e ne ferirono 48, il 15, a Brescia (7 morti e 10 feriti), il 23 Arsiero ed Ala, il 24 Tolmezzo; infine in dicembre: l'8 Val Degna, il 10 Ancona (4 morti e parecchi feriti), il 15 Strigno e Grigno, il 16 Storo, il 17 Tiarno, il 21 le linee italiane sul Podgora.

La barbarie austriaca non si limitava a far vittime, con le bombe degli aeroplani fra la popolazione civile delle città italiane; il nemico, violando le convenzioni internazionali ed ogni legge di umanità, sfogava la sua rabbia bombardando i paesi disseminati lungo la linea stessa del fronte, non risparmiando le chiese e gli ospedali e dirigendo il suo fuoco contro le opere della Croce Rossa. Così, per non citare che gli esempi più noti, il 10 agosto gli Austriaci bombardarono con granate incendiarie Pieve di Livinallongo, devastando il paese e l'ospedale, in cui una fanciulla rimase uccisa e molte persone furono ferite; il 31 agosto e il 10 settembre misero a fuoco, tirando dal Panarotta, Roncegno e bersagliarono la popolazione che, atterrita, usciva dall'abitato per riparare verso le nostre linee italiane; l'11 ottobre lanciarono bombe su Borgo Valsugana uccidendo tre persone e ferendone gravemente quattro; il 24 novembre, nella zona di Plava, assalirono e catturarono cinque portaferiti usciti a raccogliere i militari rimasti feriti in un recente combattimento, e il 27 novembre nel Basso Isonzo lanciarono 55 granate contro un caseggiato occupato dalla sezione di sanità della 16a divisione, ferendo un maggiore medico, un sottotenente medico e 19 soldati di sanità.

Nonostante questi atti, gli Austriaci, presentarono denuncia al Comitato della Croce Rossa di Ginevra contro l'esercito italiano, accusandolo di avere tirato contro un ospedale di Gorizia contrassegnato dalla bandiera di Ginevra. A quest'accusa rispose il Comando Supremo italiano col seguente memoriale, che è doveroso riportare perché illustra i metodi di guerra del nemico.

"Con sicura coscienza il Comando Supremo dell'esercito italiano contesta anzitutto al Comando Supremo dell'esercito austro-ungarico ogni diritto di appellarsi alla Convenzione di Ginevra, da esso sistematicamente violata in onta alle leggi elementari dell'umanità, nonché della lealtà e della cavalleria. Certe proteste, per la fonte da cui provengono non meriterebbero neppure una risposta. Ma per la dovuta deferenza alla benemerita Croce Rossa e per impedire che uno sdegnoso silenzio possa essere non rettamente interpretato, il Comando Supremo dell'esercito italiano fa noto che il reclamo rivolto dal Presidente Federale dell'associazione austriaca al Comitato internazionale della Croce Rossa è fondato su asserzioni artificiose e mendaci. Apposita, rigorosa inchiesta ordinata da questo Comando ha provato in modo assoluto, indiscutibile che giammai nostre artiglierie aprirono il fuoco sull'ospedale di Gorizia, come su qualsiasi altro stabilimento sanitario nemico lungo tutto il fronte. Poiché nelle operazioni in corso le artiglierie italiane stanno bombardando le alture del Sabotino e del Podgora, antistanti a Gorizia, potrà forse essere avvenuto che qualche proiettile, sorpassando il ciglio di dette alture, sia fortuitamente caduto sulla città di Gorizia e fors'anche sull'ospedale, che sono dalle alture stesse sottratti completamente alla vista degli osservatori delle batterie.

Analogamente, dalle artiglierie austriache, che tirano continuamente sulle nostre posizioni lungo l'Isonzo, accade spesso che vengano colpiti nostri stabilimenti sanitari con perdite fra i ricoverati e nel personale di cura. In simili casi fortuiti nonostante i frequenti atti sleali in cui incorre il nemico, il Comando italiano non accusa il Comando austro-ungarico di violazione della Convenzione di Ginevra. Da parte degli Italiani, furono fino ad oggi scrupolosamente e rigidamente osservate le leggi e gli usi di guerra; ed a prova di ciò basti ricordare che ai ripetuti bombardamenti di città indifese, effettuati fino ad oggi con malvagia pervicacia da aeroplani nemici, si è risposto da noi col bombardamento di campi di aviazione e di accampamenti militari, astenendoci fino ad ora dallo spargere - come facilmente si potrebbe - la morte e il terrore nelle popolose città austriache a portata dei nostri velivoli.

Questo Comando Supremo coglie l'occasione di tale gratuita accusa, incautamente rivolta all'esercito italiano, per richiamare l'attenzione del Comitato internazionale della Croce Rossa in Ginevra su fatti assai gravi commessi sistematicamente dall'esercito-austro-ungarico non soltanto contro la Convenzione di Ginevra, ma anche contro qualsiasi elementare norma di umanità. Ricorderemo i principali episodi di tale metodica e persistente azione sleale e feroce dei nostri nemici, richiamando sugli episodi stessi l'attenzione del Comitato internazionale della Croce Rossa a disposizione del quale teniamo i documenti comprovanti la rigorosa verità del nostro asserto. Ci astenemmo fin qui dal denunciare al Comitato le suddette violazioni della Convenzione di Ginevra e delle leggi di umanità, di lealtà e di cavalleria commesse dall'esercito austro-ungarico, sembrandoci sufficiente sanzione il denunciarle alle pubbliche opinioni del mondo civile. Ma poiché il Comando dell'esercito nemico ha tentato di trarre in inganno, con false asserzioni, quella benemerita istituzione, obliando l'infinita serie delle proprie colpe, ci permettiamo di rifare brevemente la storia delle malefatte austro-ungariche.

Chi rilegga i nostri bollettini di guerra troverà molte volte accennato il fatto che dall'esercito austro ungarico si fanno delle granate dalla cui esplosioni emanano gas asfissianti e lacrimogeni. È stato pure pubblicamente denunciato l'uso di proiettili da fucile esplodenti, i quali producono impressionanti lacerazioni di tessuti e che sono assolutamente condannati da tutte le convenzioni internazionali. Tali pallottole contengono del fulminato di mercurio e scoppiano all'atto che colpiscono. Non poche volte richiamammo l'attenzione del mondo civile, per mezzo dei nostri comunicati, sulla sleale contegno di truppe austro ungariche, le quali, nel momento in cui più ferve il combattimento, alzano le mani simulando la resa per far avvicinare i nostri reparti e poterli agevolmente massacrare. Frequenti sono stati e sono tutt'ora i bombardamenti che il nemico infligge dall'alto, e mediante artiglierie, a località indifese, con stragi specialmente di donne e bambini, e ciò senz'alcun obbiettivo militare. E ciò senza parlare dei bombardamenti di città aperte sull'Adriatico con numerose vittime fra gli abitanti, allo stolto scopo di impressionare e terrorizzare popolazioni le quali si sono dimostrate invece più che mai fiere e patriottiche.

Non va neanche dimenticato che l'Austria lasciò, in taluni fra i territori occupati dalle nostre truppe, suoi emissari col mandato di esercitare il brigantaggio per molestare le nostre operazioni e provocare dolorosi atti di repressione a danno delle popolazioni. Tali banditi sparano alle, spalle delle nostre truppe, contro isolati, contro ufficiali, contro salmerie. Seguendo felinamente le colonne di attacco, soprattutto molle zone boscose che si prestano agli agguati, quei sicari furono capaci di tirare sui medici mentre curavano i feriti e persino sui feriti stessi e sui portaferiti. Non le popolazioni, ma gli agenti del Governo austriaco debbono ritenersi responsabili degli atti di ostilità e brigantaggio compiuti a nostro danno. Tutto ciò col ripugnante intento di indurci ed esercitare dolorose rappresaglie. In questo modo il paterno Governo austriaco gioca con fredda ferocia la vita e i beni delle popolazioni già ad esso soggette, che d'altra parte l'esercito imperiale continua a seviziare bombardandone spietatamente le abitazioni.

Atroce fu il caso avvenuto a Mostar. Sembra che gli austriaci, nel ritirarsi al di là dell'Isonzo, avessero ingiunto alle popolazioni della riva destra, e specialmente a quelle che si trovavano nelle vicinanze del fiume, di non allontanarsi dai loro paesi. Una contadina di Mostar, nonostante il divieto, cercò di raggiungere le truppe italiane per ottenere del pane e della farina necessari all'alimento dei suoi quattro bambini, ma fu presa a fucilate che gravemente la ferirono. Un nostro ufficiale medico ed infermieri tentarono raggiungere il paese per cercare la donna ferita, ma non vi riuscirono a causa di un violenta fuoco di fucileria e di artiglieria cui vennero fatti segno. La povera ferita, priva di cure, dopo cinque giorni morì. Gli abitanti di Mostar che cercarono di trasportare le spoglie della morta al cimitero comune di Ronzina furono pure questi presi a fucilate dalle sentinelle austriache. Perciò la povera morta fu seppellita dai terrorizzati paesani in un campo adiacente la sua casa.

Per quanto particolarmente riguarda le violazioni della Convenzione di Ginevra, ricordiamo i seguenti fatti, resi noti al pubblico da nostri comunicati ufficiali. Nella notte fra il 17 e il 18 giugno tre nostri ufficiali medici uscirono dalle trincea nella regione di Plava con quattro portaferiti perché chiamati dai lamenti di alcuni feriti, ma si trovarono in breve accerchiati da pattuglie nemiche, composte però in gran parte di personale di sanità. I nostri e gli austriaci si accordarono di attendere alla cura dei rispettivi feriti senza reciproche molestie, ma due nostri portaferiti rientrarono nelle trincee per dare avviso di quanto era avvenuto. Non essendo poi ritornati né i tre ufficiali medici, né gli altri due portaferiti, fu inviato al nemico un parlamentario onde ottenere la restituzione del personale sanitario arbitrariamente trattenuto. Né gli ufficiali né i due portaferiti né il parlamentario ritornarono mai più indietro. In quello stesso momento l'artiglieria nemica tirò presso Plava sopra un reparto di sanità visibilmente munito di bandiera neutrale, sicché vi furono due infermieri uccisi ed uno ferito.

I nostri nemici commisero nel luglio un atto gravissimo che dimostrò il massimo dispregio della Convenzione di Ginevra. Nei pressi di Monfalcone un capitano medico, mentre raccoglieva i feriti presso i reticolati nemici sotto la protezione della bandiera internazionale, fu catturato a tradimento con 13 portaferiti. Uno degli ultimi giorni di luglio, mentre verso la fine dell'azione, in. una delle giornate di battaglia sull'altipiano del Carso, una colonna di nostri feriti discendeva la collina per prendere posto nei camion della Sanità, un aeroplano nemico si abbassò a circa 300 metri sopra i feriti aprendo contro di essi un vivo fuoco di mitragliatrice. Gli aviatori austriaci indugiarono a lungo nella cavalleresca azione volteggiando sui nostri feriti e continuando a sparare. Dai feriti e dai militari si levò un coro di protesta contro l'atto sleale ed inumano. E' da escludersi che gli aviatori austriaci non avessero visto trattarsi di feriti, perché da 300 metri di altezza erano indubbiamente visibili le barelle, le fasciature e i segnali della Croce Rossa.

Tipico addirittura è il caso dell'ospedale di Pieve di Livinallongo, bombardato e distrutto dagli austro-ungarici. L'occupazione di Pieve di Livinallongo e la sistemazione della nostra linea avanzata a nord-ovest di tale località avvennero nella notte dal 16 al 17 luglio. Il paese fu trovato intatto ma abbandonato dalla popolazione; solo nell'ospedale furono trovati e furono mantenuti: un prete, 3 suore, 67 donne ricoverate, in gran parte vecchie, 10 uomini, quasi tutti vecchi, 50 bambine. L'ospedale è un gran fabbricato che trovasi a sud-est dell'abitato, distante da questo circa 400 metri, ben visibile, e nettamente separato e distinto. Ad esso fu lasciata la grande bandiera di neutralità che le truppe vi avevano trovato. Dal giorno dell'occupazione il Comando si astenne deliberatamente dal colpire coi tiri dell'artiglieria gli abitati della Valle del Cordevole allo scopo preciso di evitare che il nemico, per rappresaglia, dirigesse i propri colpi su Pieve, sebbene fosse a conoscenza che negli abitati di Varda e di Arabba si notavano movimenti di truppa e concentramenti di materiale. Ciononostante, nel pomeriggio del giorno 18 agosto, Pieve, con alcuni precisi colpi di granate incendiarie, fu completamente devastata e bruciata, ad eccezione dell'ospedale.

L'indomani fu dal nemico aperto e concentrato il fuoco anche sull'ospedale ed esclusivamente su di esso. Una donna ed una bambina furono uccise, due suore ed una donna furono ferite, di cui una suora gravemente. E' da notare che l'ospedale non era stato assolutamente adibito a scopi militari; vi era solo ricoverato il commissario civile, dopo l'incendio di Pieve, più per fare opera di assistenza fra i ricoverati che per ragioni di altra indole. Il bombardamento dell'ospedale di Pieve fu dunque un atto di pura e semplice barbarie, scientemente compiuto, senza motivazione e giustificazione di sorta, a danno degli stessi abitanti di origine austriaca e che noi avevamo accolti e benevolmente protetti. Assai frequenti sono i casi in cui l'intransigenza del nemico vieta di addivenire a quei momentanei accordi che varrebbero a soccorrere feriti d'ambo le parti, o a dare pietosa sepoltura ai caduti, o ad attuare pratiche igieniche. Ogni qualvolta i nostri medici ed infermieri hanno issato sul campo di battaglia il sacro vessillo della Croce Rossa per adempiere alla loro missione sanitaria, sono stati ripagati dal nemico o colla morte o colla prigionia. Questa è l'esatta verità facilmente controllabile da ogni persona di buona fede. Ciò posto, il Comando Supremo italiano non soltanto respinge sdegnosamente la falsa accusa rivoltagli dal Comando austro-ungarico ma eleva contro questo, le più vive proteste per i metodi barbarici, disumani o sleali in uso nell'esercito imperiale, e affida tali proteste al Comitato internazionale della Croce Rossa in Ginevra ed invoca sui fatti denunciati dal presente memorandum il giudizio del mondo civile".

Ma non soltanto quelli denunciati nel memorandum del Comando Supremo italiano erano stati gli atti di barbarie commessi dagli Austriaci. Il 7 novembre un sommergibile austriaco aveva affondato il transatlantico "Ancona", partito da Napoli e diretto a New York con 496 persone a bordo, di cui circa 160, la maggior parte donne e fanciulle, erano perite; il 9 novembre un altro sommergibile austriaco aveva mandato a picco il piroscafo "Firenze", diretto a Porto Said, causando la morte di 15 persone; il 13 un terzo piroscafo civile, il "Bosnia", era stato affondato da un sottomarino austro-ungarico nelle acque di Candia. A questi tre piroscafi va aggiunto il trasporto militare "Umberto I", che il 4 dicembre, colpito da una mina vagante nelle acque di Valona, affondò. Degli 800 uomini che portava ne perirono circa 60. Il cacciatorpediniere "Intrepido", che scortava l'Umberto I°, subì la medesima sorte.

L'indignazione prodotta nel mondo civile dai siluramenti dei piroscafi suddetti, specie dell'"Ancona", fu grande. Essendovi, tra i naufraghi di questa nave, dei sudditi americani, il Governo degli Stati Uniti protestò energicamente a Vienna con una nota nella quale si esprimeva il seguente giudizio sul contegno del comandante del sommergibile austriaco: "La condotta del comandante può soltanto essere qualificata come un brutale assassinio di non combattenti senza difesa, poiché nel momento in cui la nave fu cannoneggiata e silurata non sembra che resistesse o tentasse di fuggire; e nessun'altra ragione costituisce una scusa sufficiente per un tale attacco e nemmeno la possibilità che si avvicinassero soccorsi".

Una delle perdite più dolorose della marina italiana nel 1915 fu quella della corazzata "Benedetto Brin", distrutta da una terribile esplosione mentre si trovava nel porto di Brindisi. La nave era stata varata nel 1901, dislocava 13.430 tonnellate, era armata di 12 cannoni da 152, 20 da 76 e 2 da 47, da due mitragliatrici e due lanciasiluri, ed aveva un equipaggio di 780 marinai e 34 ufficiali, di cui si salvarono 8 ufficiali e 379 uomini. Fra i feriti furono il contrammiraglio ERNESTO RUBIN de Cervin e il comandante della nave capitano di vascello GINO FARAFORNI. La perdita della "Brin" provocò un'inchiesta e portò alla scoperta di un complotto che diede luogo ad un processo terminato il 1° di agosto del 1918 con la condanna alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena del soldato di cavalleria GIORGIO CARPI e del marinaio ACHILLE MOSCHINI e con la condanna all'ergastolo del marinaio GUGLIELMO BARTOLINI, tutti accusati di spionaggio e tradimento.

RIASSUNTO UFFICIALE DELLE OPERAZIONI
DEI PRIMI SETTE MESI DI GUERRA

Nel gennaio de 1916 l'Agenzia Stefani diramava un riassunto ufficiale delle operazioni dei primi sette mesi di guerra, un documento-testo, che riteniamo di dover riprodurre:

"La formidabile frontiera nemica"
I bollettini quotidiani del Comando Supremo, inspirati a doveroso riserbo e ad opportuna sobrietà, se sufficienti a dare conoscenza sommaria dell'andamento della guerra, non hanno forse potuto rendere abbastanza l'entità dello sforzo compiuto dal nostro esercito, delle difficoltà de esso incontrate, dei risultati ottenuti. Ciò meglio può apparire dalla narrazione pur sintetica e complessiva, delle vicende della guerra sino alla fine del 1915. E' nota l'infelice conformazione della frontiera militare, impostaci dall'Austria dopo la guerra del 1866: il saliente tridentino, addentratosi nella pianura padana a minaccia sul tergo dell'esercito italiano ad est del Tagliamento; il tratto corrispondente alla pianura friulana privo di appoggio difensivo naturale e lasciante al nemico il possesso incondizionato dei principali sbocchi dalle Alpi orientali. Si aggiungano: il grande sviluppo lineare della frontiera stessa (chilometri 800 circa); il carattere di zona alpestre, elevata e difficile del teatro delle operazioni, costituito dalla barriera delle Alpi in gran parte posseduta dall'avversario; il potente sistema di fortificazione con cui l'Austria aveva fin dal tempo di pace rafforzato il proprio confine. Scoppiato l'odierno conflitto europeo, nel lungo periodo della nostra neutralità, l'Austria attese con febbrile attività a completare le difese permanenti mediante quei lavori campali, di cui la guerra aveva dimostrato la grande efficienza: trinceramenti su più linea, costruiti in cemento e in calcestruzzo protetti da estesi campi di mine e da più ordini di reticolati in grosso filo metallico fissato a sbarre di ferro; numerose batterie, ben dissimulate, spesso in caverne; poderoso armamento in mitragliatrici; ampio sviluppo delle comunicazioni telegrafiche, telefoniche ed ottiche, permettenti rapidi e violenti concentramenti di fuoco.

Sorse così, lungo tutta la nostra frontiera, dallo Stelvio al mare, un'ininterrotta e profonda barriera difensiva, al presidio della quale il Comando austriaco destinò poi tre armate: quella del generale DANKL nel Tirolo, alto Adige; l'armata del generale ROHR, dal monte Paralba all'alto Isonzo; l'armata del generale BOROEVIC lungo l'Isonzo. In complesso, 25 divisioni, formate per tre quarti di elementi di prima linea, per un quarto di truppe territoriali, ma ben agguerrite ed inquadrate, costituenti una massa che si può valutare corrispondente a circa 12 dei nostri corpi d'armata. Tenuto conto della conformazione della frontiera, degli obiettivi che si proponeva la nostra guerra, della necessità che s' imponeva all'esercito Italiano di cooperare nel modo più efficace possibile alle operazioni degli alleati in un momento in cui le sorti della guerra in Russia volgevano favorevoli agli Imperi centrali, il Comando italiano decise di agire offensivamente non soltanto lungo la frontiera dell'Isonzo, ma anche nello scacchiere Trentino-Alto Adige, con lo scopo immediato di occupare taluni punti di speciale importanza e di rettificare nel modo migliore possibile quella minacciosa frontiera. Le operazioni assunsero così carattere spiccatamente offensivo lungo quasi tutta la vasta ed aspra fronte, in direzioni necessariamente divergenti. L'esercito si accinse all'ardua impresa con grande fermezza ed abnegazione, con incrollabile tenacia e slancio che al contatto delle difficoltà reali della guerra, nonché affievolirsi, si accrebbero per le numerose prove di valore date, per l'orgoglio dei sacrifici compiuti, per il magnifico esempio dei caduti, per l'appoggio affettuoso e costante che prestava il Paese.

"La nostra fortunata offensiva"
Allo scoppio delle ostilità, le nostre truppe oltrepassata ovunque la frontiera, ricacciarono le forze avanzate nemiche, conquistando, tra la fine di maggio e quella di giugno, nel saliente del Trentino: la riva destra di Valle Daone; la Valle Chiese, fino a Condino; la Valle Adige, sino ad Ala; Vallarsa, sino a Valmorbia; la conca di Tesino, in Val Sugana; qualche contrafforte del Col di Lana, nell'alto Cordevole; la conca di Cortina d'Ampezzo, in Valle del Boite. In Carraia fu assicurato il possesso dei valichi contro gl'insistenti attacchi che il nemico pronunciava allo scopo di irrompere in quell'importante scacchiere. Lungo l'Isonzo, venne conquistato tutto il territorio di riva sinistra del fiume, ad eccezione delle teste di ponte di Tolmino e Gorizia. Passato l'alto Isonzo, fu occupata saldamente le parte centrale del Monte Nero, la più elevata ed aspra di quel massiccio. Dopo una sosta dovuta a piogge torrenziali con allagamenti, il fiume fu superato anche nel suo medio corso, a Plava, e in corrispondenza del Carso. In fine di giugno fu iniziato l'attacco delle teste di ponte rimaste al nemico sull'Isonzo. Intorno a Tolmino fu conquistato parte dei contrafforti del Monte Nero che cadono su quella piazza ad ovest di Gorizia, fu messo saldo piede sulle alture di riva destra del fiume, gremite di trinceramenti, munitissime di artiglierie. Notevoli successi si ottennero anche sul Carso, ove, nonostante le gravi asperità del terreno, le formidabili difese nemiche e l'imbarazzo del fiume alle spalle, fu occupato il margine dell'altipiano tra Sagrado e Monfalcone.

Dopo un periodo di sosta generale, necessaria per raccogliere nuovi mezzi, il 18 luglio la lotta si riaccese lungo tutto il fronte dell'Isonzo. Nell'alta Valle fu conquistata gran parte della conca di Plezzo; di fronte a Tolmino furono espugnate le pendici delle colline di S. Maria e S. Lucia; sulle alture ad ovest di Gorizia furono penosamente compiuti nuovi progressi. Sul Carso, a prezzo di sanguinosi sforzi, fu conquistata la linea che dalle falde del monte San Michele per l'orlo orientale del Bosco Ceppuccio, est di Castello Nuovo, arrivava al Monte Sei Busi. L'importanza di questi successi risulta maggiore quando si tenga conato che essi dovettero essere ogni volta affermati respingendo numerosi contrattacchi, coi quali l'avversario tentava di riprendere ciascuna delle perdute posizioni. Nell'agosto, fortunate operazioni offensive lungo il saliente trentino ci fruttarono l'occupazione d' importanti posizioni avanzate verso l'altopiano di Lavarone e la conquista della conca di Borgo, in Val Sugana. Felici operazioni si svolsero anche nelle Valli Cordevole, Posena e Rienz. A metà ottobre, l'offensiva fu ripresa con rinnovato vigore in tutto il teatro delle operazioni. Nel Trentino essa ci dette il possesso completo della Valle di Ledro con la conca di Bezzecca, del territorio tra Garda ed Adige sino alla depressione Nago-Mori, della Valle dell'Adige sino alle ultime propaggini di Zugna Torta sopra Rovereto, delle importanti posizioni di Monte Setole e Col di San Giovanni, nel settore di Val Sugana.

In Cadore, con condizioni climatiche rigidissime, fu quasi completata l'occupazione del Col di Lana e vennero conquistati i contrafforti che dal Sasso di Mezzodì cadono sul Cordevole. Nell'alto Isonzo fu ampliata la nostra occupazione nella conca di Plezzo e nel Monte Nero, e furono fatti ulteriori progressi sulle colline di Santa Maria e di Santa Lucia, di fronte a Tolmino. Sul medio corso del fiume fu notevolmente estesa la testa di ponte di Plava, espugnando le località fortificate di Globna e Zagora. Sulle alture ad ovest di Gorizia l'avversario aveva accumulato fortissimi mezzi di difesa. Contrastati dal mal tempo, che impose più soste, i nostri attacchi riuscirono, a prezzo di gravi sacrifici, a conquistare il versante occidentale delle alture e ad occuparne in parte la sommità oltrepassandola anche in qualche tratto lungo il pendio sull'Isonzo. Sul Carso fu espugnato il costone di Peteano e fu poi tata la nostra linea fino a rasentare le cime del Monte San Michele e le case di San Martino. Nella zona centrale fu espugnato un vero groviglio di poderose linee di trinceramenti. All'ala destra fu ampliata l'occupazione sul Monte Sei Busi.

"I risultati ottenuti"
In complesso i risultati territoriali dell'offensiva italiana possono così riassumersi: Nel Trentino, con la conquista della linea di Valle Daone, Valle di Ledro, depressione di Loppio e Valle Terragnolo, si è riscattata una regione ricca e popolosa, resecando le due estremità meridionali più minacciose di quel saliente, che si addentra ad ovest e ad est del lago di Garda sino a qualche diecina di chilometri dalla pianura e dalla strada Brescia-Verona. Sul lato orientale del Saliente stesso, furono sbarrate le numerose strade che tra Adige e Brenta varcano la frontiera e scendono alla pianura tra Verona e Vicenza, tratto di frontiera questo, nel quale sono addensate le maggiori difese austriache e che fu sempre considerato come una pericolosa zona d'invasione nella pianura veneta. Più a nord-est fu occupata la Val Sugana sino a Borgo e tutta la vasta zona montuosa che si stende ai piedi dell'Alpe di Massa, e cioè le Valli Calamento e Campelle con la Conca di Strigno, la Valle del Grigno con la conca di Tesino, la Valle Vanoi con la conca di Canale. A Saio Bevo, la Valle Cismon con la conca di Fiera di Primiero.

In Cadore furono conquistati: l'alto Cordevole, sino a Cherz, e la conca di Cortina d'Ampezzo, con massicci della Tofana e del Cristallo. Fu intercettata così l'importante strada delle Dolomiti costruita dall'Austria per gli arroccamenti lungo la nostra frontiera e per la più breve comunicazione fra Toblac e Trento. Furono inoltre spinte minacciose occupazioni avanzate nelle alte valli di Rienz e di Senten, a poca distanza dalla grande comunicazione austriaca di Valle Drava. In Carnia fu mantenuto il possesso della linea di confine, contro gl'insistenti attacchi austriaci diretti ad incunearsi in questo scacchiere, a minaccia del fianco del nostro esercito. Con tiri d'artiglierie e con ardite incursioni di fanterie furono disturbate le comunicazioni del nemico lungo le Valli del Gail e alto Fella: fu diroccato il forte Hensel e danneggiato quello del Predil.
Sull'Isonzo fu conquistata la conca di Plezzo sino alle pendici del Monte Rombon e dell'Javorcek e fu occupata gran parte del massiccio del Monte Nero, di modo che si è posto saldo piede sulla sinistra del fiume. Dalle nostre posizioni sul Vodil e sul Mrzli e dalle colline di Santa Maiia e di Santa Lucia teniamo in scacco la piazza di Tolmino, che è sotto il tiro ed a discrezione dei nostri cannoni. Sul medio Isonzo abbiamo costituito una forte testa di ponte ad est di Plava. Con l'occupazione di gran parte delle alture ad ovest di Gorizia, abbiamo svalutato quella formidabile testa di ponte nemica e resa inabitabile la città, gia centro di ristoro per le truppe austriache. Abbiamo scacciato l'avversario da tutta la vasta e popolosa pianura di riva destra dell'Isonzo. Infine, valicato il fiume, abbiamo infranto le poderose linee dell'avversario costruite lungo il margine del Carso, affermandoci saldamente su quell'altipiano.

Il nemico, non potendo negare i nostri successi, si è limitato ad affermare che la lotta si svolge sempre sulle posizioni da lui scelte per la difesa. Ma ha anche creduto prudente di astenersi dal dichiarare quali fossero tali posizioni, per non vedersi obbligato a riconoscere il graduale arretramento della propria linea di resistenza. Lungo tutto il fronte l'avversario ha dovuto subire la nostra iniziativa, costretto ad irrigidirsi in una difesa passiva, ad aggrapparsi disperatamente al terreno, a trarre dalla forza delle posizioni l'unica speranza di potersi sostenere: "Abbiamo da conservare un terreno che è fortificato dalla natura. Davanti a voi un corso d'acqua; dal lato nostro una costiera di dove si può tirare come da una casa di dieci piani. Pensate ai monti che sono tutta la nostra forza" proclamava alle truppe, all'inizio della guerra, il Comando dell'esercito austro-ungarico; quel Comando che, in tempi non remoti, progettava invasioni e passeggiate militari fin nel cuore della pianura padana. Ma, pur immobilizzandosi in, così favorevoli condizioni di difesa, l'avversario ha logorato considerevoli sforzi, ha perduto più di 30.000 prigionieri, 5 cannoni, 65 mitragliatrici, parecchie migliaia di fucili, lanciabombe, munizioni e materiale da guerra di ogni specie.

Di contro, il nostro esercito, affrontando le gravi difficoltà dell'offensiva, che la guerra odierna ha di gran lunga accresciuto, obbligato a combattere sempre in condizioni di inferiorità rispetto al nemico, per dominio di posizioni e per preparazione del terreno, ha in otto mesi di dura lotta mantenuto inalterato contegno aggressivo. Combattendo con slancio e tenacia, nel più elevato ed aspro fra tutti gli odierni teatri di guerra europei, sopportando con fermezza le avversità delle intemperie, fatiche e stenti di ogni genere, ha guadagnato giusta fama di valoroso ed il rispetto dello stesso nemico, di che è prova l'unanime tributo di lodi della stampa straniera, ed il confronto fra gli altezzosi bollettini austriaci dei primi giorni della guerra e quelli dimessi degli ultimi tempi. L'esercito italiano guarda perciò al nuovo anno con legittimo orgoglio per le gesta compiute e con incrollabile fiducia nell'avvenire. Inspirandosi all'esempio di S. M. il Re, primo fra tutti in ogni evenienza di guerra, e sorretto dalle cure costarti ed affettuose del Paese, esso dalle ardue prove superate trae incitamento a moltiplicare gli sforzi per l'avvenire sino al completo raggiungimento della gloriosa mèta additatagli della volontà della Nazione".

Terminava così l'anno 1915 sui campi bellici.

Ma abbiamo parlato poco di quello che avveniva negli ultimi mesi dell'anno dentro le stanze della diplomazia estera, negli ambienti politici italiani, nella Chiesa, e il "clima di guerra" vissuto nel Paese, ecc.

… ed è il contenuto della puntata che segue...

CONTINUA > > >

< < < INDICE


HOME PAGE STORIOLOGIA