LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1916

GOVERNO E PAESE NEI PRIMI MESI DEL 1916

L' INDIRIZZO DI CAPODANNO DEL PARLAMENTO ITALIANO AL RE - CREPE NELLA CONCORDIA NAZIONALE - IL 9 GENNAIO A ROMA E A BOLOGNA - LA PROPAGANDA PER IL TERZO PRESTITO NAZIONALE - IL COMITATO ROMANO PER IL PRESTITO: DISCORSI DEGLI ONOREVOLI CARCANO E LUZZATTI - DISCORSI DI SALANDRA E MARTINI A FIRENZE - GLI EX MINISTRI PICHON E BARTHOU A MILANO - I DISCORSI DI SALANDRA E DANEO A TORINO - IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO A GENOVA - A. BRIAND IN ITALIA - IL DISCORSO DI T. TITTONI A NIZZA - PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO - RIAPERTURA DELLA CAMERA - TENTATIVI SOCIALISTI DI TURBARE I LAVORI PARLAMENTARI - LA MOZIONE SOCIALISTA - IL VOTO DI FIDUCIA AL MINISTERO - LA DISCUSSIONE SULLA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO - LA CONFERENZA INTERALLEATA - LORD ASQUITH A ROMA - DIMISSIONI DEL GENERALE ZUPELLI - IL GENERALE MORRONE NUOVO MINISTRO DELLA GUERRA - DISCUSSIONE DELLA POLITICA ESTERA ALLA CAMERA - IL MINISTRO FRANCESE CLEMENTAL A ROMA
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L'anno 1915 non si era chiuso solo con un bilancio negativo sullo scenario di guerra, ma in conseguenza anche di questi insuccessi (o alcuni successi però inconcludenti) erano sorti forti contrasti, all'interno del governo, nelle forze d'opposizione e anche in alcune schiere d'interventisti. Poi l'offensiva austriaca in maggio (la Strafexpedition), questi attriti e le numerose critiche su alcune scelte errate fatte da Cadorna, li farà aumentare, mettendo in crisi il governo Salandra; e nei vari dibattimenti parlamentari gli oppositori invocarono la formazione di un ministero d'unione nazionale.
Gli insuccessi iniziano a ripercuotersi anche nella conduzione della guerra, facendo così nascere il "problema" Cadorna.
Il Capo di Stato Maggiore aveva fatto al Governo richiesta in maggio di far rientrare dall'Albania e dalla Libia due divisioni. Quando il Governo su consiglio dei ministri si decise ad accontentarlo, ma volle però indire una riunione a Padova, con il generale PORRO (vice capo di S.M.) e i comandanti delle grandi unità, allo scopo di controllare da vicino l'operato delle truppe, CADORNA ricevuta questa comunicazione, rifiutò di partecipare alla riunione; aggiungendo che se i ministri volevano delle delucidazioni di recarsi da lui.
(Il seguito di questi astiosi contrasti, che non contribuivano di certo a mantenere gli equilibri politici, oltre quelli militari, li narreremo più avanti).

L'INDIRIZZO DI CAPODANNO DEL PARLAMENTO ITALIANO AL RE -
CREPE NELLA CONCORDIA NAZIONALE
PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO

Mentre su tutto il fronte i cannoni cantavano anche nella feste del capodanno 1916, al Quartiere Generale italiano si svolgeva un'austera cerimonia: la presentazione al Re degli indirizzi d'omaggio e d'augurio del Senato e della Camera. Quello del Senato, letto dal senatore PATERNÒ, era così concepito:
(li riportiamo, perchè questo era il clima, stando "lontani dalle trincee")

"Sire ! Se gli straordinari avvenimenti di guerra che riempiono gli animi di ammirazione, di ansie patriottiche e di fede nel successo non consentono al Senato di recare alla M. V. nella Reggia il consueto omaggio di felicitazioni e di augurio all'inizio dell'anno novello, esso è altero di farglieli sulle terre conquistate con il nostro sangue migliore, ai piedi di quelle Alpi che natura pose a presidio d'Italia e che la malignità dei tempi e la violenza ci contesero per tanti anni. Ma il popolo italiano non dimenticò mai le sue aspirazioni nazionali, attese e sperò; e al momento propizio levatosi tutto in armi per la difesa dei suoi supremi interessi, si strinse fiducioso, sereno, costante attorno al suo Re che da sette mesi impavido divide con le valorose milizie di terra e di mare, i disagi e i pericoli della guerra, la quale non poserà sino a quando l'Italia non abbia raggiunto i suoi naturali confini indispensabili alla sua sicurezza ed alla sua espansione nel mare che la circonda, e non sia possibile concludere insieme con gli Alleati una pace durevole, fondata sulla giustizia e sul diritto dei popoli, che li preservano dal ripetersi di così terribili catastrofi.
La Provvidenza volle, o Sire, affidare a Voi, Re prode e buono, l'ardua e gloriosa missione di completare e rendere sicura la Patria che il Vostro grande avo redense e insediò in Roma, fatidica e immortale. L'Italia risorta si sente oggi più che mai indissolubilmente legata alla dinastia Sabauda, la quale, come le diede la forma in cui si compose, le offre, con questo faticoso cimento, il mezzo più efficace per ritemprarsi grazia allo spirito di concordia, di disciplina e di sacrificio, e di consolidare il prestigio delle armi al posto che le spetta nel consorzio delle Nazioni.
Perciò i voti che fa il Senato per la prosperità della M. V., di S. M. la Regina e della Reale Famiglia si estendono alla prosperità della Patria, la quale dall'unione della libertà con la monarchia trasse in passato i germi della sua vita politica e trarrà nell'avvenire impulso e vigore per procedere animosamente nella via di ogni progresso".

L'indirizzo della Camera, composto da BOSELLI e presentato dall'on. ALESSIO,
era così concepito:

"A voi, Sire, che voleste incominciare fra le armi liberatrici l'anno fatidico per l'Italia e per la civiltà, i deputati del popolo esprimono l'augurio fidente nelle continuate vittorie, il fervido augurio affinché gloriosamente si adempia ogni voto del vostro alto pensiero, del vostro animo generoso. La nazione risorta ai patriottici cimenti con rinnovato entusiasmo, con rinnovata fede, vi ammira, vi intende, vi segue. Alle forti e serene prove del vostro coraggio, alla vostra parola militarmente animatrice si ispirano i meravigliosi soldati: essi muovono da ogni terra d'Italia, sono di ogni ceto, di ogni parte politica, hanno aspirazioni sociali diverse, ma tutti attestano con un medesimo cuore le gagliarde virtù della nostra gente, tutti fanno manifesta l'unità della coscienza nazionale. A voi guarda intrepida l'Armata che vigile contro le barbariche insidie, invoca il grido delle maggiori battaglie.- Nelle insigni città, come nelle umili ville, s'appresta ogni conforto, si rafforza ogni consenso alla magnanima riscossa. Al cader di ogni eroe sorge dalla commozione del dolore sempre più acceso il proposito delle rivendicazioni sublimi; non v' è letto di prodi feriti cui non soccorra provvidamente e non sorrida consolatrice una santa e gentile pietà; tutto il popolo italiano incontra e incontrerà vigorosamente i sacrifici di ogni maniera ed ogni acerbità che siano necessari al compimento del riscatto nazionale e dell'impresa di civiltà alla quale l'Italia è fermamente congiunta.

"Da voi, Sire, una nuova storia per l'Italia tutta comincia. Questa nuova storia, che Dante presagì disegnando i confini d'Italia e alla quale Garibaldi con i suoi vittoriosi campioni diede il proemio immortale, voi l'avete, Sire, studiosamente pensata, voi l'avete voluta con animo caldamente italiano, con impulso di quelle tradizioni che sempre serbate preziose non per vanto di regno ma come scuola di ardimento e di dovere: - e a formare questa nuova istoria, voi suscitaste, voi elevaste tutte le energie popolari, grazie alle riforme politiche e sociali alle quali voi porgeste l'incitamento del vostro spirito liberale.

"Caduto il dominio straniero, odioso per l'oppressione politica, odioso supremamente perché inteso con diuturna perfidia ad estinguere in una gente italiana qualsiasi espressione, qualsiasi palpito, qualsiasi senso della propria stirpe; riconquistati i confini che ci assegnò la natura; richiamato l'Adriatico ai suoi destini italiani; rivendicate dovunque le ragioni della civiltà; restaurato il diritto delle genti che è oggi tradito con opere nefande; posto il diritto di nazionalità a fondamento di durevoli paci, o Sire, nel vostro memorabile Regno, proseguirà più rigogliosa e più sollecita che mai l'ascensione dell'Italia nelle conquiste della scienza, nelle fortune del lavoro, in ogni incremento della pubblica felicità. Così possa avvenire in tempi non lontani.

E ne avrà letizia con voi l'Augusta Regina, nella cui mente è vivida luce, nella cui virtù è l'ardente vocazione delle opere benefiche, l'Augusta Regina, oggi con tutto il suo cuore auspicatrice di vittoria a due popoli elle combattono strenuamente del pari per la santità del diritto nazionale. E ne avrà letizia con voi l'Augusta Madre Vostra, la figlia del Vincitore di Peschiera, anelante a ogni italiana grandezza, autrice di ogni eccelsa idealità. Il giovane principe Umberto che presto si sentì stretto con l'animo popolare nel fervore del risveglio nazionale apprende oggi da voi l'esempio del Re guerriero e apprenderà da voi lungamente l'esempio del Re promotore degli avanzamenti civili. Sire, voi diceste di voler trascorrere questi giorni di famigliare intimità fra i vostri soldati, la grande famiglia che voi sempre amaste e nella quale voi sapete vivere mirabilmente; e i vostri soldati, lontani dai domestici focolari, rivolgono a voi gli animi loro e formano intorno a voi una famiglia più che ideale, perché è unanime operatrice di miracolose gesta. In mezzo a codesta famiglia vostra e dei vostri soldati s' innalza invitta la bandiera, si esalta l'anima commossa della Patria: e la Patria è orgogliosa di comprendere in un medesimo saluto augurale il suo Re e il fiore dei suoi Figli. L'Italia è tutta dove voi siete, dove sono i prodi che combattono con voi per le terre e sui mari; e l'Italia sarà tutta con voi e con loro, ad ogni costo, fino al giorno della completa vittoria".

Agli auguri del Generale Cadorna, il Re rispose con un telegramma sobrio e significativo: "L'esercito, che già nei mesi di ardui cimenti ha dato mirabile prova di ogni virtù, ne darà anche quanto ne attende la patria pei suoi destini. Sicuro di questa fede, ricambio il saluto gradito col voto del cuore che la fortuna d'Italia coroni il valore dei cari soldati".

Gli indirizzi al Sovrano parlavano di eroismi del recentissimo passato e di propositi saldi per l'avvenire, e se il tono con cui furono espressi non era assente un po' della vecchia retorica, la sostanza rispondeva alla realtà dei fatti. E, in verità, nessun elogio era capace di esaltare le gesta dei magnifici combattenti italiani, lo slancio e la disciplina del popolo e la volontà che esso mostrava di voler continuare a percorrere la via del sacrificio pur di raggiungere la vittoria.
Indubbiamente c'era molta retorica nei discorsi; come in quelli che accenneremo più avanti; ma del resto questo leggevano gli italiani. Né potevano sapere -gli italiani e i soldati al fronte- i tanti contrasti che c'erano non solo fra le forze politiche, ma anche le collisioni negli alti comandi per la conduzione della guerra, che stava diventando sempre di più problematica, e ciononostante seguitava a mancare un serio coordinamento fra Governo e Fronte.

Per esser sinceri, qualche crepa c'era nella grande concordia nazionale: non tutti volevano la guerra alla Germania ( non ancora dichiarata, e sempre rimandata), molti erano scontenti delle critiche della stampa alleata, il CADORNA caldeggiava l'intervento italiano in Macedonia e si mostrava ostile alla spedizione in Albania voluta da SONNINO, cattolici e neutralisti cominciavano ad alzar la testa, i socialisti ufficiali cercavano di turbare apertamente la disciplina civile, inscenando il 15 dicembre durante la commemorazione di Oberdan dimostrazioni disfattiste, espellendo dal partito i compagni volontari di guerra, negando ai compagni morti sul campo le funebri onoranze, facendo chiudere l'Università Popolare di Bologna perché guerrafondaia, e bastonando presso Firenze alcuni studenti che acclamavano a Trieste.

Per fare scomparire queste incrinature e mantenere l'entusiasmo nel popolo era necessario al Governo dare inizio a dimostrazioni patriottiche e mantenere i contatti con la popolazione con visite e discorsi dei suoi rappresentanti.
Una delle date che fornì l'occasione per imponenti dimostrazioni fu quella del 9 gennaio, 38° anniversario della morte di Vittorio Emanuele II. A Roma quel giorno ci fu una grandiosa manifestazione popolare davanti l'Altare della Patria e il sindaco, senatore COLONNA, pronunziò un discorso, nel quale, esaltata la figura del gran Re e dei suoi due successori e fatta l'apoteosi dell'eroismo delle nostre truppe, così concluse:
"In questa guerra di rinnovazione della vita morale del Paese, un solo sentimento deve unirci di fronte alla Patria: il sentimento del dovere. E in. quest'ora solenne, su questo tempio sacro alle glorie più pure del nostro Risorgimento, un irrevocabile auspicio deve levarsi concorde: quello della vittoria!".

Fra le manifestazioni del 9 gennaio avvenute nelle varie città d'Italia, è degna di nota quella di Bologna, nella cui Università il rettore PESCI rievocò nobilmente l'opera del Re Galantuomo e il professore ALFREDO GALLETTI pronunziò un nobile discorso sul tema: "Il pensiero germanico contro il pensiero romano", in cui, esaltata la civiltà greco-latina e dimostrata la superiorità di questa su quella germanica, affermò che l'attuale guerra non avrebbe soltanto deciso se l'una o l'altra nazione dovrebbe ampliare o restringere i proprio confini, oppure se l'egemonia dei mari e il primato nel commercio mondiale dovesse spettare all'Inghilterra e alla Germania:
"Ci sono - disse fra l'altro - anche altri valori, come posta del giuoco sanguinoso, e quali valori! Il diritto, la libertà politica, la morale, il concetto stesso della vita e il fondamento della civiltà. La vittoria ultima deve essere e sarà per la serena, misurata, civile potenza della ragione contro il misticismo della forza divinizzata; questo io auguro come Italiano, certo di interpretare l'anima di quanti mi ascoltano. Ed auguro che le idee che sorreggono e confortano gli uomini degni di questo nome illuminino di nuovo anche la coscienza di quel popolo contro la cui atroce follia di grandezza tanta parte d'Europa si è stretta in un patto per la lotta a vita e a morte".

Si manifestava intanto con violenza la propaganda per il nuovo prestito, iniziato il 10 gennaio dall'on. SALANDRA con una lettera indirizzata a tutti i membri del Parlamento, ai quali il presidente dei Ministri chiedeva il valido concorso "per eccitare e conseguire il più largo contributo di ogni classe di cittadini, di ogni forma di risparmio al prestito di guerra", persuadendo i cittadini che chi destinava le proprie economie al prestito non solo faceva un ottimo affare, ma rendeva alla Patria il maggior servigio che poteva rendere chi non era in grado di portar per essa le armi.
"La Patria - scriveva il Salandra - è impegnata in una lotta vitale che per noi come per gli altri belligeranti, richiede mezzi di uomini, di munizioni e però di denaro, in misura tale che nessuno avrebbe potuto prevedere. Lo sforzo immane non sarà vano; sarà anzi fecondo di benefici materiali se coronato dal successo. Per il successo è condizione necessaria disporre di mezzi copiosi, forniti in tempo utile. L'Italia, che ha superato con la prova delle sue armi le aspettative del mondo, deve superarle anche con la sua energia e con la sua resistenza economica".

A Roma, l'11 gennaio, fu costituito un comitato di cui furono membri onorari il senatore Giuseppe Manfredi e l'on. Giuseppe Marcora, presidenti del Senato e della Camera, Tommaso Tittoni, don Prospero Colonna, Paolo Boselli e il senatore Chimirri, presidente effettivo Luigi Luzzatti e membri del comitato esecutivo gli onorevoli Bettòlo, Nava, Fera, De Nava, Tedesco, Torre, Comandini, Bonomi, Bissolati, Federzoni, Medici, il comm. Benucci, i senatori Cencelli, Maggiorino Ferraris, Mazziotti, Talamo e Romolo Tittoni, Ernesto Nathan e il comm. Stringher.
Purtroppo in quello stesso giorno giungeva notizia che gli Austriaci avevano completato l'occupazione del Montenegro. Il territorio per iniziare la penetrazione in Albania.

Il 13 gennaio ebbe luogo in Campidoglio una riunione alla quale parteciparono le più note personalità del mondo politico e bancario. II ministro CARCANO tenne un importante discorso, in cui fra le altre cose disse che nel primo semestre dell'esercizio in corso le principali entrate dell'Erario avevano avuto un incremento di 202 milioni, incremento che nel secondo semestre sarebbe salito, secondo la stima delle recenti previsioni tributarie, a 500 milioni senza bisogno di nuove imposte e di altri inasprimenti fiscali.
Un altro discorso tenne LUIGI LUZZATTI, il quale, nella perorazione finale, così disse:


"Roma che accoglie e concentra i fremiti patriottici di tutta Italia per irradiarli col fuoco sacro fedelmente custodito, Roma, in questo momento solenne, invita gli Italiani a esprimere la sincerità del loro amore per la Patria con la sottoscrizione plebiscitaria al prestito nazionale! Il vostro concorso significhi il consenso di tutti gli ordini dei cittadini, dei ricchi e dei poveri; la piccola offerta dei meno agiati, frutto di faticosi risparmi, sarà anche la più gradita. Tutti i figli d'Italia che potevano combattere si recarono al fronte fidenti e forti; così tutti sentono l'orgoglio di iscrivere il proprio nome nel Libro d'oro del prestito nazionale! All'ultima sottoscrizione francese presero parte tre milioni di cittadini; così uguale risposta dobbiamo dare ai nostri nemici, come affermazione che, anche in Italia, armi e denaro sono indissolubilmente congiunti per la grandezza della Patria. Le imposte che i contribuenti accolsero con abnegazione mirabile sono guarentigia infallibile dei prestiti della vittoria. Non nuova cartamoneta con l'inasprimento del cambio e dei prezzi delle cose necessarie alla vita popolare, ma la raccolta spontanea e fervida dell'entusiasmo nazionale che, dopo aver fecondato il risorgimento economico del Paese, assicurerà le sorti della guerra liberatrice e rivendicatrice. Il trionfo finanziario sarà il più affettuoso saluto del nuovo anno, inviato al fiore della nostra gente gloriosa, che combatte e sa morire impavida con il nome d'Italia sulle labbra e nel cuore".

Per fare opera di propaganda per la sottoscrizione, speciali comitati provinciali furono costituiti, partecipandovi largamente i deputati, i senatori, gli amministratori delle Province e dei Comuni, gli istituti di credito, cospicue personalità dell'industria e del commercio e larga rappresentanza di ogni classe di cittadini. Si costituirono inoltre ovunque sottocomitati nei quali operarono insegnanti elementari e segretari comunali. Infine si iniziarono in molti luoghi cicli di conferenze, tenute specialmente da rappresentanti del Parlamento e da professori universitari, per spiegare lo scopo nobilissimo del prestito e l'utilità della sottoscrizione anche come semplice operazione finanziaria.

Accanto alla propaganda per il prestito si svolgevano manifestazioni patriottiche ed avevano luogo discorsi di insigni parlamentari. Alla Scala di Milano veniva rievocata la vecchia opera verdiana, "La battaglia di Legnano" e GABRIELE D'ANNUNZIO parlava al pubblico numeroso, al quale erano declamate due sue nuove canzoni di guerra: la "Preghiera per i cittadini" e la "Preghiera per i combattenti".
A Padova, il 17 gennaio, nel salone della Gran Guardia, l'on. GIULIO ALESSIO, trattava, in un suo discorso, il tema "Popolo e Combattenti", studiando "…le ragioni per cui l'Italia dava esempio mirabile di disciplina e di vigoria e ritrovandole nell'educazione morale, nei cinquant'anni trascorsi fra traversie sociali, politiche, economiche d'ogni sorta, nell'azione vivificatrice della libertà e nel grande fatto dell'unità politica, distruttrice di tutte le anteriori debolezze create dalla natura e dalle lunghe tradizioni; rilevando quindi la grandezza del nostro sacrificio e la conseguita fusione politica e morale degli Italiani".

Il 19 gennaio l'on. SALANDRA parlava brevemente nel palazzo dell'Arte della Lana e il giorno dopo, nella sala dei Duecento, dove erano convenute tutte le rappresentanze delle associazioni politiche toscane. Tra i due discorsi fiorentini del presidente del Consiglio, uno ne tenne, nel salone dei Cinquecento, il ministro FERDINANDO MARTINI, che con forbitezza d'eloquio evocò:
"…la grandezza dell'antica Firenze, accennò ai giorni in cui essa fu capitale d'Italia, toccò delle ragioni della guerra intuite, anzi sentite dal popolo italiano, affermò l'immutabile fede della Nazione nella vittoria, si compiacque della cooperazione degli Italiani, che in un impeto d'affetto posero al servizio della Patria tutta la stupenda varietà delle loro attitudini", additò come esempio a tutte le donne d'Italia Donna Luisa dei principi Corsini, morta pochi giorni prima in seguito ad un'infezione contratta pungendosi con uno spillone mentre come dama della Croce Rossa si recava in un ospedale militare; espresse il suo accoramento per le sconfitte della Serbia e del Montenegro, esortò alla sottoscrizione al prestito nazionale, non tacque qualche errore commesso nella condotta della guerra e, domandandosi col poeta quando la pace avrebbe sollevato candida dal sangue le ali, rispose: "Quando la forza abbia costretto la forza ad incurvarsi innanzi al diritto, quando la giustizia riedifichi ciò che la violenza distrusse, quando non più la scienza sovvenga alle crudeltà della barbarie, quando l'Italia, sicura nel suo mare, chiudano i confini che Dante tracciò, quando il popolo serbo sia restaurato nella pienezza della sua indipendenza".

MARTINI chiuse il suo discorso così: "Io ho disceso oramai gran parte della curva degli anni; molto ricordo, e non è meraviglia che alterne memorie di letizia e di spasimi mi si affollino alla mente in questo luogo e in questa ora. Ho veduto nella Piazza della Signoria bivaccare gli usseri austriaci e con oltraggio ignorante le loro selle appese al Perseo di Benvenuto Cellini; e ricordo la tristezza impressa sulla fronte dei maggiori, onde una grande malinconia scendeva nella mia inconsapevole anima di fanciullo. E ricordo con quanto giubilo nella effusione di speranze insperate vi fossero accolte le truppe francesi che ci aiutarono alla conquista dell'indipendenza dalle Alpi all'Adriatico secondo la promessa del manifesto imperiale: ricordo le irose delusioni e gli sconforti per l'improvvisa pace di Villafranca e i giorni di Custoza e di Lissa. Oh ! in alto i cuori: l'estrema; prova non fallirà e gli uomini della mia generazione che vissero quei tristissimi giorni, che di quelle delusioni, quegli sconforti, quei lutti patirono, avranno per la fede tanti anni nutrita la ricompensa cui agognano: tra gli addii dell'ultimo sole confortarsi della visione di un'Italia lungamente sognata, non invano augurata, forte e sicura, fulgida nell'aureola della vittoria, per la terza volta propagatrice di civiltà latina nel mondo".

Quattro giorni dopo, nuove manifestazioni avvenivano a Milano, inaugurandosi un ospedale militare offerto da 700 comuni di Francia. Fra gli uomini politici francesi presenti alla cerimonia erano gli ex-ministri BARTHOU e PICHON; rappresentava il Governo italiano il ministro BARZILAI, il quale parlò durante l'inaugurazione dell'ospedale. Un discorso pronunziò pure al teatro Dal Verme il Barthou, che riscosse applausi specie nella sua chiusura:
"Voi siete ammirevoli - egli disse - voi siete entrati in guerra non per egoismo, ma per difendere le vostro aspirazioni nazionali. Voi siete entrati per solidarietà con coloro che si battevano per il diritto. Noi siamo insieme con voi oggi come domani. Tutti per uno, uno per tutti. Abbiamo interessi comuni da difendere. La Francia sa che cosa fa l'Italia e che cosa le deve. Noi abbiamo fiducia nell'Italia come l'Italia nella Francia. Ebbene, dopo aver fatta insieme la guerra, domani praticheremo insieme la pace. Se vi sono pregiudizi, malintesi, vediamo di dissiparli. Noi non siamo un popolo che crede l'Italia una nazione vassalla, bensì una grande Potenza; noi dobbiamo dunque trattarci da pari a pari. E al vostro grido risponde il giuramento della Francia: O vincere o morire. Noi vinceremo con l'aiuto degli alleati, con l'amore dell'Italia".

E fu così, ma purtroppo, dopo la vittoria, queste belle parole, questo amore, con vera ingratitudine, si volle disconoscere.

A queste manifestazioni italo-francesi si aggiunse a Milano, nel salone del Conservatorio, una serata di propaganda per il prestito, nella quale applaudito parlò l'on. BARZILAI, che concluse dicendo: "sottoscrivere al prestito significa preparare la vittoria e dare ai soldati con le armi la forza morale per conquistarla".

Anche Torino ebbe le sue manifestazioni. L'on. SALANDRA, recatosi a visitare le opere di assistenza e di propaganda, vi pronunciò, il 31 gennaio, un discorso; un altro lo tenne il 10 febbraio, inaugurando il nuovo palazzo della finanza, il ministro DANEO, il quale, parlò della solidità delle finanze italiane, della disciplina in cui il popolo aveva accolto i nuovi tributi, del nuovo prestito che col suo successo doveva confermare la solidarietà di tutto il Paese con i combattenti, delle buone condizioni in cui si trovava l'economia nazionale e concluse:
"Nell'Europa in fiamme non vi era posto ormai per grandi illazioni inerti spettatrici. Saremmo stati, senza aver combattuto, i vinti, gli umiliati, i vassalli politici ed economici di domani. E il nostro Piemonte, al quale Cavour e Vittorio Emanuele III insegnarono la fierezza delle grandi Nazioni, deve sentirsi orgoglioso che la grande Nazione italiana abbia seguito l'esempio del piccolo Piemonte. E per la memoria dei padri che hanno combattuto, per la pietà dei fratelli e dei figli che combattono, per l'onore e per la dignità sua e della Patria, il Piemonte, come ha dato i suoi figli, darà i suoi risparmi alla Nazione. E della vittoria che non può mancare, e del rinnovo anche economico che ne verrà e della maggior dignità della Patria godrà la sua parte di utilità e di gloria. Avrei finito, ma, poiché ho cominciato traendo dalla solidità di queste mura, dalla chiarezza di questi ambienti il significato di un simbolo, lasciate che io tragga di qui ancora un grande e fausto auspicio. Sotto queste fondamenta, collegando, per destino presago, quest'edificio della pubblica finanza con quello della Scuola di guerra, corre, e fu poco distante riaperta, l'antica Galleria nella quale scese Pietro Micca: e dove, solo, per l'intimo comando dell'amor di patria e del dovere, l'Eroe popolare accese la storica mina che salvò alle future fortune la città e la Patria, sicché le viscere di questa terra e le mura che vi hanno radice fremono amor di Patria. Pervade questo fremito le anime nostre, affinché contribuenti, funzionari, soccorritori gareggiano nell'adempimento dei nostri doveri civili e ci infiamma lo stesso ideale in nome del quale, guidati dal Re degno degli antenati, combattono i nostri eroici soldati. Ad essi giunga il grido che si solleva da questa terra e dalle anime nostre: Viva l'Italia ! Viva il Re !".

Brevi, commosse parole rivolse agli studenti SALANDRA, visitando l'Università, e il 2 febbraio, all'Unione Monarchica pronunziò un discorso che però suscitò in Italia molte discussioni e le diffidenze della Democrazia, della Massoneria e del Radicalismo.
"Voi, o signori, - egli disse - rappresentate un fascio di forze politiche nel più largo, nel più nobile senso della parola .... Rimanete come siete, forti, compatti e tenaci a sorreggere oggi il Governo, a sostituirlo, se occorre, con un altro Governo. Noi siamo nella trincea e la trincea logora le forze. Può venire il momento di passare alle retrovie; e ben inteso, per non dar luogo a false interpretazioni, passeremo nelle retrovie tutti, a cominciare dal capo. Potrebbe venire questo momento. Ed il partito liberale, monarchico, questo grande partito che ha fatto l'Italia e che dovrà compierla, deve avere una provvista di uomini per offrirli in servizio e, se occorra, in sacrificio al Paese. L'importante non è che vi siamo noi: l'importante è che, in tutte le sue tendenze divergenti, il grande partito liberale monarchico si tenga unito: perché un gruppo, una parte sola, non basterebbe al compito da assolvere. Ecco perché io sono lieto, anche dal punto di vista politico, di questo convegno, che non vuol dire esclusione di altri gruppi o partiti. Anche quelli che sono rimasti fuori da principio, vengano con noi. Noi dobbiamo accoglierli. Ma la guida del Paese in questo momento spetta al partito liberale monarchico: esso iniziò l'unità d'Italia, esso deve compierla. Dopo sarà quello che i fati vorranno".

Quest'affermazione dell'egemonia del partito liberale spiacque agli altri gruppi politici, che nel Parlamento e nel Paese avevano concorso e concorrevano a formare l'atmosfera guerresca e a costituire la maggioranza ministeriale. Il Giornale d'Italia, ministeriale, cercò, alcuni giorni dopo, di giustificare le affermazioni del presidente del Consiglio scrivendo:
"A giudizio nostro quando, nel periodo della guerra, si dice con semplice formula riassuntiva partito liberale, farebbe opera vana chi volesse misurare con il bilancino del chimico quanti diecimilligrammi di tinta conservatrice, quanti di colore radicale, quanti di olio riformista occorrono per dare la vernice a questa parola. È una delicata operazione, buona e forse necessaria negli ozii della Patria. Oggi il nome di partito liberale comprende tutte le tendenze politiche che possono svolgersi verso l'armonico fascio delle forze nazionali alla vittoriosa fine della guerra. Chi ne è fuori, come il socialista ufficiale, è il solo che abbia il triste vanto di accampare nomi antitetici al partito della Nazione. Il grande partito liberale ha sì grandi braccia che oggi comprende conservatori e radicali, progressisti e riformisti, i quali ultimi per la fecondità della dottrina liberale e per virtù di uomini, ne rappresentano la punta estrema. È un tutto che si distingue in tendenze e gruppi ben noti".

Questa del Giornale d'Italia era una spiegazione troppo artificiosa. Più tardi SALANDRA ammise di aver pronunziato, a Torino, parole imprudenti. "Avrei dovuto pensare - disse - che i gruppi politici d'altra denominazione e d'altro contenuto, reputando il loro concorso tanto più necessario, quanto meno il partito liberale aveva voluto e saputo esser concorde, non si sarebbero accontentati della troppo modesta parte da me a loro assegnata, non escludendoli dal concorrere all'impresa nazionale, ma tendendo ad assicurarne, anche dopo di me, la direzione suprema al partito liberale".

Nonostante queste spiegazioni, inizia a serpeggiare l'idea di mettere in crisi il governo Calandra e di formare un ministero di unione nazionale; con una base più allargata.

Da Torino l'on. Salandra si recò a Genova, parlando brevemente al Municipio e al palazzo San Giorgio, poi, mentre si pubblicava la notizia che entro il mese di gennaio l'importo delle sottoscrizioni al prestito aveva raggiunto la cifra di due miliardi e 625 milioni di lire, si affrettò a ritornare a Roma per ricevervi ARISTIDE BRIAND, capo del Governo francese, il quale veniva per cercare di stabilire con gli Alleati una più stretta collaborazione nel campo politico, economico e militare, ed iniziava il suo viaggio, mentre la stampa francese, concorde, aveva parole di alta lode per la condotta dell'Italia. "Briand e i suoi colleghi -, scriveva infatti il "Temps" -, portano al Governo di Salandra e di Sonnino e alla Nazione Italiana l'omaggio di riconoscenza della Francia per il gesto spontaneo del Paese che si è volontariamente messo al nostro fianco: vanno pure ad esprimere al Re, al Quartiere Generale, l'ammirazione sincera che tutti proviamo per lo sforzo considerevole compiuto dall'esercito italiano da ormai dieci mesi".
E l'"Echo de Paris" aggiungeva: "Sarà eterna gloria per l'Italia quella di avere spontaneamente compresa la tragica necessità che, per aver la pace, non vi era altro mezzo che dar battaglia alla tedesca rabbia, e aver preferito le titaniche lotte sulle Alpi alle soirées e ai balli del principe di Bulow. Gli amici italiani avrebbero torto di credere che il loro sacrificio non sia qui apprezzato al giusto valore. Nessuno di quanti qui leggono i giornali italiani rimane senza vivo fremito di commozione vedendo, nelle colonne consacrate ai morti, i ritratti allineati dei bei giovani dallo sguardo fiero e risoluto, caduti lungo l'Isonzo. Certo l'uomo di Stato, che sarà domani in Italia, li ha guardati prima di partire con il cuore serrato, giacché quei forti sacrificarono la vita per la causa di tutti".
E il "Gaulois" non era di meno: "Bisogna provare con un atto di affettuosa cortesia la gratitudine che la Francia nutre per la grande Nazione, che volontariamente si gettò al suo fianco, staccando dal fronte orientale ingenti forze austriache e numerosissima artiglieria. I russo-franco-inglesi debbono essergliene grati". E, ancora, il "Petit Parisien": "Da dieci mesi i soldati della penisola concorrono grandemente all'opera nostra con una lotta difficile, in regioni ingrate, e sarebbe difficile rendere adeguato omaggio al loro valore, alla loro resistenza e tenacia".

BRIAND giunse a Roma la mattina del 10 febbraio, accompagnato da LÉON BOURGEOIS, ministro di Stato, da THOMAS, sottosegretario per le munizioni, dal generale PELLÈ, dal colonnello DUMENIL e dal DE MARGERIE, direttore degli affari politici al Ministero degli Esteri. La sera fu offerto dal Governo italiano agli ospiti un banchetto alla Consulta e il Briand e il Sonnino si scambiarono brindisi in cui furono espressi sentimenti di amicizia e di solidarietà fra le due nazioni.
Gli ospiti francesi si trattennero a Roma due giorni, nei quali parecchi furono i discorsi, i brindisi e le interviste. In un'intervista concessa ai giornalisti italiani ARISTIDE BRIAND dichiarò:
"La Francia non dimenticherà mai che in quest'opera veramente tragica in cui l'Europa sta trasformandosi, in questa terribile partita in cui è in giuoco la libertà dei popoli, l'Italia è accorsa a fianco della sorella latina e i soldati italiani hanno esposto i loro petti al nemico come hanno fatto i soldati francesi".
E in una colazione offerta dal Governo italiano a Villa Borghese, rispondendo a un brindisi del Salandra, il Briand così si espresse:
"Nel momento di lasciare la vostra capitale per avvicinarci alle regioni ove la lotta viene condotta in mezzo a difficoltà tali che nessun'altra delle potenze alleate ne incontra di più micidiali, noi ci sentiamo profondamente commossi al pensiero di quei nobili soldati che, trasportati dall'eroismo, lottano senza tregua contro un nemico fortemente trincerato e anche contro i più terribili ostacoli della natura alpestre. Tutti conoscono in Francia quanto difficile sia il compito degli eserciti d'Italia; ma conoscono pure quale energia incomparabile i vostri soldati attingano dalla presenza in mezzo a loro del Sovrano, che reclama senza risparmio la sua parte di sacrificio e di pericolo. Ed è così che erede di un lungo passato di gloria nelle armi come nelle opere d'arte, l'Italia di oggi trova che esso è degno dei grandi antenati che iniziarono la liberazione e l'unificazione di tutte le terre italiane, quelle che dominano i monti e quelle che bagnano le rive del mare. Come una tale via, per rude che sia, irrorata dal sangue dei più generosi dei suoi figli, non condurrebbe alla vittoria? Questa sorgerà, siatene sicuri, dalla continuità dei nostri comuni sforzi ogni giorno più uniti e più solidali su un solo fronte, in faccia al nemico".

La sera del 12 i ministri francesi partirono per il fronte italiano; intanto veniva diramato il seguente comunicato ufficiale:
"Nella riunione che ha avuto luogo stamani alla Consulta fra i membri del Governo francese signor Briand, presidente del Consiglio e ministro degli esteri, signor L. Bourgeois, ministro di Stato, signor Barrère, ambasciatore di Francia, ed i ministri italiani Salandra e Sonnino, si è rimasti d'accordo sulla necessità di coordinare più strettamente gli sforzi degli Alleati in vista di assicurare meglio la perfetta unità di azione - necessità già riconosciuta dagli altri Governi alleati - e di riunire a questo scopo a Parigi nel più breve termine una Conferenza fra gli Alleati, alla quale assisteranno i loro rappresentanti politici e i loro delegati militari. I lavori di questa Conferenza saranno preparati da una riunione preliminare degli Stati Maggiori".

Questo comunicato, le accoglienze a Roma, a Udine e al Quartiere Generale della missione francese e la pubblicazione, avvenuta il 10 febbraio, del decreto reale che vietava ogni commercio tra l'Italia e la Germania, conosciuti in Francia vi producevano la più lieta impressione, e la stampa francese non si stancava di prodigare elogi alla sorella latina. A un redattore del "Petit Parisàen" BRIAND così esponeva le impressioni del suo viaggio in Italia:
"Siamo entusiasti del nostro soggiorno in Italia. Abbiamo veduto il Governo all'opera, l'esercito sui campi di battaglia e li abbiamo egualmente ammirati. Il nostro viaggio ci lascia un ricordo imperituro. L'accoglienza che ricevemmo dal Re, dal Governo e dal popolo è indimenticabile. Non possiamo essere che soddisfatti dei numerosi colloqui che abbiamo avuto. Ci siamo perfettamente compresi e potete dire senza timore che l'Italia non può trovarsi in migliori mani che in quelle degli uomini eminenti che compongono l'attuale Governo. Il nostro viaggio è giunto al suo termine. Esso sarà fertile di felici risultati".

ALBERTO THOMAS, che aveva prolungato di ventiquattro ore il suo viaggio in Italia per visitare le officine di Genova e di Torino, tornato il 14 a Parigi, espose ai giornalisti il suo vivo compiacimento provato nel conversare col collega italiano generale DALLOLIO e l'accoglienza cordiale degli italiani.
"Dovevamo esaminare - disse - come potremmo mettere in comune le nostre risorse e i nostri mezzi d'azione per giungere allo stesso accordo a cui già eravamo giunti con Lloyd George e coi nostri amici inglesi. Fin dal primo giorno siamo arrivati ad un'intesa interessantissima, che abbiamo consacrata facendola approvare, durante la nostra visita al Quartier Generale, dall'Alto Comando. Il generale Dallolio, che è uno spirito netto e un carattere ben temprato, mi ha "enchanté" sia per la sua determinatezza che per i suoi metodi. Sarà per l'azione comune degli Alleati un preziosissimo collaboratore. Si è infatti convenuto che prenderà parte alle conferenze periodiche che dobbiamo tenere con LLOYD GEORGE. La più perfetta intesa è già stabilita tra noi e ci siamo trasmesse reciprocamente tutte le informazioni utili. Visitando gli stabilimenti Ansaldo a Genova e le grandi officine di Torino, ho potuto rendermi conto del valore pratico di un'organizzazione che non ha ancora dato tutto quanto se ne può attendere, ma che ci promette risultati soddisfacenti. Il programma concepito dal collega, quando sarà realizzato, ricorderà i nostri più bei sforzi. Sono stato anche colpito dal cuore con cui lavorano gli operai italiani, che hanno la coscienza di concorrere direttamente alla vittoria, e non lesinando sforzi né fatiche, si danno tutti con ardore quasi giocondo all'ardente bisogna delle officine di guerra".

Completarono la serie dei discorsi, pronunziati da uomini politici nell'inverno del 1915-16, l'on. DA COMO, sottosegretario al Tesoro, e TOMASO TITTONI. Il primo parlò a Brescia il 20 febbraio, inaugurando l'anno accademico di quell'Ateneo, della resistenza economica dell'Italia. "Le entrate dello Stato, -disse- pur essendo sospeso il dazio doganale sul grano, seguono un notevole incremento nei primi sette mesi di esercizio, superando di 247 milioni quelle del corrispondente periodo. Il movimento ferroviario si mantiene in costante aumento, segnatamente per le merci. Le industrie siderurgiche, le tessili, quelle dei trasporti migliorano e prosperano rapidamente con la tendenza ad affrancarsi dai mercati esteri, beneficio che sopravviverà alla guerra. Nella circolazione degli Istituti crebbe in cifra assoluta la riserva aurea od equiparata a 1700 milioni; aumentarono le disponibilità -debiti a vista e depositi in conto fruttifero- e fra le operazioni attive sono in aumento notevole quelle di anticipazione. Così, nonostante le necessità di ingenti provviste all'estero di materiali bellici e di cereali, non si ebbero le scosse e le crisi verificatesi in altri Paesi. Il nostro consolidato mantenne corsi di relativa fermezza e consistenza superiori comparativamente a quelli di altri Stati con struttura economica più robusta"
TITTONI parlò lo stesso giorno a Nizza, celebrando feste di beneficenza franco italiane. Fra le altre cose, auspicando amicizia e collaborazione alla Francia e all'Italia dopo la guerra, il Tittoni disse: "A tutto ciò che poteva riunire i due Paesi, ai sentimenti, all'affinità, alle simpatie, ai ricordi, si è aggiunta ancora una volta la fraternità di armi e certamente il sangue versato sui campi di battaglia per la stessa causa è potente cemento per l'unione di due popoli. Ma perché tale unione duri è necessario che i popoli conservino sempre la coscienza che la loro causa è comune. E' naturale che due grandi Nazioni confinanti non solo nei loro territori nazionali, ma anche in quelli delle loro colonie, abbiano interessi non sempre convergenti. Ma appunto l'avvedutezza e la chiaroveggenza degli uomini di Stato devono rivelarsi nell'occuparsi in tempo utile a rendere armonici fra loro tali interessi. Gli interessi del commercio, delle industrie, delle finanze, delle colonie, del lavoro e dei lavoratori devono formare tra Francia e Italia oggetto di accordi che sopravvivano alla guerra e siano pegno sicuro della loro concordia e della loro unione, poiché non può concepirsi la coesistenza dell'alleanza politica e delle barriere economiche".

Mentre con visite e discorsi di suoi membri, si manteneva in contatto con il popolo, il Governo italiano prendeva tutti i provvedimenti richiesti dallo stato di cose determinato dalla guerra, "militarizzava - cito il Gori - i lavoratori del mare; requisiva i piroscafi mercantili, sottoponeva a controllo le industrie metallurgiche; obbligava i detentori di granaglie a denunziarle e a tenerle a disposizione, proteggeva, calmierava; pretendeva, alla tedesca e alla socialista, regolare con i suoi comitati qualunque manifestazione d'attività economica. I prezzi salivano inverosimilmente; e chi viveva di un'entrata non aumentabile iniziava a trovarsi senza mezzi. In onta delle censure militari e civili, le famiglie ricevevano dal fronte racconti di penosissime marce, di orribili scempi, di ripugnanti carnami, di inconcepibili sofferenze. Il popolino canticchiava: "Chi va con Cadorna, è sicuro che non torna"; e sui muri cittadini mani notturne scrivevano: "Viva la pace!".

La credenza che la scarsità dei quadri impedirebbe altre chiamate di classi si dimostrava erronea. Dall'agosto 1915 al febbraio 1916 si annoverarono: l'anticipazione di leva della classe '915; la chiamata alle armi delle classi 1876, '77, '86 e '87 (agosto); il richiamo dei militari di fanteria, compresi i granatieri, della classe 1884, dei bersaglieri dell'83, degli artiglieri da costa e da fortezza dell'84, degli alpini dell'85 e dell'84, degli alpini sciatori del '76; la chiamata alle armi delle classi 1882, '83 e '84 (ottobre); il richiamo degli zappatori del genio del 1883 e '84 e dei telegrafisti del genio dell '85; il richiamo di tutta la classe del 1896 e dei riformati, ora fatti abili, delle classi '92, '93 e '94 (novembre); il richiamo degli zappatori della classe 1882, dei telegrafisti del genio delle classi 1882, '83 e '84; dei minatori e del genio delle classi, '86, '87 e '88 (dicembre); la chiamata a nuova visita dei riformati delle classi dall '86 al '91 (gennaio 1916) ....

I socialisti aumentavano la campagna disfattista. "L'Avanti!" irrideva alle bravate del Komprinz a Verdun. Il gruppo parlamentare socialista, in comunella con parte dei giolittiani e dei cattolici, si disponeva a non accordare respiro a Salandra, l'iniziatore della guerra; la caduta del quale, ove cogliesse ancora impreparati i gruppi interventisti di Sinistra, ritornerebbero probabilmente al Governo i seguaci del Giolitti, se non proprio lui medesimo "uomo morto" a comune giudizio, salvo che una vittoria degli imperi non lo risuscitasse. E nemmeno il possibile avvento al potere degli interventisti di Sinistra distoglieva il gruppo socialista dall'aggredire "a coltello" il Salandra: anche perché le masse operaie, di cui i socialisti non furono duci accorti ma o fomentatori obbligati o pedissequi compiacenti, intravedevano, dopo la guerra guerreggiata alla Germania (ancora da dichiarare), una lunga guerra doganale ai manufatti tedeschi, e quindi aumenti di salari.

L'immediata guerra alla Germania e l'immedesimarsi completo degli interessi e degli scopi anglo-francesi con gli italiani era più che mai il programma dei repubblicani e dei riformisti. I nazionalisti, rimproverando il Salandra di "fare la guerra" con criteri campanilistici del 1848, gli addebitavano di non capire nella sua interezza e grandiosità il problema adriatico; di scordare la rivendicazione di Fiume, senza di che Trieste sarebbe svalutata politicamente ed economicamente; di non occuparsi della Dalmazia, che almeno nella sua porzione settentrionale, con Zara, italianissima, doveva tornare italiana, anche ove bisognasse rinunziare alla porzione meridionale e alla "toscana" Ragusa.
Era insomma nell'aria da qualche tempo un gran sentore di crisi ministeriale. (Gori)

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RIAPERTURA DELLA CAMERA
TENTATIVI SOCIALISTI DI TURBARE I LAVORI PARLAMENTARI
LA MOZIONE SOCIALISTA - IL VOTO DI FIDUCIA AL MINISTERO
LA DISCUSSIONE SULLA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO
LA CONFERENZA INTERALLEATA - LORD ASQUITH A ROMA
DIMISSIONI DEL GENERALE ZUPELLI
IL GENERALE MORRONE NUOVO MINISTRO DELLA GUERRA
DISCUSSIONE DELLA POLITICA ESTERA ALLA CAMERA
IL MINISTRO FRANCESE CLÈMENTAL A ROMA

 

Il 1° marzo si riaprì la Camera, e una delle prime voci che vi si udì fu quella del BISSOLATI, il quale, fra gli applausi quasi generali, mandò un saluto alla Francia, che in quei giorni sosteneva a Verdun una formidabile battaglia.
Era all'ordine del giorno la discussione dei bilanci e la Camera cominciò a discutere quello della Pubblica Istruzione, ma alla fine della seduta del giorno 3 marzo i socialisti ufficiali proposero l'inversione dell'ordine del giorno, invitando il Governo a far discutere, subito dopo il bilancio dell'Istruzione, quello degli Esteri. L'on. SALANDRA dichiarò che non vi era nessuna urgenza di discutere la politica estera e la Camera respinse la proposta con 40 voti favorevoli a questa e 268 contrari.
Il giorno dopo i socialisti tentarono di far dare la precedenza al bilancio dell'agricoltura, ma si ebbero i voti contrari della grande maggioranza della Camera. Il 6 socialisti, pur di turbare i lavori parlamentari, presentarono la seguente mozione:
"La Camera, convinta che è dovere imprescindibile dello Stato di provvedere in maniera adeguata alle famiglie dei militari; ritenendo insufficienti le dichiarazioni del Governo, lo invita a presentare provvedimenti, intesi ad aumentare l'indennità giornaliera in modo proporzionale ai crescenti aggravi della vita delle famiglie operaie e contadine, estendendola anche ai soldati di leva; ad estendere la concessione dell'indennità alle famiglie dei piccoli proprietari, commercianti e simili che versano in condizioni di bisogno per effetto dei richiami militari; a rendere definitivo il giudizio delle Commissioni comunali, riservato soltanto, da parte delle famiglie, il reclamo ad una speciale Commissione".

SALANDRA dichiarò che una mozione simile, significando sfiducia nel Governo, non poteva da questo essere accettata. Seguì applauditissimo l'intervento di CICCOTTI, il quale accusò i socialisti ufficiali di voler sabotare con quei "carnevaletti serali" la guerra e soggiunse: "Se si crede che il Governo non sia quale dovrebbe essere in un momento come questo .... chi ha la convinzione che gli attuali governanti del Paese non valgano, si faccia avanti e assuma lui la responsabilità del Governo. Questo soprattutto, perché il potere oggi, per chi crede di esserne degno, è un dovere e non una vanitosa esibizione .... Vi sono gli uomini capaci di assicurare una non infeconda successione? Se ci sono, bene. Ma se non ci sono, a che pro questa gazzarra, che diminuisce agli occhi del Paese la dignità dell'assemblea elettiva ?...".

Dopo CICCOTTI parlò di nuovo l'on. SALANDRA. Il presidente del Consiglio fra le altre cose disse: "Ora, io penso che se la Camera dovesse proseguire in questo andazzo, non servirebbe il Paese come deve essere servito e mi vedrei costretto a sottoporre alla Corona le risoluzioni che dovrebbero essere prese".

Ma i socialisti ufficiali insisterono e chiesero l'appello nominale, dal quale però risultò che la Camera non era più in numero per deliberare.
Nella seduta del 7 marzo la questione fu ripresa. Parlarono FILIPPO TURATI, EDOARDO PANTANO, LEONIDA BISSOLATI ai quali rispose, spesso interrotto dai socialisti, l'on. SALANDRA. Quindi il senatore CAVASOLA, ministro dell'Agricoltura, disse:
"Riconosco il diritto del Parlamento e del Paese di conoscere le condizioni nelle quali si svolge la nostra vita economica, e io stesso ho anzi il desiderio, il bisogno di dare tutte le spiegazioni possibili per far sapere quale sia l'indirizzo che ha guidato il Governo nella risoluzione di certi problemi e quale sia in questo indirizzo la speranza e la fiducia di riuscire. Io sono, del resto, rimasto al mio posto per semplice spirito di disciplina. E per ciò mi permetto di pregare la Presidenza della Camera di un favore: io considero il bilancio come un fatto amministrativo a sé stante, che può involgere discussioni di questioni singole, ma che non dovrebbe essere pregiudicato dalla discussione delle questioni stesse. Propongo perciò che si scelgano alcune interpellanze, le più gravi fra quelle presentate, e che si esauriscano con una discussione precedente al bilancio. Cosi la Camera deciderà, con piena libertà, senza alcuna considerazione che ne leghi la volontà. E poi, o io avrò la fortuna di ottenere l'assoluzione di ciò che ho fatto, e allora saprò come regolarmi; o non l'avrò e, in questo caso un altro designato avrà dalla Camera un nuovo indirizzo da seguire e il bilancio uscirà dalla discussione con quei miglioramenti che la maggioranza della Camera ritenesse necessari. Alla Camera il decidere quali siano le interpellanze da mettere all'ordine del giorno".

Dopo alcune dichiarazioni di voto, si procedette alla votazione per appello nominale. Risposero SI, in favore del rinvio della mozione socialista - secondo la richiesta dell'on. Salandra - 251, risposero NO 25; uno si astenne. Ancora una volta il Ministero otteneva la fiducia della Camera.

Ottenuto il voto di fiducia, il Governo, l'8, accettò che per il 13 si discutessero le tre mozioni sulle questioni economiche seguenti:

La prima, presentata dà un gruppo di socialisti riformisti e indipendenti, invitava "il Governo a spingere le trattative con gli Alleati, nel senso di assicurare ai Governi il controllo diretto di tutte le navi da trasporto e all'Italia l'acquisto ad equo prezzo dei carboni e dei metalli,... a presentare tutti quei provvedimenti legislativi urgenti che riescano a eliminare le più stridenti sperequazioni nella pressione tributaria ed economica della guerra sulla Nazione, ad assicurare, anche con misure coattive, i giusti prezzi dei grani e di tutti i generi indispensabili alle classi popolari, a stimolare al lavoro le attività economiche del Paese, chiamandole a partecipare con tutte le loro risorse al grande sforzo nazionale".
La seconda, presentata da un gruppo di deputati di Destra e del Centro, diceva: "La Camera confida che il Governo nelle attuali condizioni indirizzerà la propria politica economica è finanziaria al fine di conseguire la più efficace difesa della vita agricola, industriale e commerciale del Paese".
La terza, dei socialisti ufficiali, era cosi concepita: "La Camera, non approvando la politica del Governo nei riguardi del consumo, degli approvvigionamenti, della produzione agricola e dei trasporti, invita il Governo ad adottare in tale politica criteri migliori, rispondenti al dovere dello stato e alle esigenze del gravissimo momento".

Ma poiché insistenti correvano le voci di una crisi extra-parlamentare e, fuori l'aula di Montecitorio, i gruppi si riunivano, discutevano, formulavano ordini del giorno e mostravano una sintomatica irrequietudine, nella seduta del 10 marzo l'on. TURATI chiese "di interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere se fosse vero che con la partecipazione del Governo corressero trattative intese a provocare una crisi extra-parlamentare".
Nella stessa seduta, riscuotendo gli applausi generali, SALANDRA assicurò la Camera che non avrebbe preso alcuna risoluzione se non dopo un voto del Parlamento.
La discussione sulla politica economica del Governo cominciò il 13 marzo con discorsi degli onorevoli MORPURGO, DRAGO e GRAZIADEI.
Il primo parlò a favore del Governo, ma gli rivolse anche parecchie critiche per il dannoso ritardo con cui era stato provveduto all'approvvigionamento del grano, per l'insufficiente approvvigionamento del carbone, per la deficienza dei trasporti ferroviari, per il tardivo intervento contro il progressivo aumento dei noli e per l'eccesso dei divieti d'esportazione.
Il secondo rimproverò al Governo di non aver seguito nella politica economica un criterio organico, e di non aver considerato e risolto tempestivamente problemi importanti come quelli dei trasporti marittimi, del grano, del carbone; criticò la politica dei consumi e sostenne che la causa dell'enorme rialzo dei noli non era da ascriversi alla diminuzione del naviglio mondiale, ma alla speculazione, contro la quale il Governo avrebbe dovuto valersi del diritto di requisizione.
Il terzo respinse l'accusa mossa ai socialisti ufficiali di voler sabotare la guerra e, a sua volta, accusò il Governo di aver valutato erroneamente la natura e la durata della guerra e la nostra situazione internazionale e di non aver, perciò, pensato ad assicurarsi, nelle trattative con le potenze dell'Intesa, le condizioni necessarie per la migliore condotta del Governo. Lo accusò altresì di aver preso provvedimenti frammentari, incompleti e tardivi circa l'approvvigionamento del grano e, accennando alla Conferenza economica di Parigi, si augurò che in essa non fosse pregiudicata, all'infuori dell'assenso del Parlamento, la questione dell'assetto doganale dopo la guerra e che si pensasse a non precludere importanti mercati ai prodotti agricoli italiani.

Nella seduta del 14 parlarono il democratico radicale RUINI, il moderato cattolico CIRIANI, il socialista ufficiale DUGONI, il nazionalista SCIALOIA, il cattolico MICHELI e il socialista ENRICO FERRI, dei quali chi biasimò aspramente la politica del Governo, chi le mosse critiche blande, chi diede consigli e raccomandazioni.
Il 15, dopo un discorso del giolittiano GROSSO-CAMPANA, parlò il riformista CANEPA, occupandosi della gravosità dei noli, della rigidità dei cambi oltre che ad esaminare la situazione politica. Più di una volta suscitò ilarità dell'assemblea, spesso provocò interruzioni, battibecchi e l'intervento del questore e dei segretari. Il deputato maggiormente preso di mira dai suoi frizzi fu GRAZIADEI, al quale disse: "Tu hai costruita una casa a due piani: al primo piano hai collocato il tuo patriottismo; al secondo il tuo ideale politico, e ogni mattina sali dal primo al secondo piano per accendere all'ideale un granello d'incenso del tuo patriottismo, poi vieni qui e cavi fuori la guerra al singolare e le guerre al plurale per il fine supremo di conciliare gli inquilini dei due piani della tua casa, e cavi fuori l'orario per prendertela con noi, e salti a cavallo con la lancia del "prematuro".

Applausi riscosse CANEPA accennando al generale CADORNA, quando disse che il programma della guerra era racchiuso nel discorso del Salandra al Campidoglio, nel cui discorso le ragioni e gli scopi della guerra erano così riassunti: "1° la difesa dell'italianità; 2° la conquista di un confine sicuro; 3° una posizione strategica nell'Adriatico meno infelice e meno malsicura di quanto non si dimostri anche oggi; 4° cooperare ad infrangere il sogno dell'egemonia tedesca su tutto il mondo, e alla conquista di una pace dopo la quale una grande Germania potrà vivere pari alle altre, ma non padrona"; ed infine quando affermò esser nella politica del Governo quattro grandi fatti, simili a pietre miliari: "1° il patto di Londra, per questo l'Intesa da Triplice è diventata Quadruplice, impegnando ciascuno Stato a non firmare una pace separata; 2° la Costituzione del Consiglio di guerra dell'Intesa, radunatosi anche un questi giorni al Quartiere Generale francese e in cui l'Italia è rappresentata dall'illustre generale Porro, sottocapo di Stato Maggiore; 3° la venuta dei ministri francesi in Italia, le loro dichiarazioni e quelle dei ministri italiani; 4° l'imminente gita dei rappresentanti del Governo italiano a Parigi".

Alle critiche mosse al Governo rispose prima, il 16 marzo, il ministro DANEO, poi, dopo un discorso del nazionalista FEDERZONI, il ministro della Marina CORSI, cui tenne dietro un breve, violento discorso del socialista LUCCI. Nella seduta del 17, parlarono il moderato SILVIO CRESPI e il socialista indipendente MARCHESANO; quindi la Camera ascoltò e applaudì vivamente il discorso onesto del ministro CAVASOLA.
Il 19 si ebbe la dichiarazione del Capo del Governo, dopo che l'on. TURATI ebbe brevemente illustrato questo suo ordine del giorno: "La Camera è convinta, che nell'ora presente, sia necessaria la sincera delineazione dei partiti e delle classi e che il Governo non ha saputo tutelare gli interessi e le aspirazioni delle classi lavoratrici".

SALANDRA ammise che il Ministero potesse avere più d'una volta sbagliato, ma affermò essere il Gabinetto eccellente. Parlando con molta franchezza in modo chiaro e solare, disse:

"La questione si pone così: siamo noi gli uomini più adatti a condurre la Nazione nel momento presente? Questo è quello che voi dovete dire, meglio oggi che domani, senza indugi .... Ci furono riconosciuti meriti che bastano a soddisfare le nostre coscienze .... ma ora non devono prevalere i meriti, devono prevalere gli uomini più adatti per l'avvenire. Se tali voi non ci credete, chiamatene altri .... Se la crisi deve essere fatale oggi, non la rinviate nell'animo vostro. Nessuno si macchi della colpa di lasciare al Paese un Governo in cui non ha fede e che si proponga di abbattere domani .... L'Italia ha bisogno di un Governo forte, sicuro di sé, che non ha da discutere ogni giorno intorno alla propria esistenza. Voi dovete dire se questo Governo oggi noi siamo. Il dovere vostro è di pronunziare senza indugio sopra di noi un giudizio pronto, rapido, schietto, reciso, non subordinato a condizioni espresse o taciute. Voi dovete dire tutto quello che pensate e operare come pensate. Voi certamente compirete oggi questo dovere, noi compiremo domani il dover nostro".

Dopo una dichiarazione dell'on. Bissolati, che promise l'appoggio al Governo di tutta l'Estrema interventista (pur avendo guidata l'azione contro Salandra), si venne al voto sulla mozione dell'on. Morpurgo così concepita: "La Camera confida che il Governo, nelle attuali condizioni, indirizzerà la propria politica economica e finanziaria al fine di conseguire la più efficace difesa, della vita agricola, industriale e commerciale del Paese".
La votazione diede i seguenti risultati: presenti 456, favorevoli al Governo 394, contrari 61, astenuti 1.
Quattro giorni dopo, il 23 marzo, la Camera si aggiornò al 6 aprile, dovendo SALANDRA e SONNINO recarsi a Parigi per partecipare alla conferenza interalleata, alla quale dovevano intervenire anche i generali CADORNA e DALLOLIO. La conferenza di Parigi ebbe luogo il 27 e il 28 al Quay d'Orsay, nella Sala degli Stucchi, dove si trovarono riuniti otto delegati francesi sei inglesi, cinque italiani, quattro serbi, tre belgi, due russi, uno giopponese ed uno portoghese. L'Italia si era preparata alla conferenza un ambiente meno difficile, rinunziando giorni prima, alle capitolazioni del Marocco francese e stabilendo con la Francia lo scambio dei disertori e renitenti, accordandosi con l'Inghilterra sui Tribunali misti e su un'eventuale soppressione delle capitolazioni in Egitto e promettendo alla Serbia di non opporsi a che essa possedesse porti commerciali nell'Albania settentrionale e nella Dalmazia.
Alla conferenza, i delegati italiani riuscirono a persuadere gli alleati a non insistere sul concorso di truppe italiane a Salonicco o in Francia e sulla dichiarazione immediata di guerra alla Germania.
Inoltre essi ottennero che l'Intesa collettivamente esigesse dalla Grecia una dichiarazioni che era temporanea l'occupazione ellenica dell'Epiro e perciò temporanea l'ammissione dei deputati epiroti nella Camera-greca.

Il 28 marzo furono fatte alla stampa le seguenti comunicazioni ufficiali sulla conferenza:
"1° I rappresentanti del Governi Alleati affermano l'intera comunanza di vedute e la solidarietà degli Alleati; confermano tutte le misure prese per realizzare l'unità d'azione sul fronte unico. Intendono così: tanto l'unità dell'azione militare assicurata dall'Intesa, conclusa fra gli Stati Maggiori, quanto l'unità dell'azione economica, di cui questa conferenza regola l'organizzazione, quanto l'unità dell'azione diplomatica di cui garantisce la loro incrollabile volontà di continuare la lotta fino alla vittoria della causa comune.
2° I Governi alleati decidono di mettere in pratica nel dominio economico la loro solidarietà di vedute e d'interessi; affidano alla Conferenza economica, che si terrà prossimamente a Parigi, l'incarico di proporre misure atte a concretare tale solidarietà.
3° Per rinsaldare, coordinare ed unificare l'azione economica da esercitare per impedire il vettovagliamento del nemico, la conferenza decide di costituire a Parigi un Comitato permanente nel quale tutti gli Alleati saranno rappresentati.
4° La Conferenza decide: a) di continuare l'organizzazione dell'Ufficio centrale internazionale dei noli iniziato a Londra; b) di ricercare insieme, entro brevissimo termine, i mezzi pratici da impiegarsi per suddividere equamente fra le Nazioni alleate gli oneri risultanti dai trasporti marittimi e per frenare il rialzo dei noli".

Il 30 marzo i ministri italiani ritornarono a Roma e il giorno dopo vi giungeva LORD ASQUITH, ricevuto da un entusiasmo maggiore di quello che aveva dimostrato la popolazione romana nel ricevere il Briand. L'inglese si recò al Quirinale e a palazzo Margherita, ricevette un pranzo ufficiale alla Consulta, e un altro all'Hotel Excelsior, fu ricevuto solennemente al Campidoglio, parlò al popolo di Roma dall'Ambasciata inglese e nella sala degli Orazii e dei Curiazii, rispose ai brindisi, visitò il Pontefice e la sera del 2 aprile lasciò acclamato la capitale, diretto al Quartiere Generale italiano, dove poi il 3 e il 4 visitò alcuni punti del fronte.
Di passaggio da Milano, dava questo giudizio sulla nostra guerra:
"Senza dubbio è il più difficile di tutti i fronti di questa guerra. Non si può concepire questa difficoltà senza aver visto con i propri occhi. Ciò che gli italiani fanno è meraviglioso, meraviglioso, meraviglioso".

Nei due o tre giorni che trascorsero dalla partenza di lord Asquith all'apertura della Camera si ebbe una piccola crisi del Ministero. Il generale ZUPPELLI, guastatosi con il CADORNA, si dimise da ministro della Guerra e al suo posto, con regio decreto del 4 aprile, fu messo il tenente generale PAOLO MORRONE. Anche il sottosegretario, generale VITTORIO ELIA, si dimise e fu sostituito, con decreto del 7, dal generale VITTORIO ALFIERI.
Lo Zupelli ebbe il comando di una divisione alla fronte.

Il 6 aprile, apertasi la Camera, venivano inviati dai due rami del Parlamento telegrammi a Briand e ad Asquith. Iniziatasi la discussione dei bilanci, la Camera dava al Ministero, il 22 aprile, un voto di fiducia con 163 di maggioranza, trattandosi della requisizione del solfato di rame per i bisogni dell'agricoltura; un altro voto di fiducia, con 176 voti di maggioranza fu dato il giorno dopo sulla questione della tutela degli impiegati privati durante la guerra.
Il 16 aprile si chiuse la discussione sulla politica estera, iniziata il 14 e alla quale avevano, fra gli altri, partecipato COLONNA DI CESARÒ, GASPAROTTO, LABRIOLA, BONOMI, DE VITI DI MARCO, FERA, DE FELICE E FOSCARI.
SONNINO pronunciò un lungo discorso ma non disse nulla di nuovo e si limitò a fare la cronaca degli avvenimenti, che colorì con qualche sua osservazione. Quel giorno stesso il Governo ebbe un altro voto di fiducia con 315 voti di maggioranza; poi la Camera si concesse delle singolari "vacanze" fino al 6 giugno.
Infatti, i ministri impiegarono queste "vacanze" visitando molte città per tener desta la fede nella resistenza. Il 4 maggio Salandra si recò a Venezia, il 5 Barzilai tenne un applaudito discorso al Carlo Felice di Genova; l'11 parlarono a Brescia il sottosegretario Bonicelli e l'on. Salandra, il 15 a Roma Luzzatti, alla presenza del ministro francese del commercio, Clementel, venuto per stabilire norme convenienti reciprocamente per il regime economico di guerra delle due Nazioni.
Quel giorno Clementel chiudeva un suo brindisi così:
"Non posso dimenticare che nella settimana che si apre ricorre l'anniversario della settimana sublime in cui, un anno fa, l'Italia decise spontaneamente di partecipare al conflitto. Allora, queste vostro forte popolo, dopo un anno d'attesa, dopo aver ascoltato con commozione la voce dei fratelli anelanti la libertà e la voce dei popoli martiri, non esitò ad affrontare il tremendo cimento, quantunque valutasse appieno i sacrifici enormi che esso avrebbe tratto con sé. Levo il calice alla più grande Italia ed alla comune immancabile vittoria!".

Mentre CLEMENTEL brindava alla vittoria, l'esercito austriaco sferrava nel Trentino la grande offensiva Strafexpedition.
La cosiddetta "Spedizione punitiva" preparata fin da febbraio contro l'Italia, l'ex alleato accusato di aver tradito la Triplice Alleanza.

Ritorniamo quindi in trincea, sugli scenari di guerra, dove migliaia di Alpini conquistate le alte vette innevate, i ghiacciai, le crode dolomitiche (e fra queste con audacia la cima grande di Lavaredo), nelle grotte o nelle trune di neve, iniziarono il capodanno dell'anno 1916, a 30 gradi sottozero.

Sono le fasi della guerra dal gennaio a maggio 1916

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