LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1916

L' UNITÀ NAZIONALE - L'OFFENSIVA SU GORIZIA - GUERRA ALLA GERMANIA

COSTITUZIONE DEL "MINISTERO NAZIONALE" - II PROGRAMMA DEL NUOVO GABINETTO - DISCUSSIONE PARLAMENTARE - IL VOTO DI FIDUCIA AL GOVERNO - UN DISCORSO DI GUGLIELMO - MARCONI AL SENATO - L'ON. CARCANO E LA POLITICA ECONOMICA - LA BATTAGLIA PER LA CONQUISTA DI GORIZIA: I PREPARATIVI, LA FASE LOGISTICA, LA CONQUISTA DELLA TESTA DI PONTE, LA PRESA DEL SAN MICHELE, INGRESSO DELLE TRUPPE ITALIANE A GORIZIA - II PASSAGGIO DEL VALLONE - OPERAZIONI SECONDARIE SU ALTRI FRONTI - AURELIO BARUZZI - ENRICO TOTI - PROCLAMI DEL DUCA D'AOSTA - IL PROCLAMA DEL RE ALL'ESERCITO - ATTIVITÀ DELLE FORZE AEREE - LA GUERRA SUL MARE - I RAPPORTI ITALO-GERMANICI - IL CONVEGNO DI PALLANZA - DICHIARAZIONE DI GUERRA DELL'ITALIA ALLA GERMANIA


Il 29 giugno, al San Michele, gli austriaci fecero uso per la prima volta dei gas asfissianti.
I 6.000 italiani investiti dal tossico, tramortiti dai gas, vi morirono tutti brutalmente.
Catturati alcuni austriaci con delle strane mazze di ferro, ammisero che con quelle finivano i tramortiti.

COSTITUZIONE DEL "MINISTERO NAZIONALE"
IL PROGRAMMA DEL NUOVO GABINETTO

In quel clima di agitazioni politiche che da qualche tempo c'erano già a Roma, le indecisioni militari italiane per far fronte all'improvvisa Strafexpedition iniziata dagli austriaci il 14 maggio con qualche iniziale successo (quel togliere Cadorna reparti dal Carso per il Trentino, poi dal Trentino per il Carso, e le intenzioni di Cadorna di arretrare sul Piave) acuirono ancora di più i contrasti; né bastarono le assicurazioni di Cadorna fatte al governo il 3 giugno di avere già predisposto una controffensiva sull'alto vicentino e di non avere affatto rinunciato all' offensiva sull'Isonzo; come volevano i politici sperando in un successo da portare sul tavolo delle trattative con gli alleati o i nemici - Di offensive ne furono poi fatte nei successivi 5 mesi, quattro, di breve durata e contro postazioni limitate, e tutte con risultati strategici molto scarsi, pur costando 58.630 morti e 140.940 feriti.

Ma prima di queste azioni, a Roma già si respirava aria di crisi ministeriale. Infatti, il 10 giugno SALANDRA non ottiene la fiducia; di voti ne ha 197 contro, 158 favorevoli e 3 astenuti; mentre 98 deputati si sono allontanati dall'aula prima della votazione.
Dentro di questi che hanno rovesciato il governo, c'era un po' di tutto: parte di ex giolittiani, parte di interventisti e parte di ex neutralisti.
Il 12 giugno Salandra presentava al Re le dimissioni del suo ministero.

Dietro suggerimento dello stesso Salandra, il Re conferì l'incarico di formare il nuovo ministero al decano della Camera on. PAOLO BORSELLI (78 anni), deputato di Avigliana, liberale di destra, già ministro nei governi Crispi, Pelloux e Sonnino.
BORSELLI lo costituì il 18 giugno, prendendo per sé la presidenza del Consiglio e affidando gli Esteri a SONNINO, deputato di S. Casciano; le Colonie all'on. avv. GASPARE COLOSIMO, deputato di Serrastretta; l'Interno all'on. VITTORIO EMANUELE ORLANDO, deputato di Partitico; la Grazia e Giustizia all'avv. ETTORE SACCHI, deputato di Cremona; le Finanze all'avv. FILIPPO MEDA, deputato di Rho; il Tesoro all'avv. PAOLO CARCANO, deputato di Como; la Guerra al senatore gen. PAOLO MORRONE; la Marina al senatore viceammiraglio CAMILLO CORSI; l'Istruzione Pubblica al senatore prof. FRANCESCO RUINI; i Lavori Pubblici al prof. IVANOE BONOMI, deputato di Elusone; i Trasporti marittimi e ferroviari all'on. ENRICO ARLOTTA, deputato di Napoli III; l'Agricoltura al dott. GIOVANNI RAINERI, deputato di Piacenza; l'Industria, il Commercio e il Lavoro all'on. GIUSEPPE DE NAVA, le Poste e i Telegrafi all'avv. LUIGI FERA, deputato di Rogliano.

Due nuovi dicasteri, come si vede istituiti nel Ministero che fu chiamato di Unità Nazionale e diciannove ministri al fine di accontentare tutti i gruppi politici.
Infatti, furono nominati oltre quelli sopra, anche quattro ministri senza portafoglio: l'avv. LEONIDA BISSOLATI, deputato di Roma II; il prof. LEONARDO BIANCHI, deputato di Montesarchio; l'avvocato UBALDO COMANDINI, deputato di Cesena; e il senatore avv. VITTORIO SCIALOJA.

I sottosegretari furono: al Tesoro l'avv. UGO DA COMO, all'Istruzione il prof. ANGELO ROTH; all'Agricoltura l'avv. GIUSEPPE CANEPA; alla Guerra il gen. VITTORIO ALFIERI; alle Munizioni il gen. ALFREDO DALLOLIO; alla Marina l'avv. AUGUSTO BATTAGLIERI; ai Trasporti l'ing. prof. UGO ANCONA; alla Grazia e Giustizia l'avv. ROSARIO PASQUALINO-VASSALLO; ai Lavori Pubblici l'avv. ROBERTO DE VITO; all'Industria il barone ELIO MORPURGO; alle Poste l'ing. CESARE ROSSI; all'Interno l'avv. GIACOMO BONICELLI; alle Colonie il conte PIETRO FOSCARI; agli Esteri il marchese LUIGI BORSARELLI.

Dei membri del precedente Gabinetto erano rimasti Sonnino, Orlando, Carcano, Morrone, Corsi, Dallolio.
Nel nuovo, Ruffini, Arlotta, Raineri, Meda, De Nava e Scialoja rappresentavano i gruppi di Destra;
Colosimo, Sacchi, Fera, Bonomi, Bianchi, Bissolati e Comandini i gruppi di Sinistra.
I nazionalisti erano rappresentati da Foscari. Lo stesso 19 giugno vi furono scambi di telegrammi tra BOSELLI e CADORNA e tra il SALANDRA e CADORNA.

BARZILAI (che aveva proposto l'immediata sostituzione del Cadorna, indirizzò ai profughi irredenti una lettera, nella quale, spiegati i motivi che un anno prima gli avevano fatto accettare l'alto incarico, diceva:

"Oggi, alla luce di una coscienza che non conosce gli stimoli dell'ambizione, ho dovuto considerare se il mio rinnovato ingresso al Governo avesse quei requisiti di pubblica necessità che soli potevano giustificare l'obbedienza ad una disciplina anche penosa. Ho ricordato che se alcune ore liete e non del tutto infeconde poté avere la mia opera di quest'anno, furono quelle nelle quali venni in contatto, da Serravalle all'Isonzo, con i nostri mirabili combattenti e mi trovai, da Napoli a Venezia, fra le nostre popolazioni degne in tutto di loro.
E ripensai che, se ebbi qualche ora di rammarico e di sofferenza, fu quando nell'agitarsi, non sempre composto, dell'Assemblea Nazionale, che da tanti anni mi accoglie, non mi era dato tentare, in nome di quella che pure in fondo alle anime è la fede di tutti, una parola di solidarietà e di concordia.
Mi convinsi quindi, forse errando, ma certo con sincerità e buona fede, che fuori del Governo avrei potuto prestare alla causa comune qualche servizio; sarei stato, sarò in contatto più frequente e più intimo con i soldati e coi cittadini e potrò forse in qualche ora sobriamente -perché non corre il tempo propizio alle parole, ma alle opere- riaffermare, con la sola autorità che può venire dalla coerenza, nell'Assemblea, senza carichi o incarichi di alcuna specie, la via e la meta che dobbiamo percorrere e raggiungere ad ogni costo".

Riaprendosi, il 28 giugno, la Camera, l'on. BOSELLI espose il programma del Governo tra applausi al Re e ai combattenti:

"Noi proseguiremo - egli disse - l'opera intima e diuturna di solidarietà con gli alleati fino al definitivo trionfo. Continueremo così a battere risolutamente la via di quella politica estera, che ha già più volte riscosso il larghissimo suffragio del Parlamento e del Paese, attendendo strenuamente all'intensificazione e al sempre più stretto coordinamento delle operazioni militari sui vari fronti di combattimento in Europa e alla perfetta intesa tra gli Alleati nell'azione loro di difesa economica verso i nemici. Manterremo la nostra finanza negli accorti e validi andamenti onde ebbe fin qui vigilanza e presidio. Daremo il massimo vigore a tutto ciò che valga a rafforzare la guerra delle rivendicazioni nostre e dei nostri Alleati, a tutto ciò che maggiormente assecondi il sentimento ardente e gagliardo del Paese e corrisponda all'esempio, alla fede, al valore dei nostri meravigliosi soldati, dei nostri prodi marinai.

La concordia nazionale piena e fiduciosa nel Paese, nelle aule parlamentari e nel Governo deve andare riaffermata e suggellata da ogni atto della pubblica amministrazione. Noi non conosciamo alcuna pregiudiziale di fronte agli Italiani di tutti i partiti, cha del pari combattono e muoiono per la Patria. Tutti coloro che nel grande cimento danno il cuore, il pensiero e l'opera per la vittoria nazionale entrano del pari nella concordia della Nazione. Solamente verso coloro che si provassero a deprimere in qualsiasi modo la sicura fiducia del popolo italiano, immemori della santità della Patria, dovrà esser vigile e inflessibile la pubblica autorità.
Per simili scopi d'intensificazione bellica e di cooperazione popolare ci unimmo insieme uomini di diverse opinioni politiche, ma di un solo animo e di un volere solo rispetto a quei voti generosi e a quei supremi interessi della Nazione, che dominano l'ora presente. Il fervore delle competizioni politiche tace di fronte alla voce della Patria immortale; tutti oggi dobbiamo stringerci insieme in una concordia sincera ed operosa per un'Italia restituita alle ragioni eterne dell'essere suo e della sua favella, dare nuova virtù di vita civile e nuova potenza di lavoro. Bene raggiunta la mèta, ciascuno tornerà al suo posto nella politica.
A rappresentare la larga concordia nazionale giova durante la guerra l'accresciuto numero degli uomini chiamati a far parte del Governo; esso reca ad effetto, nel solo modo conforme alle nostre istituzioni costituzionali e salvo il principio essenziale della responsabilità governativa, la più estesa e continua partecipazione di tutti i partiti e di tutte le tendenze all'opera del Governo, la quale - anche grazie alla collaborazione delle energie di cui pure è dovizia nel Parlamento e nel Paese -deve, durante la guerra, spingere alla massima efficacia ogni nostra attività e mirare a tutto ciò che animerà i tempi nuovi della Patria vittoriosa. Occorre promuovere senza indugio tutto ciò che si attiene alla gloria e al potere scientifico della Nazione; rinnovare l'insegnamento professionale con pratiche discipline affinché siano pronti, per la nostra riscossa industriale, operai e direttori capaci, elevare e confortare la scuola popolare, che già porge di sé così patriottica testimonianza grazie la virtù italiana della generazione che essa educò.

Dalla concordia nostra e della nazione sorga il saluto dell'ammirazione e della gloria ai nostri combattenti, che per le terre e sui mari scrivono eroiche pagine di storia e, risuscitano i canti delle epiche gesta. L'urto violento, poderoso del nemico, non solo subito s'infranse sulle ali delle nostre truppe, ma fu presto interamente fermato ed energicamente respinto. Ed ora si compie, vincendo la resistenza del nemico, il riacquisto delle nostre terre e delle ardue vette dominatrici. Avanzano, incalzanti, ed oltre, oltre ancora, avanzeranno i soldati della redenzione nazionale e la bandiera italiana rifulgerà dovunque è Italia: ora e sempre".

Nei giorni seguenti si ebbe alla Camera la discussione sulle dichiarazioni del Governo e furono dette tante cose, e sovente con astio o con ironia, che sembrò impossibile quella concordia cui aveva accennato Boselli. Argomenti che erano stati trattati ritornarono a galla: la censura, l'istituto parlamentare insidiato dal Governo precedente, gli internamenti, le frodi dei fornitori, le colpe dei generali, i provvedimenti per assicurare i prodotti alimentari.
Si tornarono a proporre commissioni di controllo e i socialisti, che chiamavano il nuovo Gabinetto "Minestrone ministeriale", parlarono di pace, mentre più aspra era in quel momento la guerra contro il nemico, che si era affacciato alle soglie del Vicentino, e in parte le aveva anche varcate (era arrivato ad Arsiero, e se cedeva anche Schio, sarebbe entrato a Vicenza - Ndr) anche se i soldati italiani con tanti sacrifici stavano per ricacciarlo.

Il socialista MORGARI, "magna pars" del convegno di Zimmerwald, presentò una proposta, secondo la quale il Governo avrebbe chiesto un
"...armistizio e una conferenza di belligeranti e neutrali per gettare le basi di una pace durevole e giusta; e il 1° luglio, svolgendo la proposta, accusò l'Italia di aggressione, derise gli scopi irredentisti della guerra italiana e lodò la Germania, desiderosa di pace quantunque fino allora vittoriosa.
BOSELLI ribatté con risolutezza le affermazioni del Morgari e la Camera, quel giorno stesso, votò la fiducia al Governo con 391 voti contro 45. Il giorno dopo fu approvato l'esercizio provvisorio al 31 dicembre 1916.
Al Senato la discussione sulle dichiarazioni del Governo iniziarono il 4 luglio. Notevole il discorso di GUGLIELMO MARCONI:


"È necessario -egli disse - promuovere la conoscenza all'estero di quanto fa e vale l'Italia, poiché il giudizio dell'estero non è ancora adeguato all'entità del nostro sforzo. Il popolo inglese, per esempio, ci considera un simpatico alleato, che possiede un esercito valoroso, ma ignora ciò che la nostra marina e la nostra industria fanno per la stessa Inghilterra e per altri Alleati. In uno dei miei viaggi in Inghilterra vidi quattro nostri grandi piroscafi trasformati in ospedali, con personale medico italiano, per trasportare i feriti inglesi dai Dardanelli in Patria. D'altra parte, nonostante il nostro scarso tonnellaggio, noi abbiamo offerto all'Inghilterra un aiuto non indifferente, sul quale presso quel popolo, fu osservato un evangelico silenzio. Inoltre nello scorso autunno, l'Italia diede armi e munizioni, come la Francia, ad uno dei nostri grandi alleati, che ora dimostra di sapersene ben servire: ora la Francia fece conoscere il valore del suo contributo, l'Italia tacque. Anche per quel che riguarda lo svolgimento della nostra guerra, il servizio d'informazioni e di propaganda all'estero è insufficiente, il che fu specialmente deplorato nel periodo dell'offensiva austriaca nel Trentino.
La valutazione delle nostre risorse è ancora incompleta. In Russia, in Inghilterra e in Francia, l'Italia è considerata una nazione povera: solo una potenza ha ben compreso le nostre condizioni ed ha avuto ed anche oggi ha forse la speranza, che dovrà perdere, del dominio economico su di noi. Le nostre risorse agricole e industriali debbono permetterci di produrre in maggior quantità grano, carbone e metalli che tanto ci occorrono; frattanto, la nostra espansione all'estero si sviluppa con sempre maggior rigoglio e milioni di Italiani, specialmente in America, sono animati dal più vivo patriottismo, che bisogna alimentare, rendendo più facili i loro contatti con la madre Patria. E con l'espansione economica e industriale l'Italia potrà, dopo la vittoria, sanare le proprie ferite".


Dopo aver fatto notato che il Governo, nel suo programma, si proponeva di favorire l'incremento scientifico, Marconi affermava che occorrevano maggiore libertà, mezzi più potenti e larghezza di vedute. Affermava inoltre che per assicurare la nostra indipendenza economica e la nostra partecipazione ai mercati mondiali occorreva una grande marina militare e mercantile.

Dopo Marconi, parlarono i senatori FRACASSI, DE NOVELLIS e BARZELLOTTI, occupandosi, fra l'altro, della censura e riaffermando la necessità di una fiduciosa concordia dì animi e di una grande disciplina nazionale pur permanendo negli animi la diversità di opinioni.
Il senatore MAZZIOTTI esaminò il programma del Ministero, soffermandosi sulla necessità di dar maggiore incremento alla produzione delle armi e delle munizioni e sull'opportunità di riordinare e riformare l'amministrazione dello Stato.
Durante la discussione al Senato, il ministro CARCANO accennò all'aumento delle entrate per l'esercizio 1915-16. Questo aumento era salito a 529 milioni e a ciò avevano contribuito le tasse sugli affari, le imposte sui consumi, le privative, le imposte dirette, i servizi postali e telegrafici ed altri cespiti:

"Le condizioni economiche, morali e patriottiche -disse -del popolo italiano sono tali che non verranno meno i mezzi per condurre la guerra sempre più energicamente fino ad una completa vittoria. Bisogna misurare gli ostacoli e non nascondersi la verità: le spese di guerra, che inizialmente erano di 450.000.000 al mese, sono oggi salite ad 800 milioni e non è da escludersi che presto possano superare il miliardo; ma questi debiti non sono da noi incontrati senza aver prima provvisto ai mezzi finanziari per fronteggiare gli interessi. Per ora, dal felice risultato dei provvedimenti tributari attuali e dai nuovi che stanno per entrare in azione si raccoglie una somma sufficiente a fronteggiare gli interessi di alcuni miliardi.

E' certo che occorreranno altri provvedimenti, ma non verrà meno la virtù dei contribuenti italiani nel sopportare nuovi sacrifici. Occorre non gravare troppo il già grave fardello dello Stato, non fare spese che vadano oltre quello che è necessario per condurre la guerra al suo fine vittorioso, e raccogliere tutte le forze dell'economia nazionale e del bilancio dei privati allo scopo di ottenere la vittoria. Dall'esperienza del passato sono indotto a non dubitare che il popolo fornirà i mezzi a ciò necessari. Il Senato ha innanzi a sé parecchie relazioni del Ministero del Tesoro che comunicano notizie sui risultati dei prestiti di guerra. Aggiungerò adesso che dopo il terzo prestito di guerra, che diede circa 3 miliardi e 14 milioni, il Tesoro ha emesso buoni quinquennali e triennali che insieme fruttarono 522 milioni. E anche da ciò traggo l'auspicio che il Tesoro troverà largo concorso nel capitale e nel risparmio del Paese. Né devo dimenticare la cooperazione che hanno prestato, per il buon esito dei prestiti, i maggiori uomini del Parlamento, cooperazione che continuerà efficace e volenterosa".

Il 5 luglio il Senato, dopo gli interventi dei senatori MAGGIORINO FERRARIS e MURATORI, votò all'unanimità la fiducia al Governo.

 

LA BATTAGLIA PER LA CONQUISTA DI GORIZIA
I PREPARATIVI, LA FASE LOGISTICA, LA CONQUISTA DELLA TESTA DI PONTE, LA PRESA DEL SAN MICHELE, INGRESSO DELLE TRUPPE ITALIANE A GORIZIA

IL PASSAGGIO DEL VALLONE -OPERAZIONI SECONDARIE IN ALTRI TRATTI DELLA FRONTE - AURELIO BARUZZI - ENRICO TOTI PROCLAMI DEL DUCA D'AOSTA - IL PROCLAMA DEL RE ALL'ESERCITO - ATTIVITA AEREA - LA GUERRA SUL MARE

Arrestata prima e ricacciata poi l'offensiva austriaca nel Trentino, il generale CADORNA dedicò completamente la sua attività in quell'impresa che doveva essere iniziata in primavera (prelevando forze dal confine con il Trentino per il Carso), ma che fu poi sconvolta dalla "Strafexpedition", quando non solo quelle forze fu costretto a lasciarle sul posto, ma dovette trasferirne proprio dal Carso un forte contingente per condurre nell'alto Vicentino la controffensiva; che fortunatamente fermarono la "Strafxpedition" a pochi chilometri da Vicenza.
Quella del Carso era quell'impresa che gli Italiani (ma innanzitutto i politici) aspettavano da un anno di veder compiuta e che aveva come obiettivo il campo trincerato davanti a Gorizia, e la città stessa.

Meglio di ogni altro commento per queste operazione "estive", ci affidiamo come al solito ai resoconti, che furono diramati verso la fine di agosto.
Questa "prima" offensiva estiva (6a battaglia dell'Isonzo) sul piano strategico avrà risultati molto limitati, anche se in termini di vite umane è costata 21.630 soldati morti e 52.940 feriti.
Inoltre, passate sulla sponda sinistra dell'Isonzo, le truppe italiane troveranno una nuova micidiale linea di difesa austriaca (ne parleremo nel successivo capitolo, quando contro -fra l'altro postazioni strategicamente limitate- si infrangeranno -con un macello di uomini- pure le altre ottimistiche "tre spallate" che voleva dare Cadorna)

 

Questo riportava a fine agosto la relazione ufficiale del Comando Supremo:

"I preparativi per l'azione offensiva, che condusse il nostro esercito alla occupazione della piazza di Gorizia e alla conquista del sistema difensivo del Carso, si debbono fare risalire all'inverno del 1915-16. Sin da allora, infatti, furono iniziate, lungo il fronte dal Monte Sabotino al mare, operazioni metodiche dirette a conquistare le posizioni più adatte a servire quali punti di partenza per un attacco di viva forza: si diede opera ad aumentare nelle nostre grandi unità le dotazioni di artiglierie e di mitragliatrici, nella quantità ritenuta sufficiente ad assicurare il successo; si creò di sana pianta una nuova specialità, quella delle batterie di bombarde, rivelatesi armi efficacissime per la distruzione delle difese passive; infine si studiò l'impiego più razionale ed efficace di tutti i mezzi disponibili, nell'intento di ottenere con matematica certezza, nel giorno dell'azione, la distruzione completa, sui tratti di fronte prescelti per le irruzioni, d'ogni sorta di ostacoli materiali all'avanzata delle fanterie.
Nel tempo stesso furono con ogni cura addestrate le truppe; create nuove unità; accumulate ingenti riserve di munizioni, sia con lo svilupparne la produzione in Paese, sia col curarne l'economia nella zona di guerra. Si provvide anche a completare e a rafforzare il nostro sistema difensivo sul basso Isonzo, facendone, oltre che una potente base per l'offensiva, un'insuperabile barriera ad eventuali attacchi dell'avversario.
All'inizio della primavera, delineatasi la possibilità di un'offensiva nemica in Trentino, fu per noi inevitabile inviare in quello scacchiere una parte delle truppe e delle artiglierie di nuova formazione, che erano state in precedenza destinate al fronte dell'Isonzo. Scatenatasi poi, a metà maggio, l'offensiva stessa in tutta la sua violenza, fu ancora necessario spostare verso il Trentino una gran parte delle unità di riserva disponibili.
Ma, pur così provvedendo, il Comando Supremo italiano con ordini e direttive ai comandanti delle armate sull'Isonzo confermava ripetutamente il suo intento che si dovesse persistere nel dare sviluppo alle predisposizioni per l'offensiva su quel fronte. La conquista della piazza di Gorizia, nonostante i sopravvenuti turbamenti, era e restava ad ogni costo l'obbiettivo principale delle nostre operazioni estive. E in coerenza a tale concetto, già nella prima metà di giugno, determinatosi l'arresto dell'invasione nemica in Trentino, il Comando Supremo faceva eseguire gli studi per potere a momento opportuno, con rapida manovra per linee interne, ricondurre dal fronte del Trentino a quello dell'Isonzo truppe ed artiglierie e tutti i mezzi ritenuti necessari per un attacco a fondo.

La rapidità della manovra doveva ottenersi sfruttando nella misura maggiore possibile ferrovie ed autocarri, nello scopo di riuscire ad iniziare per sorpresa o, in ogni caso, prima che l'avversario avesse avuto tempo di parare il colpo, tenuto conto del maggiore sviluppo delle sue linee di comunicazione, all'esterno dell'arco montuoso delle Alpi Trentine, Carniche e Giulie. L'offensiva contro la testa di ponte di Gorizia doveva poi essere preceduta, di due giorni, da un attacco nel settore di Monfalcone al fine di richiamare verso quel tratto di fronte, sensibilissimo per il nemico, forze ed attenzioni su di esso, completando così, con la sorpresa del campo tattico, la sorpresa strategica da ottenersi con la fulminea celerità del movimento logistico.
I movimenti ferroviari per riunire le truppe e i materiali destinati all'offensiva del basso Isonzo furono compiuti in tre distinti periodi. Nel primo, dal 26 giugno al 27 luglio ci furono i movimenti preliminari consistenti nel trasporto di qualche unità di riserva, non più necessaria per l'azione in Trentino; dei complementi per le armate dell'Isonzo; di materiali vari, ecc.
Caratteristica di tale periodo: l'assoluta tranquillità di esecuzione nei movimenti, i quali non dovevano destare l'attenzione del nemico, rivelandogli le nostre intenzioni. Nel secondo periodo, dal 27 luglio al 4 agosto, si svolse la manovra strategica vera e propria, che consistette nel rapidissimo spostamento, prima, delle artiglierie e delle bombarde, poi delle grandi unità, e nel loro schieramento sul fronte delle operazioni. Caratteristiche di tale periodo la minutissima accuratezza della preparazione, la rapidità dell'esecuzione, la segretezza dei movimenti ottenuta col fare conoscere a ciascun reparto la propria destinazione solo durante il viaggio e col partecipare agli organi incaricati del servizio ferroviario soltanto quei trasporti che direttamente e strettamente vi erano interessati.
Nel terzo periodo, dal 4 agosto in poi, si ebbero essenzialmente trasporti nel campo tattico; esso fu caratterizzato dalla repentinità delle richieste di trasporti e dalla conseguente necessaria rapidità nella predisposizione ed esecuzione. Il complesso movimento ferroviario si svolse con la maggior regolarità e precisione. Benché per talune delle linee, più intensamente sfruttate, la potenzialità massima prevista fosse superata di un terzo, non si ebbe a lamentare il minimo inconveniente. Vi contribuirono l'attività e lo spirito d'abnegazione degli enti tutti preposti alla direzione ed all'esecuzione del servizio ferroviario, cui è giusto pertanto tributare un meritato encomio.

Designato l'obiettivo strategico delle operazioni e stabilito il concetto e le modalità per il rapido e ordinato svolgimento della vasta manovra tra il Trentino e l'Isonzo, il Comando Supremo affidava a quello della III Armata l'arduo ma onorifico compito di dirigere l'attacco lungo tutto il tratto di fronte dal Sabotino al mare. E il Comando della III Armata studiava a sua volta con ogni cura l'indirizzo per la manovra tattica, la migliore dislocazione e il più razionale impiego di mezzi assegnatigli. Ciò rese possibile di rapidamente collocare le batterie d'artiglierie e di bombarde a mano a mano giungenti sull'Izonzo fra il 27 e il 31 luglio, in modo che la sera del 3 agosto esse erano già pronte ad aprire il fuoco.

Nella giornata del 4 agosto avvenne la divisata azione diversiva nel settore di Monfalcone. Dopo intensa preparazione, delle artiglierie, le nostre fanterie assalivano e prendevano d'assalto le alture di quota 85 e di quota 121 ad est della Rocca, prendendovi 145 prigionieri, tra i quali 4 ufficiali. Ma l'avversario, maestro di ignobili insidie, aveva collocato nei trinceramenti abbandonati un grande numero di bombe che, nell'atto in cui le nostre truppe irrompevano vittoriose nelle linee conquistate, esplosero producendo i consueti gas asfissianti.
Indi a poco, ingenti masse nemiche erano lanciate al contrattacco, che obbligò le nostre truppe, decimate e stordite dall'effetto del gas, a ripiegare sulle trincee di partenza, trascinandosi dietro i prigionieri.

La giornata del 5 agosto passò in semplici azioni di artiglierie, dirette a saggiare il fronte del nemico, a frastornarne l'attenzione, a inquadrare il nostro tiro, mentre invano l'avversario, ingannato dalla nostra manovra, inviava in fretta rinforzi di truppe e di artiglierie verso il settore di Monfalcone.
Il mattino del 6 agosto, tra le ore 7 e le 8, tutte le nostre artiglierie e batterie di bombarde aprivano fuoco violento e ben aggiustato contro il tratto di fronte nemico dal Sabotino al San Michele. Nelle pause del formidabile bombardamento, arditi nuclei di fanteria si spingevano fin contro le linee nemiche a riconoscervi gli effetti del fuoco. Alle ore 16, accertato che la prima linea di difesa nemica era quasi ovunque completamente distrutta e le successive sconvolte, ondate di fanteria irruppero all'assalto.
Stupendo invero lo spettacolo dei nostri intrepidi fantaccini, avanzanti con insuperabile slancio all'attacco di posizioni ritenute sino allora imprendibili; mentre le artiglierie con meravigliosa precisione ne assecondavano gli sforzi, precedendoli con cortine di fuoco sterminatore o fulminavano le riserve ammassate sul tergo delle posizioni nemiche; mentre le infaticabili truppe del genio riattivavano i passaggi, completavano la distruzione delle difese accessorie, improvvisavano nuove comunicazioni.
All'ala sinistra del nostro fronte (45a divisione), una colonna comandata dal colonnello di Stato Maggiore BADOGLIO e composta del 78° fanteria (brigata "Toscana"), del 3° battaglione del 58° (brigata "Abruzzi") e del 3° battaglione del 115° (brigata "Treviso"), rinforzata dall'8a e 15a compagnia minatori e sostenuta dalla 21a batteria da montagna e dalla 31a e 32a batteria di bombarde, muoveva all'assalto del possente baluardo di Monte Sabotino, chiave della difesa di Gorizia. Fu tale qui l'impeto delle truppe che, superate d'un sol tratto le linee nemiche, in 40 minuti raggiunsero la quota 609, culmine del Sabotino, sorprendendone e facendo prigioniera quasi tutta la guarnigione. L'avanzata proseguì rapida verso l'Isonzo, e a sera i nostri avevano già raggiunta la linea San Valentino-San Mauro, lungo le falde orientali del Monte Sabotino.
Sulle alture ad ovest di Gorizia, la brigata "Lambro", della 34a divisione (205° e 206° reggimento) assaliva a nord-est di Oslavia l'altura di quota 188 già in tanti sanguinosi combattimenti così fieramente contesa, e dopo dura e alterna vicenda di lotta riusciva a conquistarla. Più a sud la brigata "Abruzzi" della 24a divisione (57° e 58° fanteria), attaccava frontalmente le munitissime linee di Oslavia e grazie a ostinati sanguinosi assalti riusciva a superarle, giungendo a sera nei pressi di Peuma.
Sul monte Podgora, la brigata "Cuneo" della 17a divisione (7° e 8° reggimento) sfondava di primo impeto le potenti difese nemiche, superava la cresta di quella altura e raggiungeva l'Isonzo all'altezza di Grafenberg. Qui, accerchiata da preponderanti forze nemiche, impegnava un combattimento, durato violentissimo per tutta la notte.
Infine, all'estremità meridionale delle alture, le truppe della 12a divisione superavano il Monte Calvario e, nel piano, sfondavano l'intricata linea difensiva costruita dal nemico tra il margine meridionale del Podgora e l'Isonzo.
Lotta non meno cruenta ma altrettanto vittoriosa si svolgeva intanto sul margine settentrionale del Carso, ove le valorose fanterie della 22° divisione (brigata "Brescia", 79° e 20° reggimento, brigata "Ferrara", 47° e 48° reggimento; brigata "Catanzaro", 141° e 142° reggimento) assalivano la munitissima linea di vetta del Monte San Michele, altro possente baluardo della difesa di Gorizia e di quella del Carso a un tempo, già in quindici mesi di guerra bagnato da tanto generoso sangue italiano, e dopo insistenti assalti riuscivano a conquistarla interamente.
È qui giusto e doveroso dichiarare che il nemico oppose lungo tutto il fronte fiera, accanita resistenza e vendette a caro prezzo la vittoria. Pur sopraffatti i grossi delle sue truppe dal soverchiante impeto dei nostri, nuclei di animosi si difendevano disperatamente in caverne o su cocuzzoli isolati. Furono a mano a mano accerchiati dai nostri e costretti alla resa. Più di 3000 prigionieri, una diecina, di cannoni, numerose mitragliatrici e un ricco bottino di materiale di guerra di ogni specie rappresentano il trofeo di questa gloriosa, memoranda giornata.
Il comando austriaco, sorpreso dall'inopinato nostro attacco, ma non disperando ancora del successo, cercò ogni mezzo per correre al riparo. E mentre inviava in fretta rinforzi sulle posizioni che ancora resistevano e ammassava truppe e artiglierie per tentare con disperati contrattacchi di riprendere quelle perdute, emanava nella sera stessa del 6 il seguente ordine del giorno all'armata dell'Isonzo: "Il nemico passa su quasi tutto il fronte a un attacco decisivo, cerca un successo finale. Io mi aspetto dalle mie truppe che gli sia preparata degna accoglienza e sia respinto senza che ne rimanga un resto. La situazione generale richiede oggi più che mai che tutte le nostre posizioni, difese tenacemente per oltre un anno, rimangano nelle nostre mani. Io nutro fiducia, che il mio volere divenga ovunque realtà. La vittoria deve essere nostra. "Colonnello generale Boroevic".

Assicurato con la conquista del Monte Sabotino e del Monte San Michele il possesso dei pilastri laterali della testa di ponte di Gorizia, restava da completare l'occupazione dell'imponente cortina costituita dalle alture immediatamente ad ovest della città. La battaglia vi si protrasse aspra sanguinosa e incessante, fino il pomeriggio dell'8 agosto. Il terreno rotto, intricato e ricco di appigli tattici, le molteplici e possenti linee di difesa erette dall'avversario in vicinanza di Gorizia, centro cospicuo di risorse del nemico, gli facilitavano la tenace difesa e gli consentivano violenti ritorni controffensivi. A palmo a palmo, a prezzo di generosi sacrifici, le nostre fanterie, con la mirabile, incessante cooperazione delle artiglierie, conquistarono tutto l'aspro ed intricato terreno, espugnando ad una ad una, le numerose trincee, circondando ed obbligando alla resa i difensori, ributtandone oltre il fiume i violenti contrattacchi. Si distinsero nella lotta le brigate di fanteria "Toscana" (77° e 78° reggimento) e "Trapani" (143° e 144° reggimento), della 45a divisione, che, manovrando sul tergo delle linee nemiche sul torrente Peumica e sulla collina sovrastante al villaggio Peuma, ne determinarono la caduta.
Altri meno poderosi contrattacchi nemici, preparati da potenti bombardamenti, erano respinti dai valorosi difensori del Monte Sabotino e del Monte San Michele. Nel pomeriggio dell'8 agosto, per effetto della nostra vittoriosa azione, tutte le alture sulla destra dell'Isonzo, costituenti la testa di ponte di Gorizia, e il Monte San Michele sulla sinistra del fiume erano in nostro saldo possesso. La linea dell'Isonzo a valle di Tolmino era a noi interamente assicurata. Sull'imbrunire, riparti delle brigate "Casale" e "Pavia" passavano a guado l'Isonzo, di cui il nemico aveva in parte danneggiato i ponti, e si rafforzarono sull'altra riva. Una colonna di cavalleria e di bersaglieri ciclisti era subito lanciata all'inseguimento. Con alacre opera, reparti del genio sotto il tiro delle artiglierie avversarie gettavano i ponti e riattivavano quelli danneggiati dal nemico.
Il mattino del 9 agosto le nostre truppe entravano in Gorizia, mentre una colonna di cavalleria e di ciclisti percorreva la pianura intorno alla città spazzandone le ultime resistenze nemiche. Il successivo 10, le nostre fanterie occupavano le pendici occidentali delle alture che avvolgono ad est la piana di Gorizia e, più a sud, la linea della Versoi-bizza, iniziandone il rafforzamento.

La conquista di Gorizia merita di essere annoverata tra le più belle imprese militari del nostro Paese. In soli tre giorni, la più importante delle piazze nemiche sul fronte dell'Isonzo cadeva in nostro possesso per effetto di un attacco di viva forza, uno dei più poderosi e violenti attacchi di piazzeforti che la storia dell'attuale guerra europea sino a oggi ricordi. È opportuno rilevare che alla piazza di Gorizia l'Austria aveva fin dal tempo di pace rivolte le maggiori cure e specialmente durante il periodo della nostra neutralità ne aveva accresciuto il valore, già grandissimo per natura, con lavori difensivi che l'esperienza dei primi mesi della guerra europea aveva contribuito a rendere formidabili.
Dichiarata da noi la guerra, il comando nemico aveva concentrato su Gorizia forze e mezzi imponenti e della difesa aveva fatto uno dei capisaldi della propria condotta strategica. Al buon successo delle operazioni contribuirono l'efficacia della manovra nel campo strategico e, in quello tattico, l'azione delle artiglierie, la condotta delle fanterie. Il Comando nemico, come attestarono i prigionieri, si cullava nell'illusione che il fulmineo e poderoso sforzo da noi fatto per arrestare prima, per ricacciare poi l'invasione austriaca in Trentino avesse per lungo tempo esaurito ogni nostra capacità offensiva.
Così la nostra manovra per linee interne tra il fronte tridentino e quello dell'Isonzo, condotta con rapidità, precisione e segretezza, poteva il mattino del 6 agosto permettere alla nostra offensiva di scatenarsi in tutta la sua terribile violenza contro un nemico moralmente impreparato a riceverla.
L'efficace attacco diversivo su Monfalcone completò la sorpresa.

L'azione delle nostre artiglierie e bombarde nella giornata del 6 agosto rappresenta un esempio veramente classico di concentramento di fuoco contro linee fortificate. Essa era stata lungamente e minuziosamente studiata e preparata: grazie all'esplorazione del terreno con velivoli o pattuglie o con osservazioni ottiche, le posizioni nemiche erano state perfettamente riconosciute ed inquadrate sulla carta; i bersagli accuratamente ripartiti in estensione e in profondità; le modalità del fuoco stabilite con scrupolosa precisione. Così al momento fissato un vero uragano di ferro e di fuoco si rovesciò inaspettatamente sulle posizioni nemiche, ne sconvolse le difese antistanti, ne abbatté i ricoveri, distrusse gli appostamenti e gli osservatori, ed interruppe le comunicazioni.
Superbo fu lo slancio delle nostre fanterie. In tre giorni di lotta incessante sotto il violento e concentrato fuoco nemico d'artiglieria, di mitragliatrici, di fucileria e di bombarde, esse sfondarono le successive linee di resistenza nemiche, sgominarono alla baionetta i difensori, impedendone i rannodamenti, e sostennero poi con incrollabile saldezza gli intensi bombardamenti e i furiosi contrattacchi dell'avversario.
Già il 6 di agosto, mentre sul margine settentrionale del Carso le nostre truppe conquistavano il Monte San Michele, all'ala opposta, nella zona di Monfalcone, i battaglioni di bersaglieri ciclisti 3°, 4° e 11° si impadronivano dell'altura di quota 85, resistendovi poi con grande valore ai violenti contrattacchi nemici. Nelle successive giornate sino al 9, l'avversario tentò sforzi disperati per riprendere la posizione di Monte San Michele; ma fu ogni volta energicamente respinto e perdette anche il villaggio di Boschivi fortemente organizzato a difesa sulle pendici settentrionali del monte.
Più a sud, i nostri presero d'assalto anche alcuni trinceramenti nei pressi di San Martino del Carso
Il giorno 10 agosto, un energico nostro assalto contro tutte le fortissime linee nemiche fra il Vippacco e Monte Cosich era coronato di pieno successo: l'avversario in rotta abbandonava tutta la zona ad occidente del Vallone, mantenendo soltanto forti retroguardie sulle alture del Debeli e di quota 121. I nostri occuparono Rubbia, San Martino del Carso, il pianoro di Doberdò, Monte Cosich e raggiunsero la linea del Vallone fino a Krni Hrib. L'indomani, 11 agosto, passato il Vallone, con un brillantissimo attacco conquistarono le pendici occidentali del Nad Logem (quota 212) e la sommità di Krni Hrib. Il giorno 12 anche la cresta del Nad Logem, difesa dal nemico con vigore e accanimento, era conquistata dalle valorose truppe della 23a divisione (brigata "Granatieri dì Sardegna"; brigata "Lombardia", 73° e 74° reggimento; brigata "Catanzaro", 141° e 142° reggimento). Contemporaneamente i nostri si impadronivano di Oppacchiasella e spingevano l'occupazione fino a un chilometro circa ad est di quella località. Infine, sul margine meridionale del Carso, conquistarono le alture di quota 121 e del Debeli.

Nelle successive giornate fino al 15 agosto l'azione continuò vivace, con nuovi notevoli successi delle nostre truppe, che sfondarono altre poderose linee di trinceramenti ad est del Nad Logem e sulle pendici occidentali di Monte Pecinka. Indi le operazioni anche qui, come nella zona di Gorizia, iniziarono ad assumere carattere metodico per la necessità di ordinare truppe e servizi, di sistemare a difesa le posizioni occupate, di spostare innanzi le artiglierie, di migliorare la rete delle comunicazioni. L'alacre opera fu turbata dalle frequenti intemperie, che, pur rendendo penose le condizioni di vita nei campi, non valsero però a scemare l'attività delle nostre truppe. E ne furono prova i frequenti piccoli attacchi, grazie i quali riuscirono a migliorare e completare la propria occupazione, tenendo in rispetto l'avversario.

Se la conquista della testa di ponte e della città di Gorizia, costituì un avvenimento politico e militare di primissimo ordine, di non minore importanza fu l'occupazione della zona carsica, ad occidente della linea del Vallone. Il pianoro del Carso Goriziano, dominante la pianura del basso Isonzo fino a Cormons Gorizia, da una parte, sino al mare, dall'altra, è già per natura una formidabile posizione protetta innanzi dal profondo passo dell'Isonzo, appoggiata alle ali ai poterti baluardi del San Michele a nord, del Cosich, Debeli e quota 121 a sud.
La superficie dell'altopiano, ondulata, rotta da numerose buche e caverne, si presta egregiamente alla difesa, e il comando austriaco l'aveva abilmente sfruttata, creandovi tutta una fitta e intricata rete di trinceramenti, profondamente incavati nella roccia, in gran parte blindati, muniti di molteplici e profondi ordini di reticolati e collegati da una vasta rete di camminamenti che permetteva alle truppe della difesa rapidi e sicuri spostamenti in ogni senso, si sarebbe detto che quel complesso e perfetto sistema difensivo fosse veramente inespugnabile e tale gli Austriaci ormai lo ritenevano. Tanto più grave riuscì perciò lo scacco subito, tanto più profonda l'eco nel nostro Paese, ed all'estero, tanto maggiore il merito di coloro che seppero portare a compimento l'ardua impresa. Nelle gloriose giornate del Carso rifulsero di nuova luce il valore, la tenacia e lo spirito di abnegazione delle instancabili ed intrepide truppe della III Armata, agli ordini di S. A. R. il Duca d'Aosta. Nel complesso delle operazioni, dal 4 al 15 agosto furono presi al nemico 18.758 prigionieri, dei quali 393 ufficiali, 30 cannoni, 63 lanciabombe, 92 mitragliatrici, 12.225 fucili, 5 milioni di cartucce, 3000 colpi d'artiglieria, 60.000 bombe, ed un ricco bottino di materiale di guerra di ogni specie.

 

(Da notare che qui la Relazione Ufficiale del Comando Supremo,
sull'offensiva su Gorizia, non va oltre il 15 agosto. Passa...SUGLI ALTRI FRONTI:


"Nel periodo di tempo considerato si ebbero in più tratti del rimanente fronte, dallo Stelvio al medio Isonzo, piccole operazioni, per iniziativa nostra o del nemico, aventi carattere diversivo o lo scopo di migliorare occupazioni locali ovvero dirette a preparare più vaste offensive. Di queste ebbero maggiore importanza quelle svoltesi nell'aspra ed elevata zona montuosa tra l'Avisio e il torrente Vanoi-Cismon. Il 21 agosto, una nostra colonna avanzata in direzione di Cima Cece, conquistava l'importante altura di quota 2354 a sud della cima stessa. La notte sul 23 agosto con un violento attacco di sorpresa il nemico riusciva a riprendere la posizione; ma un nostro successivo contrattacco lo ricacciava definitivamente.

Intanto, più a sud-ovest, reparti di alpini, dei battaglioni "Feltre" e "Monte Rosa", sostenuti da una batteria da montagna, iniziavano l'attacco della cresta montuosa alla testata del torrente Vanoi (Cismon-Brenta). Superando le difficoltà dell'aspro terreno, le forti difese nemiche e l'avversità delle intemperie, che paralizzarono sovente l'azione delle artiglierie, essi riuscivano la sera del 27 agosto a conquistare l'alta cima del Cauriol, che si erge tra ripide rocce a 2487 metri di altitudine.
Nei successivi giorni l'occupazione fu estesa lungo un tratto della cresta a nord est del Cauriol. Subito il nemico iniziava un violento concentramento di fuoco di artiglieria contro le nostre posizioni e, dopo averle per più giorni incessantemente battute, nella giornata del 3 di settembre lanciava due violenti attacchi. I valorosi alpini del battaglione "Valle Brenta", arrestato ogni volta con il fuoco l'impeto degli assalti, irrompevano infine dalle trincee alla baionetta e disperdevano l'avversario, infliggendogli gravissime perdite.

Di notevole importanza, per l'altitudine e per l'asprezza dei terreni nei quali si svolsero, furono anche le operazioni offensive da noi condotte nella zona delle Tofane. Qui, tra il 22 e il 25 agosto, nostri reparti di fanteria e di alpini conquistarono forti posizioni sulle pendici della Tofana Terza e nel Vallone di Travenanzes, infliggendo gravi perdite al nemico e respingendone poi i successivi contrattacchi. Il 7 settembre fu occupata altra posizione nemica sulle pendici della Tofana Prima.
Alla testata del Rio Felizon (Boite), altri felici attacchi, nelle giornate del 13 e 21 agosto e del 3 settembre, ci resero quasi completamente padroni della montagna detta Punta del Forame, nel massiccio del Cristallo. Furono respinti i consueti contrattacchi nemici. Infine alla testata del torrente Digon, nell'alto Piave, fu dai nostri ampliato e consolidato il possesso di Cima Vallone.

L'attività offensiva nemica si svolse in questo periodo soprattutto con azioni di artiglieria, lungo quasi tutto il fronte, generalmente assai vive ma con carattere saltuario e senza obbiettivi ben definiti né costanti. L'avversario condusse anche attacchi di fanteria, ma con forze di non gran entità, o a scopo diversivo, come durante le giornate di Gorizia e del Carso, o per riprenderci posizioni da noi conquistate. Tali furono gli attacchi nella zona del Tonale, l'8, il 9 e il 16 agosto; sulle pendici di Monte Sperone (Valle di Ledro), il 17 agosto; a nord-est di Monte Majo (Valle Posina), il 28 agosto; sul Monte Cimone (Valle Astico), il 4 e il 9 agosto; nella zona di Monte Zebio (altopiano di Asiago), il 7, 18, 22 e 26 agosto; contro le nostre posizioni alla testata della valletta Coalba (Val Sugana), il 30 agosto; sul Civaron (Val Sugana) il l° e 6 settembre; sul Monte Sief (alto Cordevole) il 5 e 7 agosto; sul Mrzli (Monte Nero), il 3 e 9 agosto; nella zona di Globna (medio Isonzo), il 20 agosto.
L'assidua vigilanza e la salda resistenza dei nostri ci permisero di respingere tutti tali tentativi. Nel complesso di queste operazioni prendemmo al nemico 483 prigionieri, dei quali 6 ufficiali, un cannone, un lanciabombe, armi e munizioni e materiali vario da guerra.

Non mancarono in questo periodo i consueti bombardamenti di abitati da parte delle artiglierie nemiche. Furono particolarmente colpite Ala e altre località in Val d'Adige; Velo, Arsiero, e Seghe in Valle dell'Astico; Cortina d'Ampezzo, nell'alto Boite; gli abitati delle alte valli But, Chiarzò e Dogna; Cormons, Valisella, Mossa, Romans, Gradisca, Gorizia e altre minori località nella pianura dell'Isonzo. Si ebbero vittime nella popolazione e danni agli edifici. In Gorizia fu sfondato il tetto della Chiesa di San Giovanni e colpito più volte l'ospedale, ciò che obbligò a sgombrarlo. Da parte nostra furono bersagliati gli obiettivi ferroviari di Valle Drava, la linea ferroviaria dell'alto Fella, edifici militari di Tarvis, Raibl e Tolmino, la stazione di Tolmino".

Molte furono le prove di valore offerte da ufficiali e soldati nelle ultime battaglie sulla fronte Giulia e molti nomi vorremmo ricordare se lo spazio ce lo permettesse. Ci limitiamo a citare il capitano ARMANDO CAPRIOTTI che con le sue audaci scorrerie nelle trincee nemiche, eseguite per mettere alla prova la resistenza degli Austriaci e catturare prigionieri, si guadagnò il nome di "Corsaro del Carso", il generale ANTONIO CHINOTTO, che guidò l'azione diversiva dal lato di Monfalcone il 4 agosto e, da poco promosso Comandante di Corpo d'Armata, morì a Udine il 26 dello stesso mese e i generali PITTALUGA e GALLANI feriti mentre erano alla testa delle loro truppe.
Qualche parola di più bisogna dire intorno a due autentici eroi: AURELIO BARUZZI ed ENRICO TOTI. Il sottotenente Baruzzi di Lugo di Romagna fu decorato della medaglia d'oro per reiterate prove di valore e di audacia: alla testa di un drappello di bombardieri varcò sotto il fuoco nemico tre ordini di trinceramenti austriaci, catturando prigionieri e materiali; in compagnia di quattro soli soldati, oltre il Podgora, diede l'assalto ad una galleria, nella quale si trovavano 220 nemici, che caddero nelle sue mani; ed infine, guadato l'Isonzo, l'8 agosto, riuscì per primo a piantare il tricolore a Gorizia italiana.

ENRICO TOTI rappresenta la figura più bella dell'eroe popolano. Lui che era nato a Roma, a vent'anni era stato bersagliere. Congedato ed entrato nelle ferrovie dello Stato, era stato travolto da un treno e gli avevano amputato una gamba. La sventura non lo aveva accasciato. Enrico Toti aveva fondato una piccola industria, che gli permetteva di vivere nell'agiatezza e, sebbene mutilato, si era dato allo sport, diventando esperto nuotatore e infaticabile ciclista. Avido di vedere e di sapere, con la bicicletta attraversò da solo tutta l'Europa giungendo fino in Lapponia.
Scoppiata la guerra, fece invano per tre volte domanda di andare al fronte; ma alla ottenne dal Duca d'Aosta di andare a Cervignano, dove fu utilizzato come portaordini, come piantone, come fattorino, distinguendosi per la prontezza, la disciplina, la solerzia, l'entusiasmo. Di tanto in tanto si recò in trincea, poi rimase per parecchio tempo con i fanti dell'Aeúui, facendosi amare dai compagni per la bontà ed ammirare pel coraggio, e da ultimo potè entrare nel 3° battaglione dei bersaglieri ciclisti comandato dal maggiore RIZZIERI.
Il giorno di Pasqua del 1916 fu ferito alla fronte dallo scoppio di una granata nemica, ma non volle recarsi all'ospedale e rimase fra i suoi bersaglieri, infaticabile. Il 6 agosto, attaccando la cima di quota 85 fu tra i primi del suo battaglione a raggiungere la trincea nemica lanciando bombe e sparando col fucile che teneva sotto l'ascella destra, mentre con l'ascella sinistra si appoggiava alla gruccia. Tre volte fu ferito; ma, quantunque grondasse sangue continuava a sparare e gridava: Viva l'Italia ! Viva Trieste ! Viva i bersaglieri ! Alla terza ferita, cadde a terra, ma si rialzò e, non potendo fare altro, afferrò con la destra la gruccia e la lanciò contro il nemico in fuga; quindi ricadde. felice di aver contribuito alla vittoria delle armi italiane.

All'inizio dell'offensiva, che doveva condurre le truppe italiane a Gorizia, il Duca d'Aosta aveva diretto ai suoi soldati il seguente proclama: "Soldati della III Armata! La Patria ci chiama a nuovi gloriosi cimenti. Ci chiamano gli Alleati per aggiungere ai loro i nostri trionfi. Ci chiamano i nostri gloriosi compagni morti per vendicarli. La notizia della vittoria è in me, perché so che è nei vostri capi e in voi, perché è scritta nei nostri destini, perché è voluta dalla giustizia, perché è nella nostra forza.
Le vostre madri, le vostre spose, le vostre sorelle vi attendono vittoriosi! Avanti, dunque, o soldati d'Italia ! Non vi fermate finché non avrete posto il piede sul collo al nemico. Vincere bisogna!"
.

Dopo la vittoria, l'illustre condottiero diresse ai suoi prodi soldati quest'ordine del giorno: "Nei combattimenti dei giorni passati, coronati con la presa di Gorizia, avete scritto una delle più belle pagine della nostra guerra. Il mio cuore di soldato, infiammato di gratitudine, batte col vostro, e s'inchina riverente, ma fiero, ai gloriosi caduti. La notizia delle vostre gesta è già giunta in Patria, e correndo di città in città, di paese in paese, di contrada in contrada, sale al cuore dei vostri fratelli esultanti. Il mio saluto di Principe è il loro saluto. Il mio augurio di duce è il loro augurio. Ovunque ormai echeggia il grido di vittoria e d'incitamento a proseguire a qualunque costo per aggiungere trofei a trofei, vittorie a vittorie, conquiste a conquiste, per compiere i destini d'Italia!".

Così la Relazione Ufficiale del Comando Supremo, a fine agosto, che ha però fermato al 15 agosto i risultati dell'offensiva voluta da Cadorna, sull'Isonzo, mentre ha proseguito la relazione a narrare le azioni su altri fronti, fino al 28 agosto. Più avanti vedremo il perché.

Dopo l'entrata a Gorizia, all'esercito, dal Quartier Generale, il 10 agosto, il Sovrano indirizzò il seguente proclama:
"Soldati d'Italia! Breve tempo è trascorso da quando, con valore e tenacia più che ammirevoli, sapeste opporre insuperata barriera a poderose forze che dal Trentino tentavano di sboccare nelle ubertose pianure d'Italia. Oggi, con rinnovato ardimento e con più salda fede, avete brillantemente conquistato possenti baluardi dal nemico tanto a lungo contesi. Grazie a voi, la Patria festante accoglie nel suo seno Gorizia; grazie a voi un nuovo e grande passo è stato fatto sull'arduo e glorioso cammino che ci condurrà al compimento delle nostre sante aspirazioni. Soldati d'Italia! La vittoria già si mostra all'orizzonte e voi saprete certamente raggiungerla. Vi sia incitamento la memoria dei fratelli tanto gloriosamente caduti, vi siano costante esempio gli eroi del Risorgimento nazionale, che, con ardore, e con entusiasmo pari al vostro, lottarono in passato contro lo stesso secolare nemico. Fiero di essere il vostro capo, vi ringrazio in nome della Patria, che vi guarda con ammirazione, con amore, con riconoscenza".

Così poi proseguiva la Relazione del Comando
su altre Armi che erano state impegnate nel corso dell'estate:

"Le opposte FORZE AEREE nel mese di agosto furono molto attive; dopo la grande incursione di 24 Caproni su Fiume, il primo giorno di quel mese, gli aerei italiani diedero frequenti e gravi molestie al nemico: il 4 agosto una squadra di Voisin lanciò 35 bombe con efficaci risultati sulle stazione di Nabresina; il 6 una squadriglia di Caproni in condizioni atmosferiche avverse bombardò il nodo ferroviario di Opicina ricacciando idrovolanti nemici ed abbattendone uno; sullo stesso nodo ferroviario nella notte del 7 un dirigibile rovesciò una tonnellata di alto esplosivo e, respinto l'attacco di due idrovolanti nemici, rientrò incolume alla base; il 9 agosto una squadriglia di 18 Caproni, scortata da aeroplani di caccia Nieuport, compì una brillante incursione sulle stazioni di rifornimento di Prebacina e Dornberg, gettando sugli impianti ferroviari e sui magazzini militari oltre tre tonnellate d'alto esplosivo ed abbattendo un velivolo austriaco; il 10 una squadriglia di "Voisin" rinnovò il bombardamento della stazione di Prebacina, devastandola. Il 14, una squadriglia di 14 "Caproni" scortata da "Nieuport" gettò 30 granate-mine ancora sugli impianti ferroviarie militari di Prebacina e di Dornberg, recando danni gravissimi.
Il 15 agosto, idrovolanti italiani ed aeroplani francesi bombardarono i cantieri e gli hangars di Muggia (Trieste), provocando numerosi incendi; il 17, apparecchi Voisin bombardarono la stazione di Reifenberg; il 23, nel cielo di Gorizia, un "Nieuport" abbattè un velivolo nemico che cadde nei pressi di Ranziano, incendiandosi; un altro aeroplano austriaco, comandato dal popolarissimo aviatore ungherese LUDWIG VAMAS, era stato abbattuto il 13 dall'antiarea italiana. Il 25 agosto altri aeroplani bombardarono la stazione di San Cristoforo, a nord del lago di Caldonazzo, danneggiandola gravemente, ma un apparecchio non tornò alla base. Lo stesso giorno, nel cielo di Gorizia, avvenne un duello tra un velivolo ed un aeroplano nemico, il quale fu poi costretto ad atterrare nei pressi di Aisovizza.

"Il nemico, al solito, oltre che su opere militari della zona d'operazioni, sfogò la sua rabbia contro città indifese, producendo vittime fra la popolazione civile e danneggiando opere d'arte. Il 4 agosto bombardò la stazione di Bassano, uccidendo una persona e ferendone due; il 9 lanciò numerose bombe su Venezia uccidendo due persone; il 10 tornò a bombardare Venezia distruggendo la chiesa antichissima di Santa Maria Formosa, contenente opere del Sassoferrato, di Iacopo Palma il giovane, di Piero da Messina e di altri; la notte del 10 e dell'11 bombardò Grado e la notte del 12 agosto Campolto e ancora Grado: un piccolo dirigibile italiano fu incendiato.
Il 13 agosto, aeroplani nemici lanciarono bombe su Monfalcone e su altre località del basso Isonzo; il 14 gettarono ancora bombe su Monfalcone e inoltre su Ronchi, San Canziano e Pieris; il 16, idrovolanti nemici bombardarono grado e Venezia, contro la quale gli austriaci, in quindici mesi di guerra, avevano eseguito ben trenta incursioni aeree; il 28 un apparecchio nemico gettò bombe e frecce nella conca di Cortina d'Ampezzo; il 30 alcuni velivoli austriaci bombardarono Alleghe nella valle del Cordevole e gettarono bombe sulla laguna di Murano, dove il giorno dopo, in una seconda incursione, fu uccisa una donna e ferite alcune persone.

"SUL MARE, nella primavera e nell'estate del 1916, il nemico spiegò gran parte della sua attività nel danneggiare il nostro naviglio mercantile. Nel maggio furono affondati al largo di Tarragona il vapore "Washington", il veliero "Orellana", il veliero "Roberto", il brik "Ginestra" e il vapore "Cormillano". Nel giugno fu silurato ed affondato, nel basso Adriatico, il piroscafo "Principe Umberto", che trasportava truppe e materiale da guerra; nell'Atlantico il brigantino "Erminia"; nel Mediterraneo la torpediniera "Serpente" il veliero "Dolmetta", la goletta "Audace", i piroscafi "Poviga, Mongibello, Pino, e Ronza. Nel luglio furono affondati l'incrociatore ausiliario "Città di Messina", il cacciatorpediniere "Impetuoso", i sommergibili "Balilla" e "Pullino", e i piroscafi "Letimbro, Angelo e Sirra". Nell'Agosto i piroscafi "Siena" e "Sebastiano", i velieri "Ida, San Giuseppe e Patriarca", due sommergibili e il cacciatorpediniere "Audace".
La perdita più dolorosa della marina italiana fu quella della corazzata "Leonardo da Vinci", che la sera del 2 agosto, per l'opera delittuosa di agenti pagati dal nemico, minandola, l'affondò nei pressi di Taranto, nel Mar Piccolo. Perirono il comandante della nave Sommi Picenardi, 20 altri ufficiali e 237 uomini dell'equipaggio.

Non meno attive delle nemiche furono le forze navali italiane. La sera del 23 maggio due torpediniere cannoneggiarono nell'alto Adriatico un caccia austriaco che fu colpito e messo in fuga; il 28 una torpediniera silurò un grosso trasporto nemico nel porto di Trieste; il 4 giugno il sommergibile "Atropo" affondò nel Quarnerolo un trasporto austriaco; il 7 due siluranti mandarono a picco un piroscafo nemico nel porto di Durazzo; il 12 la torpediniera "Zaffiro" entrò nel porto di Parenzo, attraccò alla banchina, catturò qualche gendarme austriaco e lanciò alla popolazione proclami e giornali; il 25 alcune torpediniere fecero una ricognizione nel porto di Pirano; il 26 due siluranti affondarono due grossi piroscafi nella rada di Durazzo; il 27 torpediniere e idrovolanti attaccarono le opere militari di Trieste. Il 9 luglio una squadriglia di caccia cannoneggiò gli hangar di Parenzo; il 23 il piroscafo "Re d'Italia" sostenne un brillante combattimento con un sommergibile austriaco, di cui riuscì a sventare l'insidia; il 2 agosto il sottomarino "Salpa" silurò il cacciatorpediniere "Magnet", alcune siluranti cannoneggiarono e inseguirono fino a Cattaro quattro torpediniere avversarie protette dall'incrociatore "Aspern", e ancora un piroscafo fu affondato nelle acque di Durazzo. Infine il 6 agosto una squadriglia italiana di siluranti bombardò Duino".

Così la Relazione chiudeva il mese di agosto. Noi qui, le successive operazioni di guerra, di terra, di mare e dell'aria, le riprenderemo nel successivo capitolo "gli ultimi 4 mesi del 1916";
dobbiamo ora soffermarci sugli avvenimenti politici nello stresso periodo dell'offensiva su Gorizia.

I RAPPORTI ITALO-GERMANICI
IL CONVEGNO DI PALLANZA
DICHIARAZIONE DI GUERRA DELL'ITALIA ALLA GERMANIA

Nell'estate del 1916 i rapporti tra l'Italia e la Germania si fecero più tesi e il Governo, sollecitato dagli Alleati e dagli interventisti di sinistra non aspettava che un'occasione per romperla con Berlino.
Occasioni dovevano presentarsene più di una. A mezzo luglio, il Dipartimento germanico degli Affari Esteri informava, per mezzo del Governo svizzero, il nostro Governo di aver sospesi i pagamenti delle pensioni operaie dovute a cittadini italiani. Contemporaneamente, per desiderio espresso dallo stesso Dipartimento, le banche tedesche furono invitate a non eseguir pagamenti ai creditori italiani, trattandoli alla tregua dei cittadini di Stato nemico. Inoltre il generale VON BISSING, governatore tedesco nel Belgio, proibiva, con un decreto, agli Italiani mobilitati o mobilizzabili di uscire dal territorio belga e li sottoponeva a rigorosa sorveglianza.
In seguito alla sospensione dei pagamenti delle pensioni da parte dalle banche germaniche, il Governo italiano dispose affinché fosse provveduto senza interruzione ai pagamenti delle pensioni e delle rendite dovute dagli Istituti assicuratori germanici agli operai italiani ed alle loro famiglie; e il 13 luglio emanò un decreto con il quale si estendevano ai sudditi degli Stati nemici o alleati degli Stati nemici le disposizioni adottate contro l'Austria il 24 giugno 1915 e il 13 aprile 1916.
In conseguenza di queste disposizioni, si vietavano tutti i passaggi di proprietà e di beni mobiliari ed immobiliari appartenenti a sudditi germanici, e si proibiva a questi di istituire azioni giudiziarie in Italia, si concedeva, per rappresaglia, facoltà si sequestrare ì beni dei cittadini tedeschi e si decretava il divieto di pagamento o dell'esecuzione di qualsiasi obbligazione e la sorveglianza delle imprese e aziende commerciali germaniche.

Intanto, da più parti, il Governo era sollecitato affinché dichiarasse la guerra alla Germania. Il 30 luglio, commemorandosi a Genova Cesare Battisti, l'on. BOSSI, presidente della lega antitedesca, presentava tra gli applausi del pubblico un ordine del giorno da inviarsi al Governo, nel quale si facevano i seguenti voti: internamento degli austrotedeschi residenti ancora nel regno; sequestro dei beni appartenenti agli austro-tedeschi, con effetto retroattivo fino al 4 agosto 1914; sequestro completo dei brevetti tedeschi ed anche di quelli di quei cittadini italiani che fungevano da prestanomi; rottura di tutte le relazioni commerciali, finanziarie con la Germania; guerra alla Germania ed invio dei soldati italiani sul fronte francese.
Il 7 agosto si tenne al teatro Carcano di Milano un comizio per caldeggiare l'estensione della guerra alla Germania e fra gli applausi del numeroso uditorio parlavano il prof. ETEOCLE LOVINI, sindaco di Pavia, e gli onorevoli ALCESTE DE AMBRIS e PODRECCA.
L'8 agosto, l'Italia denunciava il trattato doganale e di navigazione tedesco-italiano e un decreto luogotenenziale dava facoltà al Governo italiano di mettere sotto controllo ed eventualmente sequestrare e liquidare le aziende i cui capitali appartenevano in totalità o in prevalenza a sudditi di Stati nemici o di alleati di Stati nemici.
Quel giorno stesso giungevano a Pallanza il ministro inglese del Commercio RUNCIMANN, sir J. RENNEL ROD, ambasciatore d'Inghilterra, il ministro DE NAVA, il generale DALLOLIO, l'on. ARLOTTA ed alcuni alti funzionari di vari ministeri, per discutere intorno ad accordi finanziari, economici e commerciali. Il convegno durò dal 9 all'11 (negli stessi giorni che le truppe italiane entravano a Gorizia); il 12, nella visita fatta alla Camera di Commercio di Milano, annunciando ufficialmente gli accordi italo-inglesi di Pallanza, il Runcimann disse, fra l'altro, a proposito del rifornimento di carbone:
"Il nostro popolo soffrirà serenamente perché quello italiano possa essere provvisto di carbone. Dopo le conversazioni con i ministri Arlotta e De Nava si può affermare fiduciosamente che fra breve all'Italia saranno assicurati i suoi essenziali rifornimenti di carbone".

In sostanza però l'accordo rappresentò una delusione per l'Italia, la quale per la imminente rottura con la Germania e per la recentissima vittoria di Gorizia, si aspettava molto di più dall'Inghilterra. Ma gl'Italiani non ebbero nemmeno il tempo di meditare sui risultati del convegno di Pallanza, che gli animi di tutti furono di lì a poco angosciati da terribili disastri: il 15 e il 16 agosto un violento terremoto sconvolse la Romagna e le Marche, danneggiando Cattolica, Riccione, Pesaro e, maggiormente, Rimini, la quale due mesi prima con Forlì e Cesena aveva patito altre gravi scosse; il 17 un terribile nubifragio devastò il territorio fra Sesto Calende e Solbiate, producendo vittime.
Ci si avviava, intanto alla rottura con la Germania, come mostravano chiarissimi indizi fra i quali la confisca del palazzo Venezia (26 agosto), appartenente all'Austria e già sede degli ambasciatori austro-ungarici presso il Vaticano, e il Quirinale, palazzo che, per le preghiere della Germania, non si era fino allora voluto sottrarre all'Austria.
Due giorni dopo il ministro degli Esteri, a mezzo dell'ambasciatore a Berna, faceva rimettere al Governo Federale Svizzero la seguente comunicazione:


"Gli atti di ostilità da parte del Governo germanico verso l'Italia si succedono sempre più frequenti. Basti accennare alle numerose persistenti prestazioni di armi e di strumenti bellici di terra e di mare fatte dalla Germania all'Austria-Ungheria; alla partecipazione costante di ufficiali, soldati e marinai germanici nelle varie operazioni di guerra contro l'Italia. Solamente grazie all'assistenza prodigata dalla Germania sotto le forme più diverse l'Austria-Ungheria poté recentemente concentrare il suo massimo sforzo contro l'Italia. Si aggiungano: la riconsegna fatta dal Governo germanico al nostro nemico dei prigionieri italiani evasi dai campi di concentramento austro-germanici e rifugiatisi in territorio tedesco; l'invito diramato agli istituti di credito ed ai banchieri tedeschi, per iniziativa del Dipartimento imperiale degli Affari Esteri, di considerare ogni cittadino italiano come uno straniero nemico, sospendendo ogni pagamento dovutogli; la sospensione del pagamento agli operai italiani delle pensioni dovute in seguito a formale disposizione della legge germanica. Sono questi altrettanti elementi rivelatori delle reali disposizioni sistematicamente ostili che animano il Governo imperiale verso l'Italia.
Non è ulteriormente tollerabile da parte del Regio Governo un tale stato di cose che aggrava a tutto danno dell'Italia quel profondo contrasto tra la situazione di fatto e la situazione di diritto già risultante dall'alleanza dell'Italia o della Germania con due gruppi di Stati in guerra fra loro. Per le ragioni più sopra enunciate il Governo italiano dichiara, in nome di S. M. il Re, che l'Italia si considera, a partire dal 28 corrente, in stato di guerra con la Germania e prega il Governo Federale Svizzero di voler portare quanto precede, a conoscenza del Governo imperiale Germanico".

Lo stesso 27 agosto il Governo della Romania dichiarava guerra all'Austria-Ungheria; e i politici italiani sollecitarono le offensive dell'Italia sul Carso, al fine di aiutare la Romania.

Infatti noi ora ritorniamo sullo scenario di guerra, dopo la presa di Gorizia avvenuta il 9 agosto e all'offensiva che Cadorna voleva scatenare dopo essere passato sulla sponda sinistra dell'Isonzo.
Ma sei giorni dopo - il 16 agosto- di fronte all'energica resistenza degli austriaci, Cadorna è costretto a sospendere l'offensiva. Che è costata cara in termini di vite umane: 21.630 morti e 52.940 feriti; mentre i risultati ottenuti sul piano strategico sono molto limitati: sul piano bellico, oltre -come abbiamo visto sopra a Pallanza- su quello politico.
Infatti, nel clima di fiducia per la vittoria di Gorizia, a Pallanza, oltre la delusione per aver ottenuto poco dagli inglesi, l'Italia si è ritrovata con una palla al piede in più: dopo aver dichiarato il 27 agosto, guerra pure alla Germania.
Cadorna, sferrerà altre tre offensive sull'Isonzo (la 7a, 8a, 9a battaglia); ma le "tre spallate" sono di breve durata, e come le altre, su postazioni limitate e con scarsi risultati strategici; che però costeranno in vite umane altri 37.000 morti e 88.000 feriti. Un vero e proprio macello; in totale con la precedente (la 6a, quella del 4 agosto) 58.630 morti e 140.940 feriti; contro 4330 morti e 18.076 feriti austriaci.

Gli ultimi quattro mesi del 1916 ....

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