LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1917

CONTROFFENSIVA AUSTRIACA
LA RELAZIONE ITALIANA SULLA CAMPAGNA


Austriaci nella controffensiva sul Carso

LA CONTROFFENSIVA NEMICA SUL CARSO -
L'OFFENSIVA ITALIANA DI GIUGNO SULL'ALTOPIANO DI ASIAGO: CORNO DI CAVENTO, ORTIGARA,
L'ASSO DELL'AGNELLO, PICCOLO LAGAZUOI, LA RICONQUISTA DEL DOSSO FAITI.
LA "RELAZIONE UFFICIALE" DEL COMANDO SUPREMO SULLA CAMPAGNA DI PRIMAVERA

LA CONFROFFENSIVA NEMICA SUL CARSO
(vedi qui la cartina gigante con la battaglia, prima, durante e dopo) > > >

In una terrificante notte di giugno, brillò una stella....... - Il Dosso Faiti - posto strategico - dopo una sanguinosa battaglia era ormai caduto. Pur trovandosi in un meritato riposo dopo le cruenti battaglie di maggio, alla mezzanotte del 3 giugno, il Capitano ALFREDO GUALTIERI comandante del III Battaglione d'assalto (251° Reggimento Fanteria) ricevette l'ordine di partire e riconquistare "a tutti i costi" il Dosso Faiti. Giunto sul posto dopo due ore di marcia forzata, non aveva che una via da seguire: lanciarsi con tutto il battaglione all'attacco giocando la sola carta che aveva possibilità di riuscita. Alle 2,45 mosse all'attacco sotto una tempesta di fuoco. Dopo 11 ore di furiosa battaglia, sgominò il nemico, gli inflisse 150 perdite, fece numerosi prigionieri, riconquistò lo strategico Dosso.
Alfredo Gualtieri a seguito di tale audace azione si coperse di gloria; oltre la medaglia di argento al valor militare, oltre alla Croce dell'Ordine Militare di S. Giorgio (ricevuta dagli Inglesi), oltre ad essere insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, conseguiva la promozione a Maggiore per merito di guerra; in seguito gli verrà concessa anche la Croce di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Morì il 12 febbraio 1930 per malattia dipendente dalle ferite riportate in combattimento.

Durante l'offensiva italiana di maggio sul Carso, l'Austria a inizio giugno aveva chiamato grandi rinforzi di truppe e di artiglierie sull' Isonzo dal fronte russo e con queste forze tentò una controffensiva sollecita per ricacciare le armate di Cadorna dalle posizioni conquistate prima che lui potesse saldamente sistemarle a difesa.
Gli Austriaci scatenarono la controffensiva proprio nello stesso giorno che il generale Cadorna, non soddisfatto dei risultati ottenuti rispetto alle aspettative, stava effettuando dei cambiamenti nel comando delle armate.

Infatti, le prime avvisaglie della controffensiva austriaca si ebbero proprio il 1° di giugno con un'azione molto massiccia d'artiglieria nella zona a nord e ad oriente di Gorizia. Il fuoco continuò il giorno 2 lungo tutto il fronte Giulia; più intenso contro le posizioni ad oriente di Plava, nella zona del Vodice e nel settore settentrionale del Carso.
Ad occidente di Gorizia e sul Carso l'azione dell'artiglieria nemica il 3 giugno aumentò, crescendo d'intensità dalla Vertoibizza al mare, raggiungendo particolare violenza sulle posizioni italiane del San Marco, sulle linee del Dosso Faiti e ad oriente di Flondar.
I tiri dell'artiglieria italiana risposero a quelli dei nemici, riuscendo a fermare i tentativi di irruzione delle fanterie austriache.

(Bollettino del 4 giugno).

"Sulle pendici occidentali del San Marco gli austriaci, dopo aver completamente spianato con i tiri delle sue artiglierie le difese della nuova linea italiana, riuscì con un attacco in forze a penetrare in alcuni punti più avanzati. Arrestato dal pronto accorrere dei rincalzi, fu dà un successivo contrattacco nettamente ricacciato con gravi perdite sulle sue posizioni"

La controffensiva italiana fu organizzata solo nei giorni successivi.
Di essa così riportavano i comunicati del Comando Supremo Italiano.

Quello del 5 giugno:
"Contro le nostre posizioni del Vodice e ad est di Gorizia, sulle pendici nord del San Marco, nuovi tentativi d'irruzione, fatti dal nemico nella notte sul 4 e durante la giornata, vennero respinti; prendemmo 38 prigionieri, di cui un ufficiale. Sul Carso il nemico, dopo aver portato alla massima intensità il tiro di artiglieria, con il quale già da più giorni (3 - Ndr) batteva violentemente le nostre linee avanzate, lanciò nella notte sul 4 forti masse all'attacco dal Dosso Faiti al Mare. Le posizioni del Dosso Faiti, per quanto completamente sconvolte, sono state strenuamente difese dalle fanterie della brigata "Tevere" (215° e 216° reggimenti), che dopo lunga lotta, nonostante violentissimi tiri d'interdizione, respingevano definitivamente l'avversario che era riuscito in un primo momento mettere piede in qualche nostro elemento di trincea. Furono catturati 62 prigionieri.

Da Castagnevizza al ciglione a nord di Iamiano le nostre truppe resistettero bravamente agli attacchi accaniti, e con contrattacchi e violenti corpo a corpo riuscirono a tenere saldamente le proprie posizioni e ad occupare anzi qualche nuovo tratto avanzato nei pressi di Castagnevizza e di Versic. A Sud di Iamiano, mantenendo salde le posizioni di ala, dovemmo smobilitare il centro della nostra nuova linea, ed arretrare per sottrarla agli effetti micidiali del fuoco. Con frequenti ritorni offensivi riuscimmo dapprima ad arrestare nettamente la foga avversaria, poi con un energico contrattacco abbiamo ristabilito quasi completamente la situazione primitiva".

Quello del 6 giugno:
"Nella giornata di ieri la lotta delle artiglierie mantenne vivace sul fronte dal Monte Nero alle alture ad est di Gorizia. Sul Carso il nemico ha ripreso a battere con violenza le nostre posizioni da Versica Iamiano, provocando l'energica risposta delle nostre batterie. A sud di Iamiano, dopo l'accanita lotta del giorno 4, l'attività combattiva fu ieri meno intensa. La nostra nuova linea fu arretrata di poco di fronte a Flondar su posizioni più vantaggiose come condizioni tattiche. Nel corso dell'azione di ieri prendemmo 236 prigionieri, dei quali 10 ufficiali".

"Se nelle posizioni di Versic e di Iamiano ci eravamo potuti mantenere grazie il
valore delle brigate "Granatieri di Sardegna" (1° e 2° reggimenti), "Bari (139° e 140°) e "Siena (31° e 32°), all'ala destra, purtroppo, avevamo dovuto ripiegare e riportarci nelle trincee di partenza. Il fatto del ripiegamento non sarebbe stato molto grave in se stesso; ciò che preoccupò e addolorò fu la resa al nemico, senza combattere, di alcuni nostri reparti, fatto, questo, che dimostrava come in una parte del nostro esercito fossero penetrate la stanchezza e la sfiducia, alimentate dalla "propaganda disfattista".

Questo fatto diede da pensare al Cadorna, che, in un suo libro, scrisse a proposito di quelle giornate:
"Se innumerevoli furono gli episodi di valore, per verità storica dobbiamo rilevare che presso alcuni reparti accaddero per la prima volta episodi non belli. Questi e i 27 mila prigionieri perduti in un'azione nel complesso vittoriosa, misero in avvertenza il Comando Supremo che qualche cosa si andava maturando nello spirito delle truppe".


Cadorna - e d'ora in avanti lo farà in crescendo- dopo non aver conquistato nessun territorio significativo, e non sembrava neppure in grado di farlo, nel chiaro indizio della demoralizzazione delle truppe e del nervosismo dei giovani o non giovani ufficiali, inizia a dare la colpa a tutti, fuorché a se stesso.
Le sue circolari di "obbligo assoluto e indeclinabile" per tutti gli ufficiali in comando "di procedere alla decimazione quando non era possibile accertare le responsabilità individuali di un determinato crimine", venivano lette di fronte alle truppe e non erano certo bene accolte, né di certo potevano quelle, con quel tono, risollevare il morale. Anzi ci si meraviglia che il morale non fosse ancora più basso.

Cadorna insiste a sostenere che i socialisti non fanno altro che minare il morale della gente (e un po' era vero, le notizie che arrivavano dalla Russia (bolscevichi che chiedevano la pace) aveva fatto in Italia risollevare il capo ai rivoluzionari ma pure a tutti i socialisti delle varie correnti (anche se all'inizio dai Paesi dell'Intesa, gli eventi russi furono salutati come un allineamento alle democrazie occidentali e come premessa per l'intensificazione dello sforso bellico); accusava i governanti che tolleravano il disfattismo; se la prese poi con la Russia che abbandonando la guerra aveva reso tutto più difficile; e in agosto se la prenderà anche con il Papa, colpevole per aver condannato la guerra come una "inutile strage".
Cadorna (nonostante tante altre qualità - e quelle logistiche furono immani- le abbiamo viste nella precedente puntata) era diventato per tutti una insopportabile Cassandra; il suo nervosismo era diventato all'interno dell'esercito contagioso, in nulla positivo. Ciononostante nessuno si aspettava un disastro come quello del prossimo 24 ottobre a Caporetto.

Questo perchè non solo Cadorna, ma tutti i politici non capirono che il 1917 era un anno cruciale dal punto di vista della storia militare ma ancor più da quello della storia sociale della guerra.
Nel primo caso ci furono due profondi mutamenti nello schieramento, con l'intervento statunitense a fianco dell'Intesa, e con la defezione dallo stesso campo della Russia; nel secondo gli effetti furono devastanti proprio nel momento in cui c'era un serio deterioramento nei fronti interni, che si manifestò in un diffuso desiderio di pace e in lotte sociali sempre più aperte ed estese. Lo spettro di un'insofferenza e di un'insubordinazione generalizzata stava rimettendo in discussione tutti quegli obiettivi che i mestieranti della guerra si erano fissati, e i politici a quelli avevano puntato.

Iniziò la Russia questa forma di stanchezza e ribellione, quando le masse presero coscienza in quale disastroso disastro le classi dominanti le avevano trascinate. In Italia il logorio morale e materiale diedero vita non solo alle manifestazioni di insubordinazioni, ammutinamenti e alle diserzioni (severamente represse), ma anche a clamorose, spontanee e incontrollate manifestazioni di piazza (con caratteristiche semi-insurrezionali) contro la fame e la guerra, con una caduta in verticale sia ai primi che ai secondi delle motivazioni patriottiche.

Ma questo non avveniva solo in Russia (con lo sgretolamento statale), o in Italia (per i fallimenti militari); ma anche nell'esercito tedesco, con le sue ferree tradizioni disciplinari, ci furono clamorose dimostrazioni di insofferenza e di stanchezza per la guerra (come gli episodi della flotta del Baltico del luglio '17, duramente repressa. Poi, molti anni dopo (lo sapremo solo nel 1930) anche cosa era accaduto in Francia dopo la tragica offensiva voluta da Nivelle nella stessa primavera '17, e poi a Ypres e Verdum (che come tracollo fu inferiore a quello di Caporetto): ci furono numerosi ammutinamenti a catena collettivi e individuali e il rifiuto di combattere in una quantità senza precedenti.

Del resto cosa c'era sui campi di battaglia, e dentro le varie leve di massa semianalfabete mandate al fronte con un sommario accertamento della idoneità fisica? Rispose poi Fritz Weber in "La fine di un esercito" (che era sul versante austriaco, anche questo a fine '17 non immune dagli stessi problemi):
"Reggimenti, battaglioni, compagnie: che cosa significano ormai questi nomi? Non sono che vuote parole, designanti sparuti ragguppamenti di uomini o meglio di adolescenti. Tra essi si trovano tubercolotici, malati di cuore, uomini dai corpi solcati da lunghe cicatrici, dalle mani mancanti di qualche dito: uomini che sono scampati in Russia, al tifo o allo scorbuto e che adesso, tornati in patria, vengono di nuovo mandati al fronte. Non più soldati, ma poveri disperati".

Sono abbastanza note proprio all'interno delle file austriache le nevrosi (curate con l'elettroshock, più micidiali dello stesso fronte); e intervenne poi Sigmund Freud per dare delle intepretazioni psicoanalitiche delle patologie mentali sucitate dal conflitto:
"La paura di perdere la vita, l'opposizione all'ordine di uccidere aLtra gente, la ribellione contro i superiori che reprimevano indiscriminatamente la loro personalità: queste erano la fonti affettive più importanti da cui traeva la tendenza dei soldati a sfuggire alla guerra". e aggiungeva "Un soldato per il quale questi motivi affettivi fossero stati molto potenti e limpidamente consapevoli, avrebbe dovuto, se era un uomo sano, disertare o darsi ammalato".

A parte le considerazioni di carattere psicologiche delle classi subalterne che la guerra non volevano farla perchè non la capivano, ci sono poi quelle di carattere politico-sociale di quelle classi dominanti, che la guerra la volevano fare anche se pure loro non avevano capito nulla cosa stava avvenendo in questi anni, non al buio ma alla luce del sole.
Il Tempo in questi tre anni di guerra europea, così ancora incerta nella sua conclusione, dai vari stati stava tirando fuori i suoi paletti, e li stava piantando qui e là creando una netta linea di demarcazione dai secoli e soprattutto dal secolo precedente; dopo questo 1917, più nulla sarà a uguale a prima.
Al di qua e al di là di questa nuova linea, c'erano altri tempi e altri terreni con un eloquente sgretolamento di sistemi che avevano resistito alle precedenti rivoluzioni; sgretolamento di ideologie e di mentalità, di governi e di economie, e paradossalmente stagioni di barbarie e di modernismo, con la guerra trasformata in un grande laboratorio alchimistico europeo per cercare di modificare i rapporti stato-economia, stato-società, classe dominanti-classi subalterne; o per tentare di trovare la pietra filosofale che doveva trasformare la società liberale classica in moderna società di massa.
Il "laboratorio" fallì; la guerra segnò il crollo della civiltà occidentale dell'Ottocento. Questa civiltà era capitalista nell'economia, liberale nella struttura istituzionale e giuridica, borghese nell'immagine caratteristica della classe che deteneva l'egemonia sociale. Una civiltà che si gloriava dei progressi della scienza, del sapere e dell'istruzione e che credeva nel progresso morale e materiale; ed era anche profondamente persuasa della centralità dell'Europa, luogo d'origine delle rivoluzioni nelle scienze, nelle arti, nella politica e nell'industria.
Distrutta la centralità europea, i due grandi "stregoni" vincenti rafforzarono (gli Stati Uniti) o crearono (l'Urss) il proprio sistema; uno il "suo" sistema del libero mercato (liberismo, consumismo), l'altro il "suo", con l'economia di stato (collettivismo, comunismo).
Ognuno con i propri momenti di gloria e tempi di antagonismo, di crisi, di incertezze, di errori; ognuno con i propri fallimenti (in America nel 1929-1939, con il ritorno all'assistenzialismo di Stato (con il capitalismo in crisi) - in Russia nel 1990 con l'abbandono del collettivismo (con il comunismo in crisi).
Ne riparleremo nei rispettivi anni.
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Per il momento noi ora torniamo ai bollettini ancora "ottimistici" di questo giugno.

diceva il bollettino ufficiale del 6 giugno:

"Sul fronte Giulia l'artiglieria avversaria, energicamente combattuta dalla nostra, si accanì, come di consueto, contro Gorizia, e qualche altro centro abitato nella pianura. Sul Carso, anche nella giornata di ieri l'attività combattiva dei nemici, alimentata da nuove ingenti forze prelevate da altri teatri di guerra, si è mantenuta assai viva. Un attacco violentissimo venne sferrato contro le nostre posizioni dalla quota 247, a sud di Versic, alle case di quota 31 ad oriente di Iamiano, difese strenuamente dalle fanterie della 61a divisione. La lotta durò accanita e con alterna vicenda quasi l'intera giornata, ma alla sera il nemico fu completamente ributtato e le posizioni rimasero salde in nostro possesso. Altro attacco tentato da Flondar, in direzione di Sablici, fu prontamente arrestato dal nostro fuoco d'artiglieria prima ancora di svilupparsi.
Il 6 giugno la controffensiva nemica si poteva dire terminata. Non terminarono, naturalmente azioni di carattere locale che, a volte, furono condotte con molta violenza. Così, il nemico sferrò attacchi la notte del 7 contro il Vodice, la notte dell'8 a sud di Castagnevizza, tra Sober e Vertoiba e nella zona del San Marco, il 10 presso Castagnevizza, il 13 a nord-est di Gorizia e sul Carso, ma sempre furono respinti dai nostri vigili reparti".

L'OFFENSIVA ITALIANA SULL'ALTOPIANO DI ASIAGO


"Terminata la controffensiva austriaca sul Carso, ebbe inizio una nostra offensiva sul fronte Tridentino e precisamente sull'altopiano d'Asiago, intesa a riconquistare il contrafforte della Bocchetta di Portule, perduto durante la Strafexpedition. Per quest'azione, preparata dalla VI Armata, furono raccolti mezzi ingenti, 12 divisioni e circa 1500 pezzi; e questa, tenuto conto che la fronte d'attacco si estendeva dai 13 ai 14 chilometri soltanto, era - com'ebbe a scrivere il Cadorna - "la massima densità di forze e d'artiglierie fino a quel momento impiegate".
"Il generale MEMBRETTI fissò l'attacco al 10 giugno, affidando l'esecuzione al generale MONTUORI, comandante del XX Corpo d'Armata, il quale doveva operare sulla linea Zebio-Monte Forno-Ortigara, appoggiato dimostrativamente dalle truppe del XXII Corpo e sostenuto dalle artiglierie del XXIII e del X. Delle truppe del XX la 13a divisione doveva operare contro Monte Zebio, la 29a a Monte Forno, la 52a all'Ortigara.

" La mattina del 10, dopo intenso fuoco di artiglieria che sconvolse in più punti le complesse opere dell'avversario, le truppe avanzarono verso gli obiettivi; ma la 13a divisione non riuscì a raggiungere il suo; della 29a un solo battaglione raggiunse e occupò le difese nemiche di Monte Forno, ma fu circondato da forze di molto superiori e fatto prigioniero. Invece la 52a divisione di cui facevano parte la brigata "Piemonte", composta di Siciliani, e numerosi battaglioni alpini, fra 1' imperversare di violenti temporali, s'impadronì del Passo dell'Agnella e di buona parte del Monte Ortigara, ad oriente di Cima Undici. Le irruzioni condotte con grande violenza ci fruttarono un mezzo migliaio circa di prigionieri.

"Il giorno 11 giugno le operazioni furono ostacolate dalle avverse condizioni atmosferiche. Saltuaria attività delle artiglierie e qualche scontro di pattuglie in ricognizione il giorno dopo.
La notte del 13, il nemico tentò di sorprendere le posizioni da noi recentemente occupate sul Monte Ortigara. Sventata la sorpresa dalle nostre vigili truppe, l'avversario attaccò con forze considerevoli ed estrema violenza, ma la salda resistenza dei difensori lo ricacciò in disordine infliggendogli perdite ingenti.

"Il 15 giugno, ad oriente del massiccio dell'Adamello reparti del battaglione alpino "Val Baltea" e di sciatori, superando grandi difficoltà di terreno e l'accanita resistenza avversaria, attaccarono la forte posizione di Corno di Cavento (3400 metri). La posizione fu espugnata. Caddero in nostra mano i resti del presidio nemico, due cannoni da 75, una bombarda, 4 mitragliatrici e grossi depositi di viveri e munizioni.
"Su tutto il fronte dell'altopiano di Asiago, il nemico mantenne molto vivo il tiro della propria artiglieria. Tentativi di pattuglie verso le nostre posizioni dello Zebio furono respinti.
Sul1'Ortigara le nostre posizioni di quota 2101 vennero all'alba del 15 nuovamente attaccate con estrema violenza. Dalle 2.30 in poi, il nemico, impegnando nella lotta sempre nuovi reparti, moltiplicò i suoi sforzi. Si infransero tutti contro la resistenza dei nostri che inflissero all'avversario gravissime perdite e lo ributtarono completamente.

"Dal 16 al 18 giugno varia attività delle artiglierie e delle pattuglie sul fronte Tridentino e tentativi nemici di attacchi delle nostre posizioni di Monte Mosciagh e del Piccolo Colbricon. Il 19, con violenta azione offensiva danneggiammo in molti punti le difese nemiche, compiendo progressi su alcuni tratti del fronte, infliggendo al nemico perdite gravissime.
Le valorose truppe della 52- divisione, vinta l'accanitissima resistenza e superate enormi difficoltà di terreno, strapparono al nemico formidabili posizioni in regione di Monte Ortigara, compresa la vetta (quota 2105). Furono catturati 936 prigionieri, di cui 74 ufficiali.

"La sera del 20 giugno, nel settore di Val Costeana, sotto la colletta del Piccolo Lagazuoi fecero brillare una potente mina. L'esplosione sconvolse la sovrastante posizione nemica, distruggendone il presidio; quindi, appoggiati dal nostro fuoco d'artiglieria, gli alpini con ardito slancio conquistarono la cima di quota 2668.
Nei quattro giorni successivi, fuoco d'artiglieria di varia intensità, scontri di reparti in ricognizione sul Tonale e in Val Posina e attacchi nemici respinti nella zona del monte Settsass (alto Rio di Andraz) e nella Valle di Bacher (Sexten). Ma nella notte del 25 il nemico attaccò con inaudita violenza le nostre posizioni sull'Ortigara, che sconvolte da un uragano di fuoco, da insostenibili gas asfissianti e abbondanti getti dei lanciafiamme avversari, dovettero dopo fiera resistenza, essere abbandonati dai nostri.

"Nella notte del 29 giugno, sull'altopiano d'Asiago, di fronte al prolungarsi del violento bombardamento avversario, i nostri posti avanzati di fanteria dovettero ritirarsi dal Passo dell'Agnella, mantenendosi sul fianco orientale del passo stesso".

Quali furono le cause dell'insuccesso di quest'offensiva di giugno sull'Altopiano di Asiago?
scriverà in seguito il generale Segato:

"Anzitutto mancò la sorpresa. Per mantenere il segreto su quest'operazione, si era stabilito di indicarla con la denominazione convenzionale di "azione K". Il nemico n'aveva però avuto sentore, e più volte dalle sue trincee ci aveva chiesto, a grande voce o esponendo cartelli: "Quando farete l'"azione K"?

"Vi contribuirono le avverse condizioni meteorologiche, per cui gli effetti del tiro delle artiglierie e delle bombarde contro i reticolati e le trincee nemiche furono scarsi; vi possono avere contribuito errori di condotta, errori del resto che mai non mancano, anche nelle operazioni più fortunate; ma le principali cause dell'insuccesso sono da ricercarsi nel diminuito spirito combattivo delle nostre truppe, e nel carattere frontale, che, nonostante il razionale ordine di operazione del Comando d'Armata, finì con il subire l'attacco".

Il Comando Supremo aveva concepito e cominciato a preparare un'offensiva nella zona del Pasubio con lo scopo d'allargarne l'occupazione possibilmente fino a Col Santo, ma, in seguito al suddetto insuccesso sull'altopiano di Asiago, vi rinunciò.

Dal tenore del "rapporti del Comando Supremo" - che leggeremo sotto- le "principali cause dell'insuccesso che sono da ricercarsi nel diminuito spirito combattivo", non compaiono proprio; soprattutto quando si dice in fondo che "le nostre valorose fanterie, lottarono instancabili per 18 giorni, senza tregua, senza ristoro…", e che "...dagli zappatori fino all'ultimo fante…rivaleggiarono in bravura".

Sappiamo invece che il 15 giugno ci fu un grave episodio di ammutinamento con protagonisti i soldati della brigata "Catanzaro", alle dirette dipendenze della III Armata comandata da Emanuele Filiberto duca d'Aosta. Un altro ammutinamento era già avvenuto in marzo fra i soldati della Brigata "Ravenna". E vari episodi di diserzione e di insubordinazione furono frequenti nel corso dell'anno, nonostante le minacciose circolari di Cadorna, che ligio all'ubbidienza assoluta, abitualmente le designa tutte ribellioni, istigate dai "disfattisti", che poi erano non solo i socialisti ma tutti coloro che esprimevano il proprio dissenso verso quella guerra e verso tutte le guerre.
Il fenomeno non era solo italiano, stava avvenendo in Russia, e ben presto si verificherà anche nelle file degli stessi austriaci e tedeschi, quando ci furono i primi segnali di una crisi, non bellica, ma politica e perfino negli alti comandi.
Non solo Cadorna, ma nessun comando dei vari eserciti riuscì ad adattarsi alla nuova situazione di guerra. Una guerra che non era più simile a quelle dell'800.

In Italia le motivazioni di questo morale basso, oltre al logoramento e agli orrori di una guerra che entrava nel suo terzo anno, erano che certi ideali nazionali (del Risorgimento - tanto cari agli anziani alti ufficiali, soprattutto piemontesi) erano piuttosto rari in mezzo a quella massa di fanti contadini di cui la metà proveniva dal meridione. Trento e Trieste, per un siciliano o un calabrese non avevano lo stesso significato che aveva per un settentrionale. Ma c'è da dire che anche i soldati proveniente dalle fiorenti pianure e valli settentrionali, dopo dieci battaglie e quasi 400.000 morti, iniziarono ad avere dei dubbi se valesse la pena di combattere per le distese desolate e rocciose del Carso e della Baisizza.

Una situazione, come vedremo, che poi mutò improvvisamente quando l'Italia dopo Caporetto, aveva perso una buona parte del Veneto e stava pure rischiando di perderlo del tutto; forse fino al fatidico Mincio. Mutò la situazione e mutò anche il soldato italiano, e per fortuna cambiò anche la strategia dell'alto comando.
Ma restiamo a questa primavera, che ha portato con sé un risultato che solo apparentemente sembra positivo.

LA RELAZIONE DEL COMANDO SUPREMO

Riportiamo come documento, la Relazione del Comando Supremo Italiano
sulla campagna offensiva della primavera del 1917


"Il lungo periodo di sosta, imposto alle operazioni dall'inverno, sosta che si protrasse per l'inclemenza della stagione fino a tutto aprile, fu tuttavia per l'esercito un periodo di feconda preparazione. Con l'assiduo sostegno del Governo, con il fervido concorso di tutte le energie del Paese, le supreme autorità militari intesero attivamente di dare il massimo svolgimento all'organizzazione dell'esercito, ampliandone e rafforzandone i quadri. I servizi logistici furono perfezionati e fu assicurata una produzione incessante di materiali bellici di ogni sorta, adattando ai nuovi ritrovati della scienza militare le forme di guerra già in uso. Nuovi reggimenti furono creati e raccolti in grandi unità, organicamente complete di servizi e mezzi ausiliari. Poderose artiglierie furono fuse e distribuite. Il numero delle mitragliatrici fu largamente accresciuto. Nello stesso tempo, l'intensificata produzione delle munizioni e degli esplosivi permise di costruire grandi dotazioni ed abbondanti riserve, indispensabili per poter condurre in porto qualsiasi poderosa azione offensiva e per potere con sicurezza guardare alla eventualità di dover opporre tenaci difese a violente e insistenti offensive dell'avversario.

"Forte impulso fu dato all'aviazione per poter disporre di apparecchi sempre più numerosi e potenti, tali da offrire alla nuova arma, così brillantemente affermatasi, ampia capacità di offesa e sempre maggior facilità nella esplorazione delle line nemiche. Così, con queste forme di attività, diverse ma armonicamente coordinate ad un fine unico, il nostro esercito, agguerrito dall'esperienza, e confortato dai risultati del passato, venne preparandosi ad affrontare la terza primavera di guerra.
Il Comando Supremo italiano, che già sul finire dell'inverno, di fronte a un grandioso concentramento di mezzi austro-tedeschi sul fronte tridentino, indice sicuro di una presunta grande azione offensiva del nemico, aveva preso tutte le misure per fronteggiare la situazione, ed aveva potuto rivolgere al Paese coscienti parole di fiducia e di forza. Nella prima decade d'aprile, vedendo rallentati i preparativi nemici, decise risolutamente di prendere 1' iniziativa delle operazioni. Il concetto del Comando Supremo per l'offensiva di primavera era il seguente: impegnare prima il nemico su tutto il fronte da Tolmino al mare con un'intensa azione d'artiglieria che lo tenesse sospeso e incerto circa la vera direzione degli attacchi decisivi; assalirlo quindi alla sua destra a settentrione di Gorizia; poi, in un secondo tempo, vibrargli un colpo sul Carso.
Sul fronte tridentino un poderoso schieramento di forze e di artiglierie dava sicuro affidamento di poter fronteggiare un attacco del nemico, qualora i preparativi interrotti della sua offensiva fossero stati ripresi.

"
La prima fase dell'azione, che aveva per obiettivo le alture sulla sinistra dell'Isonzo da Globna alla stretta di Salcano, fu affidata al Comando dell'Armata di Gorizia. Questa operazione avrebbe dovuto compiersi con un poderoso attacco frontale di detto massiccio montano appoggiato sulla destra da una risoluta puntata sulle colline goriziane e mascherato sulla sinistra da un'azione dimostrativa, con passaggio dell'Isonzo fra Loga e Bodrez, a minaccia diretta dal tergo delle posizioni avversarie sull'altopiano di Santo Spirito. Un'energica azione dimostrativa della sinistra della III Armata, sul margine settentrionale del Carso, doveva concorrere al successo.

"Le operazioni cominciarono il 12 maggio con un'accurata preparazione di artiglieria. Il fuoco raggiunse la massima intensità e violenza nella mattina del 14. Su mezzogiorno le nostre fanterie iniziarono da Plava e da Gorizia la loro avanzata. Di primo slancio fu conquistata dalla brigata Udine (95° e 96° reggimenti) la quota 383 ad est di Plava (Poggio Montanari), mentre la brigata "Firenze" (127° e 128° reggimenti) sfidando con valore un terribile fuoco d'interdizione, riusciva a raggiungere lo sperone di quota 535 sul Cucco. Nel tempo stesso la brigata "Avellino" 231° e 232° reggimenti), superato con impeto irresistibile lo sbarramento di Zagora, occupava parzialmente i fortini di Zagomila; il 230° fanteria (brigata "Campobasso"), risalendo le pendici del Monte Santo, penetrava alla sera nel Convento, e, ad oriente di Gorizia, la brigata "Messina" (93° e 94° reggimenti) conquistava la munita altura di quota 174 a nord di Tivoli.
Sui rimanenti tratti del fronte, la pressione si esercitò fortissima, ma incontrò ovunque la tenace resistenza nemica che obbligò le nostre truppe ad impegnarsi in vivaci lotte. Nella notte del 15, un trinceramento di 2 battaglioni (37° bersaglieri e alpini "Cervico") e reparti ausiliari, sorprendendo completamente l'avversario, forzava il passaggio sull'Isonzo fra Loga e Bodrez, sistemandosi in un'improvvisata piccola testa di ponte sulla sinistra del fiume.

"All'alba del 15 giugno, l'attacco delle alture era ripreso con rinnovato furore. Si raggiungeva cosi la vetta 611 del Cucco e la quota 524 del Vodice, resistendo ai violentissimi contrattacchi del nemico, che inutilmente si accaniva contro l'altura di quota 174.
Sul Monte Santo, la nostra occupazione non potendo affermarsi, si dovette riportare la nostra linea sotto la vetta. I successivi giorni, fino al 22 giugno, possono chiamarsi di assestamento e completamento delle conquiste iniziate il 14 ed il 15. Furono giornate di combattimenti di violenza inaudita ma anche di gloria imperitura per le nostre truppe. Sotto veri uragani di fuoco, respinti innumerevoli contrattacchi, le posizioni raggiunte furono ampliate e difese; i successi aumentarono con l'occupazione delle alture di quota 363 (est di Plava) delle località di Globna e Palliova, e con il sicuro possesso dell'intero dosso montuoso che, culminando sul Monte Cucco, supera 1'Isonzo dal profondo vallone che si stacca di fronte ad Anhowo. Qualche vantaggio fu conseguito sulla collina di quota 126 di Grazigna (oriente di Gorizia). La testa di ponte di Bodrez, adempiuta la sua funzione dimostrativa, fu abbandonata il giorno 18; ed il ripiegamento così come l'occupazione, poté compiersi di sorpresa per l'avversario, sebbene questo, allarmato, avesse già spostato contro il nostro debole distaccamento numerosi battaglioni.

"Contemporaneamente alle azioni sulle alture dell'Isonzo si era svolta più a sud, lungo il margine settentrionale del Carso, l'azione dimostrativa affidata a reparti della III Armata. Per vari giorni consecutivi il nemico fu impegnato e le nostre truppe conseguirono anzi qualche progresso temporaneo a nord-est del Dosso Faiti e sulla quota 126 a sud del Vippacco. Nel loro complesso queste giornate ci assicurarono il possesso della maggior parte del baluardo roccioso di Monte Cucco e Monte Santo oltre 1'Isonzo, e ci consentirono di portare le nostre linee dalla quota 363 per il versante del Monte Cucco 611, per le quote 592 e 652 di Vodice, sulla sella di quota 503 e da qui sulle, pendici ovest di Monte Santo fino all'antica linea fronteggiante sull'Isonzo lo sperone di San Valentino. 7113 prigionieri, dei quali 163 ufficiali, 18 cannoni, numerosissimi lanciabombe e mitragliatrici, immensa copia di materiale suggellavano il successo di questa prima tappa offensiva.

"Appena delineatosi il nostro attacco sulle alture di sinistra dell'Isonzo l'avversario tentava di compiere una complessa azione diversiva o di alleggerimento sul fronte Tridentino, per stornare la nostra attenzione. Tale azione si esplicò intensa nei giorni dal 19 al 22 maggio, con violentissimi concentramenti di fuoco, sulle nostre posizioni a cavallo della Valsugana e sull'altopiano di Asiago e con vari tentativi d'irruzione compiuti dalle fanterie nemiche ad ovest del Garda ed in Val d'Adige. Nella notte del 21 fu assalito in forze il Dente del Pasubio, ma l'attacco fu respinto con perdite gravi. Altro furioso attacco fu portato il giorno 22 con ingenti forze contro le nostre posizioni del Piccolo Colbricon in Val di Travignolo. Esso, dopo qualche successo iniziale, finì in uno scacco completo per l'avversario che dovette abbandonare in nostre mani parecchie decine di prigionieri e lasciare varie centinaia di morti davanti alle nostre difese. I tentativi dell'avversario intesi ad attirare la nostra attenzione sul fronte tridentino non avevano avuto altro effetto che di procurargli nuove perdite senza riuscire a modificare la decisione del Comando Supremo, il quale, appena completati i preparativi, ordinava fosse iniziata sul Carso la seconda fase dell'azione.

"Dalle ore 6 alle ore 16 del giorno 23, tutte le artiglierie della III Armata batterono con inaudita violenza le posizioni avversarie già sconvolte dai precedenti bombardamenti e sempre tenute sotto tiro perché non fossero ripristinate. Alle 16 le fanterie balzarono all'attacco. All'ala sinistra, conforme al piano del Comando, l'azione per quanto doveva essere solo dimostrativa, fu condotta con molta decisione e con molta bravura, ed il non facile compito fu assolto impegnando il nemico ad est del Monte Vucognacco, sulle alture di quote 378 e 363 e intorno a Costagnevizza.
Il centro e la destra da Costagnevizza al mare superarono risolutamente i trinceramenti nemici antistanti alle nostre linee, dilagando con la brigata "Bologna" (39° e 40° reggimenti) nella zona a sud della strada tra Castagnevizza e Boscomalo, ed aggirarono quest'ultima località da sud-ovest, oltrepassarono Lucati e si impadronirono di Iamiano, delle alture di quota 92,
quota 97, quota 77, quota 58, dei Bagni ad oriente delle Officine di Adria e dell'altura di quota 21.

"Parteciparono alla battaglia 190 velivoli, compreso un gruppo di idrovolanti della R. Marina. Il nemico, che all'inizio aveva risposto piuttosto fiaccamente al nostro tiro di distruzione, riservandosi tutta la potenzialità del suo tiro per arrestare l'attacco delle fanterie, sorpreso dal rapido irrompere di queste, manifestò verso sera violenta reazione con insistenti contrassalti e intensi bombardamenti; ma ormai la vittoria era nostra, ed oltre 9000 prigionieri, di cui circa 300 ufficiali, ne attestavano l'entità.
La battaglia si era riaccesa cruenta all'alba del successivo 24 giugno, prolungata sul mare da due monitori che battevano le posizioni litoranee dell'avversario. La sinistra della III Armata seguitò a far da perno, premendo potentemente sull'avversario e contenendo i suoi contrassalti con la brigata "Barletta" (137° e 138° reggimenti), mentre il centro proseguì nell'operazione di isolamento e conquista del saliente di Boscomalo, riuscendo con la brigata "Padova" (117° e 118° fanteria) e "Mantova" (113° 114° reggimenti) a raggiungere le pendici delle alture di quota 235 e 241 della regione di Fornaza e a spingersi verso la quota 219 a nord-est di Komorje. La destra - brigata "Bergamo" (25° e 26° reggimenti), "Toscana" (77° e 78° reggimenti, "Arezzo" (225° e 226° reggimento) e 2° di bersaglieri (7° e 11° reggimento) - proseguendo l'attacco frontale brillantemente iniziato il giorno precedente, raggiungeva e serrava dappresso la linea avversaria di Flondar. Nel successivo 25, mentre l'ala sinistra, assolvendo il suo compito, provocava viva reazione di fuoco di sbarramento avversario, riusciva anche a conquistare qualche elemento di trincea nemica in direzione di Castagnevizza. Il centro completava la conquista del saliente di Boscomalo e raggiungeva quasi la linea quota 202 a sud-est di Boscomalo, quota 231 a sud di Castagnevizza, e la destra (VII Corpo d'Armata) sfondava la linea di Flondar all'incirca a sud della strada Iamiano Brestovizza e spingeva reparti sulle alture fra Flondar-Medeazza e San Giovanni.

"I tentativi del nemico per arrestare l'avanzata furono in questa giornata ed in quella successiva disperati; tiro violentissimo, contrattacchi in massa senza riguardo a perdite, aeroplani lanciati al bombardamento a bassa quota, ma la nostra avanzata procedette irresistibile e si affermò. Il 26, mentre l'ala sinistra portata dal proprio slancio oltre il mandato ricevuto si manteneva per qualche tempo al di là del paese di Costagnevizza, il centro completava l'occupazione dell'altura di quota 241 e progrediva su quota 219; la destra avanzava sulle colline ad occidente di Medeazza, raggiungendo le foci del Timavo.
Il giorno 27 la lotta si attenuò all'ala sinistra; al centro riuscimmo ancora a progredire, completando l'occupazione di quota 219 di Fornaza, mentre la destra occupava le trincee ad est di Komarje e l'abitato di San Giovanni. Il giorno 28, reparti della 45a divisione, all'estrema ala destra, si spingevano oltre il Timavo fino sull'altura di quota 28, dove però non poterono sostenersi. Nelle successive giornate sino al 31 si procedé all'ampliamento e rettifica delle posizioni conquistate ed al loro rafforzamento sotto la protezione del tiro d'artiglieria diretto a neutralizzare potenti concentramenti di fuoco avversario.

"Mentre la nostra manovra si delineava sul Carso e l'azione si manifestava poderosa, l'avversario tentava con ogni mezzo di distrarre le nostre forze e far diminuire la pressione da quella parte, moltiplicando i suoi contrattacchi sulle posizioni di sinistra dell'Isonzo, tenute dal valoroso II Corpo d'Armata, che le aveva conquistate nella prima fase della battaglia. I suoi sforzi puntarono soprattutto sul Vodice, sia per tentare di riprenderlo a giustificazione del silenzio ufficiale austriaco sulla sua caduta, sia per la particolare relazione tra quell'altura e quella del Monte Santo. Agli attacchi avversari corrispose da parte delle nostre truppe altrettanto slancio, poiché, così per concorrere all'azione del Carso, come per necessità di sistemare la propria occupazione, impegnarono esse stesse fra il 23 e il 27 una serie di combattimenti, taluni assai accaniti, nella regione di quota 363-Vodke-Monte Santo-quota 126 falde del San Marco. Per il suo effetto la nostra situazione fu migliorata sensibilmente sulle falde della quota 363 e sul versante orientale del Vodice e abbastanza sulla falda nord di Monte San Marco (regione di quota 174 est-Casa Due Pini-Dosso del Palo).

"Tra i combattimenti più furiosi di questi giorni, vanno ricordati gli attacchi del giorno 24 alle nostre linee della quota 353 di Plava al Vodice, a Tivoli, a Grazigna, al Faiti; del 25 ancora alla quota 174 di Tivoli e sul Vodice; del 26 alla testata del Vallone di Palliova; del 27 sulla quota 126 ad est di Grazigna.
II giorno 28, impiegando forze ingenti, il nemico riuscì a raggiungere, ma fu subito ricacciato, la sommità del Vodice. Lo stesso giorno assalì ancora e sempre le quote 126 e 174 ad oriente di Gorizia; il 29 ed il 31 tre consecutivi attacchi sul Vodice furono respinti dalla valorosa 53a divisione. L'insistenza di tali attacchi, le considerevoli forze impegnate dall'avversario, 1'intenso movimento di truppe segnalato nelle retrovie attestano quale possente richiamo abbia esercitato sul nemico la manovra della nostra Armata di Gorizia, riuscendo a favorire le operazioni che si svolgevano sul Carso.

"I risultati tangibili della seconda fase della battaglia furono 16.568 prigionieri, di cui 441 ufficiali, 20 cannoni, numerosissime mitragliatrici e bombarde. La nostra linea da Castagnevizza al mare fu portata avanti da 1 a 4 chilometri: una formidabile tenaglia che il nemico ci opponeva sul Carso fu distrutta, una terribile cerchia di trinceramenti ed armi che teneva confitta al suolo la nostra ala destra fu conquistata, lasciando un più largo respiro per le operazioni future.
Il numero totale dei prigionieri fatto dal 14 al 18 maggio ascese a 23681, di cui 604 ufficiali, 38 cannoni, dei quali 13 di medio calibro, 148 mitragliatrici e 27 bombarde oltre rilevante quantità di fucili e di materiale.

" È fuori dubbio che l'avversario, in previsione della nostra offensiva o nell'intenzione di tentarne una egli stesso, aveva tratto frutto dalla situazione creatasi a suo vantaggio sul fronte russo, ordinando un concentramento di mezzi dietro le proprie linee ad est dell'Isonzo. Della presenza di nuove artiglierie avevamo avuto prova tangibile durante la nostra offensiva. Giunti troppo tardi o troppo limitati i rinforzi per lanciarli ad arrestarci, l'avversario pensò di impiegarli per contrattaccarci e toglierci in un secondo tempo i vantaggi conseguiti, sfruttando la conoscenza del terreno e la certezza che le nostre difese non avevano ancora potuto raggiungere la necessaria efficienza. Il poderoso sforzo che l'avversario intendeva fare sul Carso fu preceduto da azioni dimostrative condotte con molta intensità; già il l° giugno, mentre un violento fuoco di distruzione si abbatteva sul Faiti, attacchi di fanteria si andavano manifestando verso le quote 174 di Tivoli, 126 di Grazigna e 652 di Vodice. Il giorno 2 il bombardamento del Faiti crebbe di violenza e il 3 s'intensificò estendendosi su tutto il fronte da Monte San Marco a Flondar. La nostra artiglieria controbatté efficacemente quella avversaria e riuscì a contenere l'avanzata delle fanterie.
Il giorno 4 giugno l'avversario sferrò la sua azione che si svolse dal San Marco al mare e durò ininterrotta per tre giorni. Furono tre giorni di lotta intensa sostenuta dalle nostre truppe in difficili condizioni, su posizioni ancora sconvolte dalle azioni precedenti, oppure recentemente conquistate e non ancora organizzate sufficientemente a difesa. L'urto avversario riuscì ad avere dapprima qualche risultato temporaneo sulla nostra sinistra; fu saldamente sostenuto e violentemente respinto al centro; prima faticosamente contenuto, poi nettamente arrestato sulla destra.

" L'azione s'intreccia con una infinità di episodi. L'avversario batteva col fuoco e premeva con le fanterie su tutto il fronte cercando ovunque di dilagare: ovunque le nostre truppe l'arginavano. Nella notte del 4 furono violentemente attaccate le nostre nuove occupazioni sulle pendici del Monte San Marco ed il nemico riuscì a mettervi piede. Un violento, contrattacco lo scacciò subito dopo. Sulle difese sconvolte e sui ripari spianati del Dosso Faiti l'avversario penetrò all'alba del 4 giugno, ma reparti della brigata "Tevere" (215° e 216° battaglione) e del 251° battaglione (brigata "Massa Carrara"), con un violento contrattacco che durò una giornata, riuscirono a ricacciarlo la sera stessa.
Le posizioni tra Versic e Iamiano sono state testimoni di una lotta epica di violenza senza precedenti, di bravura meritevole di ogni lode. Le truppe della 61a- divisione, le magnifiche fanterie delle brigate "Granatieri di Sardegna" (1° e 2° reggimenti), "Siena" (31° e 32° reggimenti) e "Bari" (139° e 140° reggimenti) con frequenti corpo a corpo, con continui centrattacchi, con difesa ostinata sono riuscite ad avere ragione dell'avversario che, decimato, ha dovuto desistere dall'attacco. Queste posizioni, il vero cardine della linea raggiunta con la recente offensiva dell'altopiano carsico, questi baluardi improvvisati contro i quali si è infranta, ondata su ondata, la furiosa marea nemica, sono restati saldamente in nostra mano.

"Alla destra, a sud di Iamiano, la nostra linea si era arrestata là dove i nostri reparti spinti più avanti avevano dovuto sostare: noi in condizioni tattiche poco vantaggiose, ed il breve tempo passato tra la nostra offensiva e l'azione nemica non ci aveva consentito di modificare tali condizioni a nostro vantaggio. Fu perciò necessario ripiegarla più indietro, per non sottostare ulteriormente agli effetti distruttori dell'artiglieria avversaria. Il tratto di terreno da noi sgombrato, una striscia da 200 a 800 metri per una lunghezza di poco più di 2 chilometri è l'unico vantaggio conseguito da quella che nell'intenzione dell'avversario doveva essere la rivincita all'offensiva subita nella seconda quindicina di maggio. Altri 585 prigionieri, tra i quali 30 ufficiali, rimanevano nelle nostre mani nel corso di questi combattimenti difensivi.

"I risultati positivi di questa nostra offensiva di primavera, assai notevoli, come si è detto, per gli obiettivi tattici raggiunti, non furono meno importanti per il danno inflitto al nemico. Oltre ai 24.260 prigionieri (di quali 634 ufficiali), si calcola che almeno 100.000 uomini siano stati messi fuori combattimento. Nessun ostacolo, nessuna forza, trattenne o fece esitare le nostre valorose fanterie, le quali lottarono instancabili per 18 giorni, senza tregua, senza ristoro, su terreni aspri, nell'arsura dei calori quasi estivi, impetuosamente assalendo, tenacemente difendendosi. Efficacissima sempre la fraterna cooperazione dell'artiglieria d'assedio, da campagna, da montagna: talune batterie da campagna non esitarono a portarsi sulla linea di fuoco.
Validissimo concorso prestarono dieci batterie di medio calibro dell'esercito inglese e le artiglierie della R. Marina. Le batterie di bombarde e le compagnie di mitragliatrici si distinsero singolarmente, per valore di uomini e per esattezza, di fuoco, le prime distruggendo reticolati e trinceramenti nemici, le seconde accompagnando i fucilieri all'assalto o difendendo strenuamente posizioni assalite.
Se la cavalleria non trovò 1'impiego tattico suo particolare, essa concorse ampiamente, con ufficiali e con soldati, alla costituzione di batterie di bombarde e delle compagnie di mitragliatrici, dando un largo tributo di sangue. Prezioso il concorso degli aviatori prodigatisi senza risparmio, instancabili, con ardire senza pari, nella ricognizione e nell'offesa. Tutte le specialità con l'arma del genio si distinsero, rinnovando antichi e recenti fasti, nel lavorare con freddo coraggio sotto il fuoco nemico, nel combattere anche, quando occorse, accanto alla fanteria. Zappatori, telegrafisti, pontieri, minatori, ferrovieri, aereostieri, teleferisti rivaleggiarono in bravura. In modo eccellente funzionarono tutti i servizi: di Sanità, di Croce Rossa, del S.O.M. di Malta, di sussistenza e di commissariato, automobilistici e ferroviari.

"L'avversario non aveva avuto tempo di rimettersi dalla formidabile scossa subita sull'Isonzo, che già la nostra energia l'obbligava a correre ai ripari sull'altopiano d'Asiago. Bombardamenti intensi e ardite puntate di fanteria, si susseguivano qui, obbligando l'avversario, nonostante il vantaggio delle sue posizioni difensive, quasi dovunque dominanti le nostre, a spostare e a raggruppare di continuo le sue truppe sui vari punti minacciati ed infliggendogli su tutto il fronte una serie di colpi che, a quanto risulta da sicure informazioni, hanno logorato le sue forze e scossa la sua capacità i resistenza.
Nel tratto più settentrionale, dalla valorosa 52a divisione con i suoi raggruppamenti alpini, reparti bersaglieri e fanti della brigata "Piemonte" (3° e 4° reggimenti), in stretta cooperazione di tutte le artiglierie di ogni specie, venivano gradatamente conquistati e mantenuti contro innumerevoli contrattacchi, il Passo dell'Agnella e il massiccio dell'Ortigara che con la sua vetta più elevata raggiunge i 2105 metri d'altitudine (10-19 giugno).

" Complessivamente furono catturati circa 1500 prigionieri, di cui 85 ufficiali.
Accanto a queste operazioni d'importanza strategica, su vari tratti del fronte si sono avute molte altre azioni tattiche minori che costituiscono il miglior indice dell'attività bellica e dell'alto spirito offensivo delle nostre truppe e della loro attitudine a vincere le difficoltà della guerra di montagna, che richiede, oltre a qualità militari di prim'ordine, un'enorme somma di lavoro paziente e faticoso. Così con felici opere di mine riuscivamo ad ampliare la nostra occupazione sul Colbricon e a contenderne la conquista agli instancabili contrattacchi nemici (13, 14, e 18 aprile); così, il 22 aprile, veniva ripreso al nemico, catturandovi la più gran parte del presidio, un posto presso il rifugio delle Tre Cime Lavaredo (Drei Zinnen Hutte), alle testata della Rienza. Nella notte del 23 aprile, mentre tentativi nemici d'irruzione venivano frustrati sulla Zugna (Val l'Adige), nelle zone di Campovedil (alto Cordevole) e di Gabriè (ovest di Tolmino), un nostro reparto occupava di sorpresa un posto avanzato austriaco presso Costagnevizza, catturandone i difensori.
Una grandiosa mina fatta brillare dal nemico sul Piccolo Lagazuoi (Rio Costeana), la notte sul 23 maggio, provocò un'enorme frana, ma non scosse a resistenza dei nostri e recò lievissimi danni subito riparati. Dal canto nostro, la notte del 22 giugno, facemmo brillare una potente mina sotto le posizioni nemiche della Cima 2668, sull'orlo meridionale del Piccolo Lagazuoi, distruggendo 1'intero presidio avversario e riuscendo poi ad occupare stabilmente la cima stessa.
Con arditissime scalate, nella seconda metà di maggio e nella prima di giugno, nuclei di alpini occupavano parecchi punti dominanti alla testata della Val Zebrù (gruppo Ortles) e il 15 giugno, con il concorso di reparti sciatori, prendevano d'assalto tra le vedrette dell'Adamello, il Corno di Cavento, caposaldo delle difese austriache di Val Fumo e di Val di Genova.

"Validissimo fu in questo periodo di operazioni offensive il concorso prestato dai nostri aviatori, che con brillanti combattimenti aerei preclusero sempre le vie dei nostri cieli agli stormi dei velivoli nemici, cercarono e scoprirono con paziente e continua osservazione sulle linee dell'avversario le sue opere di offesa e le bombardarono poi con successo. 35 velivoli nemici soccombettero in duelli aereo o furono abbattuti dal fuoco delle nostre batterie. Sulle linee ferroviarie dell'avversario, sui suoi centri di raccolta di Opicina, San Daniele della Branizza, Rifenberga, Volcia Draga, Santa Lucia di Tolmino, in Val Brenta, sugli altipiani e in Val d'Adige furono più volte rovesciate ingenti quantità di alti esplosivi. La Valle del Vippacco, densa di truppe nemiche ammassate e di baraccamenti, percorsa da convogli e da artiglierie, nel periodo precedente all'azione di maggio, fu notte e giorno bombardata dalle nostre aeronavi e altri velivoli con efficaci risultati.
Il 23 maggio, sulle linee nemiche di Medeazza e Flondar, e il 19 giugno durante il combattimento nella zona del Monte Ortigara, s'impegnarono vere e proprie battaglie aeree, preceduti dagli apparecchi da ricognizione che individuavano le batterie nemiche costrette a smascherarsi, o i grossi velivoli da bombardamento riuniti nei campi; fra il tempestare del fuoco nemico, i n ostri aerei rovesciarono grandi quantità di esplosivo sulle truppe avversarie, calandosi anche a bassissima quota per mitragliarle.
Intorno a tali poderosi nuclei, sempre rinnovandosi in successivi scaglioni, gli apparecchi da caccia respingevano gli stormi dei velivoli nemici intenzionati andare alla riscossa".

Questa prima offensiva italiana -che si è conclusa con modesti risultati e con molte perdite umane- la riprenderemo più avanti, in agosto (11a battaglia dell'Isonzo) nel capitolo "l'infausta conquista della Bainsizza". Altri 165.000 uomini fra morti e feriti, senza alcun risultato decisivo. Anzi farà persuadere l'Austria e la Germania, di lanciare una grande offensiva (il risultato sarà: Caporetto)

Prima di allora però -di questo stesso periodo dell'offensiva di Primavera- dobbiamo narrare le operazioni belliche italiane fuori d'Italia; le discussioni politiche; il rimpasto governativo di luglio; gli approcci con l'America; ed infine alcune operazioni della Marina e dell'Aviazione fino all'agosto del 1917.

Operazioni in Oriente. Le Finanze, le Missioni, la Politica

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