LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1917

L' "INFAUSTA" BATTAGLIA DELLA BAINSIZZA (1)
CADORNA SI DIFENDE

BAINSIZZA (2) - L'AVIAZIONE (GLI ASSI), LA MARINA, GLI ARDITI


L'altipiano della Bainsizza, una enorme distesa di sassi

LE RAGIONI CHE INDUSSERO IL COMANDO SUPREMO ALL'OFFENSIVA DELL'AGOSTO DEL 1917 - IL MORALE DEL PAESE E DELL'ESERCITO - LE FORZE ITALIANE IMPIEGATE NELLA BATTAGLIA DELL'AGOSTO DAL MONTE NERO AL MARE - LE FORZE NEMICHE - LA BATTAGLIA DELLA BAINSIZZA: LA POSA DEI PONTI E IL PASSAGGIO DELL'ISONZO; OCCUPAZIONE DEI FRATTA E DEL SEMMER; LA RESISTENZA AUSTRIACA A CANALE; L'AZIONE DEL XXVII E DEL IV CORPO D'ARMATA NELLA ZONA DI TOLMINO; PROGRESSI DEL II E DEL VI CORPO; L'IRRUENTE AVANZATA DEL XXIV CORPO; CONQUISTA DEI MONTI JELENIK E KOBILEK; IL RIPIEGAMENTO NEMICO; LA PRESA DEL MONTE SANTO - L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA - GLI SCARSI PROGRESSI INIZIALI - SOSPENSIONE DELL'OFFENSIVA SUL CARSO - GLI ULTIMI PROGRESSI DELLA II ARMATA SULL'ALTOPIANO DELLA BAINSIZZA
DICHIARAZIONI DEL GENERALE CADORNA

LE RAGIONI ALL'OFFENSIVA
IL MORALE DEL PAESE E DELL' ESERCITO

Torniamo ai primi giorni di agosto, quando CADORNA, dopo lo stallo della sua offensiva di Primavera, e dopo aver partecipato alla Conferenza Interalleata del 25 luglio a Parigi, dove l'Intesa aveva deciso che l'Italia doveva sferrare due nuove offensive sull'Isonzo con lo scopo di alleggerire il fronte russo, in quei giorni in difficoltà (i bolscevichi non avevano ancora assunto il potere, e il Governo provvisorio, si era impegnato a continuare la guerra con l'Intesa).

Cadorna, dopo poco più di venti giorni, già il 18 agosto, è pronto per la prima offensiva che inizia con l'ennesima battaglia dell'Isonzo (è la 11a), con obiettivo la conquista di Monte Santo e una parte dell'altopiano della Bainsizza.
Quest'offensiva è la più imponente lanciata dall'esercito italiano dall'inizio della guerra; che però dura poco più di tre settimane (si concluse il 15 settembre), senza ottenere risultati decisivi, ma molto modesti rispetto alle aspettative, costato molte vite umane (165.000 uomini fra morti e feriti), che contribuì ad abbassare ancora di più il morale delle truppe; le stesse (!) che dopo poco più di un mese saranno chiamate a sferrare (!) un'altra offensiva (o meglio dire la solita difensiva) a Caporetto.

Molti in seguito sostennero che quello di Cadorna -la Bainsizza- era un obiettivo ininfluente, e comunque non da farsi subito, che semmai bisognava utilizzare il tempo per prepararsi meglio ad un prossimo attacco degli astro-tedeschi, che dopo, quasi certa, prevista defezione della Russia, disimpegnandosi da quel fronte, stavano già concentrando le loro truppe proprio sull'Isonzo (sette divisioni tedesche accanto a otto austriache).
Su questi frettolosi preparativi, sulle critiche e sugli errori di Cadorna, riportiamo (prima ancora dei fatti in dettaglio che seguono) ciò che più tardi -dopo la disfatta di Caporetto- ebbe a dire a sua difesa, proprio CADORNA:

"Si è molto discusso dopo i dolorosi avvenimenti di Caporetto - scrive il generale Cadorna - se sia stato un bene o un male l'avere effettuato l'operazione, offensiva che ci condusse all'occupazione di buona parte dell'altopiano di Bainsizza.
Se quegli avvenimenti fossero stati felici, l'opinione sarebbe stata unanime nel giudicare l'offensiva utilissima per i notevoli risultati conseguiti e come scala a maggiori. Avendo invece, sortito un esito così infausto, molti furono naturalmente coloro che, pensarono e dissero che, senza l'offensiva della Bainsizza, l'esercito si sarebbe trovato in migliori condizioni per sostenere l'assalto austro-tedesco dell'ottobre. È pertanto opportuno qui esporre le ragioni che - nella situazione di allora - indussero il Comando Supremo ad organizzare quella potente offensiva.

1° - L'offensiva della primavera ci aveva dato degli importanti risultati, quali erano duelli della conquista del Monte Kuk e del Vodice, e di alcune posizioni sulla fronte carsica, tra le quali l'importante altura di quota 144. Ma erano risultati incompleti. La nostra situazione di fronte ad un'eventuale offensiva nemica in grande stile, rimaneva precaria con quelle due alture del Kuk e del Vodice, isolate sull'altra riva dell'Isonzo. Occorreva completare quei risultati e, acquistare buone posizioni che potessero validamente resistere a qualunque sforzo offensivo nemico, e ciò specialmente in quel tempo in cui la crisi russa poteva consentire, a più o meno prossima scadenza, agli Imperi Centrali di trasportare forze dalla fronte russa alla nostra.
Ora, l'altopiano della Bainsizza fino al Vallone di Chiapovano, la linea Trstely-Hermada, che a guisa di grandi bastioni copre il medio e basso Isonzo, e la cortina formata dalle alture dell'anfiteatro goriziano, avrebbero costituito, quando fossero cadute nelle nostre mani, una fortissima linea difensiva, appoggiata a sinistra al massiccio del Monte Nero, la più breve e la più potente linea per proteggere il fronte Giulia da qualunque minaccia. L'occupazione dell'altopiano della Bainsizza avrebbe anche avuto il grande vantaggio di togliere al nemico la disponibilità dell'importante strada d'arroccamento del Vallone di Chiapovano che, durante tutte le battaglie. dell'Isonzo, fu un'arteria vitale di resistenza del nemico, e di rigettarlo ad oriente in due tronconi, i quali non avrebbero trovato dirette comunicazioni che assai più indietro, all'altezza di Idria, per più lunghe e più difficili vie.
Anche a scopo offensivo, se si volevano raggiungere i fini della guerra, bisognava conquistare anzitutto l'altopiano di Bainsizza e la linea Trstely-Hermada. Quanto alla testa di ponte di Tolmino, difficile ad attaccare frontalmente, sarebbe caduta quando noi avessimo conquistato l'altopiano dei Lom che ci avrebbe consentito d'isolarla e di batterla di rovescio.

2° - Avevamo assunto impegni con gli Alleati fin dalla conferenza di Roma del gennaio 1917, confermati poi nei successivi colloqui con i capi di stato maggiore francese e inglese, ed ancora sanciti in conferenze a Parigi sul finire di luglio (il 25 luglio ricordato sopra - Ndr). In quel periodo i francesi, e specialmente gli inglesi, operarono a lungo e con molta pertinacia sulle rispettive fronti, e male si sarebbero acconciati alla nostra inazione, se questa fosse durata dal principio di giugno alla primavera del 1918 ed avesse permesso agli austriaci di portare forze sul loro teatro di guerra.
Anzi negli accordi di Parigi della fine di luglio, gli alleati avrebbero voluto che noi effettuassimo due grandi offensive, una nell'agosto e l'altra nell'ottobre.

A ciò non si poté consentire perché la scarsità di munizioni e di uomini di complemento non ci permetteva due grandi operazioni. Quanto alle munizioni si richiedevano almeno tre mesi per ricostituire i due milioni di colpi di medio calibro che si prevedeva di consumare in una sola offensiva. Però ad una delle offensive richieste dagli alleati non ci potevamo sottrarre; l'offensiva, anglo-francese era in preparazione; vi era la necessità d'alleggerire, per quanto possibile, il fronte russo-rumena dalla pressione nemica sempre piú minacciosa, e la speranza infine di far rallentare la spinta austro-tedesca in Galizia nella presunzione che, scemata questa, sarebbe stato più facile all'esercito russo di riorganizzarsi.
3° Finalmente contribuì alla decisione offensiva la considerazione che un periodo di completa inazione fino alla primavera del 1918 non sarebbe stato certo il più propizio per tenere elevato lo spirito combattivo delle truppe ed alimentare la resistenza morale del Paese. Chi ricorda quale fu lo spirito del paese in quell'epoca, quali contrasti, quali passioni vi si agitassero, non si meraviglierà della frase scritta il due settembre, da un ministro (Bissolati) che la vittoria (la conquista della Bainsizza - Ndr) ha salvato, per le sue ripercussioni interne, il Paese dal crollo.

A ciò si deve aggiungere la sensazione che si aveva delle cattive condizioni interne e della forte depressione degli spiriti negli Imperi Centrali, specialmente in Austria-Ungheria, sensazione che fu poi sicuramente confermata dalle rivelazioni del dopoguerra".

Nella pagina da noi citata il Cadorna accenna allo spirito del Paese e al morale dell'esercito combattente. Ora tutti sanno che l'uno e l'altro erano grandemente depressi. La guerra era terribilmente lunga e logorante e, secondo l'opinione di molti, non poteva finire che con l'esaurimento dei belligeranti, tanto i vincitori che i vinti, cioè con la rovina, che, insieme con le altre nazioni, avrebbe travolto l'Italia.
Quest'opinione, fatta propria e diffusa dai socialisti e dagli altri neutralisti, se metteva un nero scetticismo nell'anima di molti, in altri ispirava un senso di rivolta, che li stimolava se non proprio a sabotare, a non collaborare. Così cresceva il numero di coloro che facevano una lotta sorda alla guerra, specie con la propaganda disfattista, che, penetrata ed estesasi nelle file dell'esercito, aveva abbattuto in modo preoccupante il morale dei combattenti, aveva fatto aumentare la cifra dei renitenti, degli imboscati, dei disertori, dei soldati che si ammutinavano, di quelli che si arrendevano al nemico, di quelli che, andati in licenza, non tornavano più al fronte e scorrazzavano per le campagne in bande armate e, infine, di quelli, che aiutati da comitati segreti, fuggivano in Svizzera.

Cadorna si era giustamente preoccupato delle condizioni in cui il disfattismo aveva ridotto l'esercito e non aveva trascurato di informare il Governo e, particolarmente, con stile abbastanza energico e risoluto BOSELLI; ma da Roma non gli si rispondeva e lui ora confidava soltanto in una grande offensiva che, se vittoriosa, avrebbe risollevato lo spirito depresso dell'Esercito e del Paese.

CADORNA a metà agosto con quattro lettere aveva ribadito sempre le sue quasi "ossessive" tesi, che all'interno dell'esercito vi erano sobillatori, dei vili e degli incapaci; e accusava in particolare il ministro dell'interno VITTORIO EMANUELE ORLANDO di atteggiamenti benevoli nei confronti dei disfattisti.
(Dopo Caporetto, ORLANDO divenne presidente del consiglio e si prese la sua rivinvita destituendo dal comando Cadorna).

A parte i veri e propri disfattisti, i contrasti fra i capi militari, l'inasprimento della disciplina nell'esercito, il sospetto nei cattolici e i modesti risultati ottenuti dopo dieci battaglie, queste incomprensioni di Cadorna con i politici non creavano di certo il clima "psicologico" ideale per condurre una guerra così tremenda, epocale, con in gioco non solo i confini dei "cortiletti" di tre imperatori, ma vi era in gioco la perdita dell'egemonia europea nel mondo. Perfino l'Inghilterra nonostante la vittoria finale ne uscì poi ridimensionata.
Con queste prospettive, in Italia, nessun altro "Cadorna" (anche se lui era un ostinato militare "piemontese", nato nel lontano 1850) avrebbe potuto fare di meglio. Soprattutto su un terreno così ostile e, oltretutto -entrando in guerra dopo un anno- aver dato al nemico tutto il tempo per fortificarlo.

LE FORZE IT. IMPIEGATE NELLA BATTAGLIA DELL'AGOSTO
LE FORZE NEMICHE - LA BATTAGLIA DELLA BAINSIZZA: GETTATA DEI PONTI E PASSAGGIO DELL'ISONZO; OCCUPAZIONE DEL FRATTA E DEL SE~N71VIER; LA RESISTENZA AUSTRIACA A CANALE; L'AZIONE DEL XXVII E DEL IV CORPO NELLA ZONA DI TOLMINO; I PROGRESSI DEL II E DEL VI CORPO; L'IRRUENTE AVANZATA DEL XXIV CORPO; CONQUISTA DEI MONTI JELENIK E KOBILEK; IL RIPIEGAMENTO NEMICO; LA PRESA DEL MONTE SANTO

Per l'offensiva, che doveva costituire l'11a battaglia dell'Isonzo e che doveva essere fatta dalla II e dalla III Armata, la preparazione fu accuratissima sia da parte del Comando Supremo che da parte dei comandi delle due armate, specialmente della II, il cui compito era più difficile. Il Comando Supremo inoltre non lesinò nell'impiego di uomini e di artiglierie e concentrò sul fronte Giulia 53 divisioni, 2400 bocche da fuoco di grosso calibro e medio, 1200 pezzi da campagna e 1700 bombarde.
Alla II Armata furono date 26 divisioni e mezza, comprese le quattro del gruppo tattico centrale (VIII Corpo), una divisione di cavalleria, 2366 pezzi e 900 bombarde; alla III 18 divisioni, 1200 pezzi e 800 bombarde. Il Comando Supremo tenne per sé 8 divisioni come riserva.

La II ARMATA era schierata nel seguente modo: dal Rombon alla testa di ponte di Tolmino esclusa, stava il IV Corpo d'Armata del Gen. CAVACIOCCHI su tre divisioni; di fronte alla testa di ponte di Tolmino e alla parte settentrionale dell'altopiano della Bainsizza il XXVII Corpo del Gen. VANZO su 4 divisioni; di fronte alla parte centrale della Bainsizza il XXIV Corpo del Gen. CAVIGLIA su 3 divisioni; sulla sinistra dell'Isonzo, sul Kuk-Vodice e sul versante occidentale del Monte Santo il II Corpo del Gen. BADOGLIO su 3 divisioni; di fronte al Monte Santo-San Gabriele ed alla parte settentrionale delle alture goriziane il VI Corpo del Gen. GATTI su 2 divisioni; dal San Marco al Vippacco l'VIII Corpo d'Armata del Gen. RICCI ARMANI su 3 divisioni. Otto divisioni e mezza disposte su tre linee successive, di cui l'ultima tenuta dal XIV Corpo d'Armata, costituivano le riserve.

La II Armata doveva sfondare le linee austriache tra Canale e la testa di ponte di Tolmino, tenere impegnata con la sinistra del XXVII Corpo la testa di Santa Maria e di Santa Lucia e con la destra e il centro del medesimo corpo puntare sul Lom di Cenale e sul Lom di Tolmino; puntare con il XXIV Corpo d'Armata sul rovescio delle posizioni nemiche del Kuk-Jelenik e del Kobilek, che frontalmente sarebbero state attaccate dal II Corpo, la cui destra doveva, in concorso con l'azione impegnatissima del VI Corpo, far cadere per manovra il Monte Santo e il San Gabriele aggirandoli da nord.
L'VIII Corpo doveva operare a cavallo del Vippacco con azione coordinata con quella dell'XI Corpo della III Armata. Raggiunti i primi obbiettivi, con il XXVII Corpo e una divisione del IV che costituivano l'ala sinistra della II Armata, doveva esser conquistata la testa di ponte di Tolmino; col XXIV Corpo, costituente la destra, si doveva procedere alla conquista di Chiapovano; infine dal Monte Santo e dal San Gabriele si doveva puntare sul rovescio della linea di Madoni per appoggiare l'offensiva del XXIV Corpo e cercar di giungere all'altipiano di Ternova.

La III ARMATA era schierata nel modo seguente: da S. Grado di Merna alle foci del Timavo ed era costituita dall'XI Corpo d'Armata del gen. PENNELLA su 4 divisioni, dal XXV Corpo del gen. RAVAZZA su 3 divisioni, dal XXIII Corpo del gen. DIAZ su 4 divisioni, dal XIII Corpo del gen. SAILER su 4 divisioni, dal VII Corpo del gen. TETTONI di 1 divisione su 4 brigate e di un gruppo di 3 battaglioni ciclisti, dalle sette brigate del Corpo d'Armata A e dalla la divisione di cavalleria composta dei reggimenti Genova, Novara, Monferrato e Roma.
Uno degli obiettivi principali dell'offensiva della III Armata era la conquista del caposaldo nemico dell'Hermada.

Le FORZE AUSTRIACHE erano formate dall'Armata dell'Isonzo, comandata dal generale BOROEVIC, la quale risultava di 13 divisioni della forza complessiva di oltre 300.000 uomini, che aumentarono sensibilmente durante la battaglia con l'arrivo di altri soldati dal fronte tridentino e da quello russo-romeno. Schierati in prima linea erano 5 Corpi d'Armata: dal Monte Nero a Loga il XV (Scotti), da Salcano al Vippacco il XXIV (Kraliczek), dal Vippacco a Korite il XVI (Schariczec V. Reni), da Korite al mare il XXIII (Csicseric V. Bacsany).

Il fuoco d'artiglieria, cominciato il 17 agosto, prosegui il 18 con una violenza mai fino allora raggiunta, distruggendo trincee, ricoveri, camminamenti, mentre ardite pattuglie uscivano al riconoscimento dei varchi, suscitando la viva reazione del nemico, e gli aeroplani, infaticabilmente, a ondate che si susseguivano senza tregua, colpivano le batterie nemiche, bombardavano le truppe austriache ammassate sul rovescio delle linee avversarie e impedivano agli apparecchi nemici di innalzarsi dai loro campi. Il tiro degli italiani cercava anche implacabilmente le retrovie, battendo i nodi stradali, i centri di raccolta, i depositi e i comandi, e provocando incendi a Tolmino, a Palubino, a Medreje, a Santa Lucia, a Canale, a Mesniak, e nelle foreste di Ternova e dell'Hermada.

Nella notte sul 19 agosto, in condizioni difficilissime, furono gettati numerosi ponti fra Anhow e Doblar. Quanto fosse difficile quest'operazione risulta da un comunicato della Stefani di quei giorni:
"Per la natura delle rive del fiume, ripide e rocciose, per la velocità della corrente, per le difese apprestate dal nemico sulla sponda sinistra (una linea di trinceramenti profondi coronante il terrazzo scavato dalle acque e ben appoggiata e ben fiancheggiata da capisaldi sporgenti a guisa di salienti) il passaggio dell'Isonzo nel tratto tra Pod-Selo e Canale, richiedeva abilità tecniche e virtù militari di prim'ordine. Le une e le altre in verità non mancavano ai nostri soldati.

Il bollettino del 26 agosto ha reso onore al 2° e al 4° battaglione del 4° reggimento pontieri del genio e tutte le compagnie dei due battaglioni dovrebbero essere citate per l'ardimento e per la perizia con la quale portarono a termine le loro azioni. A dare un'idea di quello che i pontieri del genio hanno saputo fare giova il rapporto sulla costruzione di uno dei ponti nel tratto Bodrez-Canale da parte della 14a compagnia.

Il bollettino del 26 agosto:
"Alle 23.30 della notte del 18 agosto, gli arditi della 5a brigata bersaglieri (reggimenti 4° e 21°) erano traghettati in barca sulla sinistra del fiume per dar modo ai soldati del genio di gettare il ponte. Ma subito uno sfolgorio di razzi bianchi, rossi e verdi partiti dalle trincee austriache dava l'allarme. Due mitragliatrici incrociavano il fuoco sulla lunga fila di portatori del materiale che affluivano alla riva destra. Condurre a fine il lavoro da questa riva era impossibile. Con felice intuito il comandante la 14a compagnia ordinava che parte dei suoi pontieri passasse il fiume in barca ed iniziasse il ponte anche sulla riva sinistra così da congiungere poi questa sezione con quella costruita sulla destra. Defilati al tiro delle mitragliatrici appostate sul terrazzo suaccennato, in 30 minuti i pontieri finivano la costruzione e il 23° e il 21° battaglione zappatori del Genio, sfidando il furore delle mitragliatrici e della fucileria nemica, passavano immediatamente il fiume. All'alba del 19, orientatosi, il nemico concentrava sul ponte un violento tiro di distruzione che durava per tutta la giornata e per tutta la notte del 20. Parecchie volte il ponte fu colpito e danneggiato, altrettante volte, noncuranti delle perdite che l'artiglieria austriaca loro cagionava, i pontieri accorrevano intrepidi a riparare i danni. Fu per loro orgoglio e una grande ricompensa morale, vedere che mai sul loro ponte il transito poté essere interrotto dal fuoco nemico. Battaglioni e battaglioni sfilarono ininterrottamente su quel ponte preceduti dal 360 battaglione del 12° bersaglieri, che passò rapidissimo e ordinatissimo all'alba sotto raffiche furiose di mitragliatrici, incitato dai bravi pontieri padani; erano in gran parte dei distretti di Mantova e di Piacenza, i quali gridavano: Viva l'Italia ! Viva il 12° bersaglieri ! Il favorevole svolgimento del passaggio del fiume consentì alla 1° e 5a brigata bersaglieri la celere ardita avanzata sulla linea Fratta-Semmer che sorprese il nemico, e la mossa iniziale e fondamentale della manovra con la quale fu conquistata la maggior parte dell'altopiano di Bainsizza".

"All'alba del 19 agosto, su quasi tutto il fronte del XXIV e del II Corpo, le fanterie italiane iniziarono il passaggio dell'Isonzo e alle 9 cominciarono ovunque a prender piede stabilmente sulla sponda opposta, impadronendosi delle linee avanzate del nemico. I progressi maggiori nel primo impeto dell'avanzata furono fatti dalle truppe del XXIV Corpo d'Armata, al centro dello schieramento, e specialmente dalla 5a e dalla la brigata bersaglieri che in poco tempo investirono e travolsero le difese nemiche, del Fratta e del Semmer. Più dura e più lunga fu la resistenza nemica a Canale, ridotta a fortezza inespugnabile, che i nostri, dopo averla invano assalita di fronte, dovettero prendere d'assalto e conquistare più tardi, con un aggiramento dalla sinistra.

"Poca fortuna ebbe l'attacco del XXVII Corpo d'Armata, del quale, durante l'azione, fu poi silurato il comandante, generale VANZO, e sostituito col generale BADOGLIO. Gli scarsi progressi di queste truppe furono causati prima dalla mancanza di un proprio ponte che costrinse i soldati a servirsi con notevole ritardo del ponte del XXIV, poi dal fatto che le truppe di testa (brigata Trapani) erano attratte verso est per concorrere alla conquista del Monte Fratta. Più a sud, sul fronte del II Corpo le cose andavano meglio, ma anche qui la resistenza avversaria era accanita e le difficoltà dell'avanzare molte. Le forze che dovevano espugnare lo Jelenik erano inchiodate presso il fiume sull'una e sull'altra sponda, che non tutte si erano potute portare sulla sinistra dell'Isonzo. Lo Jelenik, importantissimo nodo della difesa, punto di allacciamento per le barriere del Na Kabil e del Kabilek, resisteva disperatamente. Per cooperare di fianco a questa azione, la sera precedente alcune truppe nostre erano avanzate, da Globina e da Palievo, verso nord, mentre durava ancora il bombardamento, ed avevano occupati i villaggi di Britof e di Descla, ridotti a un cumulo di rovine; ma oltre Descla, erano state fermate da una linea fortissima di ridotte e trincee che correvano sopra uno dei contrafforti dello Jelenik. All'ala destra il VI Corpo, che doveva svolgere azione dimostrativa, ottenne qualche vantaggio verso Grazigna; all'ala sinistra invece il IV incontrò viva e tenace resistenza nelle posizioni nemiche del Mrzli.

"Nella notte sul 20 agosto si riuscì a gettare un nuovo ponte di fronte a Canale e questo permise di far passare maggior numero di truppe alla sinistra dell'Isonzo e di riprendere con rinnovata energia l'avanzata. Il XXVII continuò, è vero, a procedere lentamente verso i Lom, che, se fossero caduti, ci avrebbero data in mano la testa di ponte di Tolmino; non molto rapida fu l'avanzata del II ostacolata dall'accanita resistenza del nemico, ma il XXIV Corpo in compenso sfondò le difese avversarie, dilagò nella conca di Vrh, sorpassò il villaggio omonimo, prese di fronte e di fianco le difese del Kuk (711), sloggiò gli austriaci dagli sbarramenti del vallone dell'Auscek, avvolse il Kuk e lo costrinse a cadere.

" La battaglia continuò accanita il 21 agosto. Ogni giorno posizioni conquistate erano punto di partenza per altre conquiste; il nemico resisteva, contrattaccava, si batteva col furore della disperazione, ma inesorabilmente, alfine, era costretto a cedere. Caddero, quel giorno, in nostro potere, per opera delle truppe del XXIV Corpo, Mesnjak e l'altura di Osseinca e furono attaccate le posizioni di Na Gradra, Leupa, la quota 856 di fronte al Kuk e lo Jelenik, mentre il II Corpo d'Armata s'impadroniva della linea nemica Bavterca-Rutarsee.
Contrattacchi furiosamente sferrati dal nemico con truppe fresche furono re spinti dai nostri durante la notte, e il 22 l'avanzata proseguì: furono conquistate le impervie balze dell'Oscedrik (m. 856) e fu da due parti investito lo Jelenik, che nelle prime ore del pomeriggio, preso in mezzo da tre colonne e attaccato, cadde in nostro potere con quasi tutto il presidio.
Poichè tra il XXVII Corpo e il XXIV, per l'impetuoso avanzare di questo, si era prodotto un distacco rilevante, a saldare le linee fu mandato il XIV Corpo, che era di riserva, al quale fu affidato il compito di puntare risolutamente su Chiapovano.

" Il 23 agosto il XXIV Corpo d'Armata spinse la 53a divisione che formava la sua destra ad avviluppare da nord il Kobilek per agevolarne la conquista al II Corpo. E il Kobilk fu preso. Perduti i suoi capisaldi, il nemico incapace di contenere la nostra irruzione, cominciò la sua ritirata, che i nostri aviatori segnalarono e le nostre squadriglie da bombardamento resero penosa e difficile. Il nemico lasciava cannoni, armi d'ogni specie, munizioni, viveri, magazzini pieni, e in lunghe colonne, portandosi dietro carri e quadrupedi, scendeva dalla Bainsizza nel Vallone di Chiapovano e risaliva sull'altipiano di Ternova.
"Il 24 agosto, per effetto della manovra che portava le nostre truppe a Slemo e permetteva, loro di affacciarsi dal Ma-Kobil sul Vallone di Chiapovano; cadeva nelle mani nostre il Monte Santo e le truppe dell'8a divisione, comandata dal valoroso generale CASCINO, vi piantavano la bandiera italiana sull'estrema quota (682). Sulla Sella di Dol si stabiliva il collegamento tra il II e il VI Corpo d'Armata. Verso le nostre retrovie affluivano i prigionieri che in quei giorni di battaglia, sul fronte soltanto della II Armata superavano i 10.000. Parecchie diecine erano i cannoni sottratti al nemico e innumerevoli le mitragliatrici e i fucili".

I progressi maggiori furono fatti al centro. Il Comando supremo che fino allora aveva, specie su questo fronte, circondato di mistero l'azione, nel suo bollettino di guerra del 26 agosto, riassumeva brevemente la battaglia e faceva nomi di località e di brigate:
"Le valorose truppe - diceva - della II Armata, gettati 14 ponti sotto il fuoco nemico, varcavano l'Isonzo nella notte sul 19 e procedevano all'attacco dell'altopiano di Bainsizza, puntando decisamente sul fronte Jelenik Vhr, aggiravano le tre linee difensive nemiche del Semmer, del Kobilek e di Madoni, poi riunitisi contemporaneamente attaccavano le stesse linee anche di fronte e le rompevano, nonostante l'ostinatissima difesa del nemico; conseguenza dell'ardita manovra la caduta di Monte Santo.
"Le truppe dell'Armata continuano ad avanzare verso il margine orientale dell'altopiano di Bainsizza, incalzando il nemico che oppone vivacissima resistenza con forti nuclei di mitragliatrici e di artiglierie leggere. Nei combattimenti dal 19 al 23 si sono fra tutti distinti per valore ed ardire: le brigate Livorno (33° e 34°), Udine (95° e 96°), Firenze (127° e 128°), Tortona (257° e 258°), Elba (261° e 262°, il 279° fanteria (brigata Vicenza), la 1a e la 5a brigata bersaglieri (reggimenti 6° e 12°, 4° e 21°), il 9° e il 13° raggruppamento bombardieri, il 2° e il 4° battaglione pontieri del genio.

"Alla sinistra però l'azione non ci fruttò quasi alcun vantaggio. Il XXVII Corpo doveva con la sinistra mantenere impegnate Santa Maria e Santa Lucia e col centro e la destra conquistare il Lom di Canale e il Lom di Tolmino, la cui presa avrebbe causato la caduta della testa di ponte; ma il compito di questo Corpo fallì. Lo stesso dicasi dell'azione del IV Corpo, che con la sua 46a divisione doveva aiutare il XXVII a conquistare la testa di ponte di Tolmino. Questa divisione ottenne, all'inizio, qualche vantaggio sul Mrzli, ma non riuscì a mantenerlo.
"Il VI Corpo, alla sinistra, doveva concorrere col XXIV e col II Corpo a far cadere per manovra il Monte Santo e il San Gabriele, ma la sua 2a divisione non riuscì a sostenersi sulla sommità di questo secondo monte che aveva già raggiunto. Maggiori vantaggi ottenne invece l'azione dell'VIII Corpo, il quale in concorso con il XI Corpo della III Armata si impadronì del saliente formato dalle trincee austriache a Raccogliano, alla confluenza della Vertoibizza nel Vippacco".

L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA
SCARSI PROGRESSI INIZIALI
SOSPENSIONE DELL'OFFENSIVA SUL CARSO
GLI ULTIMI PROGRESSI DELLA II ARMATA SULLA BAINSIZZA
DICHIARAZIONI DEL GENERALE CADORNA

Mentre si svolgeva accanita la battaglia da Monte Nero al Vippacco e le fanterie della II Armata conquistavano l'altopiano della Bainsizza, dal Faiti al mare un'altra battaglia era combattuta dalle truppe della III Armata e nel primo balzo, erano conquistate le trincee nemiche di quota 378 a sud-est del Dosso Faiti e quelle tra le quote 220, 244 e 251 a nord e a nord-est di Korite.

- diceva un comunicato del Comando Supremo -


"Sull'altopiano carsico e nella zona litoranea, sotto la poderosa pressione delle truppe della III Armata, la linea nemica ha cominciato ad inflettersi e a cedere in più punti. Le valorose fanterie del XXIII Corpo ancora una volta si sono coperte di gloria; le brigate Granatieri (là e 2°), Bari (139° e 140°, Lazio (233° e 234°, Piceno (235° e 236°) e Cosenza (243° e 244°) hanno gareggiato in bravura riuscendo ad oltrepassare le poderose difese nemiche tra Korite e Selo, verso la forte posizione di Stari Lokva"

"Anche la brigata Pallanza si distingueva, impadronendosi di una posizione nemica a sud-est del Dosso Faiti, e il Comando Supremo la elogiava più tardi per avere saputo tenere la posizione nonostante i ripetuti e furenti contrattacchi austriaci. Inoltre cadevano nelle nostre mani tra l'altopiano carsico e il mare la quota 43 e la galleria ferroviaria di San Giovanni di Duino.
Però i risultati ottenuti dal primo balzo offensivo contro l'Hermada e contro la dorsale del Trstely non erano stati grandi e solo al centro il XXIII Corpo d'Armata aveva potuto compiere, notevoli progressi. Temendo che sul Carso l'offensiva, proseguendo, desse risultati non adeguati agli sforzi e alle perdite, la mattina del 20 il generale Cadorna avvertì il Duca d'Aosta di continuare l'azione e di svilupparla solo nel caso che la battaglia promettesse di svolgersi in nostro pieno favore; e di sospenderla ordinando alle truppe di sostare nelle posizioni raggiunte nel caso che il combattimento languisse o assumesse carattere locale e quindi non potesse influire al raggiungimento degli obbiettivi assegnati all'Armata.

"Nonostante questi ordini del Comando Supremo, le truppe della III Armata furono costrette a continuare a combattere nei giorni 20 e 21 per resistere ai furiosi contrattacchi del nemico. Questi furono tutti respinti e qua e là, in direzione di Selo e di Medeazza, i nostri si spinsero ancora avanti.
Non erano però progressi tali da indurre il Comando Supremo a insistere nell'offensiva, e il Cadorna diede ordine alla III Armata di sospendere l'azione, ma di tenersi pronta a riprenderla non appena le fosse stato ordinato. Inoltre la III doveva cedere alla II Armata 3 batterie da montagna, 50 di medio calibro e 6 batterie di bombarde da 240 e da 58, mettere a disposizione del Comando Supremo due divisioni e porsi in grado di convergere verso la regione del San Marco il fuoco di un centinaio di grosse e medie artiglierie".

"Sospendendo l'offensiva sul Carso, il generale Cadorna intendeva proseguire con maggiore vigore la lotta sull'altopiano della Bainsizza, dove era avvenuto lo sfondamento delle linee nemiche, ed estenderla, con il concorso di artiglierie della III Armata sull'anfiteatro goriziano.
Il 25 agosto la II Armata, continuando nell'azione offensiva, fece nuovi progressi a nord conquistò il Veliki Vrh, al centro si spinse fino alle falde del Volnik (955) e a sud s'impadronì di Madoni; ma nei giorni seguenti, sia per la stanchezza delle truppe, sia per la difficoltà dei rifornimenti, sia per la resistenza accanita del nemico, che aveva sistemato a difesa l'orlo occidentale del Vallone di Chiapovano e sull'altopiano boscoso di Ternova, l'azione non poté progredire".

In sostanza la grande offensiva d'agosto era terminata dopo una settimana precisa di lotta accanita, che costò gravissime perdite al nemico, al quale prendemmo circa 30.000 prigionieri ed una settantina di cannoni. I centri militari stranieri lodavano il valoroso contegno delle truppe italiane, l'importanza dei progressi fatti e la strategia del generale Cadorna, il quale all'on. BARZILAI, che le pubblicava il 29 agosto sul "Secolo", faceva le seguenti dichiarazioni: (ribadendo chi era il "Comandante"):

"Poiché i critici militari dei Paesi stranieri lo affermano, sia lecito a me confermare, che la manovra svoltasi in questi giorni per ardimento, vastità, complessità e probabili conseguenze e ripercussioni, è la più grande di quante siano state compiute durante la guerra dai diversi eserciti belligeranti. Il nemico ne ha l'infallibile sensazione. Il Paese può ben ritenerlo e può essere anche certo di questo, che, mentre la marcia si svolge, nonostante una tenacissima resistenza, felicemente su questo fronte e negli altri nostri settori di guerra ho garanzie di Sicurezza perfetta.
Noi abbiamo iniziato la battaglia sopra una distesa di 70 chilometri e non è concepibile che essa proceda simultaneamente con la stessa intensità in ogni punto. È di competenza del Comando Supremo l'ideazione del piano della manovra; spetta ai comandanti d'Armata la responsabilità dell'esecuzione. Ma sempre, manovra compresa, rimane al Comando Supremo il compito di armonizzare gli sforzi, sfruttare le situazioni, facendo affluire truppe, artiglierie e mezzi tecnici di ogni sorta, sottraendoli dove minore è il bisogno per lanciarli quando e dove possono essere meglio utilizzati.
E noi siamo per fortuna lontani dai tempi e dagli ordini di cose deplorati dal Machiavelli quando esortava il Principe a liberare l'Italia dai barbari. Ricordava il segretario fiorentino quanto gl'Italiani fossero superiori con le forze, con la destrezza, con l'ingegno. Quanto grande fosse la virtù nelle membra quando essa manovra nei capi. Ma, la debolezza di questi paralizzava le virtù della razza, perché quelli che sanno non sono ubbidienti ed a ciascuno par di sapere, né alcuno è tanto rilevato per virtù e per fortuna che altri vi cedano.

"Perciò in tante guerre quando non vi è stato un esercito tutto italiano, esso ha fatto mala prova. Ma da quei giorni siamo fortunatamente ben lontani. E ancora prima che della nostra vittoria finale l'Italia può essere fiera dell'immenso armonico sforzo che essa compie con mezzi poderosi e con la integrazione delle attitudini e delle funzioni degli individui. E a coloro che si attardano a lamentare il sacrificio delle vite, dei miliardi e delle comodità personali, ripetiamo che qui prima ancora di Trento e di Trieste si redime tutta l'Italia, si costruisce la sua dignità, la sua forza, la coscienza della sua forza e il suo prestigio nel mondo. Il prestigio, che significa non solo difesa dell'indipendenza politica, della libertà civile, ma di ogni attività economica, dei commerci, del lavoro, dei supremi interessi di tutti, umili o posti in alto. Io non vi consiglierei a ripetere le cifre che posso esporvi intorno alla potenzialità dell'esercito, degli uomini e dei mezzi che da umili origini abbiamo potuto mettere in opera in questi giorni. Al nemico non occorre offrire elementi di analisi, ci basti che egli subisca la sintesi. Certo ogni Italiano non disposto a rinnegare le proprie origini, sua madre, il suo titolo di cittadinanza nel mondo, non può essere insensibile dinanzi a questa gagliarda espressione delle rinnovate energie del suo paese".

Purtroppo la strategia di Cadorna si rivelerà sbagliata; lo vedremo nel capitolo "l'esercito alla vigilia di Caporetto".

... sempre in questo periodo e in questa offensiva, diamo uno sguardo al concorso della
Marina e dell'Aviazione, alla nascita degli...


"ARDITI", e alle ultime lotte nell'anfiteatro goriziano

BAINSIZZA (2) - L'AVIAZIONE (GLI ASSI), LA MARINA, GLI ARDITI

IL CONCORSO DELLA MARINA E DELL'AVIAZIONE NELL'OFFENSIVA DELL'AGOSTO - GLI UOMINI NUOVI DELLA GUERRA: GLI ARDITI; FONDAZIONE E PRIME GESTA DEGLI ASSALTATORI
LA LOTTA NELL'ANFITEATRO GORIZIANO - IL SAN GABRIELE

IL CONCORSO DELLA MARINA E DELL'AVIAZIONE
NELL'OFFENSIVA DELL'AGOSTO

Alla grande azione offensiva estiva presero parte l'Aviazione e la Marina.

- diceva il bollettino di guerra del 19 agosto -

"Dall'alba di ieri le nostre batterie battono con violenza le posizioni avversarie dal Monte Nero al mare. Squadriglie di velivoli ed aeronavi fulminano ammassamenti di truppe sul rovescio delle linee nemiche".

Il bollettino del 21 agosto annunciava che
"…alla battaglia hanno instancabilmente concorso 208 nostri aeroplani attaccando ripetutamente con bombe e mitragliatrici le truppe avversarie ammassate dietro le prime linee. II 20, l'impiego degli apparecchi era stato più largo: 261 nostri velivoli avevano volato sul campo di battaglia, fulminando il nemico tra Belo e Comeno e sulle falde orientali dell'Hermada e rovesciando cinque tonnellate di alto esplosivo sul nodo ferroviario di Tarvis.
Padroni del cielo, i nostri aviatori non diedero tregua al nemico, bombardandone e mitragliandone i baraccamenti e le colonne in marcia, regolando il tiro delle nostre artiglierie, cercando magazzini, provocando incendi, disturbando il traffico delle retrovie avversarie, abbassandosi audacemente fino a 200 metri per colpire le fanterie nemiche".

Il Comando Supremo segnalò sempre nei suoi bollettini l'attività veramente efficace delle forze aeree che il 24 parteciparono all'azione con 233 apparecchi, il 25 e il 26 rendevano difficile il ripiegamento austriaco; il 28 mettevano in azione 246 aeroplani e con una squadriglia di 40 Caproni bombardarono le batterie nemiche del bosco di Panovizza.
Anche la partecipazione della Marina fu efficace: Doveva collaborare con l'esercito in due modi, con un'operazione di sbarco alle spalle delle linee nemiche dell'estrema sinistra e col bombardamento dal mare delle posizioni austriache. L'azione di sbarco, richiesta dal Comando del XIII Corpo d'Armata e preparata dal contrammiraglio MARZOLO, comandante militare marittimo della zona ad est di Porto Lignano, doveva essere compiuta da nuclei di "arditi" della Marina e da tre battaglioni di fanteria, che, scortati da vicino da Mas e protetti da lontano da cacciatorpediniere ed esploratori, dovevano sbarcare a Sistiana con artiglierie ed altri mezzi di guerra. Ma lo sbarco, forse per gli scarsi risultati dati dall'offensiva nostra nella zona dell'Hermada, non fu effettuato.
Il bombardamento però da parte di artiglierie della Marina ci fu e con risultati abbastanza efficaci. Non solo presero parte all'azione batterie fisse e natanti in posizione fra Punta Sdobba e Masenette, ma anche grossi monitori, appositamente apprestati, quali il Faa di Bruno, Alfredo Cappellini, Monfalcone, Carso, Cucco, Vodice, armati di pezzi da 381 e da 305 e da altre artiglierie di vario calibro. Ai nostri si unirono i monitors inglesi "Picton" e "Peterborough".


"Dal 18 al 24 agosto -così il bollettino- i monitori fulminarono con i proiettili dei loro pezzi gli obiettivi designati. Protetti da Mas, da torpediniere e da reti metalliche, batterono la quota 279, le doline a tergo dell'Hermada, i nodi ferroviari di Sistiana e di Nabresina e la zona industriale di Trieste. I calibri minori spararono in complesso 7000 colpi, concorrendo alla conquista delle posizioni nemiche fra l'altopiano carsico e il mare".
"Gli idrovolanti della Marina bombardarono ripetutamente ed efficacemente gli impianti militari presso Parenzo e P. Salvore. Nella notte sul 20, da parte del personale della Marina, che già aveva eseguito nella notte del 15 un efficace bombardamento sulle opere dell'isola Brioni, fu fatta altra azione contro gli hangars e magazzini di Parenzo sui quali furono lanciate oltre 20 bombe, provocando esplosioni ed incendi".


GLI UOMINI NUOVI DELLA GUERRA: GLI ARDITI;

FONDAZIONE E PRIME GESTA DEGLI ASSALITORI



Nell'offensiva dell'agosto furono per la prima volta impiegate sul fronte della II Armata le truppe d'assalto, "Fiamme Nere" e "Fiamme Rosse", più comunemente conosciute sotto il nome di "arditi". Furono impiegate con risultati veramente sorprendenti, sia nello sfondamento delle linee nemiche sull'altopiano della Bainsizza, sia sul San Marco, nelle tormentate posizioni di Belpoggio: furono queste, infatti, che, per prime, passarono l'Isonzo su barche, proteggendo quindi la gettata dei ponti ed espugnando i posti avanzati del nemico sulla sponda sinistra; furono esse che precedettero le colonne di fanteria, diedero il primo urto impetuoso contro le linee avversarie, infransero e superarono gli ostacoli più difficili, riempiendo di meraviglia gli altri soldati italiani e di terrore gli Austriaci per la loro audacia, il loro slancio irresistibile, il loro entusiasmo, il loro valore senza pari e la rapidità fulminea della loro azione.
Gli "Arditi" furono gli uomini nuovi della guerra: agili, forti, ma soprattutto coraggiosissimi, sprezzanti ogni pericolo e la stessa morte, spiriti avventurosi, bramosi di procedere nelle misteriose vie dell'Ignoto, tempre meravigliose di guerrieri, insofferenti d'ogni giogo e d'ogni indugio, sapientemente addestrati all'assalto, essi furono i migliori soldati del nostro esercito e i migliori combattenti del mondo.
Durante due anni di guerra di posizione, nei vari reggimenti del nostro esercito, questi ufficiali e soldati si erano distinti tra la massa, per audacia, sprezzo della vita, entusiasmo e spirito combattivo. Erano sempre i primi negli assalti, i primi nelle imprese più arrischiate, erano quelli sui quali i capi facevano assegnamento sicuro nei momenti più difficili e per le azioni più delicate. Si pensò di riunirli e fu così che nella prima metà del 1917 ogni battaglione ebbe il suo plotone di "arditi".

Un anno prima, nel Trentino, quando infuriava l'invasione nemica, il capitano BASEGGIO aveva riunito un gruppo di volontari d'ogni età e arma, che, sotto il nome di "Compagnia Esploratori della Morte", si distinse per la sua guerriglia ardimentosa e spietata.
Spettava però al colonnello GIUSEPPE BASSI, trevigiano, favorito dal generale CAPELLO e dal generale GRAZIOLI, il merito di ideare e creare le "Fiamme Nere", radunare nelle retrovie tutti questi audaci ed avventurosi spiriti e fornire loro un addestramento speciale. Sotto la sua direzione, con elementi volontari reclutati fra le truppe delle varie armi della II Armata, tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate del 19l7, si costituì a Sdricca di Manzano il I° "Reparto d'Assalto" che fu in forma solenne ed ufficiale, consacrato il 29 luglio.
Nell'agosto e nel settembre dello stesso anno, nel medesimo campo di Sdricca, si formarono altri cinque "Reparti d'Assalto". Le altre Armate seguirono l'esempio della II e formarono altri reparti modellandoli su quelli famosi del Bassi e così, prima di Caporetto, l'esercito nostro ebbe un buon numero di battaglioni di superbi Arditi che meravigliarono il mondo con le loro gesta degne di poema e di storia.

Speciale era l'uniforme e l'armamento degli Arditi. Essi vestivano pantaloni all'alpina, giubbe aperte col bavero orlato di fiamme nere, maglie nere adorne di un teschio bianco; su un braccio portavano un distintivo di truppe d'assalto: un pugnale stretto tra una fronda di quercia e una d'alloro e sul manico il motto di Casa Savoia, "Fert"; le loro armi erano il pugnale, il moschetto e il petardo thevenot.
Cosa mai vista prima d'allora, partivano dal loro campo, per la battaglia, urlando, sparando, sventolando i loro gagliardetti neri e cantando i loro stornelli e l'inno "Giovinezza". I loro assalti erano fulminei, terribili, travolgenti, sempre coronati dalla vittoria; il nemico n'aveva un sacro terrore e sopra di loro aveva posto delle fortissime taglie.
Dei reparti d'assalto, il Comando della II Armata continuò largamente a servirsi nelle operazioni che tennero dietro all'offensiva sulla Bainsizza o che, circoscritte all'anfiteatro goriziano, avevano lo scopo di far cadere tutto il blocco delle organizzazioni difensive nemiche comprese fra il margine meridionale dell'altopiano di Ternova, il Vippacco e il solco del fiume Liah.

Ma prima di queste nostre operazioni offensive nella zona di Gorizia, il nemico sferrò poderosi contrattacchi alle nostre posizioni sulla Bainsizza e sul Carso e cercò di attrarre la nostra attenzione sul Trentino.

Il bollettino del 30 agosto dava su queste azioni le seguenti notizie:
"Sull'altopiano di Bainsizza e ad oriente di Gorizia il nemico con poderosi contrattacchi ha tentato di riprenderci le posizioni recentemente conquistate: ma fu ovunque respinto. Le posizioni furono saldamente tenute e in qualche tratto ampliate. Catturammo 561 prigionieri. I nostri aerei ripeterono con successo il bombardamento delle batterie nemiche nel bosco di Panovizza. Sul Carso, la sera del 28, un attacco nemico tra il Vippacco e Dosso Faiti fu infranto dalle nostre truppe. Lungo il fronte tridentino, dallo Stelvio alla Carnia, nella giornata del 28 e nella notte sul 29 concentramenti di fuoco e numerose azioni di reparti esploranti mantennero assai desta l'attività combattiva. In regione Tofane l'avversario, dopo intensa preparazione di fuoco, attaccò per tre volte e con grande violenza le nostre posizioni allo sbocco di Val Travenanzes: ma fu nettamente respinto".

Così il bollettino del 31 agosto:
"Nella giornata di ieri combattemmo sull'altopiano di Bainsizza e sul Carso per consolidare il possesso di alcune alture e per rettificare la nostra linea. Conseguimmo vantaggi sulle pendici nord del Monte San Gabriele e nel Vallone di Brestovizza, vincendo le accanite resistenze del nemico. Catturammo 635 prigionieri, 12 ufficiali e 5 mitragliatrici. In Val Concei (Val di Ledro), la notte sul 30 un riparto nemico irrompeva in un posto di vedetta e si ritirava quindi conducendo con sé alcuni nostri uomini; ma pattuglie di arditi, giunte di rincalzo, inseguirono il drappello austriaco, liberando i nostri e catturando alcuni nemici"
.

Il contrattacchi nemici continuarono nei giorni seguenti.

Il 31 agosto il bollettino riportava:
"...lotta molto vivace sulle pendici nord del Monte San Gabriele e ad oriente di Gorizia, dove il nemico con ripetuti e violenti contrattacchi tentò di ricacciarci dalle posizioni raggiunte, ma fu sempre sanguinosamente respinto. Sul Carso, nel Vallone di Brestovizza espugnammo nuovi elementi di trincea".

il bollettino del 1° di settembre:
"…contrattacchi nemici furono respinti sull'orlo meridionale dell'altopiano di Bainsizza, sulle pendici nord di Monte San Gabriele e a nord-ovest di Tivoli (est di Gorizia). A Gabrije (est di Monte San Michele) piccoli calibri nemici colpirono ripetutamente la sezione di sanità. Nel Vallone di Brestovizza furono ampliate le occupazioni fatte nei giorni 30 e 31 agosto con cattura di prigionieri ed ingente bottino di guerra. Furono sgombrati: 1400 fucili, 9 mitragliatrici, 5 lanciabombe e grande quantità di munizioni e materiale vario".

Nel Vallone di Brestovizza la lotta si riaccese il 2:
"… riuscimmo ad avanzare ancora e a strappare al nemico alcune doline, stroncando poi un violento contrattacco nemico"
.

Il 4, sul Carso:
"dopo violentissimo bombardamento, il nemico lanciò le proprie masse di fanteria contro le nostre posizioni da Castagnevizza al mare. Nel tratto nord tra Castagnevizza e Korite l'attacco, dopo alterna vicenda, fu respinto; al centro, tra Korite e Selo, le nostre truppe, resistendo valorosamente a sette furiosi assalti, mantennero le proprie posizioni; a sud, tra il Vallore di Brestovizza e il mare, il nemico poté conseguire qualche successo iniziale fra la quota 146 a nord-est di Flondar e la galleria ferroviaria a nord-est di Lokavac, ove noi dovemmo temporaneamente ripiegare da alcune posizioni avanzate. Nel pomeriggio, in seguito ad energico contrattacco, la nostra linea fu ristabilita con la cattura di 402 nemici, di cui 14 ufficiali".
"Mentre gli Austriaci si logoravano in vani contrattacchi, noi preparavamo un attacco al San Gabriele, che teneva sotto il fuoco delle sue artiglierie tutta la conca goriziana e che per gli ostacoli naturali e le difese del nemico rappresentava un baluardo insormontabile. L'attacco fu preparato con carattere di sorpresa e fu sferrato il 4 settembre".

scrive il generale CAPELLO :
"Il I° Reparto d'Assalto
portò a termine brillantemente il mandato affidatogli. Quel manipolo di arditi valorosissimi si gettò con impeto travolgente sul nemico ed occupò di slancio il San Gabriele. Il presidio nemico fu annientato. Tutti gli Austriaci che scamparono alla morte furono catturati, compreso il comandante. Né si arrestarono quei valorosi: si spinsero in avanti e raggiunsero il Monte San Daniele.
Fu una giornata epica, nella quale gli assaltatori scrissero una delle pagine più gloriose della loro storia. Purtroppo però i nostri fanti, cui gli Arditi consegnarono le posizioni conquistate, non riuscirono a mantenerle a causa del bombardamento violentissimo del nemico e di un fuoco terribile d'interdizione che impedì di far giungere dei rincalzi.
Ciononostante il San Gabriele come tutto l'anfiteatro goriziano continuò ad essere la mèta dei nostri attacchi. Il giorno 5, mentre sul Carso i rinnovati attacchi nemici a sud del Vallone di Brestovizza s'infrangevano contro la salda resistenza dei nostri, a nord-est di Gorizia la lotta continuava e veniva catturato oltre mezzo migliaio di prigionieri nemici".

Il 7 settembre, il Comando Supremo annunziava, che il nemico, sottoposto nella medesima zona
"da parecchi giorni a ingenti perdite"
opponeva disperata resistenza alla continua e decisa pressione italiana.
L'11 settembre gli Austriaci passarono all'offensiva con lo scopo di alleggerire la pressione.
Infatti:
"...tentò vari attacchi, subito repressi, contro le nostre linee dell'altopiano di Bainsizza, portando poi il suo massimo sforzo a nord-est di Gorizia. Dopo aver tenuto per parecchie ore sotto violentissimo fuoco le nostre occupazioni lungo la cresta del San Gabriele e sulle pendici occidentali del monte degradanti verso Salcano, le attaccò da est e da sud. L'aspra lotta, iniziatasi all'alba, andò accentuandosi attorno all'orlo occidentale del pianoro di Santa Caterina. Alla fine, verso mezzodì, l'avversario, battuto e respinto, rinunciò ai suoi infruttuosi tentativi".

Il 12 settembre riportava il bollettino:
"…impegnando unità di recente fatte affluire al nostro fronte, rinnovò con più grande accanimento e maggiori forze il tentativo di farci sloggiare dal Monte San Gabriele. I suoi furiosi attacchi riuscirono ad avere ragione di alcuni nostri posti avanzati, ma dovettero arrestarsi contro la nostra linea principale di occupazione, che tenacemente difesa dalle brave truppe dell'11a Divisione, non poté essere né scossa né intaccata".

I successivi bollettini:
"Piogge dirrotte imposero qualche giorno di sosta alle operazioni, ma il 14 settembre queste furono riprese e presso Log, nella zona settentrionale della Bainsizza, rettificammo, avanzando, la nostra linea. Il 15, sull'altopiano medesimo, la valorosa brigata Sassari (151° e 152°), con impeto, guadagnò terreno verso l'orlo sud orientale, catturando oltre 400 prigionieri. La notte del 16, il 17 e il 18, numerosi, accaniti contrattacchi furono sulla Bainsizza energicamente respinti.
Altri attacchi nemici si ebbero il 22 presso Kal e ad occidente di Volnik. Il 24 il nemico fece brillare una potente mina sotto le nostre posizioni del Monte Nero, ma non ci causò alcun danno; una nostra contromina, invece, fatta brillare il 19 al Colbricon distrusse lavori di galleria del nemico, e la notte del 22, nella regione della Marmolada, mediante l'esplosione di una mina, nostri nuclei poterono penetrare in due posizioni avanzate nemiche per poi respingere un contrattacco sferrato da un reparto d'assalto austriaco. Un altro attacco nemico venne ributtato il 20 alla testata di Val Genova.

Sul finire di settembre ci fu una ripresa d'attività sulla Bainsizza e sul San Gabriele, dove gli Arditi ebbero campo di mostrare ancora la loro meravigliosa bravura. Il 28 - diceva un bollettino - "con improvviso scatto pienamente riuscito, le nostre truppe rettificarono la linea di occupazione fra la sella di Dol e le pendici settentrionali del Monte San Gabriele. Furono catturati 8 ufficiali, 216 uomini di truppa ed alcune mitragliatrici. La posizione fu mantenuta e rafforzata ad onta che l'avversario, rimessosi dalla sorpresa, moltiplicasse i suoi ritorni offensivi".

Più interessante il bollettino del 30 settembre:
"Ieri, con improvvisa e ardita azione, svolta da una compagnia di assalto della 2a Armata e dalle brigate Venezia (83° e 84°) e Tortona (257° e 258°, migliorammo la nostra occupazione verso l'orlo sud-orientale dell'altopiano di Bainsizza, strappando all'avversario alcune quote a sud di Podlaka e a sud-est di Madoni. Catturammo 49 ufficiali e 1360 uomini di truppa. Successivi violenti contrattacchi nemici, accompagnati da furiosi bombardamenti, furono respinti e le posizioni mantenute. Nella notte del 29 e nella giornata successiva nuovi tentativi di ributtarci dalle posizioni occupate fra la sella di Dol e le pendici settentrionali del San Gabriele fallirono completamente".

I successivi bollettini:
"Attaccò ancora il nemico, il 1° ottobre, le nostre posizioni della Bainsizza e il 2 quelle del San Gabriele, ma senza successo. Sul San Gabriele una compagnia austriaca d'assalto fu annientata e il battaglione che seguiva, preso sotto il fuoco delle nostre batterie e contrattaccato dai nostri reparti, fu sbaragliato. Dalla sera del 2, al pomeriggio del 3, continuò l'attività combattiva sulle pendici occidentali del San Gabriele. Ripetuti attacchi nemici fatti col concorso di numerose pattuglie d'assalto s' infransero sotto il nostro fuoco. Altri attacchi vennero, nella stessa località, respinti il 4, e quel giorno, ad est di Gorizia, con improvviso sbalzo, migliorammo un tratto della nostra linea, mantenendone l'occupazione malgrado la violenta reazione avversaria".

LA LOTTA NELL'ANFITEATRO GORIZIANO - IL SAN GABRIELE

Seguirono alcuni giorni di relativa calma, rotta soltanto da azioni vivaci di pattuglie in vari punti del fronte. Fu proprio in quel breve periodo di calma che trovò la morte (5 ottobre), nelle trincee di prima linea, presso Madoni, mentre compiva una ricognizione, una magnifica figura di condottiero, il generale ACHILLE PAPA, già comandante dell'eroica brigata Liguria e poi di una delle divisioni che si erano distinte maggiormente nell'offensiva della Bainsizza. Un altro valorosissimo generale, il siciliano ANTONINO CASCINO, il conquistatore del Kuk, del Vodice e del Monte Santo, comandante prima della brigata Avellino e poi dell'8a divisione, era stato ucciso da schegge di granata una settimana prima.

Un risveglio di attività si ebbe il 6 e il 7 ottobre sul fronte Tridentino
e l'8 e il 9 sul fronte Giulia:

"…La notte del 6 l'avversario, favorito dal maltempo, eseguì un colpo di mano contro un nostro posto avanzato in regione Costabella (Val San Pellegrino), mentre con intenso tiro di artiglieria tentava di ostacolare l'arrivo dei rincalzi. Il giungere di questi e la resistenza del presidio ributtarono il nemico sulle sue posizioni di partenza. Altri nuclei che tentarono analoghe azioni sulle Crode dei Longarini (Padola Visdende) furono respinti con il fuoco. La sera del 7, il nemico, dopo intenso bombardamento, rinnovò
l'attacco delle nostre posizioni avanzate sul massiccio di Costabella; arrestato però dal presidio e battuto dalle nostre artiglierie, prontamente intervenute, dovette ripiegare con grosse perdite".

Sul Carso,
"…la sera dell'8 ottobre, con ripetuti attacchi, preparati da intensi concentramenti di fuoco, reparti d'assalto nemici tentarono di guadagnare terreno nella zona di Castagnevizza. Seguirono accaniti combattimenti: le nostre posizioni furono tutte saldamente mantenute e l'avversario fu ributtato con perdite. Il 9 sera un violento tiro di distruzione, iniziato dal nemico con carattere di preparazione fra il Vippacco e Castagnevizza, venne soffocato dal pronto intervento delle nostre batterie. Numerosi e forti nuclei che attaccarono più tardi le nostre posizioni in quel tratto furono sanguinosamente respinti".

Nella seconda decade di ottobre, salvo qualche azione di pattuglie o qualche duello di artiglierie, regnò calma sia sul fronte Tridentino sia su quello della Giulia; ma era calma foriera di tempesta, di quella tempesta che improvvisa doveva scoppiare il 24 nella zona di fronte a Caporetto.
Il dramma che leggeremo nel prossimo capitolo.

Prima parliamo di altre gesta eroiche compiute in questa offensiva:

L'ATTIVITA DELL'AVIAZIONE
GLI "ASSI" ITALIANI - L'INCURSIONE SU CATTARO

Durante l'offensiva d'agosto e nei due mesi successivi l'attività dell'Aviazione fu intensa. Il 3 settembre gli aviatori italiani portarono a termine un ardita incursione su Pola, che il giorno seguente così riferiva un
comunicato del Quartiere Generale
:

"La scorsa notte i nostri Caproni ritornarono con un'audace incursione aerea sulle opere militari e marittime di Pola. Trenta nostri apparecchi da bombardamento sono partiti dalle loro sedi tra le 22 e la mezzanotte favoriti da una luna splendida che rischiarava loro il cammino e soprattutto inargentava, rendendole chiaramente visibili, le coste dell'Istria. Durante il viaggio i Caproni furono protetti da un cielo serenissimo, ma ostacolati da alcune correnti di vento che rendevano difficile la rapida marcia verso l'obiettivo. Tuttavia ogni ostacolo fu superato e alla distanza di cinque minuti l'uno dall'altro i nostri apparecchi giunsero su Pola e sganciarono bombe, indugiando sugli obiettivi per circa dieci minuti ciascuno. Si può così dire che nella zona di Pola l'allarme durò per due ore consecutive. I velivoli sganciarono complessivamente, tra la mezzanotte e le due, nove tonnellate di esplosivi, parte dei quali colpirono gli obiettivi: l'arsenale, il deposito di nafta e forse alcune delle navi ancorate nel porto. Vi furono degli aviatori che, tornati al campo, raccontarono di aver visto assai nettamente le navi della flotta austriaca ai loro ancoraggi. Si ignora se le bombe gettate sulle navi riuscirono a produrre gli effetti desiderati, ma è presumibile che qualche danno si sia verificato anche nella flotta.

"Invece sulle sedi di batterie antiaeree, sulle concentrazioni dei sommergibili e sulle altre opere militari gli effetti delle bombe furono visibili: vasto incendio si vide levarsi nei dintorni della città e questo incendio durò a lungo con le fiamme rossastre che nella notte si distinguevano a molta distanza da Pola, e anche dopo che i Caproni, terminata l'opera loro, si erano allontanati. Altri incendi minori furono notati qua e là in varie località della zona. Però una grande resistenza oppose il nemico specialmente per opera degli idrovolanti e delle batterie antiaeree. Il fuoco di queste fu assai più vivo delle altre volte, gli shrapneds formavano nell'aria dei vari concentramenti di scoppi all'altezza da due a tremila metri in modo che sembrava quasi impossibile come i nostri Caproni potessero rimanere in quei punti illesi malgrado quel terribile tiro. Le batterie antiaeree, se agirono questa volta in maggior quantità, agirono anche, edotte dall'incursione passata con maggior precisione e quindi molti dei nostri velivoli furono colpiti in parti però non vitali e riportarono solo qualche avaria.

"Un'altra innovazione usata dal nemico fu l'abolizione di parte dei fasci luminosi dei riflettori. Malgrado le precauzioni degli Austriaci, il violentissimo tiro e la lotta dovuta sostenere contro gli idrovolanti da caccia, tutti i nostri Caproni riuscirono tra la mezzanotte e le tre ritornare ai loro hangars. Oltre agli effetti del bombardamento, importanti furono le rilevazioni compiute dai velivoli dagli ufficiali osservatori. Importantissimo fu il rilievo che la flotta austriaca è ancorata parte nel porto e parte nel canale di Fasana. Appena tornati alle loro sedi, i nostri apparecchi dovettero, dopo poche ore, riprendere il volo per recarsi a bombardare altre località".

"Durante i combattimenti del 4 settembre sul fronte, 261 aeroplani nostri bersagliarono le truppe e le retrovie nemiche. Nella notte del 5 una nostra flottiglia aerea rinnovò il bombardamento di Pola con efficaci risultati e ritornò incolume alla base. Il 6 nostri apparecchi bombardarono ripetutamente le retrovie del Carso e le batterie nemiche del bosco di Panovizza e della selva di Ternova. Il 9 ancora le batterie della selva di Ternova furono bombardate dai nostri aerei. Quel giorno stesso un comunicato della Stefani dava notizia che dal 2 agosto al l° settembre 16 apparecchi nemici erano stati abbattuti, che il capitano BARACCA aveva conseguito la sua diciottesima vittoria e che il prode sergente ARTURO DELL'ORO, il 1° settembre, nel cielo di Belluno, aveva abbattuto un aeroplano austriaco cozzandogli contro con il proprio precipitando da grande altezza. Il 13, un velivolo nemico, colpito dal nostro tiro antiaereo, precipitava nei pressi di Duino".

"Dal 6 al 14 di settembre - secondo un comunicato ufficiale -

6 apparecchi nemici erano stati abbattuti: uno dal BARACCA (19a vittoria) e dal tenente SABELLI, un altro dal sergente NARDINI (4a vittoria), un terzo dal capitano ZOBOLI, un quarto e un quinto dal maggiore PICCIO (l0a e 11a vittoria). Il 16, ammassamenti nemici nella zona di Ravnica (ad oriente del San Gabriele) furono battuti con circa 2 tonnellate e mezzo di bombe da due nostre squadriglie aeree. La notte sul 19 un'aeronave della R. Marina bombardò il cantiere navale e le unità ancorate nella baia di Priolaca dell'isola di Lussino. La notte sul 22, tre nostre aeronavi gettarono quattro tonnellate di bombe ad alto esplosivo su accampamenti nemici nel Vallone di Chiapovano, sulla stazione e sui baraccamenti di Grahovo e sugli impianti ferroviari a nord-est di Prosecco, su cui il bombardamento fu rinnovato il 23, il 24, il 25 e il 27. Gli impianti di Podmelok, Podberda, Rifenberga e Dottogliano furono bombardati il 24, il 25 e il 26.
Il 23, il maggiore PICCIO (12a vittoria) e i tenentì RANZA e SABELLI (7a e 4a vittoria) abbatterono due apparecchi nemici.
Anche sull'Adriatico la lotta aerea si svolgeva intensa e in un suo comunicato, che riportiamo, il Capo di Stato Maggiore della Marina dava notizia delle operazioni svoltesi dal 23 al 29 settembre; e la sera del 23 settembre idrovolanti nemici lanciarono 22 bombe su Grado senza causare altro danno che l'uccisione di una donna. Il giorno 23, due nostri idrovolanti in esplorazione scortati da un apparecchio da caccia e da un motoscafo armato vennero attaccati da 3 velocissimi aerei nemici da caccia. Nello stesso tempo una torpediniera nemica attaccava il motoscafo, che rispondeva a colpi di cannone: sopraggiunsero altri due nostri idrovolanti che mitragliarono la silurante nemica a bassa quota costringendola all'immediato ripiegamento. Assalito da 3 apparecchi, dopo accanito combattimento, un nostro apparecchio cadeva in fiamme: il pilota, secondo capo-timoniere LUIGI UNI, chiudeva così eroicamente la sua brillante carriera d'aviatore.

"Il mattino del 25, nostri idrovolanti eseguirono sopra cacciatorpediniere avversari in navigazione presso la costa istriana un ben aggiustato tiro di bombardamento. La sera del 27 nostri idrovolanti attaccarono gli hangars nemici di Prosecco, rovesciandovi 41 bombe e rientrando tutti incolumi nella base malgrado il vivo fuoco antiaereo. La sera del 28, verso le ore 20, alcuni idrovolanti nemici attaccarono il nostro litorale fra Pesaro e Numana e fra Cesenatico e Santa Croce lanciando numeroso bombe che causarono qualche danno e ferirono due persone. Una bomba lanciata sopra la località indifesa di Senigallia sfondò una casa senza far vittime. Quasi contemporaneamente un'altra squadriglia, fra lo 20 e le 22, attaccava la nostra costa sud-adriatica nella zona fra Monopoli e Lecce, lanciando numerose bombe sopra Ostuni e Brindisi. Nessun danno nella prima località; nella seconda, particolarmente presa di mira, i danni materiali furono insignificanti, mentre si ebbero a deplorare 5 morti, di cui 2 fra la popolazione civile, e 22 feriti.
L'attacco venne accolto da intenso fuoco antiaereo, il quale, oltre a limitare l'efficacia dell'offesa nemica, abbatteva uno degli idrovolanti assalitori. I due aviatori sono stati fatti prigionieri. La notte sul 29, idrovolanti nemici provenienti da Salvore e Trieste, bombardarono la zona di Aquileia, Villa Vicentina e Palmanova. Ad immediata ritorsione si levarono i nostri idrovolanti che lanciarono sulle opere militari di Capo Salvore 19 granate-mine ed alcune bombe incendiarie, rientrando tutti incolumi nella base nonostante il vivo fuoco antiaereo e la vigilanza dei proiettori".

"Nella giornata del 26 settembre i nostri aviatori, perseverando nell'intento d'interrompere il traffico ferroviario nemico in Val di Bazza, provocarono vaste distruzioni negli impianti ferroviari di Podberda. La notte sul 27, una nostra numerosa squadriglia da bombardamento, nonostante l'intensa foschia, raggiungeva la piazzaforte marittima di Pola e colpiva efficacemente con oltre tre tonnellate di bombe ad alto esplosivo l'arsenale e la base dei sommergibili allo scoglio Olivi.
Il 28, fu abbondantemente bombardata la zona militare di Voiscizza, e fu rinnovato il bombardamento delle opere militari di Pola. Un apparecchio nemico, costretto ad atterrare nella piana di Santa Lucia di Tolmino, fu distrutto dalle nostre artiglierie. Il 29 nostre squadriglie bombardarono i depositi nemici di Berje (nord-ovest di Nabresina) e, nella notte successiva, ancora la piazza di Pola. Un nostro apparecchio non fece ritorno. Due apparecchi avversari, colpiti in duello aereo, precipitarono nei pressi di Monfalcone e ad est di Ternova.
Nella notte del 30, velivoli nemici lanciarono bombe su Palmanova, Aquileia, Monfalcone ed altre località del basso Isonzo. Il 1° ottobre bombardammo la stazione di Grahovo e, nella notte, in due successive incursioni, furono lanciate quattro tonnellate di proiettili sugli obiettivi militari di Pola. Due apparecchi nemici abbattuti dai nostri aviatori, precipitarono a nord di Auzza e presso Podmelck. II giorno dopo un altro aeroplano austriaco fu costretto ad atterrare nelle nostre linee e i piloti furono catturati.

"Chi fra gli aviatori italiani, fece parlare più di sé nella prima settimana d'ottobre fu il maggiore PICCIO, il quale in tre giorni consecutivi abbatté tre apparecchi nemici.
Alle 15,30 del 1° ottobre - scriveva in una nota il Quartier Generale - egli scorgeva un apparecchio nemico che dalla Bainsizza cercava di rientrare nelle sue linee oltre la Valle di Chiapovano. Rapidamente lo inseguì, lo raggiunse a sud del Volnik a 3500 metri di altezza e iniziò a dargli battaglia. Dopo una raffica di mitragliatrici l'ardimentoso maggiore italiano obbligava l'apparecchio austriaco ad iniziare la discesa a picco. Ma mentre lo inseguiva a 1600 metri di altezza, fu fatto segno ad un furioso tiro antiaereo. Questo tiro lo obbligò a rallentare, per qualche istante l'inseguimento ed a perdere di vista l'avversario: tuttavia poco più tardi egli finì per scorgere in distanza l'aeroplano austriaco che cadeva al suolo verso Ternova. È probabile che i primi colpi diretti dal maggiore Piccio contro l'apparecchio nemico abbiano fracassato la mitragliatrice di quest'ultimo perché dopo il primo incontro essa non funzionò più. Era questa la 13a vittoria del maggiore Piccio.

"Ne ottenne un'altra la mattina del 2, sul Globokak, a 3500 metri di altezza. Erano le undici del mattino quando il suo aereo si incontrò con un velivolo austriaco. L'avversario si difese con tenacia e manovrando abilmente riuscì a rendere difficile la caccia al nostro aviatore. Ma alla seconda raffica di mitragliatrice gettatagli contro dal maggiore, un pezzo di tela dell'apparecchio austriaco si infiammò e si staccò dal resto del velivolo. Alla terza raffica il fuoco era a bordo del velivolo avversario. L'osservatore nemico cessò il fuoco ed il maggiore Piccio lo vide agitare le braccia disperatamente. L'aeroplano colpito iniziò prima una rapida discesa, ma à un tratto, a 1800 metri, si sfasciò. La fusoliera in fiamme precipitò al suolo a un chilometro più a nord di Auzza. Mentre s'infrangeva contro terra sollevava in alto una grande vampata rossa. Un'ala dello stesso apparecchio fu trovata pochi metri lungi dall'Isonzo sulla riva sinistra tra Auzza e Tonale. Alle 11,40 il maggiore ritornava nelle nostre linee recando l'annuncio della sua 14a vittoria. Ed ecco il 3 settembre nel pomeriggio, Piccio nuovamente alle prese con un velivolo austriaco.

"Mentre vola su Canale il maggiore vede un apparecchio nemico in ricognizione, lo attacca subito, lo spinge in direzione di Mesniak e là, perseguitandolo con la mitragliatrice, lo obbliga a scendere verso le linee nemiche. L'apparecchio offre una resistenza singolare. Si direbbe che l'aviatore sia sul punto di fuggire al famoso cacciatore italiano; ma questi si getta, malgrado il tiro degli antiaerei, ad un inseguimento disperato e discende a poca distanza dall'apparecchio nemico sino a 50 metri dal suolo, poi mentre è colpito in alcune parti non vitali dell'aeroplano dalla fucileria avversaria, gli riesce a abbattere il nemico facendolo precipitare nel campo italiano. Il pilota e l'osservatore nemici, feriti, furono fatti prigionieri. Il maggiore Piccio si è poi recato ad interrogare i due aviatori prigionieri. Il mitragliere è un tenente czeco, il pilota è un sergente viennese. "Avete vinto, perché la mia mitragliatrice non funzionava più" disse il mitragliere al maggior Piccio, che avrebbe voluto rispondergli che anche la sua mitragliatrice non aveva più munizioni eppure era riuscito a fargli credere di averne ancora.

"Anche gli altri aviatori si facevano onore: il 24 settembre un apparecchio austriaco da caccia precipitava nei pressi di Zagorie sotto i colpi del sergente Pennella; il 26 sull'altopiano dei Sette Comuni un apparecchio nemico da ricognizione e un velivolo da caccia che lo scortava furono assaliti da nostri aeroplani; il primo piombava in fiamme nell'abitato di Asiago per opera del sergente IMOLESI, che, conquistava la sua seconda vittoria, l'altro era costretto ad atterrare verso Cima Dodici sotto i colpi dello stesso sergente e del tenente MAZZINI; il 28 i sergenti ALIPORTA e FERRANTI abbattevano un aeroplano nemico presso Santa Lucia di Tolmino; il 29, infine, un apparecchio avversario da ricognizione colpito dai tenenti SAPELLI e PARVIS, cadeva dentro le nostre linee, presso il lago di Pietra Rossa"
.
La notte sul 4 ottobre fu compiuta un'audace impresa aerea, alla quale partecipò GABRIELE D'ANNUNZIO: un'ardita incursione sulle Bocche di Cattaro. Il poeta, stese l'ordine d'operazioni e lo fece accompagnare dalle seguenti parole:

"Dopo le ripetute incursioni su Pola che alla fama degli aggressori di Idria di Assling e di Tarvis aggiunsero una gloria navale e parvero fare della nostra liscia carlinga di tela un'emula della prua rostrata, voi siete chiamati a compiere un'impresa marina di ben più alta audacia. Voi siete i primi a portare l'ala d'Italia in un cielo ostile che fu fino a oggi immune da ogni offesa aerea. Voi sarete i primi ad aggredire nel canale di Kumbur la più nascosta base dei sommergibili austriaci e il numeroso naviglio alla fonda nella baja di Teodo. Le difficoltà della rotta, la singolarità del luogo, l'importanza militare del compito, la necessità di superare la propria perizia e il proprio coraggio improvvisando nel pericolo una virtù nuova, tutto concorre a sollevare il vostro animo, che fu sempre pari all'evento e sempre superiore alla fortuna". L'ordine del giorno concludeva: "Ai combattenti del cielo carsico bastò assegnare con precisione il compito severo. Non vale aggiungere incitamento, anzi giova temperare l'eccesso dell'ardire e raccomandare una disciplina vigilante. Ma ricordatevi che anche nelle Bocche di Cattaro, anche in quel munito labirinto marino, come in tutta la costa dalmata, respira pur sempre la grandezza della Dominante. Alla caduta della Repubblica i cittadini di Perasto celarono con lacrime il gonfalone veneto sotto l'altar maggiore del Duomo, consacrandolo alle rivendicazioni future, in cui pur credeva, la loro
fedeltà dolorosa. E certo che nella notte di vittoria il segno dissepolto del leone alato voi lo sentirete riagitarsi al rombo delle vostre ali".

La potente squadriglia da bombardamento, cui era stata affidata l'impresa, partì dal campo di Taliedo (Milano) il 24 settembre per Roma, dove attese per circa dieci giorni che il tempo fosse propizio. Alle 23 del 3 iniziò la partenza per Cantaro; all'alba del 4, bombardate le Bocche e le adiacenze, era tutta ritornata.
Sull'incursione fu diramato dal Quartier Generale il seguente comunicato:

"Dopo i bombardamenti di Pola, che si sono succeduti nei mesi scorsi, offrendo gli spunti di nuove pagine di gloria, questo audacissimo gesto avvenuto sulla famosa base dei sommergibili austriaci alle Bocche di Cattaro, completa e rende anche più fulgida la storia recente dei nostri aeroplani da bombardamento. Sappiamo che il nemico, benché avesse preparato da lungo tempo una notevole difesa antiaerea alle Bocche di Cattaro, non si attendeva certamente l'improvviso colpo recatogli dalle nostre squadriglie. Infatti la risposta degli antiaerei nemici alle bombe italiane è stata violenta e continua per tutta la durata del bombardamento, ma confusa e disorientata. Le batterie antiaeree sparavano qua e là in punti diversi senza concentrare il fuoco con precisione nella zona percorsa dagli apparecchi italiani, dando così la prova più evidente che l'incursione era inattesa e che le batterie non erano preparate. Dal canto nostro invece l'impresa era stata abilmente e lungamente preparata, nella massima segretezza in modo che nulla potesse trapelare a coloro che non ne dovevano far parte. I migliori piloti delle nostre squadriglie da bombardamento erano stati scelti per il volo grandioso e pericoloso, e da parecchi giorni attendevano, nel campo di partenza, con i loro apparecchi che l'ora dell'azione fosse suonata. E questa scoccò precisamente nel cuore della notte tra il 3 e il 4 ottobre, una notte limpida e calma in cui meno difficile si presentava la traversata dell'Adriatico.

"Non occorre qui ricordare che cosa siano le Bocche di Cattaro, questo meraviglioso nascondiglio naturale di cui gli Austriaci si servivano per il rifugio della maggior parte dei loro sommergibili e delle siluranti. Là gli Austriaci possono attendere all'opera di riparazione di armamento delle navi senza timore di assalti e sorprese; e di là in un'atmosfera di calma essi lanciano con relativa facilità nelle acque dell'Adriatico e del Mediterraneo la più triste insidia della guerra dei sommergibili. Un solo pericolo li poteva preoccupare ed era l'assalto aereo. Ma gli Austriaci sapevano a quale difficoltà gli italiani sarebbero andati incontro sia nella traversata del mare, sia per le sorprese che potevano trovare all'altra sponda. Questa sicurezza errata dell'avversario e l'audacia veramente mirabile dei nostri piloti hanno contribuito insieme al successo del memorabile volo. Sgominati, presi alla sprovvista, fulminati da tonnellate di esplosivo, gli austriaci non seppero organizzare che una debole difesa antiaerea. La loro base navale fu gravemente danneggiata. Secondo le prime notizie pervenute, tutte le bombe scoppiarono sugli obiettivi prefissi, producendo terribili stragi".

"Il 13 ottobre, in un incidente aviatorio in un campo presso Udine, trovò la morte il tenente LUIGI OLIVARI; era uno dei nostri assi ed occupava il quarto posto nella graduatoria degli aviatori italiani che avevano abbattuto almeno cinque apparecchi nemici. Il primo posto era del capitano Baracca (19 vittorie), il secondo del maggiore Piccio (15), il terzo dei tenenti Baracchini e Ruffo di Calabria (13), il quarto dell'Olivari (12), il quinto del tenente Ferruccio Ranza (7) il sesto del tenente Olivi e del sergente Stoppani (6) il settimo del tenente Sapelli (5).
Lo stesso giorno 13 una nostra squadriglia di idrovolanti attaccò all'altezza di Rovigno 9 siluranti nemiche, costringendo una torpediniera a rifugiarsi nel Canale di Leme e colpendo un'altra silurante in pieno. Il 16 nostre squadriglie di idrovolanti, scoperti gruppi di dragoniere e di torpediniere presso la costa istriana fra Trieste e Rovigno, li attaccarono obbligandoli a interrompere le loro operazioni e a rifugiarsi nei porti. Furono inoltre bombardati la stazione aerea di Parenzo e un sommergibile. Durante i numerosi scontri con velivoli alzatisi a contrastare le azioni offensive dei nostri, un idrovolante, nemico fu costretto a discendere".


Il 23 ottobre il generale Cadorna, nel suo bollettino di guerra, riferendosi alle operazioni del giorno prima, diceva, fra l'altro:
"Le condizioni atmosferiche hanno favorito le nostre azioni aeree. Due velivoli avversari sono stati abbattuti da un nostro aviatore; uno, germanico è caduto dentro le nostre linee presso Gargaro, l'altro a nord di Podlaka, di fronte alle nostre posizioni"

Per la prima volta, dall'inizio della guerra il Comando Supremo segnalava
aeroplani germanici sul fronte italiano.
E non era proprio un buon segno !!!


Era il giorno 23 ottobre… la vigilia di Caporetto

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