LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

INIZIA L'OFFENSIVA
DAL GRAPPA A VITTORIO VENETO

L'ATTACCO SUL GRAPPA - LA BATTAGLIA DELLA SERNAGLIA - VITTORIO VENETO
LA LOTTA NEGLI ALTRI SETTORI - LA DISFATTA NEMICA - L'AFFONDAMENTO DELLA "VIRIBUS UNITIS "


Quello che poi trovarono i liberatori a Conegliano: solo vedove attorno a delle macerie

All'inizio della terza decade di ottobre l'esercito italiano era pronto per la grande offensiva. Il morale dei soldati era già alto per i risultati ottenuti nei due precedenti mesi, ma diventò altissimo quando iniziarono a giungere le notizie dal fronte occidentale dove i tedeschi stavano provando cosa significa avere una grave crisi dentro l'esercito e avere il nemico sulla soglia di casa. L'avanzata inesorabile delle armate Alleate indebolì ulteriormente la volontà sia del governo sia del popolo tedesco. Inoltre FOCH -grazie ai forti contingenti americani, e dobbiamo qui dire, anche grazie agli italiani che misero fin da giugno in crisi gli austriaci- stava per lanciare un attacco in Lorena, attacco che avrebbe portato per la prima volta la guerra sul suolo tedesco.
Se le notizie facevano gioire l'Italia, le misere condizioni (logistiche oltre che morali) in cui si dibatteva la Germania, minavano la volontà di combattere del soldato tedesco; poi c'era il disfattismo dei capi militari, che fino allora avevano goduto un alto prestigio, ma quando ci fu il cedimento il 2 settembre della linea Hinderbug, non solo frenavano al fronte alcuni zelanti comandanti (figuriamoci i loro sottoposti!), ma sembrava che loro sul campo, e i politici a Berlino, allentassero l'ultimo freno contro la rivoluzione sociale in atto (di cui parleremo in un capitolo dedicato).

Con queste notizie che giungevano -che volevano dire che l'Austria era ormai rimasta sola- i soldati italiani erano impazienti di vendicare Caporetto e bramosi di liberare le terre da loro calpestate e con i fratelli tenuti da quasi un anno sotto il giogo più duro in città e paesi che erano ormai un cumulo di macerie (vedi foto in apertura pagina).
I saccheggi di Udine, Belluno, Vittorio, Conegliano, Agordo, Cividale e Feltre compiuti da Tedeschi e Austriaci, gl'incendi, gli stupri, gli assassini, le impiccagioni, le violenze, le requisizioni, i furti, le deportazioni, le offese, le devastazioni, i vandalismi, le confische, i balzelli, le angherie, le leggi brigantesche, le profanazioni dei templi e dei cimiteri, la ferocia della gendarmeria, tutti gli atti insomma d'inaudita barbarie, che in un anno di occupazione, aveva il nemico commesso nei territori posti di là dal Piave erano per i combattenti italiani stimoli potentissimi alla riscossa e alla vendetta.
Del resto già da qualche tempo, alcuni gruppetti d'italiani (spesso alla guida di un semplice caporale) che attaccavano gli austriaci, avevano già avuto la sensazione di un generale decadimento, per il numero di soldati che si arrendevano senza opporre resistenza; e spesso lo facevano solo perché questi al di là del Piave, erano logorati, da tempo facevano la fame, molti colpiti dalle malattie, e in molte unità erano assenti i vecchi generali, i primi a cadere sotto il dilagare dell'influenza spagnola o più semplicemente da una funesta stanchezza.

L'inizio della "grande offensiva" fu deciso per l'alba del 24 ottobre con l'attacco della IV Armata nella regione del Grappa, attacco che doveva essere effettuato con il concorso dell'ala sinistra della XII Armata (I Corpo del gen. ETNA) e con l'appoggio dell'artiglieria della VI Armata, la quale, a scopo diversivo, doveva a sua volta eseguire colpi di mano su tutto il proprio fronte, mentre la X avrebbe occupato le Grave di Papadopoli.
La IV Armata era composta del IX Corpo (ton. gen. DE BONO: divisioni 17a, 12a e 18a) schierate a sinistra, del VI Corpo (ton. gen. LOMBARDI: divisioni 22a e 59a) al centro e del XXX Corpo (ton. gen. MONTANARI: divisioni 47a, 80a, 50a e 153a) a destra.

A tutte queste truppe il generale GIARDINO lanciò, la vigilia, il proclama seguente:

"È l'ora della riscossa. È l'ora nostra. I fratelli schiavi aspettano i soldatini del Grappa liberatori! Chi di voi non si sente bruciare di furia e d'amore? Il nemico traballa. È il momento di dargli il tracollo che può essere l'ultimo se glielo date secco. Ognuno di voi valga per dieci e per cento. Il vostro Generale sa che varrete per dieci e per cento. L'Italia vi guarda ed aspetta da ciascuno di voi la liberazione e la vittoria. Soldati miei, avanti!"

scrive nella sua, relazione il Comando Supremo:
"Fra il Brenta e il Piave il nostro fuoco d'artiglieria iniziò alle ore 3 del 24 ottobre. Alle 7,15 le fanterie mossero all'attacco. Una fitta nebbia, trasformatasi poi in pioggia dirotta, venne presto a limitare l'efficacia delle opposte artiglieria, ma non impedì la lotta vicina delle fanterie o delle mitragliatrici che assunse subito carattere di grande accanimento.
L'Asolone, occupato di slancio, dovette essere abbandonato sotto una tempesta di fuoco di mitragliatrici incavernate e sotto la pressione di violenti contrattacchi. La brigata Pesaro (239° e 240°) conquistò il Pertica e il XXIII Reparto d'Assalto ed altri elementi s'impadronì di quota 1484 di M. Prassolan; ma flagellati e decimati dal fuoco avversario, furono anch'essi costretti a ripiegare a ridosso delle posizioni raggiunte, dove resistettero fortemente, annidati nelle buche dei proiettili. La brigata "Lombardia" (73° e 74°) attanagliò con le sue colonne d'attacco le vette dei Solaroli e occupò quelli di quota 1671. La brigata "Aosta" (5° e 6°) strappò al nemico in aspra lotta il Valderoa, catturando i resti del presidio. Vano fu l'attacco allo Spinoncia, che svelava mitragliatrici in ogni roccia e opponeva ai nostri l'ostacolo di pareti quasi a picco. Più ad oriente il 2° battaglione del 96° fanteria (brigata "Udine") con ardite puntate s'impadroniva del Col di Vajal e iniziava la scalata di Punta dello Zoc. L'ala sinistra della XII Armata, appoggiando l'azione della IV, scese dal Monte Tomba e dal Monfenera nella conca di Alano e riuscì a stabilirsi sulla sponda nord del torrente Ornic.

" Nelle sanguinose azioni furono catturati 1300 prigionieri e numerose mitragliatrici. Nel tempo stesso pattuglie d'Assalto della 1a Armata in Val d'Astico e sul ciglione sud di Val d'Assa, speciali colonne d'attacco della VI Armata sull'Altopiano d'Asiago irrompevano nei posti avanzati del Redentoro (Val d'Astico) e di Cima Tre Pezzi -Val d'Assa), nei trinceramenti di Canove, del Sisemol, di Stenfle e del Cornove allo scopo di allarmare l'avversario e di impegnarlo in quei settori impedendogli di spostar forze verso la regione del Grappa, e, dopo mischie violente, ne riportavano prigionieri. Il Sisemol, spazzato da una colonna francese che catturò l'intero presidio, fu mantenuto per l'intera giornata allo scopo di accentuare l'azione dimostrativa. La resistenza accanita incontrata nella regione del Grappa non fece mutare i propositi del Comando Supremo, che ordinò di insistervi per fiaccare la resistenza del nemico ed assorbirne le riserve; intanto l'attacco in forze del medio Piave, stabilito per la notte sul 25, doveva ancora per le avverse condizioni atmosferiche nuovamente sopravvenute, essere differito di qualche giorno. Le acque del fiume, gonfio nei giorni precedenti, erano venute lentamente decrescendo, tanto che nelle prime ore del 24, truppe delle XII Armata, britanniche ed italiane, erano riuscite, secondo gli ordini, ad occupare, nella regione delle Grave di Papadopoli, le isole di Cosenza, Lido, Grave e Caserta. Ma poco dopo, nello stesso giorno, scatenatasi repentinamente una violentissima pioggia nella zona montana e nella pianura, si manifestava un nuovo aumento, tanto che nella zona stabilita per la gettata dei ponti tra Pederobba e Sant'Andrea di Barbarana, anche nei punti di minor profondità, ai guadi, il livello dell'acqua era salito fino ad 1.55 e la velocità della corrente superava in più punti i tre metri al secondo; per altro le osservazioni precedenti facevano prevedere che questa fase di aumento sarebbe stata di breve durata.

" Fu perciò deciso di rimandare il passaggio del fiume alla sera del 26, e nell'attesa si continuò col massimo vigore, l'azione preparatoria".

"Il 25 da una parte la X Armata consolidava il possesso della Grave, dall'altra la IV, rinnovata l'azione dell'artiglieria, continuava la sua offensiva concentrando gli sforzi sui punti che il nemico difendeva con maggiore accanimento: Col della Berretta, Pertica, Asolone, Solarolo, Valderoa.
Il IX Reparto d'Assalto, scattando irresistibilmente dall'Asolone, travolse le linee nemiche, conquistando con la 3a compagnia la quota 1486 e con altre due giungendo di slancio sul Col della Berretta. Circa 800 nemici, di cui tre battaglioni bosniaci, furono catturati; il 44° reparto d'assalto ungherese distrutto. Parte degli avversari fu inseguita fino a Col Bonato, parte incalzata in fondo di Val delle Sabine. Il nemico, riavutosi dalla sorpresa, contrattaccò con forze schiaccianti da ogni parte gli arditi, i quali, dopo una mischia feroce, riuscirono a rompere il cerchio che li stringeva e a rientrare nelle linee. Il XVIII reparto d'assalto ed elementi della brigata Pesaro (239°, 240°, dopo sei ore di accanita lotta, che costò loro gravi perdite ma assai più gravi al nemico, si affermarono sul Pertica, catturando i superstiti difensori e una quarantina di mitragliatrici".


"La brigata "Bologna" (39°, 40°) - citiamo sempre la relazione - espugnò monte Forcelletta e si portò sotto la vetta del Col del Cuc prendendo prigionieri e materiali. Fanti della brigata "Lombardia" (73° e 74°) e alpini dei battaglioni "Val Cordevole" e "Levanna" rinnovarono assalti su assalti contro le vette nude e tormentate del Solarolo, senza riuscire a conquistarne il possesso. Oltre 1400 prigionieri furono catturati nella dura giornata. Lotta disperata su tutto il fronte, ma non vana: oltre ad aver perduto posizioni di capitale importanza (M. Pertica e M. Forcelletta), il nemico, profondamente scosso dalla potenza e dalla violenza degli attacchi, sentendo acuirsi il pericolo dello sfondamento verso la conca di Feltre, impegnava nella difesa della regione del Grappa non solo le sue riserve immediate, ma anche quelle che teneva nelle retrovie del Feltrino e del Bellunese. Veniva così a privarsi delle forze che a noi premeva appunto fossero neutralizzate, per impedirne lo spostamento verso il fronte della nostra VIII Armata.

"Nella giornata del 26, la battaglia sul Grappa proseguì serrata, accanita, con fluttuazioni continue; 1200 prigionieri furono catturati. Due delle divisioni di riserva e le artiglierie di una terza incalzavano il fronte del nemico, il quale aveva così in linea, fra Brenta e Piave, 9 divisioni contro le 7 italiane che assalivano e che proseguivano instancabili la loro durissima azione di logoramento".

"Migliorate le condizioni atmosferiche e diminuita la violenza della corrente, la sera del 26 furono cominciati i lavori per la gettata dei ponti attraverso il Piave che dovevano essere undici: uno a Molinello (Pederobba) sul fronte della XII Armata, 7 tra Fontana del Buoro (Montello) e i Ponti della Priula (sulla fronte dell'VIII), 3 alle Grave di Papadopoli, sulla fronte della X. Nel settore che doveva essere sfondato e precisamente sulla fronte dell'VIII Armata, tra Vidor e Nervesa, il compito della rottura era stato affidato al Corpo d'Armata d'Assalto, organismo formidabile comandato dal generale GRAZIOLI, ch'era composto della la Divisione d'Assalto del generale ZOPPI e della 2a Divisione d'Assalto del generale DE MARCHI. Ma quest'ultima divisione non poté passare il fiume non essendo stato possibile gettare il ponte presso Nervesa. Questo non fu il solo ponte che non si riuscì a gettare; altri cinque, tra i sette su cui dovevano passare gli arditi non si poterono gettare per la violenza della corrente e il tiro aggiustato dell'artiglieria nemica, cosicché solo su sei si effettuò il passaggio delle truppe, quello di Molinello, due tra Fontana del Buoro e Falzè e i tre delle Grave di Popadopoli. I primi a passare su barconi, furono le Fiamme Nere del XII Reparto d'Assalto; seguì poi tutta la 1a Divisione d'Assalto.

"All'alba del 27 le truppe passate sulla sinistra del Piave, dopo avere prese d'assalto le prime difese nemiche, formavano tre teste di ponte. La prima, nei pressi di Valdobbiadene, era tenuta da 3 battaglioni del 107 fanteria francese, da 3 battaglioni alpini italiani e da un reggimento della brigata "Campania". Questo apparteneva al XXVII Corpo dell'VIII Armata; gli altri 6 battaglioni francesi e italiani appartenevano alla XII Armata. Tutte queste truppe, sempre combattendo, raggiunsero verso sera la linea Osteria Nuova-S. Vito-Madonna di Caravaggio-Funer-Cà Settolo. La seconda testa di ponte, nella piana di Sernaglia, era costituita da truppe della VIII Armata: a sinistra la brigata "Cuneo" (7° e 8°) e altri elementi del XXVII Corpo, al centro la maggior parte della 57a divisione, a destra la 1a Divisione d'Assalto e il LXXII Reparto d'Assalto del XII Corpo.

"Prima a passare fu la 1a Divisione d'Assalto, che con impeto occupò la Linea dei Molini, Moriago, Mosnigo, Fontigo e Sernaglia. Mentre gli Arditi si battevano e avanzavano e lo stesso facevano alla sinistra le altre truppe, la corrente impetuosa e le artiglierie avversarie spezzavano e travolgevano i ponti, mettendo le truppe passate in difficilissima condizione. Malgrado ciò l'azione offensiva fu proseguita. Attaccando risolutamente in direzione nord ed est gli arditi occuparono Falzè, Case Moro e Chiesuola, respingendo numerosi contrattacchi ed ostacolati da centinaia di mitragliatrici nemiche. Parecchie migliaia furono i prigionieri catturati. A metà della giornata un tentativo d'attacco in forze che doveva, partendo da Case Moro, tagliare in due lo schieramento del 3° Gruppo d'Assalto fu sventato da una piccola schiera del XX Reparto d'Assalto, che catturò la colonna avversaria.

" Nel pomeriggio gli attacchi nemici si fecero violentissimi. Il LXXII Reparto, attaccato presso C. Mira e Boaria del Magazzeno da forze tre volte superiori, le respinse, le contrattaccò, le avvolse, le catturò. Il 3° Gruppo d'Assalto, rimasto scoperto al fianco sinistro e minacciato d'aggiramento; ripiegò leggermente solo per ubbidire ai comandi superiori; le batterie della I Divisione d'Assalto si comportarono eroicamente nei momenti più critici; molti prigionieri nemici, riarmatisi con le armi disseminate sul campo di battaglia, attaccarono alle spalle gli arditi, che, rivoltatisi, ne fecero un macello. La notte, arditi e fanti della brigata "Pisa" repinsero forti contrattacchi sulla linea presso la Sernaglia. La terza testa di ponte fu formata dalle truppe della X Armata, che, passato il fiume, dilagarono nella pianura di Cimadolmo.
Aspri contrasti dovettero sostenere l'XI Corpo d'Armata italiano (ala destra della X) e il XIV Corpo britannico (ala sinistra): il primo, contrattaccato verso sera violentemente, ripiegò lievemente, il secondo, occupato Borgo Malanotte, fu costretto ad abbandonarlo dalla violenza dei contrattacchi avversari, ma poco dopo tornò a rioccuparlo. Sul fronte della X furono, nella giornata del 27, catturati 5600 prigionieri e 24 cannoni".

" La notte del 28 si lavorò senza posa a riattivare i ponti interrotti lottando contro tutte le difficoltà create dalla pioggia, che aumentava il volume e la velocità delle acque, e dal nemico che aveva intensificato il fuoco delle proprie artiglierie ed il tiro con proietti a gas ed iprite. Anche in questa seconda notte l'VIII Corpo d'Armata non riuscì a gettare alcun ponte sul suo fronte tra Falzè e Nervesa. Veniva così a prodursi una vasta soluzione di continuità oltre il fiume fra le truppe dell'VIII Armata e quelle della X. Per colmarla e per agevolare il passaggio dell'VIII Corpo, al quale era affidata l'azione risolutiva su Vittorio, il Comando dell'VIII Armata aveva disposto che altro Corpo di Armata, il XVIII, della propria riserva, passasse il Piave sui ponti della X Armata, per operare nella giornata del 28 dal fianco sinistro di questa in direzione sudnord, puntando su Conegliano e venendo così a liberare in gran parte la fronte dell'VIII, in modo che questo potesse a sua volta effettuare sicuramente il passaggio nella notte successiva.

" La mattina del 28 il XVIII Corpo iniziava il passaggio a Solattuol sui ponti della X Armata, pure interrottisi durante la notte e riattati a fatica, e contemporaneamente nuove truppe della XII e dell'VIII Armata (XVII e XXII Corpo) passavano il fiume fra Pederobba e Falzè. L'azione riprendeva su tutta la fronte. Tutta la XII Armata attaccava a cavallo del Piave verso nord; espugnava Alano sulla destra del fiume e le alture di Valdobbiadene (M. Pianar e M. Perle) sulla sinistra, e catturava alcune migliaia di prigionieri. Intanto sul fronte dell'VIII Armata le truppe del XXVII e del XXII Corpo, passate per prime oltre il fiume e rimaste ancora isolate per una nuova rottura dei ponti, resistevano impavide a continui contrattacchi: le instancabili artiglierie le proteggevano dalla riva destra fulminando il nemico e gli aeroplani le rifornivano di viveri, cartucce, coperte.

"Ma la tenacia di tutti vinceva la crisi. Il XVIII Corpo, riuscito a far passare oltre il fiume soltanto la brigata "Como" ( 23° e 24°) e un reggimento della brigata Bisagno (209° e 210°, lanciava questa truppe all'attacco risalendo la sinistra del Piave, e a sera, rovesciata ogni resistenza nemica, aveva oltrepassato la ferrovia di Susegana in corrispondenza dei ponti della Priula, aprendo così la via di sbocco all'VIII Corpo d'Armata. Più a sud il XIV Corpo britannico e l'XI Corpo italiano della X Armata, allargando la breccia già aperta nella Kaiserstellung, dilagavano a oriente attraverso la pianura e raggiungevano la linea del Monticano. Lo schieramento dell'avversario sulla riva sinistra del Piave era ormai spezzato in due tronconi; quello meridionale era immobilizzato dalla X Armata, e quello settentrionale, ancora aggrappato alle colline di Conegliano, minacciato di avvolgimento dall'VIII Corpo d'Armata, doveva cedere. L'VIII Armata ripigliava la sua libertà d'azione e la manovra il suo persistente svolgimento.

"Nelle prime ore del 29, infatti, l'VIII Corpo, gettati i ponti della Priula, si lanciò a sua volta all'attacco; superata la linea nemica di Marcatelli, s'impadronì di Susegana, e mentre il XVIII Corpo occupava Conegliano, spingeva in avanti con fulminea mossa una colonna celere (lancieri di Firenze e bersaglieri ciclisti) ad occupare Vittorio, che fu raggiunto verso sera. Nel frattempo le truppe della XII Armata, alpini della 52a divisione, fanti della 23a divisione francese e del 1° Corpo italiano, conquistarono M. Cesen, posizione importantissima per il dominio che essa ha sulla stretta di Quero e verso la conca di Feltre; occupavano Segusino e raggiungevano Quero. Particolarmente notevole fu l'avanzata della 52a divisione per la conquista di M. Cesen, compiuta vincendo aspre difficoltà del terreno, rese anche più gravi dalla tenace resistenza nemica. Successivamente colonne dell'VIII Armata irrompevano nel solco S. Pietro di Barbozza-Serravalle, e oltrepassavano Follina. La X Armata varcava il Monticano su ampia fronte. Oltre 8000 prigionieri e un centinaio di cannoni erano catturati dalle Armate XII, VIII e X.

"Nel frattempo sul fronte della IV Armata, il nemico, sempre impegnandosi nella lotta, il giorno 27 era passato alla controffensiva: otto attacchi sferrava contro il Pertica, tutti respinti; per sei ore il combattimento infuriò intorno alla vetta e i cadaveri si ammucchiarono sulle sassose pendici. Sul "Valderoa", "Aosta" (5° e 6°), benché soverchiata da forze preponderanti, s'abbrancò alla cima e non piegò. Un'implacabile azione d'artiglieria si svolse da parte nostra il 28; il 29 si riaccese la lotta delle artiglierie sull'Asolone e in Val Cesilla; le colonne italiane tendevano dall'Asolone al Col della Berretta per favorire l'ampliamento dell'occupazione del Pertica e l'espugnazione del Prassolan e del Solarolo e per slanciarsi alla conquista della conca di Feltre, lungo i contrafforti del Roncone e del Tomatico. Il nemico oppose una resistenza accanita, contrattaccò instancabile, recò nella lotta le sue ultime riserve, portando ad 11 le divisioni di linea. Cosi la IV Armata, pur non potendo raggiungere sul terreno l'obiettivo finale assegnatole di interrompere materialmente le comunicazioni fra le truppe nemiche della zona alpina e quelle del piano, riusciva con la sua tenacia nel compito di cooperazione immediata logorando le riserve che l'avversario teneva nella conca di Feltre e impedendo loro di poter essere lanciate nella pianura ad arginare la breccia aperta dall'VIII, dalla X e dalla XII Armata.

"La disfatta nemica, già delineatasi fin dal giorno 28, decisa il 29, precipitava il 30. Sotto l'inesorabile pressione combinata dalle altre armate di manovra, il fronte frettolosamente rinsaldato dal nemico su posizioni retrostanti veniva di nuovo sfondato in più punti. L'VIII Armata, svolgendo brillantemente il compito assegnatole, convergeva a sinistra con rapida avanzata, si slanciava sulla dorsale delle Prealpi ad oriente del M. Cesen, contro la stretta di Fadalto e sul Consiglio, e puntava alla convalle Bellunese. La I Divisione di cavalleria veniva lanciata in avanti tra l'VIII e la X, obiettivo la Livenza a nord di Sacile, e più oltre il Tagliamento.

"Così delineatasi la situazione, il Comando Supremo ritenne giunto il momento di far entrare in azione anche le truppe schierate sul basso Piave. La III Armata che, agli ordini di S. A. R. il Duca d'Aosta aveva fortemente impegnato il nemico di fronte ed attendeva la sua ora, ebbe l'ordine di attaccare. Con l'appoggio di una divisione fatta passare attraverso i ponti della X Armata e spinta verso sud, lungo il Piave, forzò in aspra lotta gli sbocchi di Ponte di Piave, di Salgaredo, di Romanziol, di S. Donà ed avanzò decisamente nella piana, sebbene fortemente ostacolata dall'avversario che si accaniva in tenacissima resistenza di retroguardie per coprire il ripiegamento delle proprie artiglierie. Oltre 3000 prigionieri furono catturati in quella giornata. A sera, dopo vivaci combattimenti, le truppe della XII Armata si erano aperta la stretta di Quero ed avevano allargato la loro occupazione del massiccio del Cesen; l'VIII Armata, raggiunta la cresta della dorsale prealpina da M. Cesen a M. Pezza, combatteva al passo di San Boldo. Più ad oriente aveva forzato la stretta di Serravalle, a nord di Vittorio, oltrepassato Breda Fregosa, Sarmede e Caneva. La X e la III Armata avanzavano verso la Livenza.

"Così la battaglia si svolgeva con esatto ritmo crescente secondo il disegno prestabilito. Il Comando austro-ungarico, tratto in inganno dai nostri due sforzi alle ali, sul Grappa e alla Grave di Papadopoli, si era lasciato assorbire verso il Grappa le riserve del Feltrino e verso la X Armata, che aveva il difensivo compito di fianco, la più gran parte delle riserve del piano; cosicché ogni sforzo per contenere la nostra rapida irruzione da Vittorio Veneto verso la convalle bellunese non poteva più giungere che tardivo, e l'aggiramento per il rovescio del Grappa si presentava ormai promettente dei maggiori risultati.
Conquistata dalle nostre truppe la stretta di Quero, il nemico che difendeva il settore del Grappa, nella notte dal 30 al 31, iniziò il ripiegamento sul fronte Fonzaso-Feltre per coprire le linee dell'alto Piave con il concorso delle difese organizzate più ad Oriente al passo di S. Boldo e alla stretta di Fadalto. Conosciuto il movimento, il generale GIARDINO ordinò l'avanzata, e le truppe della IV Armata, nonostante l'ostinatissima e fortissima difesa delle grosse retroguardie avversarie appoggiate da numerose mitragliatrici e bocche da fuoco, con spinta vigorosa travolsero la resistenza avversaria e si slanciarono innanzi, sulla conca di Feltre, per i contrafforti del Tomatico e del Roncone e por la valle di Seren. La brigata "Ancona" (69° e 70°) della VI Armata, concorso all'avanzata della IV spiegandosi rapidamente in Val Brenta e conquistando il Cismon su cui furono catturati un migliaio di uomini e 9 cannoni.

"La sera del 31 la IV Armata, superate ostinate resistenze nemiche, teneva con la sinistra M. Roncone e spingeva pattuglie nel solco Arsiè-Arton; il 91° fanteria della "Basilicata" catturava a Corlo una brigata austriaca; al centro la "Bologna" (39° e 40°) e la "Lombardia" (73° e 74°) per Val di Seren e i battaglioni alpini "Monte Pelmo", "Exilles" e "Pieve di Cadore" per i monti entravano a Feltre catturando 2000 prigionieri; il 1° Gruppo di squadroni del reggimento cavalleggeri di "Padova", che era al piano, passò di notte il Grappa e per vie difficili sboccò in Val di Seren, donde la mattina del giorno dopo puntò su Belluno, caricando e sbaragliando per via un reggimento bosniaco; alla destra l'"Aosta" (5° e 6°) e l'"Udine" (95° e 96°), per Val Calcino e Val Cinespa, gettandosi attraverso il contrafforte dello Spinoncia e di M. Zoc, bloccarono nelle gole di Schiavenin le forze nemiche riuscite a fronteggiare il I Corpo d'Armata, che costituiva l'ala sinistra della XII Armata. Questa, il 31 sera, avanzando sempre, raggiunse il Piave tra Lential e Mel. L'VIII, superando dopo dieci ore di lotta accanita la resistenza nemica a S. Boldo, scendeva al Piave, espugnava la stretta di Fadolto, lanciava avanguardie verso Ponte delle Alpi ed occupava con colonne leggere il Pian del Consiglio. Lo stesso giorno 31, le divisioni 2a, 3a, e 4a di cavalleria, al comando di S. A. R. il Conte di Torino, dopo aver superato accanite resistenze nemiche, si irradiavano oltre il fronte della X armata. All'alba, pattuglio dei lancieri "Vittorio Emanuele" (10°) e "Milano" (7°) entravano in Oderzo, mentre anche sul fronte della VI Armata (altopiano d'Asiago) i nostri sferravano l'offensiva espugnando Melaghetto e la linea Cima Tre Pezzi-Fortino Stella-Canove.

"La notte successiva, nel Porto di Pola, il maggiore del Genio Navale ROSSETTI e il medico di ALARINA PAOLUCCI facevano per mezzo di uno speciale congegno affondare la corazzata austriaca "Viribus Unitis".

Nel capitolo che segue

L'INSEGUIMENTO - TRENTO E TRIESTE OCCUPATE - L'ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI - L'ULTIMO BOLLETTINO DI GUERRA DEL COMANDO SUPREMO


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