LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

LA RESA DELL' AUSTRIA
LE CONDIZIONI DELL'ARMISTIZIO

LA RESA DELLA GERMANIA - LE DURE CONDIZIONI


Villa Giusti, dove l'Austria firmò la resa

Nella precedente puntata abbiamo visto l'esercito Italiano dopo la sua azione offensiva dal 24 ottobre al 4 novembre, arrivare con la resa dell'Austria, al "capolinea" di Vittorio Veneto. In questa puntata, e negli stessi giorni, diamo invece uno sguardo all'esercito Austriaco alle prese con la sua (burocratica oltre che militare) disfatta.
Poche guerre sono state perse in un modo così disastroso, soprattutto se teniamo presente che il perdente era uno dei più potenti e organizzati eserciti del mondo. Nel preparare la loro grande offensiva, avevano approntato perfino un libro in brochure, dove nei minimi dettagli vi era scritto come si dovevano comportare, contemplando arrogantemente due sole possibilita, al punto A) Tracollo immediato dell'Esercito Italiano (speravano in un'altra Caporetto); al punto B) Disfatta dell'Esercito Italiano in dieci giorni. In entrambi i casi come fare gli ingressi trionfali a Venezia e a Milano.

Ma già nel pomeriggio del 28 ottobre l'esercito Austriaco era in condizioni difficili; e il 30 e 31 era già disfatto. Il formidabile strumento di guerra, che era stato capace un tempo di reggere gli urti di cinque stati, pur non difettando la disciplina, la religiosità, la devozione mistica verso l'Imperatore, gli mancava però le due cose più importanti: il vincolo della solidarietà nazionale e l'incitamento dell'amor di Patria. Fu così che il 1° novembre si sfaldò in una fra le più tragiche dissoluzioni registrate dalla storia austriaca; ma anche poco comune nella storia di molte altre nazioni.

L'esercito degli Absburgo aveva mobilitato e ammassato fra lo Stelvio e il mare più di un milione di uomini; tutto un popolo innanzitutto sparso nelle trincee, poi negli attendamenti, nei baraccamenti, negli accantonamenti; ripartiti in Unità, inquadrate in altre Unità, ciascuna delle quali aveva i suoi capi, i suoi ministri del culto, i suoi giudici, i suoi sanitari, e una miriade di uomini che alimentavano il funzionamento del servizio logistico, tutto regolato da leggi imperiose, e ogni cosa dall'inizio alla fine, anche le più semplici si muovevano solo dopo aver messo mano ad una montagna di scartoffie che la pedantesca burocrazia viennese esigeva, sempre, e in ogni caso, in cielo, in terra e in ogni luogo.
A Vienna quasi un milione di uomini si dedicavano all'apparato statale e solo di burocrazia vivevano.

Tutto questo il 28-29-30 ottobre nell'ultima battaglia andò perduto. L'esercito austro-magiaro divenne la moltitudine più numerosa e caotica di sbandati, di affamati, di fuggiaschi, che mai abbia ingombrato con la sua pena e con la sua angoscia le strade del mondo.
Le giornate erano già molto triste, la pioggia non aveva mai smesso di cadere, e c'era fango dappertutto; e su questo fango, autocarri abbandonati, cassoni rovesciati, carretti trascinati da quadrupedi esausti, che a loro volta trascinavano uomini stremati dalla fame, dalle malattie o dalle ferite. Ma soprattutto lacerati nell'orgoglio
Tutto il grandioso allestimento scenico crollava a pezzi.

Turbe di soldati di tutte le nazionalità della ex potente Monarchia absburgica, si aggiravano in scenari che sembravano perfino finti, di cartapesta, e gli uomini delle marionette, lacere, senza scarpe, senza cappotto, fradici senza mantelline sotto la pioggia, alcuni con lo sguardo sbigottito altri rassegnato.
Avevano combattuto con bravura, impegnato duramente i Grigioverdi per quattro anni, ma ormai tutti coscienti di aver perduta la battaglia e con essa la guerra, i soldati di Carlo d'Absburgo si ritrovarono quali erano: Boemi, Slavi, Magiari, Ruteni, Romeni...cui nulla più importava di un Impero scomparso, che l'amor di patria rendeva estranei gli uni agli altri, sollecitati soltanto dall'istinto della conservazione.
L'onore della propria bandiera, scomparso il vessillo unitario, non era che una formula vuota. Non c'era motivo ideale né ragione pratica di battersi ancora. La casa da difendere dov'era? lontana, tanto lontana che di sicuro là i grigioverdi non si proponevano di giungervi. Quindi, tanto valeva gettare subito le armi e salvare ciò che solo aveva valore: la vita.
Le stazioni erano prese d'assalto; sui binari vi erano centinaia di carri chiusi o aperti stipati di uomini, che altri uomini spingevano a pugni e calci pur di entrarci pure loro. Quando partivano i convogli, centinaia si aggrappavano ai respingenti, alle maniglie, o si stipavano sul tetto dei vagoni, ignari che la linea del Brennero attraversa centinaia di gallerie; in quelle basse avvenivano così della ecatombe di uomini maciullati o decapitati, e se scampavano in queste basse gallerie finivano asfissiati in quelle lunghe.

In qualche gola del Trentino, in reparti ancora indenni dallo scoramento, qualche ufficiale ancora con la volontà del sacrificio, guidava alcuni gruppi, che manovravano qualche cannone, qualche mitragliatrice, ma inutilmente. Erano resistenze che finivano in episodi insignificanti, ma il quadro finale era piuttosto a tinte cupe, questi eroici presidi o venivano completamente annientati o a testa bassa si arrendevano.

A Vienna, e a Baden da alcuni giorni giungevano queste notizie lugubri della catastrofe. La sorte stava riservando la conclusione più tragica. Eppure non trovava gli animi disposti ad accettarla, a subirla, e provocò quanto di peggio può toccare ad un esercito e ad un Paese quando la sventura batte alle porte: la discordia fra Sovrano, condottieri e ministri. E così possiamo immaginare cosa accadeva nei vari reparti.
Fin dal 26 ottobre CARLO I d'ABSBURGO intendeva chiedere un armistizio e si era illuso (come quando aveva creduto nella "grande offensiva") di ottenerlo a condizioni che in realtà erano inaccettabili perché viveva fuori dalla realtà. Una di queste condizioni era che voleva fare lo sgombero delle terre italiane invase, ma chiedendo per attuarlo nove mesi di tempo; inoltre non accennava a nessuna cessione territoriale, che forse era la sola che potesse portare ad una conclusione concreta; e meno catastrofica, per il suo impero, la sua dinastia e per la sua Austria.

Questa sua volontà la telegrafò a Baden al Comando Supremo che gli dava però poco ascolto (Guglielmo non aveva mai avuto un'alta considerazione per Carlo) perché sempre fiducioso, il Kaiser intendeva continuare la sua battaglia, in attesa dell'esito cui avrebbero condotto le trattative intavolate con il presidente Wilson. E così per qualche giorno in Italia si seguitò a morire, sugli Altopiani, sul Grappa, sul Piave e gli austriaci nella Val d'Adige, in Carnia, in Friuli.
Il pomeriggio del 28 ottobre per l'Austria ogni illusione cadeva. Ciò pose fine al breve dissidio fra il Sovrano e i suoi generali, risolto da ARTURO von ARZ con l'ordine diramato ai membri dell "Commissione d'armistizio" per l'immediata riunione a Trento.

La stessa sera del 28 si riunivano in questa città, il generale di fanteria VITTORIO WEBER von WEBENAU, il colonnello CARLO SCHENELLER, il tenente colonnello di Stato Maggiore barone VITTORIO SEILER, il capitano di fregata principe GIOVANNI LICHTESTEIN, il capitano di corvetta GIORGIO ZWIEKOWSKI, il tenente colonnello FRANCESCO MYEKHEGYI, il capitano di Stato Maggiore CAMILLO RUGGERA.
Il generale Webenau, presidente della "Commissione" e comandante del VI Corpo d'Armata, non ricevette disposizioni tassative. Gli si prescrisse soltanto di "...trattare e concludere l'armistizio nel più breve termine di tempo, rifiutando ogni clausola disonorevole o avente il "carattere di una capitolazione".
Nessuno sapeva, perciò, quali sarebbero state le rinunce da sottoscrivere, i sacrifici da subire. L'ottimismo dominava ancora a Vienna, a Baden, a Trento, facendo sperare che l'Italia si sarebbe accontentata del "parecchio" giolittiano o di poco più. Questo all'Italia dopo quattro anni di una guerra tremenda, dopo avere riportato una vittoria senza precedenti nella storia, dopo uno sforzo superiore ad ogni previsione, anzi all'immaginabile!

IL CASELLO T

Lungo quel tratto della ferrata Verona-Trento che da Ala conduce a Rovereto, a breve distanza da Serravalle e da Chizzola, si trova un casello contraddistinto oggi col numero 69. Durante la guerra veniva chiamato il Casello ferroviario T, per via di due grandi T dipinte sopra i suoi muri, e -durante parecchi e parecchi mesi venne a trovarsi nella terra di nessuno, fra le trincee austriache di Marco e gli appostamenti italiani del Gufo a Serravalle. Giusto in questa fascia, il capitano austriaco RUGGERA usciva allo scoperto il mattino del 29 ottobre, alle ore 10 - protetto dalla bandiera bianca, accompagnato da due trombettieri che richiamavano l'attenzione delle postazioni italiane con lunghi insistenti squilli.
Troppe volte il nemico aveva abusato di questi segnali perché i Grigioverdi non dovessero credere ad un inganno. Ci fu così qualche fucilata e un trombettiere austriaco rimase leggermente ferito.
Chiarito l'equivoco, il capitano Ruggera riuscì ad incontrarsi con gli ufficiali italiani, ai quali presentò una lettera del generale WEBENAU. Prontamente informato, il Comando Supremo di Abano, questo fece rispondere all'emissario nemico che l'Italia era "disposta a trattare l'armistizio purché si fossero presentati plenipotenziari forniti delle necessarie credenziali". Con questo, il capitano Ruggera fu congedato. Chi ci rimase male fu il trombettiere ferito il quale, soccorso e confortato dagli italiani del presidio, aveva sperato di rimanere dove si mangiava bene e si beveva meglio ....

Poiché era stato convenuto di sospendere ogni azione di guerra intorno al Casello T, il 30 ottobre l'intera Commissione austriaca d'armistizio raggiungeva le linee italiane senza incidenti di sorta. In una comoda veloce automobile, dalle tendine abbassate, il generale WEBER von WEBENAU ed i suoi -accompagnati dal generale AMANTEA - furono fatti proseguire per Padova e quindi ospitati a Villa Giusti: una lussuosa dimora estiva a cinque chilometri dalla città del Santo.

I plenipotenziari austriaci avevano da poco lasciato Serravalle, quando un nuovo sventolio di drappi bianchi ed altri squilli di tromba richiamarono l'attenzione delle vedette italiane. Non si sapeva chi mai dovesse presentarsi ancora, tuttavia il parlamentare inatteso fu ricevuto cordialmente. Era un ufficiale superiore dello Stato Maggiore tedesco, fornito di una credenziale firmata da von HINDENBURG. Quale rappresentante del Governo di Berlino, il nuovo venuto chiedeva di essere ammesso ad assistere alle trattative inerenti all'armistizio, ma poiché i plenipotenziari austriaci non avevano fatto alcun accenno a quest'intruso, fu invitato a tornarsene da dov'era venuto.

Nel frattempo, ad Abano la commissione austriaca scesi dal treno....

...condotti a Villa Giusti avvenivano le presentazioni.
Gli ufficiali austriaci si trovavano per la prima volta di fronte ai generali italiani: PIETRO BADOGLIO, sottocapo dello Stato Maggiore italiano, il generale di Brigata SCIPIONE SCIPIONI; i colonnelli di Stato Maggiore GAZZERA, MARAVIGNA e PARIANI; il colonnello MARCHETTI degli Alpini, il capitano di vascello ACCINNI. Fungeva da interprete un capitano della Territoriale, il cognato di Cesare Battisti. Costui, stessa statura, con il caratteristico pizzetto al mento, rassomigliava stranamente nel volto all'Impiccato del Buon Consiglio. E chissà quali sentimenti suscitava nell'animo degli austriaci vinti quella quasi spettrale visione.

Dal Comando Supremo di Abano si era provveduto a telefonare al Consiglio Interalleato per gli accordi relativi al testo dell'armistizio. Da Versailles giunsero via fonogramma direttive abbastanza particolareggiate sul tipo di resa, ma lasciavano liberi gli italiani di decidere riguardo alle modalità d'applicazione ed ai particolari. Era un fono sommario, e non si accennava ancora ai confini territoriali; questi giunsero dopo, con il messaggero portando le carte con le famose "linee Wilson".

Le clausole furono sottoposte alla Commissione austriaca.
WEBER von WEBEANU ed i suoi compagni seppero così cosa e quanto gli Alleati esigevano dalla Monarchia danubiana. La prima sensazione dei vinti fu di smarrimento. Le illusioni cadevano al primo urto contro la realtà.
Posti di fronte a ciò che non si attendevano, i membri della Commissione austriaca - che come sappiamo, erano, state impartite soltanto disposizioni generiche - oltre che costernati, rimasero indecisi.
Che fare?
Nessuno intendeva assumersi la responsabilità di sottoscrivere le condizioni proposte. Incominciava la fuga dei competenti di fronte al loro compito; e non erano i soli, questa caratteristica nella breve storia dell'agonia di un potere secolare si era già molto diffusa nelle alte sfere sia imperiali che militari.
Poiché le circostanze urgevano, era pur necessario risolvere la questione. Ad ogni ora, ad ogni minuto, centinaia di uomini scontavano con la vita o con la cattura le incertezze dei loro capi. I membri della Commissione austriaca decisero che tre di loro sarebbero tornati a Trento a chiedere consiglio, mentre gli altri si trattenevano a Villa Giusti per intavolare le trattative.
Il Comando Supremo italiano di Abano accordò il consenso, così il colonnello SCHELLER, il principe di LIECHTENSTEIN ed il capitano RUGGERA ripassarono per la piccola oasi neutrale stabilita intorno all'ormai famoso Casello T e risalirono l'Adige. Giunti a Trento, vi trovarono il generale WALDSTÁTTEN, cui riferirono ogni cosa.

Per quanto le condizioni militari e politiche della Monarchia danubiana erano diventate via via più gravi, il generale WALDSTÁTTEN non seppe e non volle a sua volta decidere. Si rimise perciò ad ARTURO von ARZ che se ne stava nel lussuoso castello di Schonbrunn, accanto al povero Imperatore.
CARLO D'ABSBURGO, tardo pronipote di despoti che avevano fatto tremare l'Europa e i suoi popoli, viveva ore di abbattimento profondo, di angosciosa incertezza. Per le sale dorate che accoglievano cent'anni prima il fasto d'una Corte divenuta fra le più potenti del mondo, si aggirava ora -smarrito e titubante - un pallido Sovrano taciturno e cupo, senza speranza, senza volontà, senz'ardire. La sventura si abbatteva sul capo biondo di Carlo I ed egli sentiva vacillare la corona portata con fiero orgoglio dagli avi che si credevano gli eletti da Dio, e difesa da loro con fermezza titanica, con misticismo feroce.
ARTURO von ARZ non sapeva far di meglio fuorché condividere le tristezze del suo principe abulico. L'Imperatore di un'immensa Monarchia in sfacelo ed il capo d'un grandioso esercito in fuga non sapevano trovare un atto di fierezza un pensiero virile, una decisione opportuna. Se gli uomini si rivelano nelle congiunture avverse, dalla catastrofe dell'Austria imperiale non balzarono alla ribalta della storia in quei giorni che marionette con dei fili spezzati.

Poiché nemmeno l'Imperatore, per quanto irresoluto, poteva sottrarsi a una scelta imposta dalle circostanze quanto mai tragiche, fu deciso di organizzare una (burocratica quanto inutile) riunione di un Consiglio cui parteciparono CARLO I, ARTURO von ARZ, l'ammiraglio NICOLA HORHY de NAGY-BANYA e i Ministri presenti.
La riunione aveva il compito di far giungere al colonnello SCHELLER ed ai suoi compagni la risposta che essi attendevano ansiosamente a Trento. Vana attesa! Da Schónbrunn non giungeva un bel nulla. Motivo: invece che dare disposizioni, la piccola assemblea si era risolta a lanciare un retorico proclama alle popolazioni della Monarchia e... a rimettere ogni decisione riguardante l'armistizio al Consiglio di Stato da convocare d'urgenza.
Nel proclama si diceva che ciascuna delle nazionalità male amalgamate nell'Impero più eterogeneo del mondo era autorizzata a costituire un proprio esercito. Mentre si apponevano le firme, il ministro ungherese della guerra LANDER avanzò la richiesta che le truppe magiare fossero richiamate a presidiare la patria (quale non la specificò !?). ARTURO von ARZ si oppose e ne derivò un tafferuglio.

Ed eccoci al nuovo atto della pietosa tragedia: alla riunione del Consiglio di Stato. Questo si comportò come… la Commissione d'armistizio, come… il generale Waldestátten, come… von Arz, come… l'Imperatore, come ... tutte le personalità e gli organi responsabili, decidendo.... di rimettere ogni giudizio al Consiglio della Corona. Sembrerebbe che a questo punto, giunti all'ultima tappa, la vicenda intrecciata come certe filastrocche infantili dovesse avere fine.
Invece, il Consiglio della Corona, riconosciuto competente a decidere solo il Consiglio di Stato, si dichiarò incompetente e si rimise all'assemblea che si era rimessa a lui, da convocare per la seconda volta.
A Trento passivamente si attendeva, ad Abano passivamente si attendeva, mentre non attendevano i campi di battaglia, dove sia da una parte sia dall'altra si continuava a sparare e centinaia e centinaia di uomini cadevano uccisi, feriti o fatti prigionieri ad ogni ora, ad ogni minuto.

Le decisioni relative al (sommario) testo dell'armistizio avevano preso il biglietto di ritorno ed ora sembravano destinate a rifare passo passo il cammino percorso, fino al punto di partenza. Fra gli squarci del dramma sanguinoso ora irrompeva perfino il grottesco. Il lato immancabile in ogni figura della geometria umana, anche grandiosa.
Nel frattempo, giungeva ad Abano il corriere speciale partito da Versailles con il testo scritto dell'armistizio da imporre ai vinti. Letto dal Comando Supremo e immediatamente rimesso al generale WEBER, il documento comprendeva otto clausole militari, undici navali.
(che riportiamo integralmente)

LE CLAUSOLE MILITARI

1. - Cessazione immediata delle ostilità per terra, in mare e in cielo (qui non si parlava di ore né prima né dopo la firma. - Ndr)

2. - Smobilitazione totale dell'esercito austro-ungarico e ritiro immediato di tutte le Unità che operano sul fronte dal Mare del Nord alla Svizzera.
Non sarà mantenuto sul territorio austro-ungarico, nei limiti più sotto indicati al paragrafo 3, come forze militari austro-ungariche, che un, massimo di 20 Divisioni, ridotte all'effettivo di pace prima della guerra.
La metà del materiale totale dell'artiglieria divisionale, dell'artiglieria di Corpo d'Armata, nonché il corrispondente equipaggiamento, a cominciare da tutto ciò che si trova, sui territori da evacuare dall'esercito austro-ungarico, dovrà essere riunito in località da fissarsi dagli Alleati e dagli Stati Uniti, per esser loro consegnato.

3. - Sgombro di tutto il territorio invaso dall'Austria-Ungheria dall'inizio della guerra e ritiro delle forze austro-ungariche, in un periodo di tempo da stabilirsi dai Comandi Supremi delle forze alleate sui vari fronti, di là d'una linea così fissata: dal Pizzo Umbral fino al nord dello Stelvio, essa seguirà la cresta delle Alpi Retiche fino alle sorgenti dell'Adige e dell'Isarco passando per il Resia, il Brennero e i massicci dell'Oetz e dello Ziller; quindi volgerà verso sud attraverso i monti di Toblac e raggiungerà l' attuale frontiera delle Alpi Carniche seguendola sino ai monti di Tarvis;
correrà poi sullo spartiacque delle Alpi Giulie per il Predil, il Mangart, il Tricorno, i passi di Podberdo, di Podlasciam e di Idria; a partire da questo punto, la linea seguirà la direzione di sud-est verso il Monte Nevoso (Schneeberg), lasciando fuori il bacino della Sava e dei suoi tributari; dallo Schneeberg scenderà al mare, includendo Castua, Mattuglie e Volosca. Analogamente tale linea seguirà i limiti amministrativi attuali della provincia di Dalmazia, includendo a nord Lisarica e Tribani e a sud tutti i territori fino ad una linea partente dal mare vicino a Punta Planka e seguente verso est le alture formanti lo spartiacque, in modo da comprendere nei territori evacuati tutte le valli e i corsi d'acqua che discendono verso Sebenico, come il Cikola, il Kerka, il, Butisnica e i loro affluenti.
Essa includerà anche tutte le isole situate a nord e ad ovest della Dalmazia: da Premuda, Selve, Ulbo, Sperda, Maon, Pago e Puntadura a nord, fino a Meleda a sud, comprendendo Sant'Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Tereola, Curzola, Cazza e Lagosta, oltre gli scogli e gli isolotti circostanti, e Pelagosa, ad eccezione solamente delle isole Grande e Piccola Zirona, Bica, Solta e Brazza.
Tutti i territori così evacuati saranno occupati dalle truppe degli Alleati e dagli Stati Uniti d'America.
Tutto il materiale militare e ferroviario nemico che si trova nei territori da evacuare sarà lasciato sul posto.
Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti di tutto questo materiale (approvvigionamenti di carbone ed altri compresi) secondo le istruzioni particolari date dai Comandanti Supremi sui vari fronti delle forze delle Potenze associate. Nessuna nuova distruzione, né saccheggio, né requisizione delle truppe nemiche nei territori da evacuare dall'avversario e da occupare dalle forze delle Potenze associate.

4. - Possibilità per gli eserciti delle Potenze associate di spostarsi su tutte le totabili, strade ferrate e vie fluviali dei territori austro-ungarici, che saranno necessarie.
Occupazione in qualunque momento, da parte degli eserciti delle Potenze associate, di tutti i punti strategici in Austria-Ungheria ritenuti necessari per rendere possibili le operazioni militari o per mantenere l'ordine.
Diritto di requisizione, contro pagamento, da parte degli eserciti e delle Potenze associate, in tutti i territori dove esse si trovino.

5. - Sgombero completo, nello spazio di 15 giorni, di tutte le truppe germaniche, non solamente dai fronti d'Italia e nei Balcani, ma da tutti i territori austro-ungarici.
Internamento di tutte le truppe germaniche che non avranno lasciato il territorio austro-ungarico prima di questo termine.

6. - I territori austro-ungarici sgombrati saranno provvisoriamente amministrati dalle Autorità locali sotto il controllo delle truppe alleate e associate di occupazione.

7. - Rimpatrio immediato, senza reciprocità, di tutti i prigionieri di guerra, sudditi alleati internati e popolazione civile fatta sgombrare, secondo le condizioni che fisseranno i Comandanti Supremi degli Eserciti, delle Potenze alleate sui vari fronti.

8. - I malati ed i feriti non trasportabili saranno assistiti a cura del personale austro-ungarico che sarà lasciato sul posto con tutto il materiale necessario.

LE CLAUSOLE NAVALI


1. - Cessazione immediata di ogni ostilità sul mare e indicazioni precise del posto e dei movimenti, di tutte le navi austro-ungariche.
Sarà dato ai paesi neutrali avviso della libertà concessa alla navigazione delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate e associate in tutte le acque territoriali, senza sollevare questioni di neutralità.

2. - Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti d'America di 15 sottomarini austro-ungarici costruiti dal 1910 a 1918 e di tutti i sottomarini germanici che si trovano, o che possono venirsi a trovare, nelle acque territoriali austro-ungariche. Disarmo completo e smobilitazione di tutti gli altri sottomarini austro-ungarici che dovranno restare sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti.

3. - Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti d'America, con il loro armamento ed equipaggiamento completo, di 3 corazzate, 3 incrociatori leggeri, 9 cacciatorpediniere, 12 torpediniere, 1 nave posamine, 6 monitori del Danubio, che verranno designati dagli Alleati e dagli Stati Uniti d'America.
Tutte le altre navi da guerra di superficie (comprese quelle fluviali) dovranno essere concentrate nelle basi navali austro-ungariche che saranno determinate dagli Alleati e dagli Stati Uniti, e dovranno essere smobilitate e disarmate completamente e poste sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti.

4. - Libertà di navigazione di tutte le navi delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate e associate nell'Adriatico, comprese le acque territoriali, sul Danubio e i suoi affluenti in territorio austro-ungarico.
Gli Alleati e le Potenze associate avranno il diritto di dragare tutti i campi di mine e distruggere le ostruzioni, il cui posto dovrà essere loro indicato.
Per assicurare la libertà di navigazione sul Danubio, gli Alleati e gli Stati Uniti potranno occupare o smantellare tutte le opere fortificate o di difesa.

5. - Continuazione del blocco delle Potenze alleate e associate nelle condizioni attuali: le navi austro-ungariche trovate in mare restano soggette a cattura, salvo le eccezioni che saranno concesse da una Commissione che sarà designata dagli Alleati e dagli Stati Uniti.
6. - Raggruppamento ed immobilizzazione, nelle basi austro-ungariche determinate dagli Alleati e dagli Stati Uniti, di tutte le forze aeree navali.

7. - Sgombero di tutta la costa italiana e di tutti i porti occupati dall'Austria-Ungheria fuori del suo territorio nazionale e abbandono di tutto il materiale della flotta, materiale navale, equipaggiamento e materiale per via navigabile di qualsiasi specie.

8. - Occupazione per parte degli Alleati e degli Stati Uniti delle fortificazioni di terra e di mare e delle isole costituenti la difesa di Pola, nonché dei cantieri e dell'arsenale.

9. - Restituzione di tutte le navi mercantili delle Potenze alleate ed associate trattenute dall'Austria-Ungheria.

10. - Divieto di ogni distruzione di navi e di materiali prima dello sgombero, della consegna o restituzione.

11. - Restituzione, senza reciprocità, di tutti i prigionieri di guerra delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate ed associate in potere dell'Austria-Ungheria.

--------------------------------------

Decisa una prima riunione per l'esame delle diciannove clausole riferite sopra, in un'altra riunione che si protrasse fino a tarda notte, si concluse con la consegna ai plenipotenziari austriaci delle "CONDIZIONI AGGIUNTIVE" imposte dal Comando Supremo di Abano.
(che riportiamo anche queste integralmente)

CONDIZIONI AGGIUNTIVE
PER QUANTO RIGUARDA LE CLAUSOLE MILITARI.

1. - Le ostilità per terra, per mare e nell'aria cessano su tutti i fronti dell'Austria-Ungheria 24 ore dopo la firma dell'armistizio, e cioè alle 15 del 4 novembre (ora dell'Europa Centrale).
Da tale momento, le truppe italiane ed associate si arresteranno dall'avanzare oltre la linea a tale ora raggiunta.
Le truppe austro-ungariche e le truppe dei Paesi alleati dell'Austria-Ungheria dovranno ritirarsi ad una distanza di almeno 3 km. in linea d'aria dalla linea raggiunta dalle truppe italiane o dalle truppe delle Potenze alleate ed associate.
Gli abitanti della zona di 3 km. compresa fra le due suddette potranno rivolgersi, per ottenere i necessari rifornimenti, al proprio esercito nazionale o alle truppe delle Potenze associate.
Tutte le truppe austro-ungariche che all'ora della cessazione delle ostilità si troveranno dietro la linea di combattimento raggiunta dalle truppe italiane, saranno - prigioniere di guerra.

2. - Per quanto concerne le clausole degli articoli 2 e 3 circa le artiglierie con relativi equipaggiamenti ed il materiale bellico che deve essere riunito in luoghi stabiliti o lasciato sul posto nei territori che saranno evacuati, i plenipotenziari italiani, in qualità di rappresentanti di tutte le Potenze alleate ed associate, dichiarano di dare alle dette clausole la seguente interpretazione, che avranno carattere esecutivo
a) Ogni materiale di cui si possa far uso per la guerra, o le cui parti, possano in questo uso essere impiegate, dovrà essere ceduto alle Potenze alleate ed associate.
L'esercito austro-ungarico e le truppe tedesche sono autorizzati a trasportare con sé solo ciò che fa parte dell'equipaggiamento e dell'armamento personale dei militari cha debbono sgombrare dai territori indicati all'articolo 3, come pure i cavalli degli ufficiali, i carri ed i quadrupedi organicamente assegnati ad ogni unità per il trasporto dei viveri, delle cucine, del bagaglio ufficiale e del materiale sanitario.
Questa clausola va applicata a tutte le varie armi e servizi dell'esercito.
b) Per ciò che concerne particolarmente le artiglierie resta stabilito che l'esercito austro-ungarico e le truppe germaniche lasceranno nel territorio che deve essere evacuato, tutto il materiale d'artiglieria e relativo equipaggiamento.
Il calcolo necessario per stabilire in modo esatto e completo il numero totale delle artiglierie di Divisione e di Corpo d'Armata di cui dispone l'Austria-Ungheria al momento della cessazione delle ostilità, la cui metà deve essere ceduta alle Potenze associate, sarà fatto più tardi, in modo da stabilire - se sarà necessario - la cessione di altro materiale d'artiglieria da parte dell'esercito austro-ungarico ed, eventualmente, la restituzione del materiale a detto esercito per parte delle armate alleate ed associate.
Tutte le artiglierie che non fanno organicamente parte delle artiglierie divisionali e di Corpo d'Armata, dovranno essere cedute senza alcuna eccezione; non sarà pertanto necessario calcolarne il numero.
e) La cessione di tutte le artiglierie divisionali e di Corpo d'Armata dovrà effettuarsi per il fronte italiano nelle località seguenti: Trento, Bolzano, Pieve di Cadore, Stazione per la Carnia, Tolmino, Gorizia e Trieste.

3. -I Comandanti supremi delle Armate alleate ed associate sui vari fronti d'Austria-Ungheria nomineranno Commissioni speciali che dovranno immediatamente portarsi, accompagnate dalle scorte necessarie, nei luoghi che giudicheranno più indicati per controllare l'esecuzione di ciò che è più sopra stabilito.

4. - Resta inteso che le denominazioni di Monte, Toblach e Monte Tarvis vogliono indicare i gruppi di monti che dominano la sella di Toblach e quella di Tarvis, come risulta dallo schizzo al 500.000 annesso a titolo di chiarimento.

5. - L'evacuazione delle truppe austro-ungariche e alleate dell'Austria-Ungheria dovranno per ciò che riguarda il fronte italiano, trovarsi al di là della linea: Tonale-Noce-Lavis-Avisio-Pordoi-Lavinallongo-Falzarego-Pieve di Cadore-Colle Mauria-Alto Tagliamento-Sella-Roccolana-Sella di Nevea-Isonzo; esse dovranno, inoltre, avere effettuato la loro ritirata fuori del territorio della Dalmazia fissato nel numero più sopra indicato.
Le truppe austro-ungariche di terra e di mare o le truppe loro alleate, che non avranno effettuato la loro ritirata fuori del territorio nel periodo di 15 giorni, dovranno essere considerate come prigioniere di guerra.

6. - Il pagamento delle requisizioni che le Armate delle Potenze alleate e associate potranno eseguire nel territorio austro-ungarico dovrà compiersi secondo le norme contenute nel primo paragrafo della pagina 22 del Servizio in Guerra, Parte Il, edizione 1915, attualmente in vigore presso l'Esercito italiano.

7. - Per quanto concerne le strade ferrate e l'esercizio del diritto riconosciuto alle Potenze associate dall'articolo 4 del protocollo d'armistizio tra le Potenze alleate e l'Austria-Ungheria, resta stabilito che il trasporto delle truppe, del materiale di guerra e dei rifornimenti delle Potenze alleate e associate sulla rete ferroviaria austro - ungarica, fuori del territorio sgombrato secondo le clausole dell'armistizio, come pure la direzione e l'esercizio delle linee, saranno affidate alle Autorità ferroviarie austro-ungariche, sotto il controllo, però, di Commissioni speciali nominate dalle Potenze alleate e dei Comandi militari di stazione che sarà giudicato necessario stabilire.
Le autorità austro-ungariche dovranno effettuare detti trasporti con precedenza su tutti e garantirne la sicurezza.

8. - All'atto della cessazione delle ostilità, nel territorio da sgombrarsi, dovranno essere scaricate e rese completamente inoffensive, tutte le mine stradali, ferroviarie, i campi di mine e tutte quelle predisposizioni del genere intese a interrompere comunque le comunicazioni stradali e ferroviarie.

9. - Entro 8 giorni dalla cessazione delle ostilità, i prigionieri e gli internati civili in Austria-Ungheria, delle Potenze associate, dovranno cessare da qualsiasi lavoro che non sia agricolo, sempre quando a tale lavoro fossero già addetti prima del giorno della firma dell'armistizio. In ogni caso, essi dovranno essere tenuti pronti a partire immediatamente dal momento della richiesta che sarà fatta dal Comandante supremo dell'esercito italiano.

10. - L'Austria-Ungheria dovrà provvedere alla protezione, alla sicurezza e al vettovagliamento, verso rimborso, delle varie Commissioni dei Governi alleati incaricate del ricevimento del materiale e dei controlli di qualsiasi specie, sia che le dette Commissioni si trovino nei territori da sgombrare, sia che si trovino in qualunque altra parte del territorio austro-ungarico.

CONDIZIONI AGGIUNTIVE
PER QUANTO RIGUARDA LE CLAUSOLE NAVALI

1. - L'ora della cessazione delle ostilità sul mare è identica a quella per la cessazione delle ostilità per terra e nell'aria. Alla stessa ora il Governo austro-ungarico dovrà comunicare al Governo italiano e a quelli associati, per mezzo della stazione R . T . di Pola, che le trasmetterà a Venezia, le indicazioni necessarie per far conoscere il luogo dove si trovano tutti i bastimenti austro-ungarici nonché i loro movimenti.

2. - Tutte le unità indicate nei numeri 2 e 3 che devono essere cedute alle Potenze associate, dovranno affluire a Venezia entro le ore 8 del 6 novembre; a 14 miglia dalla costa imbarcheranno il pilota.
Si fa eccezione per i monitori del Danubio, i quali dovranno presentarsi nel porto che verrà indicato dal Comandante supremo delle forze associate sul fronte balcanico, con le modalità che egli riterrà più conveniente stabilire.

3 . - Le navi che dovranno affluire a Venezia sono le seguenti: Tegethoff, Prinz Eugen, Ferdinand Max, Salda, Novara, Helgoland; 9 cacciatorpediniere del tipo Tatra (da 800 tonnellate al minimo) di costruzione più recente; 12 torpediniere del tipo di 200 tonnellate; nave posamine "Camaleon"; 15 sommergibili costruiti dal 1910 al 1918, e tutti i sommergibili tedeschi che si trovano, o che possono trovarsi, nelle acque territoriali austro-ungariche.
Qualunque danneggiamento o distruzione che venga effettuato o predisposto sulle navi da cedere, sarà dai Governi associati ritenuta come gravissima infrazione al presente armistizio.
La flottiglia del lago di Garda sarà consegnata nel porto di Riva alle Potenze associate.
Tutte le navi che non devono essere cedute alle Potenze associate, dovranno essere concentrate nel termine di 48 ore dalla cessazione delle ostilità nei porti di Buccari e Spalato.

4. - Per il diritto al dragaggio di tutti i campi di mine e per la distruzione di tutte le ostruzioni, il Governo austro-ungarico si impegna sul suo onore di consegnare entro le 48 ore dallo spirare delle ostilità al Comando della piazza di Venezia e al Comando dell'armata navale a Brindisi, i piani
dei campi minati e delle ostruzioni dei porti di Pola, Cattaro e Fiume; ed entro 96 ore quelli del Mediterraneo, delle vie fluviali e lacuali del fronte italiano, comprendendovi anche i campi e le ostruzioni posate per ordine del Governo germanico che sono a sua conoscenza.
Nel tempo di 96 ore analoga comunicazione dev'essere trasmessa al Comandante delle forze associate al fronte balcanico per tutto quanto riguarda il Danubio e il Mar Nero.

5. - La restituzione delle navi mercantili appartenenti alle Potenze associate dovrà effettuarsi entro 96 ore dalla cessazione delle ostilità, secondo le modalità che ciascuna Potenza associata sceglierà e che comunicherà al Governo austro-ungarico. .
Per la Commissione prevista dal n. 5 le Potenze associate si riservano di stabilire e di comunicare al Governo, austro-ungarico le modalità per il funzionamento di essa e le località dove risiederà.

6. - La base indicata al n. 6 è quella di Spalato.

7 . - Per l'evacuazione di cui al n. 7 valgono i limiti di tempo stabiliti per lo sgombro dell'esercito oltre la linea d'armistizio. Nessun danno dovrà essere arrecato al materiale fisso, mobile e galleggiante esistente nei porti. L'evacuazione potrà essere effettuata utilizzando i canali della laguna e adoperando imbarcazioni austro-ungariche fatte affluire dal di fuori.

8. - L'occupazione di cui al n. 8 sarà fatta entro 48 ore cessate le ostilità.
Dev'essere garantita dalle Autorità austro-ungariche l'incolumità del naviglio destinato al trasporto del personale, per la presa di possesso di Pola e delle sue isole, e delle altre località previste nelle condizioni di armistizio per l'esercito.
Il Governo austro-ungarico disporrà perché all'arrivo a Pola di navi appartenenti alle Potenze associate, e che a 14 miglia dalla piazza si trovi il pilota per indicare le rotte più sicure da seguire.

9. - Qualunque danno che venisse arrecato alle persone e ai materiali delle Potenze associate sarà considerato come gravissima infrazione al presente armistizio.

--------------------------------------
Posti di fronte al testo integrale dell'armistizio, il generale WEBER ed i suoi compagni - tanto più in considerazione dell'assenza dei tre delegati che si trovavano a Trento- non avevano nessuna intenzione di sottoscriverlo.
Conveniva attendere. Le ore trascorrevano ad una ad una, angosciose per i poveri Cirenei dell'espiazione austriaca, senza che il colonnello SCHNELLER, il principe LIECHTENSTEIN, il capitano RUGGERA, né altri messaggeri si facessero vivi.
Che fare?
Trascorse il resto della notte insonne, passò il grigio mattino del 3 novembre. L'ansia, l'inquietudine, il tormento degli ospiti stranieri di Villa Giusti aumentavano fino allo spasimo. Essi sapevano quanto dipendeva da una loro parola, ma dal loro Paese non giungevano consigli di sorta ad illuminare queste anime in pena.
Poiché a mezzogiorno nessuno si era presentato alle linee italiane, Armando Diaz ed i suoi collaboratori -giustamente preoccupati di non prestarsi ad eventuali tresche degli avversari - decisero di tagliar corto ad ogni indugio. Cosi alle ore una del pomeriggio il generale Weber fu avvertito che, "...se per la mezzanotte non si fosse giunti alla firma dell'armistizio, le trattative in corso sarebbero rimaste sospese come se nemmeno fossero avvenute".

In seguito a quest'ultimatum perentorio, i plenipotenziari austriaci avevano ancora undici ore di tempo. Sarebbero tornati, Schneller e gli altri due, prima della mezzanotte? E se non tornavano? Tormentato da quest'interrogativi. WEBER von Webenau si risolse ad inviare a Trento un nuovo messaggero. Gli italiani acconsentirono alla partenza e fornirono anzi a quest'altro pellegrino dell'incertezza una velocissima automobile. Ma, appena fu predisposto quest'altro viaggio, giunse la notizia che la lotta ardeva sulle rive dell'Adige. (alle 15,15 gli italiani erano entrati a Trento). Non era possibile, per il momento, infilare la piccola porta diplomatica e convenzionale aperta dall'Italia all'Austria dopo quaranta mesi di guerra.


Che cosa effettivamente accadde in quelle ore sulle rive dell'Adige, le versioni sono contrastanti. Gli Italiani l'avanzata con le armi in mano la giustificarono, sostenendo che l'armistizio non era stato ancora firmato, o anche se lo era, il cessate il fuoco era contemplato a 24 ore dopo la firma, e che avevano tutto i diritto (e il dovere di soldati) di proseguire l'attacco. Gli Austriaci sostennero che per qualche scriteriata fucilata di qualche avventato sul confine, non rispettando l'attesa delle trattative in corso, gli italiani quelle fucilate le utilizzarono come pretesto per continuare l'offensiva e invadere prima il Trentino poi l'Alto Adige con delle truppe già con le armi al piede (dopo il fono di Arz alle ore 15, che leggeremo più avanti).

Torniamo ad Abano, alle ore 15 sempre del 3 novembre. Poiché il tempo stringeva, iniziò lo scambio di vedute sulle clausole dell'armistizio. I delegati italiani si dichiararono disposti a fornire solo schiarimenti, ma non intendevano trattare. Spettava ai vinti sottoscrivere o respingere le condizioni proposte. I plenipotenziari austriaci non si accordavano fra di loro; soldato e gentiluomo, il generale Weber von Webenau si comportava con assoluta dirittura e faceva ogni sforzo affinché la discussione procedesse con obiettiva e leale signorilità. Per contro, il capitano di corvetta ZWIERKOWKI avrebbe voluto ripetere ad Abano le scene, le scenette e le scenate di Brest-Litowski imitando il contegno provocante dei Bolscevichi, passando ad ogni qual tratto a digressioni inconcludenti, aggrappandosi a cavilli e a sofismi; inoltre pretendeva che le trattative si svolgessero in lingua tedesca; in quanto al tenente colonnello Sceller, tutto preso dalla fatica di tradurre quanto dicevano i delegati, sembrava preoccupato soltanto di se stesso, della sua carriera di ufficiale di un esercito prossimo a scomparire.
Fin dalle prime battute, sorsero aspre divergenze riguardo all'applicazione della prima clausola militare, dato che gli austriaci intendevano che la cessazione immediata delle ostilità venisse intesa alla lettera, mentre i nostri prospettando l'impossibilità pratica di far giungere istantaneamente gli ordini opportuni a tutti i reparti operanti - esigevano l'interposizione d'un congruo lasso di tempo dalla firma dell'armistizio (24 ore,- vedi clausola 1).
Privo di collaboratori e di notizie, in disaccordo con il capitano Zwirkowski, Vittorio Weber si trovava nelle condizioni del nocchiero cui l'uragano ha portato via il timone.

La vicenda sarebbe finita chissà come e chissà quando se nel contempo - il generale ARTURO von ARZ non si fosse lasciato andare ad un colpo di testa (ma però abbastanza razionale). Visto e considerato che nessuno intorno a lui: né l'Imperatore, né i consiglieri della Corona, né i Ministri, osavano affrontare le proprie responsabilità, il capo di Stato Maggiore dell'esercito austriaco andò al telefono, si mise in comunicazione col generale WALDSTÁTTEN a Trento e lo assicurò che "…le condizioni poste dall'Italia e dall'Intesa venivano accettate. Di conseguenza - aggiungeva von ARZ - le ostilità per terra, per mare, nel cielo, dovevano cessare immediatamente".
Lasciato il telefono, il capo di Stato Maggiore attendeva di partecipare alla nuova riunione del Consiglio di Stato (già accennata sopra) i cui membri furono invitati a riunirsi d'urgenza subito dopo il gran rifiuto del Consiglio della Corona. Ma la riunione non si tenne perché vi parteciparono solo quattro persone le quali se n'andarono non appena costatata la mancanza del numero legale.
Ed ecco che Arturo von Arz viene invitato a presentarsi all'Imperatore. Il generale si trovò di fronte a un Sovrano ben diverso da quello che aveva lasciato poco tempo prima. Quasi quasi, veniva fatto di credere ad una sostituzione di persona. Prima turbatissimo, abulico, depresso, Carlo d'Absburgo appariva ora sereno, fiducioso, animato da una volontà decisa.

Che cos'era avvenuto?
Si era verificato un miglioramento improvviso, imprevedibile, miracoloso nella situazione militare?
Nemmeno per sogno! Per contro, la catastrofe si manifestava via via più spaventosa. L'energia fittizia del giovane Sovrano dipendeva dalla suggestione esercitata su di lui dalla moglie, di tempra ben più salda, non incline allo scoramento. A differenza di tutti, Zita non si era lasciata prendere da smarrimenti e propendeva a credere inutile o almeno non urgente l'accettazione delle condizioni imposte dal Comando Supremo italiano.
Arturo von Arz non mancò d'informare l'Imperatore riguardo alle disposizioni già impartite a Trento. CARLO d'Absburgo le annullò immediatamente e fece spedire diretti a Waldstátten, uno dopo l'altro, vari telegrammi. Subito dopo, però, posto di fronte alle notizie dolorose che gli giungevano dal fronte, il povero Sovrano - dimentico degl'incitamenti della moglie, abbandonato dall'ebbrezza momentanea che gli aveva infuso un vigore tanto fuggevole come quello suscitato nei moribondi da un sorso d'ossigeno - ricadde in abbattimento profondo. Fatte partire altre missive, di tono diverso dalle precedenti, Carlo I dichiarò di rimettere il comando in capo delle forze armate austro-magiare ad ARTURO von ARZ.

Ma - a quel punto "di non ritorno" - il generalissimo della Monarchia danubiana, nel tempo d'un batter di ciglia, si sottrasse all'onore e all'onere, scaricandoli al maresciallo KÓWESS, il quale si trovò ad essere, in pratica, il capo supremo di un esercito che non esisteva più.
A Trento intanto, alle ore 15, ricevuti dal generale Waldstátten gli ordini che questi aveva ricevuti a sua volta da Arturo von Arz, nonché il bel fascio di folli telegrammi dell'imperatore, il colonnello CARLO SCHNELLER reputò conveniente tornare con il principe Lichtenstein e con il capitano Ruggera, a Villa Giusti dove i tre messaggeri erano tanto attesi.
Ma a Padova, il silenzio, la mancanza d'ogni comunicazione aveva perfino fatto supporre a Vittorio WEBER von Webenau perfino che l'Austria non avesse più né l'Imperatore, né il Governo, né il Comando Supremo.
Ma anche l'arrivo di Carlo Schneller e dei suoi compagni portava agli altri delegati in pena la luce ed il sollievo da ogni responsabilità, com'essi avevano sperato; infatti, dalle missive telegrafiche e telefoniche - contraddittorie e confuse - pervenute a Trento, non risultava nessun ordine perentorio di accettare incondizionatamente tutte le clausole proposte. Tanto meno, vi era l'autorizzazione a sottoscrivere un armistizio che non ammetteva la cessazione immediata delle ostilità.

L'ultimatum del Comando Supremo Italiano, scadeva, come sappiamo, alla mezzanotte di questo fatidico giorno 3 novembre. Non c'era più il tempo per tornare a Trento, né del resto dopo l'esperienza fatta, Weber e i suoi potevano sperare che un nuovo viaggio valesse a procurare loro delle direttive precise.
Mentre gli altri apparivano incerti, il colonnello SCHNELLER inoltrò la proposta, accolta dagli italiani, di dare vita alla riunione definitiva.
Al centro di una vasta sala, intorno ad una tavola rotonda...


 

....si trovavano riuniti gli ufficiali italiani cui spettava di documentare la vittoria italiana agli austriaci soccombenti. Si sentiva quasi pesare nell'aria la solennità dell'ora, grave di storia. Per quanto ciascuno tentasse di dominarsi, erano troppo vive in tutti le passioni per, cui due eserciti si erano straziati durante quaranta mesi e si premevano ancora affinché la riunione potesse avere il carattere di formale cortesia propria a tante altre assemblee. La grandiosità e la tragicità delle circostanze facevano vibrare le anime e battere i cuori. Ben di rado la storia aveva affidato un compito di pari importanza ai suoi artefici.
La discussione si riaccese sul punto più controverso: il momento in cui sarebbero cessate le ostilità. Al solito, i delegati austriaci pretendevano che i Grigioverdi mettessero le armi al piede nel momento medesimo della firma, cioè, un'assurdità inattuabile, mentre gli italiani insistevano per la dilazione delle 24 ore. Lo scambio di vedute divenne presto serrato, le parole si fecero vivaci, i gesti concitati. D'un tratto, il capitano ZWIERKOWSKI - un ufficiale scelto molto male per il compito affidatogli - trascese ad espressioni censurate dai suoi stessi compagni.

Allora PIETRO BADOGLIO forse rammentando che per cent'anni erano stati sempre gli italiani a dover tacere e accettare ogni tipo di vessazioni, scattò in piedi; pallido di sdegno nel viso, con uno sguardo lampeggiante, con voce che tradiva la commozione, e scandendo le sillabe come scalpellate, lampeggiante dichiaro la ferma volontà italiana.
"L'Italia non aveva chiesto l'armistizio, né lo mercanteggiava. I soldati d'Italia non erano convenuti ad una partita di cavilli. Qualora tutte le clausole non fossero state accettate senza riserve, la battaglia sarebbe continuata a divampare. Avremmo dettato poi, con le armi in pugno, condizioni ben più dure".

Il colonnello Schneller si affrettò a scusare il capitano Zwierkowski, e a quel punto il generale WEBER si dichiarò pronto a sottoscrivere il testo integralmente approvato.
Rimanevano soltanto le formalità strettamente burocratiche. Furono verificate le copie dei documenti e gli schizzi annessi, quindi - alle 18 del 4 novembre - i delegati austriaci firmarono ad uno ad uno l'intero contenuto dell'armistizio.
L'atto di morte dell'Impero degli Absburgo apparteneva alla storia.


Le clausole navali dell'armistizio italo-austriaco stabilivano, come abbiamo visto sopra (ma solo nelle "condizioni aggiuntive" fatte dal Comando italiano di Abano), la consegna agli Alleati della maggior parte dell'Armata navale e il disarmato delle altre unità di superficie o subacquee. Basta questo a dimostrare che i Comandi italiani non erano a conoscenza dell'equivoca cessione della "K K Flotte" già assegnata il 30 ottobre alla Jugoslavia. Commettendo una slealtà vera e propria, i delegati austriaci timorosi che la mancata consegna della Flotta mandasse all'aria le trattative - nulla dissero di quanto sapevano in modo certo od anche approssimativo.

Vittorio Weber von Webenau ebbe in seguito a dichiarare:
"Della comunicazione che l'Armata era stata ceduta agli Jugoslavi, fattami soltanto un'ora prima della firma del trattato, non si fece cenno ai delegati italiani".

Un altro ufficiale austriaco: il capo della Delegazione di Marina, anche lui in seguito scrisse :
"Se avessimo dichiarato prima o dopo l'armistizio che la Flotta era stata consegnata già dal 30 ottobre agli Jugoslavi, ciò avrebbe avuto l'effetto che non si sarebbe venuti alla cessazione delle ostilità, il che, date le circostanze, erano assolutamente da evitare".

Dopo queste testimonianze spontanee dovute a nemici vinti, quindi insospettabili, è perfettamente inutile insistere sulla buona fede dei nostri Comandi navali, i quali promossero pure l'epica gesta fatta dagli affondatori della Viribus con la certezza di agire contro degli avversari, non immaginavano che le navi già appartenevano alla nascente Iugoslavia.

Pure KOCH poi obiettò che la monarchia danubiana non poteva cedere il 3 novembre ciò che aveva rinunciato il 30 ottobre.

Anche le ultime vicende belliche nello scacchiere italo-austriaco diedero motivo a pesanti insinuazioni da parte di nemici e anche di falsi amici.
Non appena ebbe ricevuto avviso dai suoi rappresentanti della conclusione dell'armistizio, il Comando Supremo austriaco s'affrettò a diramare alle truppe gli avvertimenti di circostanza.
Fu mera fatalità?
Fu inganno voluto ad arte? Fu errore d'interpretazione?
Un fatto è certo, che per effetto d'inesattezze avvenute nel trasmettere oppure nel ricevere, si verificò un drammatico grosso equivoco.
Molti Comandi scambiarono l'ora della firma dell'armistizio per quella della cessazione delle ostilità e invitarono i propri soldati di porre le armi al piede con parecchie ore d'anticipo, fiduciosi di avere pieno diritto di ritirarsi senza molestie.

Bene informati erano i Grigioverdi che sopraggiungevano. Esercitando il loro diritto e adempiendo al proprio dovere (il 1° novembre il Comando Supremo aveva emanato gli ordini per l'inseguimento) procedettero l'offensiva fino alle ore 15 del 4 novembre - e quindi alla cattura degli avversari incontrati nella rapida e travolgente avanzata, disarmati o no.
Il 2 novembre verso le ore 15 il XXIX Reparto d'Assalto si lanciò sullo sbarramento al Casello T (Serravalle), proseguendo con impeto alle 20,45 entrava a Rovereto, seguiti dagli Squadroni di Cavalleggeri d'Alessandria (14°) che si lanciarono poi sulla via di Trento, dove vi entrarono alle ore 15,15 del 3 novembre.

Ne derivarono discussioni e proteste che non mutavano, ben s'intende, la sorte dei vinti già in rotta. Qualora l'equivoco non si fosse verificato, certamente una maggior celerità nella fuga avrebbe consentito a parecchie Unità austro-magiare di mettersi in salvo.
Da parte sua, il Comando Supremo austriaco accusò violentemente gl'Italiani di trasgressione ai patti e di soperchieria. La calunnia velenosa fu raccolta oltr'Alpe con livido compiacimento.

Conoscendo in parte i fatti narrati sopra.
Si giunse a dire che fra il 3 ed il 4 novembre il Comando Supremo di Abano s'ingegnò a condurre una battaglia incruenta, ad inventare a proprio beneficio una vittoria inesistente. Cioè ad avanzare prendendo come pretesto -come detto sopra- qualche fucilata.
Compiuta un'inchiesta rigorosissima sulle estreme vicissitudini della guerra in Italia, il Governo austriaco giunse a queste conclusioni rese di pubblica conoscenza dalla Wehrzeitung:

1.° Nei primi giorni di novembre, prima della firma dell'armistizio, tutto il fronte dall'Adige all'Adriatico era in pieno crollo;
2.° La pretesa che le ostilità dovessero cessare prima delle ore 15 del giorno 4 novembre è ingiustificata: ogni ufficiale [austriaco] avrebbe dovuto sapere che per il nemico è assolutamente impossibile sospendere effettivamente le ostilità nel minuto preciso della dichiarazione di accettazione, perché la notifica lungo un fronte esteso richiede parecchie ore;
3.° Il Comando Supremo [austriaco] ha tentato di attenersi ad un punto di vista sicuramente contrario al vero nelle sue proteste e nelle sue manifestazioni prepotenti e totalmente errate nel tono; esso voleva bollare a fuoco dinanzi al mondo intero la condotta del Comando Supremo italiano; e dichiarava che per il Comando Supremo italiano si trattava di catturare quanti più prigionieri fosse possibile per fabbricare in tal modo una vittoria che non aveva mai arriso alle armi italiane e che così intendeva con la sua interpretazione di facilitare le trattative future. Come se l'accusa di obbrobriosa rottura del trattato e la diminuzione di prestigio militare del vincitore avessero potuto facilitare le trattative di pace!… Obiettivamente, è giusta l'interpretazione del Comando Supremo italiano".

Da ciò che si legge ogni altra parola sarebbe superflua.
Come mai l'equivoco tanto deprecato - escluso in modo assoluto ogni sopruso dei Grigioverdi, vincitori fin dal 28, dal 29, dal 30 ottobre, di una battaglia fra le più grandi della storia, tanto deleteria al nemico da non richiedere punto dilatazioni artificiose - potè avvenire?
Tenute presenti le condizioni politiche interne della Monarchia danubiana, qualcuno ha trovato per quest'interrogativo una risposta ingegnosa. Poiché le nazionalità oppresse dagli Absburgo erano in rivolta, il Comando Supremo Tedesco di Baden - vista la Dinastia di Vienna giunta al tramonto - avrebbe regolato le trasmissioni in modo da far conoscere l'ora esatta della cessazione delle ostilità soltanto alle truppe fedeli tedesche e croate. Si contava così di condurre di qua della linea d'armistizio un esercito molto sminuito, sì, ma sicuro e senza avversari, da impiegare per il pronto ristabilimento dell'ordine in Germania dove in quelle ore ce n'era assoluto bisogno (vedi sconfitta della Germania).
E' sembrato ad altri che tali calcoli non erano possibili in un'ora caotica in cui tutto si trasformava, si sfaldava, crollava, si dissolveva (in Germania più ancora che in Austria).

Ma resta il fatto che appena note in Germania le clausole dell'armistizio italo-austriaco, un folto gruppo di ufficiali prussiani giungeva ad Innsbruck. I nuovi venuti -volenti o nolenti le autorità locali austriache- requisivano caserme, depositi d'armi e di munizioni, magazzini di viveri e quanto serviva al traffico della ferrovia Brennero-Bolzano-Trento. Fino al punto che i Bavaresi (fondando all'istante una propria Repubblica) ma che si erano spinti fino al Brennero e alcuni reparti pure a Bressanone, salutarono e chiesero aiuto alle stesse truppe italiane, che infatti scesero (quindi non invasero) su Innsbruck e qui rimasero quasi tre mesi in attesa che la situazione si chiarisse.
(Non dimentichiamo che i Bavaresi, e quindi i Tirolesi, non avevano mai avuto buoni rapporti con la burocratica Corte Viennese che li aveva trattati sempre come "bovari". Erano sempre stati legati alla dinastia dei Wittelsbach, che era una famiglia principesca tedesca, fin dal 907 e ininterrottamente continuata fino all'attuale Luigi III).

Molto probabilmente l'anticipo con il quale l'esercito austriaco cessò di battersi non fu che la conseguenza del collasso da cui tutti: Imperatore, Comando Supremo, Governo, Ufficiali, Soldati e Cittadini locali (Bavaresi e Tirolesi), furono presi quando la disfatta apparve già segnata in ogni suo funesto particolare.

Al primo rintocco funebre, i vinti si affrettarono a gettare le armi a terra perché non ne potevano più. Sarebbe stato ben difficile farle conservare più a lungo ad un esercito che aveva lasciato oltre un milione e mezzo di morti lungo le tappe atroci del suo cammino concluso da una fra le più spaventose catastrofi militari.

Le ragioni erano quelle già dette qui all'inizio: i soldati di Carlo d'Absburgo si ritrovarono quali erano: non austriaci, questi erano a Vienna (leggi le impietose accuse di ROBERT MUSIL (l'autore de "L'uomo senza qualità") rivolte ai suoi concittadini - In "La guerra parallela" (Reverdito editore) e i suoi articoli sul giornale di guerra " Soldaten Zeitung" (*)); sul fronte avevano mandato i Boemi, gli Slavi, i Magiari, i Ruteni, i Romeni e...i Bavaresi...cui nulla più importava di un Impero che stava scomparendo, che l'amor di patria rendeva estranei gli uni agli altri, sollecitati soltanto dall'istinto della conservazione. Non c'era motivo ideale né ragione pratica di battersi ancora. Quindi, tanto valeva gettare subito le armi e salvare ciò che solo aveva valore: la vita.
Onore della propria bandiera? Ideali? Ma quale bandiera? Quali ideali?

(*) In una di questi articoli intitolato "Strani patrioti" ( Soldaten Zeitung n. 19 del 15 ottobre 1916 pp. 4-5) Musil così scriveva: "Il patriottismo verbale dell'Austria. - Le sue frasi preferite: l'Austria è veramente il paese più ricco del mondo; l'Austria è il paese dei più grandi ingegni del mondo; l'Austria è il paese meglio organizzato del mondo; l'Austria è veramente il paese più felice del mondo. Ma quel "veramente" era stato cucinato con un uovo marcio, lo stesso usato per la fantasticheria e la malinconia....Quanto fossimo grandi, uniti, organizzati, felici, non lo abbiamo mai saputo. Gli austriaci non sembrano andar fieri d'altro che del fatto di non aver saputo qualcosa....In genere tutti trovano l'energia all'ultimo momento, ma la superiorità consiste nell'averla prima l'energia, nel lavorare in anticipo; e come ce la saremmo cavata adesso con la guerra? si rispondeva: "con la trincea!".
La "bella trincea" imbottì splendidamente tutti i cervelli. I democratici dicevano: quelli della trincea hanno imparato ad essere indipendenti; quando tornano, ve ne accorgerete. Gli autocrati dicevano: hanno imparato ad ubbidire, ve ne accorgerete. I clericali dicevano: hanno imparato a pregare, ve ne accorgerete. I liberi pensatori dicevano: hanno imparato ad avere fiducia in se stessi, ve ne accorgerete. I filo-statali dicevano: hanno imparato ad apprezzare un governo forte, ve ne accogerete. I politici dicevano: non si faranno mettere i piedi sul collo, ve ne accorgerete. E tutti dicevano: quelli? ve ne accorgerete. Ciascuno aspettava con fiducia infantile ciò che certissimamente avrebbero fatti gli altri, quelli che erano nella e sarebbero tornati dalla trincea. La trincea era lo specchio in cui ognuno scorgerva il proprio viso; la trincea era il favoloso zio d'America, che avrebbe portato a ciascuno quattrini a palate. La trincea era il paese della cuccagna, dal quale a ciascuno sarebbe volata in bocca la nuova Austria cucinata secondo la sua ricetta....Sacrifici? Ciascuno pensa: farei ben volentieri quanto mi si chiede, ma siccome gli altri non lo fanno, non voglio io essere il babbeo...Questi sono i patrioti verbali. Ci sono poi i patrioti afoni, che un giorno avevano detto a chiare parole ciò che si sarebbe dovuto fare, e che oggi "non hanno proprio più nulla da dire"; poi ci sono quelli silenziosi, dai quali non giunge alcun suono, evidentemente perchè sono collocati troppo in alto....Ed eccoci ai fasti patriottici e ai nefasti patriottici, i peggiori dei quali sono i poeti di guerra, i corrispondenti di guerra, i pittori di guerra, la beneficenza di guerra, l'insulsaggine di guerra, e chi più ne ha ne metta. Anche una cantante, quando si presenta in pubblico lo fa a scopo patriottico, e tutti ne parlano; così un poeta con le sue poesie; così un funzionario quando fonda un'associazione patriottica; così la nobildonna quando offre il tè lo fa a scopo benefico; il commerciante di bende fa il patriota e intanto vende agli ospedali; il birraio vende e nutre con la sua birra il popolo ed è stimato patriota....Il patriottismo commerciale è attinente soltanto all'economia di guerra; la sua legge è "Se calano le entrate, deve aumentare il patriottismo". Patriottismo da latte, da uova, da bovini, da cereali, da luppolo, da ombrelli, da pellami, e molti altri; ci sono tanti patriottismi quanti sono gli articoli, ma fra essi non c'è quello con l'articolo maschile, "il" patriottismo"
. Musil scriveva questo il 15 ottobre del 1916!!

Pressappoco accadde la stessa cosa in Germania. Forse era sempre valido quella massima che soleva ripetere l' avo di Guglielmo II, il Prussiano Federico II il Grande, quando girava nei domini dei suoi Principi "Non trattate come bestie i vostri sudditi, ma trattateli da amici, perché qualora ne avreste bisogno per difendere le vostre terre e la vostra vita, vi trovereste a disposizione delle bande di animali, non uomini a voi fedeli".
Ma di "illuminati" (da Voltaire) come Federico II nel mondo ne nascono pochi.

Vista la disfatta austriaca, ora andiamo proprio in Germania; alla sconfitta dell'erede del Grande Federico: Guglielmo II di Hohenzollern, l'uomo che appena salito sul trono germanico, nel 1888, licenziò Bismarck non sopportandone la tutela. Lui si sentiva già Federico II il Grande.

La disfatta della Germania - Le dure condizioni
----------------------------------------

LA RESA DELLA GERMANIA - LE DURE CONDIZIONI

Pochi giorni dopo la capitolazione dell'esercito Austro-ungarico, avvenuta il 4 novembre, l'11 novembre 1918 alle ore 11 del mattino, fu dato il segnale di cessate il fuoco su tutto il fronte occidentale. Finiva così la prima guerra mondiale che aveva causato non meno di 10 milioni di vittime, abbattuto quattro imperi e impoverito l'Europa intera.

Ma com'era stato possibile, alla potente Germania, di finire come le armate dell'Austria, che lo stesso suo alleato il Kaiser Guglielmo II, l'erede del prussiano Federico il Grande, disprezzava perfino in modo palese?
Stretta dal blocco degli Alleati, la Confederazione tedesca, periva d'asfissia. La tragica situazione dell'Impero aveva qualcosa di paradossale. Stava per cedere le armi mentre la sua Armata...cui non era toccata in tutto il corso della grande guerra una sconfitta vera e propria, tanto meno una disfatta, si trovava in piena efficienza, e la sua flotta navale integra. Mentre invece l'Intesa vinceva dopo aver subito perdite indiscutibilmente superiori a quelle degli Imperi Centrali. (5.239.000 rispetto a 3.574.000).

Era troppo naturale che, prima di piegarsi in terra al destino avverso, i Comandi navali pensassero alla sortita generale, doverosa per una Flotta al completo di uomini e di mezzi. In seguito alla proposta di von HIPPER, l'ammiraglio SCHEER approvò il piano di una operazione aggressiva grandiosa da condurre nella Manica. Sarebbe qui perfettamente inutile accennare a quel progetto perché non ebbe nemmeno un principio d'attuazione.
Il 28 d'ottobre la "Hochsee Flotte": superba adunata di fortezze galleggianti la cui vista riempiva d'orgoglio, in giorni migliori, la gente tedesca proiettata sugli oceani dalla volontà ambiziosa dei propri oligarchi, veniva concentrata nella rada esterna di Wilhelmshaven.
Le maestose "dreadnoughts" tremende, gl'incrociatori agili come immense pantere d'acciaio, i caccia insidiosi, le torpediniere esili e subdole: tutta la potenza d'artiglierie, di siluri, di rostri, predisposta per lo sforzo mortale, sembrava pronta a salpare verso la battaglia disperata. Si sarebbe detto che la storia s'accingeva a registrare una nuova Trafalgar, del pari decisiva ma ben più cruenta.
Invece... le caldaie si arroventavano, le ciminiere fumavano, l'assetto bellico delle navi stava per essere del tutto compiuto; le eliche erano pronte a girare vorticosamente, i cannoni pronti a lanciare bolidi micidiali.
Ma scafi, macchine, pezzi d'ogni calibro, sono strumenti docili alla volontà decisa a servirsene. Ma la forza effettiva di un'Armata non consiste anzitutto e soprattutto nei sofisticati congegni metallici. Al pari di quella degli eserciti, che non sono solo un numero imponente di fucili, la forza è data dagli uomini.
Gli equipaggi della "Hochsee Flotte" non possedevano più alcuna efficienza bellica. Sulle piccole navi, impiegate più spesso in operazioni rischiose, dove i marinai vivono in rapporti più intimi con i propri ufficiali, la disciplina persisteva. Specie le unità sottili nel cui stato di servizio si leggevano gesta gloriose, erano pronte a muovere contro gli Inglesi: i nemici odiati sopra gli altri, gli affamatori del popolo tedesco. Per contro, a bordo delle navi da battaglia divampava il contagio morale. Gli emissari comunisti, sfuggendo ad ogni controllo, avevano portato a termine la loro opera assidua e astuta di sobillazione, offuscando gli intelletti, avvelenando i rapporti fra civili e civili, fra militari e civili e, addirittura fra militari e militari; anzi di peggio: negli alti comandi militari!
Quando tutto era ormai predisposto, il 29 ottobre, i comandanti delle navi fedeli si meravigliano di non ricevere l'ordine per la partenza.

Alla mezzanotte del giorno stesso venivano revocate le disposizioni impartite in previsione della battaglia. Sul "Thuringen", sull'"Helgoland", sul "Markgraf", sul "Kónig", sul "Kronprinz", sul "Grosser Kurfurst", le ciurme tumultuavano. I fuochisti spegnevano i forni; gli artiglieri si erano messi ai cannoni e minacciavano di sparare a proprio capriccio. Qua e là, salivano sulle alberature le bandiere rosse.
All'inizio, gli ufficiali più energici riuscirono ad ottenere lo sbarco di centinaia di facinorosi messi in stato d'arresto, ma poi la sommossa divampò, estendendosi a Kiel e ad altre basi navali. I reparti dell'esercito (com'era avvenuto a Pietroburgo esattamente un anno prima) chiamati a sedare i tumulti fecero causa comune con i ribelli. Lo sfacelo si completò in breve tempo, causando gli episodi di violenza bestiale e d'incoscienza collettiva esaltati da quei "fasti radiosi" che -così veniva raccontato- stavano cambiando la faccia della Russia.
Si tennero comizi in cui gli oratori arricchiti dall'oro moscovita bandivano le teorie sociali più assurde, si formarono cortei fiammeggianti di cenci scarlatti, scrosciarono fucilate, caddero i morti e i feriti.
Sfuggita al comando degli Ammiragli, passata alle dipendenze dei Consigli dei Marinai, la Flotta tedesca non era più uno strumento di guerra.

Il 5 novembre, l'eterna battaglia divampante dal Mare Nordico fino alla frontiera svizzera riprese con violenza feroce.
L'esercito tedesco affamato e lacero si difendeva disperatamente contro gli avversari, ora - con i contingenti americani- di molto superiori; questi nuovi cobelligeranti uniti agli Alleati guadagnavano terreno, liberando città e villaggi, catturando prigionieri e bottino. La lotta continuava nel suo andamento meccanico d'urto e di reazione, senza -a dire il vero- grandi movimenti o splendide manovre, sia una parte come dall'altra.
Al settentrione, l'Armata di Fiandra varcava la Schelda il mattino dell'8 novembre. Due giorni dopo, i battaglioni di re Alberto raggiungevano la stazione ferroviaria di Gand. La lotta divampò a lungo fra i caseggiati che offrivano ai Tedeschi la possibilità di rifugiarsi, di tendere agguati, di appostare a meraviglia le proprie mitragliatrici e cannoni micidiali. L'11 novembre, gl'invasori furono finalmente cacciati dalla città fiamminga dov'erano rimasti ininterrottamente dall'estate del 1914.

Le Armate britanniche agli ordini di BYNG e di HORNE erano passate pure loro la Schelda il giorno 9, spingendosi fino a Maubeuge, sgomberata dai Prussiani il 10.
Aspre difficoltà incontrarono nella loro avanzata i "Tommies" del generale RAWLINSON, i quali contrastati passo passo, giunsero nondimeno, il 10 novembre, fra le case di Avesnes.
Buoni progressi nel frattempo avevano compiuto i "Poilus" di DEBENEY i quali, superata Hirson, il giorno 9 penetravano nel territorio belga a Chimay.
Attraverso l'aspro terreno irrigato dal Sermonne, i battaglioni di HUMBERT marciavano su Rocroy. Insieme con i camerati francesi, combattevano in questo settore le truppe del II Corpo d'Armata italiano. Nella sola giornata di novembre, i Grigioverdi avanzarono di ben 17 chilometri; poi il giorno dopo, riprendevano a battersi con foga inesausta, cacciando gli avversari da Noircourt e da Berlise, mentre gli Arditi e gli Squadroni della poca Cavalleria disponibile s'impadronivano di Rozoy sulla Serre.
I Tedeschi si erano saldamente trincerati lungo la riva destra della Serre, affluente di sinistra dell'Oise, dove contavano di sostenersi ricorrendo al fuoco intenso delle proprie mitragliatrici. Ciononostante superando d'impeto ogni ostacolo, i Grigioverdi, si gettarono -il mattino del 9 novembre- oltre il fiume, travolgendo i nemici.
Anche in questo settore i Prussiani, via via respinti cominciavano a dare segni evidenti di stanchezza fisica e morale. Perduta la linea della Serre, rinnovarono la propria vana resistenza dietro all'Aube. Pure questo corso d'acqua fu superato dai Grigioverdi, entrando poi come liberatori, fra l'entusiasmo commosso degli abitanti, a Marby, a Etàlle, a Chilly.

Il 10 novembre, la ritirata lenta e metodica dei Tedeschi, incalzati dagl'Italiani che non si davano, ne concedevano tregua, si fece rapida e disordinata. I vinti perdevano costantemente numerosi prigionieri e lasciavano nei loro campi una quantità enorme di materiale. Inebriati dai felici successi conseguiti, gli italiani divennero l'uragano "di baionette che il vento dell'eroismo sospinge all'inseguimento fulmineo". Gli artiglieri portavano avanti i pezzi leggeri, a battere - con il concorso dell'aviazione - le masse nemiche ormai tutte addossate alla Mosa. Già si prospettava la rotta prussiana.
Avanzando con rapidità prodigiosa, i Grigioverdi urtarono contro il bosco di Potés, brulicante di Tedeschi appostati nei cespugli, dietro ai grossi ceppi, nelle buche coperte di ramaglia. Poiché il fuoco dei fucili e delle mitragliatrici non sarebbe stato efficace contro avversari protetti dagli ostacoli naturali della fortezza vegetale, gli italiani ricorsero alle bombe a mano per snidare i micidiali strumenti di morte. Maciullati dallo scoppio dei terribili proiettili, i Tedeschi ripiegarono, quindi volsero alla fuga.
Purtroppo fra le file della II Armata italiana, le perdite furono molte, e i cimiteri nella zona che raccolgono i miseri resti sono disseminati nella zona. Morirono mentre in Italia la guerra era già finita da una settimana.

Trembloi e Rimogne caddero tuttavia nelle mani degli italiani. Scagliandosi al galoppo entravano -il mattino dell'11 novembre- nell'antica città-fortezza di Rocroi liberata. Nel frattempo, le avanguardie del generale Albricci raggiungevano la Mosa tra Furnav e Revin.
Per l'intero mattino del 11 novembre la lotta ardeva implacabile, lungo tutto lo sterminato fronte. I cannoni tuonavano. Le compagnie, gli squadroni, i carri d'assalto, si scagliavano sulle truppe rade, sui nidi delle mitragliatrici, attraverso i reticolati sconvolti e i campi scompigliati.
D'un tratto -portato dal telegrafo, dal telefono, dalle staffette a cavallo o a piedi- giunse l'ordine di desistere da qualsiasi attività aggressiva alle ore 11 antimeridiane.
La Germania aveva capitolato!

Ritorniano al mattino del 9 novembre. Un palazzo di Spa appariva affollato da ufficiali, generali e colonnelli, come non si era mai visto alla sede del Comando Supremo germanico. Anziché appartenere alle massime gerarchie militari o allo Stato Maggiore, i convenuti provenivano dalle Divisioni, dalle Brigate, dai reggimenti impegnati nelle trincee di fango o di roccia, dai boschi bruciati dal cannone, o dalle città demolite dalle granate.
Chiamati da un ordine improvviso che non ammetteva dilazioni, trasportati nelle automobili lanciate a corsa vertiginosa dal posto di comando alla Capitale bellica dell'Impero in armi, tutti portavano nel volto e nell'uniforme le tracce delle notti insonni, dell'angoscia sempre più cupa, della tensione nervosa che li logorava. Avevano ancora negli occhi lo spettacolo tragico delle loro truppe non vinte ma dissanguate, affamate, costrette a battersi contro un nemico ben nutrito e ormai sicuro di vincere. Traspariva da tutte le fisionomie contratte di quei vecchi soldati -uomini che avevano dedicato l'esistenza al Kaiser ed alla Germania, credenti nel mito dell'invincibile potenza prussiana- il presagio e lo strazio della sconfitta.
In ogni momento, arrivavano altre vetture lorde di fango. Nuovi generali, nuovi colonnelli venivano ad accrescere la moltitudine già presente.
Perché questa riunione tanto precipitosa quanto inattesa?

Se a Spa dal fronte non avevano informazioni precise, da due settimane, nemmeno i capi delle Armate imperiali ricevevano notizie particolareggiate di ciò che avveniva in Germania. Accampato in territorio straniero, l'esercito tedesco era all'oscuro dello strazio del suo Paese compiuto da alcune bande che predicavano le nuove ideologie; le stesse che avevano smantellato pochi mesi prima le armate russe.
Si sapeva però che da Aquisgrana, da Bonn, da Coblenza, orde di facinorosi capeggiati dai marinai fuggiti dalle navi intendevano marciare su Spa per costringere il Comando Supremo a concludere l'armistizio. I ponti sul Reno erano minacciati dai ribelli pronti a farli saltare per impedire l'approvvigionamento dell'esercito già in crisi proprio per la carente logistica e i rifornimenti.
Anche coloro i quali confidavano ancora nella capacità combattiva del soldato prussiano, dovevano riconoscere l'impossibilità di resistere più a lungo dopo aver appreso la tragica disfatta degli Austriaci del 29-30-31 ottobre.
L'Italia, inaspettatamente, aveva riportato una vittoria schiacciante; l'Austria era quindi ormai costretta a subire tutte le condizioni imposte, quindi anche ad acconsentire il trasporto sul proprio territorio degli eserciti dell'Intesa. Ormai, non si trattava più di arginare gli Alleati in marcia dal Mare Nordico alla frontiera svizzera. Sarebbe stato necessario costituire un nuovo fronte verso mezzogiorno contro i Grigioverdi, anche se le circostanze non lo consentivano.
Questo fino a poche ore prima del 3 novembre, ma il 4 dopo Vittorio Veneto si era infine sciolto il nodo tremendo. L'Austria non esisteva più. Finis Austriae.

La Germania imperiale non aveva ulteriori possibilità di vita. Tra gli ufficiali convenuti al rapporto d'eccezione, vi erano anche il KRONPRINZ imperiale ed il suo capo di Stato Maggiore, conte SCHULENBURG, accolti dagli altri senza le consuete testimonianze di devozione reverente. Altri invitati, troppo lontani da Spa, non giunsero in tempo.
Intorno alle 9 antimeridiane tutti si trovarono riuniti in un vasto salone affollatissimo, dove si confondevano le Voci concitate o sommesse di quanti interrogavano i compagni o esprimevano le proprie vedute. Chi avesse potuto ascoltare in un momento solo tutti i colloqui dai cordiali agli astiosi, ne avrebbe ricavato la sensazione di uno scoramento generale, di una, volontà concorde di giungere in qualche modo alla pace tanto sospirata.
L'impresa più gravosa sarebbe stata quella di ritornare ai propri reparti che si erano battuti e dire loro con una gran faccia tosta: "...mie cari soldati deponete le armi, perché a Spa dicono che è inutile continuare perchè ormai abbiamo perso". Non era questa una frase acconcia a dei condottieri nibelungi. E qualcuno già ipotizzava che se si presentavano a dire questa frase, sarebbe stato sopraffatto e linciato. (In effetti, poi, alcuni dovettero chiedere protezione agli Alleati per uscirne indenne).

Ad un tratto, ogni voce si spense. La moltitudine si raccoglieva in un silenzio quasi religioso. Nel salone gremito entrava PAOLO von HINDENBURG, accompagnato dal conte HEYE e da uno stuolo d'ufficiali dello Stato Maggiore. Molti vedevano per la prima volta il condottiero della Germania in armi, l'idolo dal quale il popolo si era atteso il prodigio. Preso da un'incertezza angosciosa, ognuno attendeva con ansia le parole di colui nel quale la nazione tedesca aveva confidato ciecamente, persuasa di marciare al suo seguito verso l'ambito e promesso trionfo.
Pacato secondo il solito, HINDENBURG rivolse ai presenti il suo saluto cordiale, quindi si mise ad esporre con cruda sobrietà le condizioni interne dell'Impero. Era scoppiata, la guerra civile. Per le vie e per le piazze di molte città scorreva il sangue. Non solo i ribelli, ma anche gli Alleati per trattare un armistizio, esigevano il ritiro del Kaiser. A Berlino -dove nessuno, per il momento, governava- esistevano due Governi, uno avverso all'altro ma entrambi contrari alla Dinastia.

Fin dal 7 novembre la Baviera, precorrendo gli altri Stati germanici, aveva proclamato la decadenza dei Wittelsbach e l'avvento della repubblica sotto la presidenza del socialista KURT EISNER, coadiuvato da un Ministero provvisorio. Il giorno dopo era stato deposto il re del Wurtemberg. Mentre MASSIMILIANO (Max) del Baden patteggiava per cedere il potere al socialista FEDERICO EBERT: un sellaio portato in alto dall'uragano di follia che imperversava sulla Germania sconfitta.
Che fare?

Il Comando Supremo a Spa intendeva marciare su Berlino per ripristinarvi l'ordine. Si trattava di sapere se l'esercito si manteneva fedele all'Imperatore, se le truppe erano disposte a combattere al tempo stesso il nemico e la rivoluzione, cioè tedeschi contro tedeschi in una sanguinosa guerra civile. A questo proposito furono invitati a pronunciarsi i capi che meglio conoscevano, per i quotidiani rapporti diretti, l'animo del soldato tedesco. Ciascuno dei presenti, interrogati un dopo l'altro, doveva rispondere con un semplice monosillabo, affermativo o negativo.
Generali e colonnelli si presentarono a turno e diedero il proprio tremendo responso, un No secco; quindi l'adunanza si sciolse. Mentre gli altri tornavano al fronte, Hindenburg si recava alla Villa Fraineuse per un colloquio con l'Imperatore .
Alla nuova riunione presero parte GUGLIELMO II, il Generalissimo, i generali GRÓNER e von MARSCHALL, le eccellenze von HINTZE e GRUNAU. Qualche tempo dopo giungeva anche l'ammiraglio SCHEER.

In lunghi anni di regno, il Kaiser aveva congedato -non di rado in modo brusco- molti uomini, pur fedeli nel servirlo oltre che validi. Non aveva mai ipotizzato che qualcuno, tranne la morte, potesse congedarlo; invece era giunta la sua ora. E paradossalmente spettava proprio ai più favoriti -creati da lui potenti pur essendo inetti- l'ingrato compito di gettare giù dal trono il proprio Sovrano cui avevano giurato fedeltà per tutta la vita.
Più risoluto degli altri, il maresciallo HINDENBURG fece presente all'Imperatore le condizioni dell'esercito quali risultavano dal referendum di poco prima. Non si poteva più contare sulle truppe suggestionate dalla propaganda comunista, sfinite dai disagi della guerra atroce, prese da un rancore sordo verso gli ufficiali, accusati di averle illuse e trascinate al macello per una vana speranza di vittoria e di conquista.
Poiché da tutte le parti si chiedeva la deposizione del Kaiser, nel quale il popolo vedeva un ostacolo al conseguimento della pace, Guglielmo II avrebbe dovuto fuggire in Olanda per la via più breve. GRONER dichiarò apertamente -con le carezze e le minacce- che tutto lo Stato Maggiore condivideva le opinioni del Generalissimo.

Irresoluto, nonostante le reboanti dichiarazioni verbali, durante tutta la sua vita, il Kaiser lo fu anche nelle ultime ventiquattrore di regno. Per il momento, suggestionato dai suoi consiglieri (che non erano dei Bismarck, questo lo aveva messo alla porta appena salito sul trono) egli si limitò a porre termine alla conversazione acconsentendo però al compimento dei preparativi per la fuga nei Paesi Bassi.
Quando gli altri se ne furono andati, Guglielmo ricevette un confidente:.. il conte DOHNA, cui espresse il fermo proposito di rimanere a Spa. Agli aiutanti di campo in servizio, ingiungeva - "Passerò la notte nella villa; provvedete armi e munizioni. Il Maresciallo mi ha detto che c'è da aspettarsi qualche assalto dei bolscevichi".
L'erede del grande Federico sembrava disposto ad imitare il suo avo glorioso, rimasto aggrappato al trono pur quando lo lambivano le onde della burrasca tremenda scatenata da tutta l'Europa contro di lui. Ma il 9 novembre fu per Guglielmo II il giorno delle decisioni prese, rivedute e capovolte.

Dopo aver disposto perché villa Fraineuse fosse tramutata in un fortilizio pronto a resistere ai ribelli, l'Imperatore -in seguito ad un colloquio con GRUNAU e col generale von PLESSEN - si decise a lasciare la residenza abituale per passare nel proprio treno, fermo sopra un binario morto.
Qui, mentre faceva colazione, gli dissero che si temevano i ribelli in marcia da Aquisgrana e da Verviers. Le truppe delle retrovie, inalberata la bandiera rossa, si ammutinavano. Sembrava che da un momento all'altro stessero per comparire anche nella Capitale militare della Germania le avanguardie della rivoluzione comunista. Allora il Kaiser impartì nuovi ordini, questa volta per la partenza.

Fra le 16 e le 17, l'Imperatore rivide il feldmaresciallo HINDENBURG, presentatosi a lui insieme col segretario di Stato von HINTZE. I due non fecero mistero al Sovrano, prossimo a non esserlo più, del peggioramento progressivo della situazione. EBERT assumeva il potere. Prima di cederlo, il principe MASSIMILIANO del BADEN aveva annunciato di proprio arbitrio l'abdicazione del Kaiser e la rinuncia al trono dei Kronprinz, divulgando la notizia per mezzo della radiotelegrafia; quindi è da supporre che fu informato anche l'esercito combattente di ciò che a Spa accadeva.
Ed infatti, a Berlino, la guarnigione sfuggiva di mano agli ufficiali: il 4° Cacciatori, la 2a compagnia del reggimento "Alessandro", la 2a batteria "Juterbog", eran già passati "dall'altra parte della barricata".
"Io non posso garantire che l'Imperatore - dichiarò il Maresciallo- non sia trascinato a Berlino dalle truppe, ammutinate e consegnato come prigioniero al Governo dei rivoluzionari".
(la brutta fine degli Zar era piuttosto recente!).

Berlino era diventata ingovernabile. In questo stesso giorno (il 9) Liebknecht, lo spartachista, si accinse a proclamare la repubblica sovietica. Per il giorno dopo furono convocati i "Consigli" (a imitazione dei "soviet" russi) per eleggere i rappresentanti del Popolo (questi poi governarono la Germania per i tre mesi successivi).
Naturalmente la scelta cadde sui capi socialisti meglio conosciuti; e questi capi non erano che gli ultimi ministri costituzionali dell'imperatore, uomini i quali, lungi dall'essere rivoluzionari, si opposero alla rivoluzione, anzi si preoccuparono di soffocarla e di salvare quel che poteva essere salvato della Germania. Nessun spartachista fu eletto al consiglio dei rappresentanti del popolo. In altre parole tutto quel che la "rivoluzione" tedesca era riuscita a concludere, fu quello di mandare al potere i partiti del Reichstag considerati "non nazionali", in quanto non rappresentavano i grandi proprietari terrieri o la grande industria, ma che tuttavia avevano appoggiato la guerra in ogni sua fase. Paradossalmente i rivoluzionari e gli oppositori della guerra -per far finire la guerra- furono lasciati fuori, a intirizzire. E ancora, un'alleanza formale fu subito conclusa per telefono tra Ebert e Groner, tra il governo poco "rivoluzionario" ed il comando supremo: il governo avrebbe mantenuto l'ordine e resistito al "bolscevismo" (ossia, a qualsiasi effettiva trasformazione sociale) e il comando supremo avrebbe dato il suo appoggio al governo. Il comando supremo sacrificò così le dinastie, che caddero in tutta la Germania; mentre i socialdemocratici sacrificarono semplicemente il futuro della democrazia.
La "rivoluzione di ottobre" di Enbner e Groner, e la "rivoluzione di novembre" di Liebknecht e dei socialisti indipendenti continuarono a sussistere fianco a fianco. Ma la seconda non fu che una pura e semplice sollevazione contro la continuazione della guerra; e la guerra poche ore dopo finì.

Ma anche a Berlino in breve tempo la "rivoluzione" finì; il governo socialista annienterà il movimento estremista degli spartakisti, rivolgendo contro di loro i corpi-franchi militaristi: fu questo l'inizio del fallimento della speranza bolscevica di favorire una presa di potere comunista in Germania. Questo insuccesso sarà aggravato dalla soppressione delle repubbliche sovietiche sorte poco dopo in Bavaria e in Ungheria.

Di fronte alla dura realtà, Guglielmo II parve deciso alla partenza e si accordò con il segretario di Stato per il viaggio in Olanda. Subito dopo, però, l'Imperatore -la cui volontà vacillava come la fiamma d'una candela al soffio della sventura- diramava nuovi ordini per la propria sicurezza dai quali traspariva evidente la sua intenzione di rimanere a Spa.
GUGLIELMO II di HOHENZOLLERN era ancora il Kaiser o non lo era più? Egli non aveva ancora abdicato, il Kronprinz tanto meno. L'arbitrario comunicato del Cancelliere dimissionario poneva il Sovrano dinanzi ad interrogativi angosciosi. Che fare? Subire il fatto compiuto? Protestare? Diramare una smentita vibrante? E questa smentita a cosa sarebbe servita?
Poco prima o poco dopo le 19, von HINTZE e von PLESSEN si presentarono all'Imperatore al tempo stesso deposto e regnante per sollecitarlo a partire durante la notte. Solo a quel punto Guglielmo si mostrò deciso ad andarsene.

Di lì a qualche minuto, però, il Kaiser smentiva un'altra volta se stesso. Un quarto d'ora prima delle ore 20, Guglielmo si avviava con il seguito al carrozzone ristorante del treno imperiale per la cena. A von HIRSHFELD, a von ILSEMANN, al generale von GONTARD, Guglielmo assicurava che non avrebbe mai abbandonato l'esercito. E lo ripeté ai generali von PLESSEN e MARSCHALL. Durante il pasto consumato senza appetito, tutti i commensali ebbero la certezza che l'Imperatore sarebbe rimasto fino all'ultimo alla testa delle sue truppe. Gli avessero pure strappato di mano lo scettro della Germania e tolto dal capo canuto la corona del padre e del nonno, a Guglielmo II rimanevano gli emblemi (morali) augusti di Federico il Grande. Non più sovrano della Confederazione tedesca, il principe in disgrazia era tuttavia re di Prussia. Appunto per questo, egli pensava che nessuno potesse toglierlo dal suo comando militare.
Alle 10 di sera il Kaiser concluse la sua giornata tanto laboriosa e dolorosa quanto inconcludente ricevendo l'ultimo visitatore: von GRUNAU. Questi comunicò freddamente al Sovrano deposto ed imperante che tanto HINDENBURG come HINTZE giudicavano necessaria, doverosa ed urgente la sua partenza decisa e poi sospesa. Da Asquisgrana e da Eupen i comunisti marciavano su Spa; le truppe ammutinate sbarravano le strade verso il fronte; unica, salvezza, rimaneva la fuga.
Che avrebbe dovuto fare l'Imperatore abbandonato da tutti?
Uccidersi? Lui così devoto, glielo vietava la fede cristiana ardentemente professata.
Mettersi alla testa di un reggimento, scagliarsi all'assalto e cercare la bella morte sul campo della gloria?
GUGLIELMO II pensava che compiendo quest'atto di eroismo avrebbe gettato il suo cadavere fra la Germania e l'Intesa, ad intralciare le trattative per la conclusione dell'armistizio già iniziate e prossime alla conclusione.
Tornare in patria, alla testa dell'esercito?
Un'idea strampalata, ormai le truppe -se non tutte, molte- avevano dimenticato il giuramento di fedeltà all'Imperatore e non intendevano seguirlo.

Ancora buio, alle ore 5, in un'alba nebbiosa del giorno 10 novembre, GUGLIELMO di Hohenzollern -non più sovrano della Germania, né della Prussia - lasciava Spa in un'automobile scortata da altre veloci vetture. Avvenuta clandestinamente nel grigiore opaco di una notte che stava per finire, quella partenza precipitosa -per quanto il Kaiser deposto abbia tentato poi di giustificarla come un atto di suprema dedizione al Paese, cui intendeva d'evitare gli orrori della guerra civile - aveva tutta l'apparenza ed in realtà era una fuga.

Filando rapido nella semiluce di un'ora nebbiosa, il corteo melanconico giunse in breve alla frontiera dei Paesi Bassi. Un anonimo soldato olandese di guardia intimò l'alt con il mitragliatore spianato! Fu invitato a chiamare il comandante del posto e quello accorse. Era un ufficiale, cui i colleghi tedeschi fecero presente il desiderio del loro Sovrano: varcare il confine -come avevano fatto tanti altri disertori dell'esercito vinto- per essere internato.
L'ufficiale trasecolò. Poiché il Comando Supremo temeva l'intercettazione dei propri messaggi telegrafici e telefonici da parte dei ribelli, nessun avviso era pervenuto da Spa al Governo dell'Aja, quindi nessun posto di frontiera aveva ricevuto disposizioni. Non sapendo come comportarsi, l'ufficiale olandese invitò i nuovi venuti ad attendere in una casetta vicina mentre si affrettava a chiedere ordini.
Occorsero non meno di sei ore prima che pervenisse la risposta desiderata. GUGLIELMO di Hohenzollern, l'uomo che non si era mai indugiato in vita sua ad attendere qualcuno, trascorse quelle sei ore -le più lunghe della sua vita - sulla soglia del Regno straniero esitante a riceverlo, trattato da un anonimo ufficialetto come un qualsiasi vagabondo da respingere.

Finalmente giunse l'ordine di lasciar passare l'Imperatore fuggiasco ed il suo seguito.
Le automobili incolonnate ripresero a correre. Avviandosi clandestinamente verso l'esilio e la relegazione; Guglielmo di Hohenzollern lasciava a Berlino in rivolta la moglie ammalata, il figlio fra le truppe ammutinate, e lui fuggiva, senza congedarsi dall'esercito e dal popolo che l'avevano fedelmente seguito per trenta anni (dal 1888), senza dire addio nemmeno agli Amici più cari ed ai servitori più fedeli, senza una parola d'affetto e di conforto per la nazione flagellata dalle sventure più atroci; fuggiva e volgeva le spalle all'immensa rovina causata dalla sua ambizione, imprevidenza e dalla sua incapacità.
L'erede nibelungico si rivelava alla fine, crollato intorno a lui il fastoso apparato teatrale di cui tanto si era sempre compiaciuto, un povero uomo pauroso dei nemici, della rivoluzione, degli ammutinamenti e soprattutto della morte. Colui che aveva incitato ad immolarsi per la patria tedesca milioni di uomini, scappava all'estero come un qualsiasi banchiere fallito. Anziché un vuoto di cassa, lasciava dietro a sé quel vuoto immenso e lugubre rimasto nelle case tristi di due milioni di giovani eroi, caduti per la speranza vana di una vittoria possibile soltanto nelle aberranti fantasie del Kaiser e dei suoi inetti consiglieri, pure loro attanagliati dall'ambizione: quella di voler emulare Bismarck.
La Germania dal 1905 al 1914, era diventata una potenza industriale mondiale, ma il merito non era certo del sovrano, ma della nuova borghesia, della grandi banche, e dall'indefesso lavoro delle maestranze sempre di più caparbie ed efficienti.

La fuga di Guglielmo segnò la rapida fine della Germania imperiale; l'edificio grandioso, costruito cinquant'anni prima dal genio rude di Bismarck, e che sembrava d'acciaio, si mostrò invece, sotto il soffio dell'uragano, meno consistente d'un castello di carte.
Lo stesso giorno 10, il duca di BRUNSWICK rinunciava al trono per sé e per i propri eredi; il re di Sassonia veniva deposto; il granducato di Assia si costituiva in repubblica; il granduca di Oldenburg ruzzolava dal trono. Comportandosi più onorevolmente di suo padre, il Kronprinz chiedeva al Governo di rimanere al proprio posto per servire fino all'ultimo la patria in armi. Respinta questa sua domanda, prendeva anche lui la via dell'esilio.
In quattro giorni la Germania perdeva tutte le Corti -alcune antiche, potenti e gloriose - sulle quali si era imperniata per secoli la vita, fervida del popolo tedesco. Mai si erano viste tante corone di principi e duchi volar via ad una sola ventata come foglie morte.

Sul crollo immane dei troni, delle idolatrie, delle ideologie in frantumi, sorgeva la Repubblica socialista di EBERT & Compagni
Le richieste di pace che il Governo di Berlino faceva pervenire all'Intesa, come già in precedenza accennato, per il tramite di Wilson, posero gli Alleati di fronte al problema delle condizioni da proporre alla Germania.
Per quanto ben più solida della Quadruplice, nemmeno la coalizione italo-franco-anglo-confederale costituiva un blocco omogeneo, non era privo di scissioni né di antagonismi. Tanto più s'allontanava il timore della sconfitta che aveva portato ad una relativa unità di comando, tanto più si rendeva certa la vittoria sui comuni nemici e tanto meno tenevano i vincoli stretti dalla necessità nelle ore d'angoscia ormai trascorse.

Riguardo alle clausole del probabile armistizio, era evidente che appesantendo la mano ne sarebbe conseguito il prolungarsi delle ostilità.
E conveniva protrarre la lotta?
Le vedute divergevano e ancora oggi le opinioni dei condottieri politici e militari d'un tempo vengono variamente giudicate.
Il disaccordo si verificava, non soltanto fra i rappresentanti dell'una o dell'altra Potenza, ma pur fra i connazionali stessi. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, ad esempio, il generale GIOVANNI PERSHING intendeva combattere fino all'estremo, ambizioso di nuovi trionfi e più -secondo lui- persuasivi; per contro, il colonnello HOUSE, fiduciario di Wilson, si sarebbe accontentato di ridurre la Germania alla remissività, senz'annientarla. In quanto ai francesi, CLEMENCEAU: lo statista del pugno di ferro la cui fredda energia rovesciava gli ostacoli, spezzava gl'impacci e trascurava gli scrupoli, sognava d'assistere alla sfilata dei Poilus nell'"Unter der Linden"; mentre FERDINANDO FOCH, preoccuato delle perdite enormi e della stanchezza dei vincitori medesimi, si sarebbe accontentato di ridurre gli avversari in condizioni d'impotenza. LLOYD GEORGE, l'"iron premier", fiancheggiava il "Tigre" nelle sue aspirazioni estremiste; e DOULAS HAIG e SIDNEY SONNINO condividevano le tendenze temperate del Generalissimo intesista.

Erano questi ultimi, tutti molto cauti nell'impegnarsi contrattualmente a causa delle numerose imprecisioni dei quattordici punti Wilsoniani. Lloyd George domandò ad un certo punto "Non dovremmo chiarire al governo tedesco che non siamo d'accordo sui quattordici punti della pace?".

Ma l'arrogante colonnello HOUSE, rappresentante-confidente di Wilson, minacciò che "se non fossero stati accettati come punto di partenza i quattordici punti, gli Stati Uniti avrebbero abbandonato gli altri alleati e avrebbero concluso con i tedeschi una pace separata". (C. Seymour, The Intimate Papers of Colonel House, London 1926, vol. IV, pag 167)
(Da notare che con questa minaccia, gli stessi Stati Uniti sono i primi a far diventare "carta straccia" i "14 Punti"; perche proprio il Primo Punto, contemplava:
"
Convenzioni di pace palesi, apertamente concluse e in base alle quali non vi saranno accordi internazionali segreti di alcuna specie, ma la diplomazia agirà sempre palesamento e in vista di tutti").

Dopo faticosi preliminari, FERDINANDO FOCH da qualche giorno era giunto ad elaborare uno schema d'armistizio che sottopose poi il 26 ottobre all'approvazione dei rappresentanti dell'Italia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti. In seno alla riunione riunita intorno al Generalissimo, si manifestarono immediatamente le tendenze contrastanti. Gli estremisti pretendevano la consegna dell'Armata navale germanica, esclusa dal supremo condottiero intesista, ed altro ancora. Con l'abilità consueta, grazie alla quale gli riusciva sempre di girare gli scogli e di smussare le asprezze, Foch - lo stratega diplomatico - sostenne la necessità di non esigere più di quanto sarebbe valso a porre la Germania fuori causa.
E poiché il 30-31 ardeva in Italia già la battaglia sanguinosa di Vittorio Veneto, tutti si accordarono sulla convenienza di attendere i risultati dell'offensiva italiana.
Il 4 novembre l'Austria -come abbiamo visto nella precedente puntata- aveva sottoscritto l'armistizio di Villa Giusti con l'Italia. Giunse in buon punto, a Ferdinando Foch, un telegramma di Armando Diaz che dichiarava il fatto compiuto e che da quel momento… l'Esercito italiano -l'unico che abbia disfatto l'avversario, conservando dopo il trionfo la piena capacità combattiva - era pronto a marciare contro la Germania.
O dal Brennero, e meglio ancora da Passo Resia, a Diaz gli erano più che sufficienti due-tre ore per riversare su Stoccarda e quindi sul Reno, le sue prime armate animate dal "vento in poppa" della strabiliante vittoria.

La vittoria italiana, dunque, ebbe, fra le altre conseguenze grandiose, pure quella di far trionfare - in seno al Consiglio Supremo interalleato - la corrente estremista. Frantumando l'Impero degli Absburgo, il Fante - l'umile Fante d'Italia lacero e glorioso- aveva inferto il colpo mortale alla Confederazione tedesca (ma di questo non si volle poi tener conto... a Versailles)
Conosciamo già le vicende avvenute nello scacchiere occidentale fra gli ultimi giorni d'ottobre e l'11 novembre. Per quanto sfavorevoli alla Germania, esse però non portavano mutazioni molto sensibili nella situazione dei belligeranti, quindi non furono la causa del tracollo prussiano.
Inoltre non trascuriamo che -se veramente a Berlino ci fosse stata una sostanziale "rivoluzione bolscevica" (e non un fallimento) - non era da escludere che i Russi avrebbero aiutato i tedeschi a respingere le "armate dei capitalisti".

Mentre invece, le notizie che arrivavano dall'Italia, nel breve volgere di giorni portò la Confederazione alla catastrofe: la rivolta dei Marinai; l'ammutinamento delle truppe; la rivoluzione di popolo (come abbiamo visto sopra non proprio tutta "rossa"), e la ormai vicina disfatta austro-magiara, i Tedeschi videro sparire dal loro fianco l'ultimo alleato e profilarsi all'orizzonte meridionale un nuovo e potente nemico. Basti questo a dare un indice dell'immenso contributo dei Grigioverdi alla vittoria comune. Senza il colpo d'ariete italiano dallo Stelvio al Mare, la resistenza, degli Imperi Centrali, sia pure lungo linee arretrate, avrebbe potuto protrarsi per una o due stagioni ancora (a parte l'incognita "rossa").
Lo ammise lo stesso maresciallo FOCH, quando, dopo le notizie del 4 novembre dall'Italia, interrogato sul tempo necessario a sgominare la Germania, rispose:
"Non posso dirlo; nessuno è in grado di prevederlo esattamente. Possono occorrere tre mesi, forse quattro o cinque".

Invece per virtù del Fante italiano, i tre, i quattro, i cinque mesi si ridussero a nemmeno una settimana.
Approfittando delle circostanze determinate dall'esito prodigioso dell'offensiva italiana, gl'Inglesi ottennero di aggiungere alle clausole dell'armistizio da imporre ai Prussiani quella -da loro ambita più d'ogni altra - relativa alla cessione dell'Armata imperiale. Dopo qualche ritocco ulteriore, il testo fu pronto. Fu avvertito il presidente WILSON e questi fece radiotelegrafare a Berlino che i rappresentanti del Governo tedesco potevano presentarsi.
Erano le 9 pomeridiane del 7 novembre allorquando un'automobile pavesata di bandiere bianche giungeva ad Handroy, a due chilometri da La Capelle, davanti alle linee francesi tenute dalle truppe del generale DEBENEY. Nella vettura si trovavano i membri della Commissione tedesca d'armistizio presieduta dall'ex-ministro ERZBERGER e composta inoltre dal capitano di vascello VANSELOW, dal capitano di fanteria GEYLER, dall'interprete capitano HELLDORFF. Riconosciute in regola le loro credenziali, i rappresentanti della Germania vinta furono fatti procedere a piedi attraverso i trinceramenti fino ad un'altra automobile che li condusse in una corsa rapida a Tergnier, presso La Fère. Qui, salirono in un treno speciale dove viaggiarono per qualche ora per giungere alle 7 del mattino dell'8 novembre alla stazioncina di Rèthondes. Di là partiva una linea di servizio che, addentratasi nella foresta di Laigle, si biforcava in due binari. Sopra uno di questi era già arrivato il treno della Commissione francese. Sull'altro si fermò il convoglio che portava i tedeschi.

FERDINANDO FOCH si presentò personalmente a trattare con i vinti. Lo coadiuvavano l'ammiraglio WENNISI, il generale WEYGAUD, l'ammiraglio HOSC, l'interprete LAPERCHE.
I prussiani chiesero la sospensione delle ostilità durante le trattative. Freddamente autoritario, il Generalissimo intesista oppose un netto rifiuto, concedendo invece ai delegati tedeschi 72 ore di tempo per esaminare il testo dell'armistizio e formulare la risposta.
Incominciarono le trattative, le incertezze, le tergiversazioni. Si venne a riunioni alcune volte inconcludenti, altre furono drammatiche. Mentre il cannone seguitava a rimbombare e la morte mieteva, ERZBERGER e i suoi compagni chiedevano istruzioni a Berlino e si battevano disperatamente per ottenere condizioni meno dure.
Arrendevoli per qualche particolare, inamovibili in tutto il resto, i plenipotenziari dell'Intesa contrapponevano agli avversari la propria energia volitiva derivante ormai dalla certezza di vincere.
Finalmente, alla mezzanotte del 10 novembre, i tedeschi si dichiararono pronti alla riunione definitiva. Questa durò -nel silenzio della notte silvestre - fin quando la prima luce dell'alba filtrò nella carrozza salone del Generalissimo intesista a illividire i volti dei tedeschi contratti da una angosciante tensione.

FERDINANDO FOCH acconsentì solo a qualche piccolo ritocco, ma tutto il resto era per i tedeschi tremendamente pesante. Alle 5 del mattino l'accordo era raggiunto, per cui si venne alla firma del testo tanto discusso. Ritenuto umiliante e che diede poi origine a tanti altri mali. Infatti su quella stessa carrozza, tirata fuori dal museo dov'era andata a finire, ventiquattro anni dopo l'arrogante Hitler dettò poi le sue pesantissime condizioni ai Francesi, a mo' di rivalsa dell'arrogante Foch).

Il testo armistiziale comprendeva 34 clausole:
(che riportiamo integralmente)

1)
Cessazione delle ostilità in terra e in aria sei ore dopo la firma dell'armistizio.
2)
Sgombero immediato dei paesi invasi, Belgio, Francia, Lussemburgo, nonché dell'Alsazia-Lorena, in modo da essere compiuto entro quindici giorni a datare dalla firma dell'armistizio.
Le truppe tedesche che non avessero sgombrato i territori suddetti entro il termine fissato, saranno fatte prigioniere di guerra.
L'occupazione da parte dell'insieme delle truppe alleate e degli Stati Uniti dei suddetti paesi seguirà la marcia dello sgombero.
Tutti i movimenti di sgombero o di occupazione saranno regolati dalla nota allegata N. 1, compilata al momento della firma dell'armistizio.
3)
Rimpatrio da cominciare immediatamente e da terminare entro il termine di quindici giorni, di tutti gli abitanti dei paesi suddetti, compresivi gli ostaggi, i prevenuti o condannati.
4)
Abbandono da parte degli eserciti tedeschi del seguente materiale di guerra in buono stato: cinquemila cannoni (2500 pesanti e 2500 da campagna); 25.000 mitragliatrici; 3.000 "minenwrfers"; 1.700 aeroplani da caccia e da bombardamento, in primo luogo tutti i D 7 e tutti gli aeroplani da bombardamento notturno; da consegnare sul posto alle truppe alleate e degli Stati Uniti nelle condizioni e nei termini fissati nella nota annessa N. 1 compilata al momento della firma dell'armistizio.
5)
Sgombero del paese sulla riva sinistra del Reno da parte delle truppe tedesche. I paesi sulla riva sinistra del Reno saranno amministrati dalle autorità locali sotto il controllo delle truppe d'occupazione alleate e degli Stati Uniti. Le truppe alleate e degli Stati Uniti assicureranno l'occupazione di questi paesi con guarnigioni che terranno i principali punti di passaggio del Reno (Magonza, Coblenza, Colonia) con teste di ponte, in tali località, di trenta chilometri di raggio sulla riva destra, e con guarnigioni che terranno anche i punti strategici della regione.
Una zona neutra sarà riservata sulla riva destra del Meno, tra il fiume e la linea tracciata parallelamente alle teste di ponte ed al corso del fiume, e a dieci chilometri di distanza dalla frontiera olandese fino alla frontiera svizzera.
Lo sgombero da parte del nemico dei paesi del Reno sulla riva sinistra e sulla destra, sarà regolato in modo da essere compiuto entro il termine di altri sedici giorni, cioè, trentun giorno dopo la firma dell'armistizio. Tutti i movimenti dello sgombero e dell'occupazione saranno regolati dalla nota annessa N. l, stipulata al momento dell'armistizio.
6)
In tutti i territori evacuati dal nemico, é proibito qualsiasi sgombro di abitanti e non sarà fatto nessun danno o pregiudizio contro le persone o le proprietà degli abitanti. Nessuno sarà processato per delitto di partecipazione a misura di guerra anteriori alla firma dell'armistizio. Non sarà fatta distruzione di alcuna sorta.
Le installazioni militari di qualsiasi natura saranno consegnate intatte, come pure le provviste militari, viveri, munizioni, vestiario, che non fossero stati asportati entro il termine fissato per lo sgombero.
I depositi di viveri di qualsiasi natura destinati alla popolazione civile, il bestiame, ecc., dovranno essere lasciati sul posto.
Non sarà presa alcuna misura generale o d'ordine ufficiale che abbia come conseguenza la svalutazione degli stabilimenti industriali e la riduzione del loro personale.
7)
Le vie ed i mezzi di comunicazione di qualsiasi natura, ferrovie, vie navigabili, strade, ponti, telegrafi, telefoni, non devono subire alcun deterioramento. Tutto il personale civile e militare in servizio vi sarà mantenuto.
Saranno consegnate alle potenze associate: 5.000 locomotive montate, 150.000 vagoni in buono stato di circolazione e provvisti di tutti i pezzi di ricambio ed accessori necessari, nei termini particolarmente fissati nell'annessa nota numero 2 e che non potranno essere superiori a 31 giorni.
Saranno inoltre consegnati 5.000 camions automobili, in buono stato, entro il termine di 36 giorni.
Entro il termine di 31° giorno, le ferrovie dell'Alsazia-Lorena saranno consegnate dotate di tutto il personale ed il materiale addetto organicamente a questa rete; inoltre il materiale necessario all'esercizio ferroviario nei paesi della rete sinistra del Reno sarà lasciato sul posto.
Tutte le provviste di carbone, di materiali di manutenzione e di materiali per vie, segnali, officine, saranno lasciate sul posto.
La manutenzione di queste provviste sarà a carico della Germania, per ciò che riguarda l'esercizio delle strade di comunicazione nel paese della riva sinistra del Reno.
Tutti i barconi presi agli alleati saranno loro restituiti.
I particolari di tali misure sono fissati all'annessa nota numero 2.
8)
Il governo sarà tenuto a segnalare, entro il termine di 18 ore dalla firma dell'armistizio, tutte le mine e i dispositivi ad orologeria posti sui territori sgombrati dalle truppe tedesche e a facilitarne la ricerca e la distruzione. Esso segnalerà, inoltre le disposizioni nocive che fossero state prese, come avvelenamenti o inquinamenti di sorgenti, pozzi, ecc., tutto ciò sotto pena di rappresaglie.
9)
Il diritto di requisizione sarà esercitato dagli eserciti alleati e dagli Stati Uniti in tutti i territori occupati, salvo a pagarne il conto a chi di diritto.
Il mantenimento delle truppe di occupazione nei paesi del Reno, esclusa l'Alsazia?Lorena, sarà a carico del governo tedesco.
10)
Rimpatrio immediato, senza reciprocità, nelle condizioni particolari da regolare, di tutti i prigionieri di guerra, compresivi i prevenuti e condannati, degli Alleati e degli Stati Uniti.
Le Potenze alleate e gli Stati Uniti potranno disporne come meglio crederanno. Questa condizione annulla le condizioni anteriori circa lo scambio di prigionieri, compresa quella del luglio 1918 in corso di ratifica. Tuttavia il rimpatrio dei prigionieri tedeschi di guerra internati in Olanda ed in Svizzera continuerà come prima.
Il rimpatrio dei prigionieri tedeschi sarà regolato alla conclusione dei preliminari di pace.
11)
Gli ammalati, i feriti gli incurabili lasciati sui territori sgombrati dagli eserciti tedeschi verranno assistiti da personale tedesco che sarà lasciato sul posto con il materiale necessario.
12)
Tutte le truppe tedesche che si trovano attualmente nei territori che facevano parte, prima della guerra, dell'Autria?Ungheria, della Romania e della Turchia, devono immediatamente rientrare entro le frontiere tedesche quali erano al 1 ° agosto 1914.
Tutte le truppe tedesche che attualmente si trovano nei territori che facevano parte, prima della guerra, della Russia, dovranno rientrare entro le frontiere tedesche suddette appena gli Alleati riterranno giunto il momento, tenendo conto della situazione interna di questi territori.
13)
Inizio immediato dello sgombero da parte delle truppe tedesche e richiamo di tutti gli istruttori, prigionieri, agenti civili e militari tedeschi che si trovano sul territorio russo (nelle frontiere del 1 ° agosto 1914).
14)
Cessazione immediata da parte delle truppe tedesche di qualsiasi requisizione, sequestro o misura coercitiva per procurarsi risorse a destinazione della Germania in Russia ed in Romania (nelle loro frontiere del 1° agosto 1914).
15)
Rinuncia ai trattati di Brest?Litowsk e di Bucarest ed ai trattati complementari.
16)
Gli Alleati avranno libero accesso ai territori sgombrati dai tedeschi sulle frontiere orientali, sia per Danzica, sia per la Vistola, per poter vettovagliare le popolazioni ed allo scopo di mantenervi l'ordine.
17)
Sgombero di tutte le forze tedesche operantî nell'Africa Orientale nei termini fissati dagli Alleati.
18)
Rimpatrio senza reciprocità, entro il termine massimo di un mese, nelle condizioni particolari da fissare, di tutti gli internati civili, compresi gli ostaggi, i prevenuti o condannati appartenenti alle Potenze alleate e associate, oltre quelli enumerati nell'articolo 3.
19)
Con riserva di qualsiasi ulteriore rivendicazione o reclamo da parte degli Alleati e degli Stati Uniti a riparazione dei danni per la durata dell'armistizio nulla sarà distrutto dal nemico dei valori pubblici che possano servire agli Alleati come pegno per il ricupero delle riparazioni.
Restituzione immediata della riserva della Banca Nazionale del Belgio ed in generale consegna immediata di tutti i documenti, contanti, valori mobiliari e fiduciari con emissione attinenti agli interessi pubblici nei paesi invasi.
Restituzione dell'oro russo e romeno preso dai tedeschi o ad essi consegnato. Quest'oro sarà preso in consegua dagli Alleati sino alla firma della pace.
20)
Cessazione immediata di ogni ostilità sul mare e indicazione precisa della situazione e dei movimenti delle navi tedesche.
I neutrali saranno avvisati della libertà concessa alla navigazione delle marine da guerra e mercantile delle Potenze alleate ed associate in tutte le acque territoriali senza sollevare la questione della neutralità.
21)
Restituzione, senza reciprocità, di tutti i prigionieri di guerra della marina da guerra e mercantile delle Potenze alleate e associate, in potere dei tedeschi.
22)
Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti di tutti i sottomarini, compresivi tutti gli incrociatori sottomarini e tutti i posatorpedini, attualmente esistenti, con il loro armamento ed equipaggiamento al completo, nei porti indicati dagli Alleati e dagli Stati Uniti. Quelli che non possono prendere il mare saranno disarmati del personale e del materiale e dovranno rimanere sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti.
I sottomarini che sono pronti a prendere il mare saranno tenuti in stato di lasciare i porti tedeschi appena riceveranno ordine con radiotelegramma per il loro viaggio al porto fissato per la consegna, e gli altri al più presto possibile.
Le condizioni di questo articolo saranno eseguite entro il termine di 14 giorni dalla firma dell'armistizio.
23)
Le navi da guerra di superficie tedesche che verranno designate dagli Alleati o dagli Stati Uniti saranno immediatamente disarmate e poi internate in porti neutrali o, in mancanza, in porti alleati fissati dagli Alleati e dagli Stati Uniti. Esse vi rimarranno sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti; a bordo saranno lasciati soltanto dei distaccamenti di guardie.
Gli Alleati sceglieranno sei incrociatori di battaglia, dieci corazzate di squadra, otto incrociatori (dei quali due posatorpedini), 50 cacciatorpediniere dei tipi più recenti.
Tutte le altre navi da guerra di superficie (compresevi quelle fluviali) dovranno essere riunite, completamente disarmate, nelle basi ?navali tedesche designate dagli Alleati e dagli Stati Uniti.
L'armamento militare di tutte le navi della flotta ausiliaria verrà sbarcato.
Tutte le navi designate per essere internate saranno pronte a lasciare i porti tedeschi sette giorni dopo la firma dell'armistizio. Le indicazioni per il viaggio saranno date per mezzo della telegrafia senza filo.
24)
Diritto per gli Alleati e per gli Stati Uniti fuori delle acque territoriali tedesche, di dragare tutti i campi di mine e di distruggere le costruzioni poste dalla Germania e delle quali dovrà essere loro indicato il sito.
25)
Libera entrata ed uscita dal Baltico per le marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate e associata. Essa sarà assicurata con l'occupazione di tutti i forti, opere, batterie, difese di ogni genere tedesche in tutti i passaggi dal Cattegat al Baltico, e col dragare e distruggere tutte le mine ed ostruzioni entro e fuori le acque terrìtoriali tedesche, e i piani ed il sito esatto saranno forniti dalla Germania che non potrà sollevare alcuna questione di neutralità.
26)
Mantenimento del blocco da parte delle Potenze alleate e associata nelle attuali condizioni.
Le navi mercantili tedesche che si trovano in mare sono percettibili di cattura.
Gli Alleati e gli Stati Uniti prendono in considerazione il vettovagliamento della Germania durante l'armistizio nella misura riconosciuta necessaria.
27)
Raggruppamento ed immobilizzazione nelle basi tedesche designate dagli Alleati e dagli Stati Uniti di tutte le forze aeree.
28)
Abbandono da parte della Germania sul posto ed intatto, di tutto il materiale di porto e di navigazione fluviale, di tutte le navi mercantili, rimorchiatori, barconi, di tutti gli apparecchi, materiale e provviste di aeronautica marittima, tutte le armi, apparecchi, provviste di ogni sorta, nell'evacuare la costa ed i porti belgi.
29)
Sgombero di tutti i porti del Mar Nero da parte della Germania e consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti di tutte le navi da guerra russe sequestrate dai tedeschi nel Mar Nero. Liberazione di tutte le navi mercantili neutrali sequestrate. Consegna di tutto il materiale da guerra ed altro sequestrato in quei porti ed abbandono del materiale tedesco enumerato nella clausola 28.
30)
Restituzione, senza reciprocità, nei porti designati dagli Alleati e dagli Stati Uniti di tutte le navi mercantili appartenenti alle Potenze alleate ed associata attualmente in possesso della Germania.
31)
È vietata qualsiasi distruzione di navi o di materiale prima dello sgombero, della, consegna o della restituzione.
32)
Il governo tedesco notificherà formalmente a tutti i governi neutrali e specialmente ai governi di Norvegia, Svezia, Danimarca, Olanda, che tutte le restrizioni imposte al traffico delle loro navi con le Potenze alleate ed associata sia dallo stesso governo tedesco, sia da imprese tedesche private, sia in cambio di concessioni definite come esportazione di materiale per costruzioni navali o no, sono immediatamente annullate.
33)
Nessun passaggio di navi mercantili tedesche sotto qualsiasi bandiera neutrale potrà aver luogo dopo la firma dell'armistizio.
34)
La durata dell'armistizio è fissata in 36 giorni con facoltà di proroga.
Durante questo tempo, se le clausole non sono eseguite l'armistizio può essere denunciato da una delle parti contraenti che dovrà dare un preavviso di 48 ore.
Resta inteso che l'esecuzione degli articoli 3 e 23 darà luogo a denuncia dell'armistizio per insufficienza di esecuzione nei termini fissati solo in caso di malafede nell'esecuzione.
Per assicurare nel miglior modo l'esecuzione della presente convenzione, è ammesso il principio di una Commissione d'armistizio internazionale permanente. Questa commissione funzionerà sotto l'alta autorità del Comando Supremo militare e navale degli eserciti alleati.
-------------------------------

Anche se quel mattino a quell'ora il cielo schiariva e all'orizzonte nasceva un sole sfavillante, quel giorno per la Germania fu una giornata buia, triste e umiliante. In mezzo all'austera serenità silvestre dell'ora fresca e limpida, i delegati dell'Intesa e della Germania protocollarmente si scambiarono l'ultimo saluto, mentre già il telefono, il telegrafo e la radiotelegrafia annunciavano al mondo la vittoria degli Alleati, la disfatta dei Tedeschi; la fine dell'immenso strazio dei popoli.

Alle ore 23 dell'11 novembre, PÉTAIN dettava l'ultimo bollettino francese:

"Al cinquantaduesimo mese di una guerra senza precedenti nella storia, l'esercito francese, con l'aiuto degli Alleati, ha maturato la disfatta del nemico.
Le nostre truppe, animate dal più puro spirito di sacrificio, offrendo durante quattr'anni di combattimenti ininterrotti l'esempio d'una costanza sublime e di un entusiasmo quotidiano, hanno assolto il compito affidato loro dalla Patria.
Talora sopportando con energia formidabile gli assalti del nemico, tal altra assalendo esse medesime e forzando la vittoria, hanno, dopo un'offensiva decisiva di quattro mesi, trattenuto, battuto e gettato fuor dalla Francia il potente esercito tedesco e l'hanno costretto a chiedere la pace.
Tutte le condizioni volute per la sospensione delle ostilità essendo state accettate dal nemico, l'armistizio é entrato in vigore oggi, alle ore 11".

Tre ore prima, Armando Diaz aveva sottoscritto il suo ultimo comunicato, brevissimo così redatto:
"In seguito alla firma dell'armistizio con la Germania le operazioni di guerra sono state sospese su tutti i fronti alle ore 11 di oggi 11 novembre".
`
Non appena informato dell'accordo intervenuto fra i plenipotenziari delle due parti, CLEMENCEAU inviò una circolare telegrafica, alle autorità civili della Francia, invitandole ad annunciare la vittoria alle popolazioni con il rombo delle artiglierie e con il suono a distesa di tutte le campane.
Facili all'esaltazione -iustificatissima questa volta dopo le sofferenze terribili sopportate per più di quattro anni - i cittadini di Parigi, di Marsiglia, di Bordeaux, di Lione, di ogni quieto centro provinciale, di ogni borgo e di ogni villaggio, sembravano presi dal delirio. Come ai grandi giorni dell'epopea napoleonica, la Francia - rialzando fieramente il capo altero, curvato dalla sventura del 1870 vedeva splendere nel suo cielo azzurro, di nuovo la luce della gloria.
Il 12 novembre, FERDINANDO FOCH rivolgeva alle Truppe d'Italia, di Francia, del Regno Unito, della Confederazione Americana, della Romania, della Serbia, della Cecoslovacchia, della Polonia, del Belgio, del Portogallo, del Giappone, della Cina... accampate fra il Mare Nordico e la frontiera Svizzera, fra lo Stelvio ed il Carnaro, in Dalmazia e nei Balcani, nell'Asia Mediterranea, in Mesopotamia e nel Continente Nero, nella Russia europea e in Siberia, queste parole:
"Ufficiali, sottufficiali e soldati degli eserciti alleati! Dopo aver risolutamente fermato il nemico, voi l'avete, durante parecchi mesi, con fede ed energia instancabili, assalito senza tregua. Avete vinto la più grande battaglia della storia e salvato la causa più sacra: la libertà del mondo. Siatene fieri! - Avete ornato i vostri vessilli di gloria immortale.
La posterità vi preserva la propria riconoscenza".


Spente dovunque le vampe dell'immenso incendio, arso per cinquantadue mesi sopra tutti gli oceani e sopra quattro Continenti, rimaneva attivo ancora un piccolo focolare. Nell'Africa Orientale Tedesca, le armi furono deposte con qualche indugio.
La sola Colonia germanica preservata dall'invasione degli Alleati per tutta la durata della grande guerra, ebbe a suo valoroso difensore il generale LETTOW VORBECK.
Questo condottiero abilissimo, dotato d'un fascino personale spiccato che gli conquistava la fiducia, l'affetto, la dedizione illimitata dei connazionali e degli indigeni assoldati, seppe condurre una guerriglia interminabile, tenendo testa ad avversari di gran lunga più numerosi.
Sorpreso dallo scoppio della conflagrazione con un piccolo esercito di 216 bianchi e di 2.450 ascari, e le forze di polizia (45 tedeschi e 2.140 indigeni), Lettow Vorbeck non si perdette d'animo. Passati nelle sue file 322 marinai del "Konigsberg" e 102 del "Mowe", chiamati alle armi gl'immigrati ed altri ascari, l'energico generale si trovò con 3 mila europei e 12 mila soldati di colore.
Lontano, accerchiato, senza comunicazioni di sorta con la Germania, il piccolo esercito tedesco dell'Africa Orientale condusse spedizioni audaci, mandò a vuoto tentativi di sbarco, s'impose le fatiche più aspre, reagì ai disagi materiali e morali, tenne in scacco le forze inviate dal Regno Unito per debellarlo.
Intervenuto l'armistizio -la cui XIV clausola stabiliva il disarmo di von Lettow e del suo piccolo esercito, ridotto dalle perdite in combattimento e dalle malattie a 155 bianchi, 1.168 mercenari indigeni, 3 mila portatori - si prospettò la difficoltà di portarlo a conoscenza dei Tedeschi.
Poichè gl'Inglesi ed i loro avversari operavano in uno scacchiere vastissimo, in mezzo a uno sterminato territorio privo di strade e di grossi centri abitati, la guerriglia sarebbe continuata chissà fin quando se non fosse intervenuto il caso.
Il mattino del 13 novembre, il reparto tedesco "Kohl" fece prigioniero presso Kaptama un ciclista inglese incappato per la sua imprudenza negli avversari. Perquisito, risultò latore di un ordine del generale britannico Devater, il quale aveva diramato ai dipendenti l'invito a compiere ogni sforzo per portare a conoscenza proprio di von Lettow il testo dell'armistizio.
L'audace condottiero prussiano non era lontano da Kaptama, quindi fu presto informato. All'inizio, temeva un tranello, però le informazioni pervenutegli negli ultimi tempi dai prigionieri catturati avevano preparato l'animo alle triste notizie. Così, von Lettow accettò d'incontrarsi con un ufficiale inglese che, presentandogli giornali e documenti, riuscì a convincerlo a desistere alla insensata lotta.
Alle 8 antimeridiane del 14 novembre, l'ultimo generale prussiano rimasto alla testa di truppe operanti consegnava al Commissario britannico il testo d'un telegramma di saluto e di devozione da far pervenire all'Imperatore.
Guglielmo di Hohenzoller si trovava già da quattro giorni in terra d'esilio...

Nel frattempo, dopo l'11 novembre, gli Alleati iniziarono la "marcia trionfale" fino al Reno. Colonia, Coblenza e Magonza furono occupate dai vincitori che si spinsero al di là del grande fiume per un raggio di trenta chilometri. Solenne entrata a Bruxelles di Re Alberto. Trionfo di Poincarè in Alsazia e Lorena.
Il giorno dopo la fuga di Guglielmo e la resa della Germania, l'Assemblea Nazionale Austriaca proclamava la repubblica. CARLO d'Absburgo anche lui lasciava all'alba del 12 novembre, silenziosamente la Capitale austriaca, in abiti civili, seguito dalla moglie e dai figli.
Lasciava un laconico biglietto al suo Paese, ambiguo, come nel non voler dare un significato all'atto di abdicazione; scriveva di voler aspirare alla pace e concludeva "rinunciando a qualunque partecipazione agli affari di stato".
Nel deserto cortile interno del palazzo suntuoso di Hofburg, memore di altri giorni, teatro di ben diverse faraoniche cerimonie, salivano su un'anonima macchina e senza neppure il saluto di un militare si allontanavano verso l'eremitaggio di Eckartsau. Ma i repubblicani del luogo non li vollero, con l'aiuto degli inglesi si recarono in Svizzera nel Cantone di San Gallo, ma dandosi troppo da fare -soprattutto la moglie Zita- per tornare sul trono, fu relegato a Madera; una San'Elena di colui che avrebbe voluto gareggiare con il grande Napoleone. A Madera Carlo si spense pochi anni dopo, nel 1922.

Quanto a GUGLIELMO II, fuggito nei Paesi Bassi, gli Alleati ne chiesero l'estradizione onde giudicarlo quale reo "d'offesa suprema contro la morale internazionale e la sacra autorità dei trattati". Poi fu dimenticato.
Nato a Potsdam nel 1859, ebbe poi modo di vedere i trionfi di Hitler, ma non la sua disfatta. Morì 82 enne a Doorn nel 1941.

Sulla Germania e sull'Austria ritorneremo ancora in una prossima puntata, con le vicende del trattato di Pace a Versailles, con la Repubblica di Weimar, e altri episodi.

 

Dobbiamo tornare in Italia,
dopo l'armistizio e nel caos della disfatta austriaca...

... 4 Novembre - l' Occupazione, le Linee armistizio, il caos


CONTINUA > > >

< < < INDICE


HOME PAGE STORIOLOGIA