1944
COME CHURCHILL e STALIN,

DECISERO IL DESTINO DELL'EUROPA
"il patto delle percentuali"

La spartizione della zona centrorientale e balcanica alla conferenza di Mosca
nell'ottobre 1944. Fu vero cinismo (lo credono molti storici) oppure realpolitik?

I due grandi s'incontrarono il 9-11 ottobre 1944 a Mosca per disegnare i futuri confini di quella metà del Continente già occupata dall'Armata Rossa. L'accordo fu raggiunto, in un clima di estrema cordialità, sulle base di precise percentuali di influenza e senza interpellare i Paesi coinvolti.

"Le percentuali che io ho proposto vogliono essere solo indicazioni del metodo grazie al quale noi possiamo renderci conto mentalmente della vicinanza delle nostre posizioni e quindi decidere circa i passi necessari per arrivare a un accordo completo. Come ho avuto occasione di dire, se venissero sottoposte all'esame dei funzionari del ministero degli esteri e dei diplomatici di tutto il mondo, esse sarebbero considerate indici di superficialità e persino di cinismo. Non possono pertanto costituire la base di nessun documento pubblico, soprattutto in questo momento. Possono però servire utilmente di guida per la condotta dei nostri affari. Se riusciamo a sistemare bene questi affari, potremo forse impedire parecchie guerre civili e molto spargimento di sangue e molti contrasti nei piccoli Paesi interessati. Nostro criterio generale dovrebbe essere quello di permettere che ogni Paese abbia la forma di governo che il popolo desidera. [...] Siamo felicissimi che vi siate dichiarato personalmente contrario a tentativi di mutare con la forza o con la propaganda comunista i sistemi tradizionali esistenti nei vari Paesi balcanici".


E' il testo di un promemoria che Winston Churchill scrisse a Stalin l'11 ottobre 1944. Da due giorni, il primo ministro di Sua Maestà si trovava a Mosca per mettere a punto quello
che sarebbe passato alla storia come "il patto delle percentuali". Un accordo che secondo molti storici, e come del resto lascia trasparire da queste righe lo stesso Churchill, è stato il frutto di uno spregiudicato cinismo, ottenuto applicando i metodi di una diplomazia d'ancien regime e risolto nel giro di pochi minuti con una spartizione in sfere di influenza dell'Europa centrorientale e dei Balcani. Insomma, secondo molti osservatori, i due statisti, scarabocchiando su un foglietto le rispettive percentuali di "influenza" in Ungheria, Bulgaria, Romania, Iugoslavia e Grecia posero la prima pietra della divisione bipolare del mondo e della successiva guerra fredda. Un "documento sconveniente" ("naughty document"), così lo definì lo stesso primo ministro britannico.

Nell'autunno del 1944 l'esito della guerra era ormai deciso. Il crollo del Reich era solo una questione di tempo. Sul fronte militare, però le operazioni stavano attraversando una fase di estrema fluidità. Mentre in Italia e in Francia gli alleati procedevano a piccoli passi, sul fronte orientale l'esercito sovietico pareva inarrestabile. Dopo la gigantesca offensiva dell'estate, che sembrava doverlo portare di slancio direttamente a Berlino, la manovra si era spostata verso l'area balcanica. Bucarest e Sofia furono conquistate rapidamente, Varsavia e Belgrado stavano per cadere, Budapest sarebbe stata messa sotto assedio di lì a poco.

L'Armata Rossa, come ha notato lo storico americano D. S. Clemens, stava bruciando sul tempo gli alleati, realizzando il sogno a lungo accarezzato da Churchill: quello di un rapido movimento attraverso i Balcani per distruggere i nazisti nei territori satelliti. "La decisione sovietica corrispondeva a precedenti decisioni alleate - tutte motivate politicamente - rivolte a combattere i tedeschi nei più lontani avamposti nazisti nell'Africa settentrionale, in Sicilia e nell'Italia meridionale. Ora, nel 1944, l'Occidente assisteva impotente all'inevitabile: le truppe sovietiche assicuravano il successo delle forze locali politicamente gradite, proprio come avevano fatto gli alleati nelle loro sfere di combattimento".

Churchill si rese conto che i russi stavano dilagando in Europa come una marea e che ciò avrebbe avuto serie ripercussioni sulla politica balcanica e mediterranea del Regno Unito. Un suo collaboratore ricorda che in quelle settimane Winston non parlava mai di Hitler, ma solo dei pericoli del comunismo in Europa; e che vedeva "l'Armata Rossa estendersi come un cancro da un paese all'altro. E' diventata un'ossessione, e sembra che egli non pensi ad altro".
Del resto era sotto gli occhi di tutti come la parte più consistente dello sforzo militare sul continente fosse in carico all'Armata Rossa. Il consigliere di Roosevelt presso il dipartimento di guerra, Henry Stimson, ne aveva sottolineato i molti rischi a metà del 1943: lasciando ai russi il grosso delle operazioni militari in Europa "penso che sarà un affare pericoloso per noi alla fine della guerra. Stalin non avrà certo un'alta opinione della gente che ha agito così e non saremo in grado di spartire con lui molta parte del mondo postbellico".

Ma anche al culmine dello sforzo alleato, gli anglo-americani impegnavano solo un terzo del totale delle forze tedesche. Gli altri due terzi erano fronteggiate dai russi. Fin dall'inizio della guerra Stalin aveva detto che la parte più consistente dello sforzo bellico ricadeva sulle spalle dell'Urss.
Nonostante Stalin si guardasse bene dal fare cenno ai notevoli aiuti in mezzi e generi di prima necessità forniti dagli Stati Uniti, la sua affermazione era sostanzialmente corretta. Anche Churchill aveva dovuto ammetterlo. Di fronte alla Camera dei Comuni, spiegò che era stata l'Armata Rossa la prima a colpire al cuore la macchina bellica tedesca e a impegnare sul suo fronte la parte di gran lunga più cospicua delle forze nemiche.

Gli alleati erano quindi terribilmente in ritardo rispetto ai russi. Una soluzione avrebbe potuto essere l'apertura, almeno un paio d'anni prima dello sbarco sulle coste francesi, di un fronte più vicino al cuore dell'Europa. Stalin lo aveva chiesto fin dai primi mesi del 1942. Lo stesso Churchill già allora aveva caldeggiato un'azione militare nell'area balcanica, riproponendo così una delle sue più radicate convinzioni strategiche: già durante la prima guerra mondiale, infatti, come primo lord dell'ammiragliato era stato fautore di una poderosa manovra di alleggerimento (poi fallita) nei Dardanelli. Allora, come nell'autunno del 1944, in gioco non c'erano solo le supreme sorti del conflitto ma anche l'esigenza di preservare gli interessi britannici nel settore orientale del bacino del Mediterraneo.

Per Churchill l'apertura di un imponente fronte sudorientale doveva essere una alternativa allo sbarco in Normandia. Nella sua ottica, al tempo stesso politica e militare, la presenza di forze alleate che dal fronte balcanico marciassero verso il cuore dell'Europa avrebbe limitato considerevolmente l'influenza sovietica nell'area. In altre parole, come ha osservato lo storico inglese William Deakin, nei piani del primo ministro di Sua Maestà si poteva cogliere l'idea di ricostruire il vecchio cordone sanitario degli anni Venti o intravedere quella che dopo pochi anni sarebbe divenuta la cosiddetta Cortina di Ferro.

Consegnati questi progetti alla storia delle buone intenzioni, la realtà con cui le forze alleate dovevano fare i conti nella seconda metà del 1944 era assai più complessa. Diamo ancora la parola a Churchill: "Con l'avanzare dell'autunno, tutto nell'Europa orientale diventava più difficile. Avvertivo la necessità di un altro incontro personale con Stalin, che non avevo più visto dopo Teheran e al quale, nonostante la tragedia di Varsavia, mi sentivo maggiormente legato dopo i successi dell'operazione Overlord. Gli eserciti russi stavano allora esercitando una pressione sempre maggiore sul teatro balcanico, e la Romania e la Bulgaria erano già sotto il loro controllo. Poiché la vittoria della Grande Alleanza era diventata solo una questione di tempo, era naturale che le ambizioni russe fossero cresciute. Il comunismo alzava il capo, riparato dallo strepito delle armi del fronte di battaglia russo. La Russia era la liberatrice e il comunismo il Vangelo che essa recava".

Se era del tutto naturale che le ambizioni russe fossero cresciute è altrettanto pacifico che dal punto di vista della realpolitik fosse assolutamente normale che Stalin cercasse di imporre una "pax sovietica", ponendo gli alleati in una posizione sfavorevole all'atto delle trattative di pace. Quella che si stava combattendo era un nuovo tipo di guerra. Stalin stesso lo confesserà a Tito nei primi mesi del 1945: "Questa guerra non è come nel passato; chi occupa un territorio impone anche il proprio sistema sociale. Ognuno impone il proprio sistema fin dove può giungere il suo esercito. Non può essere che così".
E fu proprio per questo motivo che Churchill decise di sollecitare un faccia a faccia con Stalin prima che fosse troppo tardi: "Ero persuaso che avremmo potuto giungere ad accordi positivi con la Russia solo finché fossimo stati legati da vincoli di cameratismo d'armi per l'esistenza di un comune nemico. Hitler e l'hitlerismo erano ormai condannati; ma che ci sarebbe stato dopo Hitler?".

Il 9 ottobre il primo ministro britannico e il suo ministro degli esteri, Anthony Eden, atterrarono a Mosca. Trovarono bel tempo e un'atmosfera politica decisamente cordiale. Il presidente americano Roosevelt, invitato a prendere parte alla conferenza, dovette disertare a causa degli impegni per la campagna elettorale presidenziale. Al suo posto fu inviato l'ambasciatore Harriman, che però limitò la sua presenza al ruolo di semplice osservatore. Ma il tenore della discussione era già stato anticipato al presidente americano qualche tempo prima dallo stesso Churchill.
"Recentemente - gli aveva scritto - si sono avuti segni preoccupanti di una possibile divergenza politica tra noi e i russi in merito ai Balcani e alla Grecia in particolare. Abbiamo perciò suggerito all'ambasciatore sovietico a Londra che sarebbe opportuno stabilire un accordo secondo il quale il governo sovietico possa avere un ruolo guida negli affari romeni e noi in Grecia. [...] Naturalmente, non intendiamo suddividere i Balcani in sfere di influenza [...] ma speriamo che l'accordo proposto si riveli un utile espediente per prevenire ogni divergenza politica tra noi e loro nei Balcani".

Alla missiva Roosevelt aveva risposto con una certa freddezza, sostanzialmente contestando il progetto perché di fatto contribuiva a creare delle precise sfere di influenza. Ma di fronte all'irruenza del primo ministro c'era poco da fare. Roosevelt, che non aveva intenzione di assumere posizioni ufficiali in merito, preferì quindi tergiversare. La guerra sarebbe durata ancora diversi mesi e la sua speranza era quella di poter risolvere la questione del futuro assetto mondiale in una apposita conferenza di pace. Non a caso, pur declinando l'invito, si premurò di preavvisare il leader sovietico che dal punto di vista degli Stati Uniti era importante poter mantenere completa libertà d'azione anche dopo la fine della conferenza.

La sera stessa del loro arrivo Churchill e Eden furono inviati a cena al Cremlino da Stalin e Molotov. Fu verso la fine della serata, trascorsa, a quanto lasciano intendere i documenti della delegazione inglese, in un'atmosfera gastronomica pantagruelica, che Churchill andò subito al cuore del problema. Stalin si dichiarò pronto a discutere su tutto. Disse di capire l'esigenza britannica di riottenere il controllo sulle rotte mediterranee e di voler voce in capitolo in Grecia. Dal canto loro gli inglesi dovevano capire le esigenze russe in Romania e Bulgaria.
Preso un mezzo foglio di carta Churchill vi scarabocchiò sopra i termini dell'accordo indicando le percentuali di influenza angloamericana e russa nei diversi paesi dell'Europa centrale e sudorientale: Ungheria 50 e 50, Romania 10 e 90, Bulgaria 25 e 75, Grecia 90 e 10, Iugoslavia 50 e 50. Stalin lesse l'appunto senza fare commenti e con una matita blu appose un segno di spunta, che stava per "visto" ma anche per una sostanziale accettazione del metodo delle aliquote.
"La faccenda - raccontò Churchill - fu così completamente sistemata in men che non si dica. [...]. Seguì un lungo silenzio. Il foglio segnato a matita era lì al centro della tavola. Finalmente io dissi: "Non saremo considerati cinici per il fatto che abbiamo deciso questioni così gravide di conseguenze per milioni di uomini in maniera così improvvisata? Bruciamo il foglio". "No, conservatelo voi" disse Stalin. E così feci".

Churchill non era nuovo a questa diplomazia "grafica", fatta a colpi di schemi esemplificativi e scarabocchi. Nel corso del loro primo incontro a Mosca, nel 1942, aveva schizzato a Stalin la figura di un coccodrillo con una grossa pancia per spiegare l'importanza strategica di attaccare le voraci forze dell'Asse da sud. Ora però l'argomento guerra era pressoché superato. Certo, durante i lavori della conferenza si trovò anche il modo di affrontare un tema spinoso come la richiesta alleata di un attacco russo contro il Giappone (ne parlò Eden con Stalin pochi giorni dopo: Churchill era a letto con la febbre).
Stalin disse che era più che disposto a "spezzare la colonna vertebrale del Giappone", beninteso dopo la sconfitta della Germania e a patto che gli angloamericani gli facessero giungere approvvigionamenti e armi. Ma la questione più pressante per la quale i due massimi esponenti del governo inglese si erano avventurati tra le braccia del dittatore georgiano era il futuro immediato di un'ampia fetta d'Europa. Non bisogna quindi credere a Churchill quando con tono burbanzoso racconta che tutto si risolse in quattro e quattr'otto. Non era nello stile, più che suo, del sospettosissimo Stalin. Il dittatore sovietico aveva infatti pochissima stima degli inglesi, e di Churchill in modo particolare: "La cosa che a loro piace di più è ingannare gli alleati - aveva spiegato a una ristretta cerchia di collaboratori. [...] Churchill è il tipo di persona che, se non lo sorvegli, ti ruba una monetina di tasca".

La trattativa sulle percentuali fu molto più lunga. Durò qualche giorno. L'obbiettivo da parte inglese era semplice (nonostante negli anni successivi si sia speculato molto, e spesso con toni moraleggianti, sul presunto cinismo dell'accordo): chiarire a Mosca gli obiettivi, limitati, del Foreign Office nella regione e al contempo rassicurare il diffidente alleato, in modo da evitare una sovietizzazione di tutta l'Europa centrorientale e balcanica. La diplomazia inglese era convinta del pericolo rappresentato dall'ideologia comunista, ma riteneva che sul piano politico il Cremlino ragionasse soprattutto in termini di sicurezza per le proprie frontiere. Se Stalin aveva fatto fuori Trotzkij voleva dire che l'idea di una rivoluzione mondiale era stata definitivamente accantonata.
E' con questo spirito che, dopo aver messo in tasca il "documento sconveniente", Churchill ascoltò la replica di Stalin: la Bulgaria era affacciata sul Mar Nero, una sorta di mare interno russo, quindi la percentuale doveva essere maggiore rispetto al 75% scarabocchiato sul foglietto.

Churchill abbozzò, anche perché, come spiegherà anni dopo: "non avevo mai ritenuto che le nostre passate relazioni con la Romania e la Bulgaria richiedessero da parte nostra sacrifici particolari". Agli inglesi stava più a cuore la sorte della Polonia e della Grecia: "Per la Polonia eravamo entrati in guerra; per la Grecia avevamo sostenuto sforzi penosi. I Governi di entrambi i paesi si erano rifugiati a Londra e noi ci ritenevamo responsabili per la loro restaurazione, se questo era veramente il desiderio dei loro popoli".

Chiarito questo aspetto, i dettagli della trattativa furono affidati a Eden e al suo omologo Molotov. A rileggere oggi quelle percentuali viene da chiedersi come in realtà si potesse riassumere in poche cifre l'influenza politica, sociale ed economica di un paese su un altro o a quale vincolo ci si dovesse attenere per il rispetto delle quote che si stavano andando a stabilire. Fatto sta che i due ministri degli esteri si accinsero di buon grado a discutere di frazioni e aliquote. Analoghe percentuali furono discusse da Churchill e Stalin in separata sede con i due rappresentanti del governo polacco in esilio, quello a Londra (filoccidentale) e quello di Lublino (filosovietico). I primi avrebbero voluto una presenza nel nuovo governo di 80 contro 20, Churchill e Stalin erano disposti a concedere al massimo un 50 a 50. Alla fine la trattativa per la Polonia, appena reduce dal soffocamento della rivolta antinazista di Varsavia, si arenò sull'accettazione dei nuovi confini, la cosiddetta linea Curzon.

Dopo un paio di giorni spesi in mercanteggiamenti nelle sale del Cremlino (Molotov voleva qualcosa in più in Ungheria e in Iugoslavia, Eden era disposto a concedere qualcosa in Bulgaria e Romania, ma non in Iugoslavia) l'accordo per i cinque paesi fu concluso. Gli alleati ottenevano un'influenza del 90% in Grecia, del 50% in Iugoslavia, del 20% in Ungheria e in Bulgaria e del 10% in Romania. Harriman, l'osservatore americano, disse allora, e ribadì sconsolato anni dopo nelle sue memorie, di non aver mai capito cosa diavolo si volesse ottenere con quelle percentuali. Una divisione di territori? Una spartizione in sfere di interesse? Un controllo sulla formazione dei nuovi governi nei paesi in esame?

Forse, come ha osservato lo storico Bruno Arcidiacono in un dettagliato saggio sulla vicenda, si voleva fare riferimento al ruolo delle Commissioni alleate di controllo nei cinque paesi. Ma, più ancora, creare "uno strumento atto a distogliere i russi dal normalizzare (cioè dal 'comunistizzare') i territori che controllavano militarmente, sfruttandovi appunto la presenza delle loro truppe nel corso del periodo armistiziale. E lo strumento stava proprio nel rivelare al Cremlino in termini facilmente comprensibili quali fossero i disegni britannici in ognuno di quei paesi. Non si trattava insomma per l'Inghilterra di abbandonare al loro destino Bulgaria, Ungheria e Romania, di svenderle ai sovietici in cambio della tranquillità in Grecia, ma di far sì che i sovietici, durante quei giorni critici, non favorissero i comunisti locali né in Grecia né altrove. [...] insomma, il patto delle percentuali mirava non a spartire i Balcani ma a evitarne una spartizione irreversibile, secondo frontiere politico-ideologiche".
Del resto, Churchill stesso lo spiegò con la consueta lucidità in una lettera a Londra vergata poco dopo la conclusione della trattativa: "Il metodo delle percentuali non mira affatto a stabilire il numero dei rappresentanti che siederanno nelle commissioni per i vari Paesi balcanici, ma piuttosto a esprimere l'interesse e l'animo con cui i Governi di Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica si accostano ai problemi di tali Paesi; esso mira a permettere che i due Governi possano scambiarsi reciprocamente le loro intenzioni in modo facilmente comprensibile. Non vuole essere niente di più che un orientamento e naturalmente non impegna in alcun modo gli Stati Uniti, né cerca di creare un sistema rigido di sfere di interessi. Esso può tuttavia aiutare gli Stati Uniti a intendere l'atteggiamento dei loro due principali alleati rispetto a queste regioni quando siano considerate nel loro insieme".

Churchill ripartì alla volta di Londra il 18 ottobre visibilmente soddisfatto. I dieci giorni a Mosca, scrisse, erano stati punteggiati da lunghissime feste fino alle prime ore del mattino e "da numerosi e cordialissimi brindisi". Nella lettera di commiato a Stalin, invero piuttosto formale, la seconda metà del testo è completamente dedicata a lodare l'ospitalità russa, "giustamente famosa", e che "ha superato sé stessa in occasione della nostra visita. [...] Tanto a Mosca quanto in Crimea, dove abbiamo trascorso alcune ore deliziose, è stato fatto tutto il possibile perché io e i componenti della missione ci trovassimo a nostro agio".

Se non ci è difficile immaginare un gaudente Churchill apprezzare i piaceri della tavola offerti dal regime sovietico, desta invece qualche perplessità un'altra lettera, indirizzata a Roosevelt pochi giorni dopo. Vi si spiega l'esito dei lavori, ritenuto ampiamente positivo, fatta eccezione per la questione polacca ancora aperta.
Ma poi la missiva continua così: "Zio Joe [era il nomignolo dato a Stalin; n.d.a.] desidera che Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria costituiscano una serie di Stati indipendenti, antinazisti e filorussi; i primi due potrebbero anche fondersi. Contrariamente alle opinioni da lui espresse in precedenza, sarebbe lieto di vedere Vienna diventare capitale di una federazione di Stati tedeschi meridionali, comprendente Austria, Württemberg e Baden".
In quell'accenno agli stati "indipendenti, antinazisti e filorussi" c'è forse la consapevolezza che al di là di ogni trionfalismo la conferenza in effetti aveva reso meno del previsto: la Grecia e nulla più.
Con la fine delle conflitto la temperatura tra i due alleati salirà vertiginosamente, vanificando la brillante trattativa delle percentuali. E il naughty document, il documento sconveniente sull'Europa centrorientale e i balcani non avrà più valore di quello che Hitler diede a Chamberlain a Monaco nel 1938.
ALESSANDRO FRIGERIO
BIBLIOGRAFIA
La seconda guerra mondiale. L'onda della vittoria. Volume XI, di Winston Churchill - Mondadori Editore, Milano 1970
Carteggio Churchill-Stalin 1941-1945, di Winston Churchill - Bonetti Editore, Milano 1965
Yalta, di Diane Shaver Clemens - Einaudi, Torino 1975
Russia in guerra 1941-1945, di Richard Overy - il Saggiatore, Milano 2000
Dei rapporti tra diplomazia e aritmetica: lo "strano accordo" Churchill-Stalin sui Balcani (Mosca, ottobre 1944), di Bruno Arcidiacono (in Storia delle relazioni internazionali N° 2 del 1989)
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